EA-EG
EACO
Mitico re dell’isola di Egina, dov’era onorato come eroe, e gli si dedicava una festa agonistica. Per intercessione di Zeus, padre suo, avrebbe popolato l’isola trasformando in uomini (Myrmidones) le formiche (in greco: myrmekes). L’eroe, risultando l’uomo più giusto, avrebbe ottenuto con la preghiera agli dèi la pioggia su l’Ellade, allora colpita dal flagello della siccità. La leggenda lo dice costruttore delle mura di Ilio, assieme ad Apollo e Nettuno. Dopo la morte fu assunto nell’oltretomba come giudice dei defunti.
EBE
Figlia di Giunone e di Giove, è dèa della giovinezza che gli immortali diedero in sposa ad Ercole quando venne assunto in cielo nel loro numero. Personificazione della giovinezza, nell’Olimpo fungeva da coppiera degli dèi, con l’incombenza di servire il nèttare e l’ambrosia alla loro mensa; poi sostituita da Ganimede. In Roma fu identificata con la dèa indigena Juventus.
ECALIA
Città della Grecia antica, in Trachinia, distrutta da Ercole irato contro il re di essa Eurito, che gli negava la mano della sorella Jole.
ECATE
Dea greca, secondo una versione figlia del titano Perseo e di Asteria, sorella di Latona. Divinità dominatrice, benefica del cielo, della terra e del mare al tempo dei Titani, poi confusa con divinità mistiche (Demetra, Persefone, Rea), e identificata con Artemide (Diana); da ultimo divinità infernale compagna delle Erinni, fautrice di incantesimi e sortilegi; rappresentata come giovane dèa spesso in aspetto triforme, con doppio chitone e fiaccole. Presiedeva ad ogni attività in genere, ed era invocata dalle partorienti.
Venerata sulla porta di casa e nei crocicchi, dove la si figurava con immagini triformi (ecatei). Il suo campo d’azione comprendeva l’oltretomba, la notte e il mondo delle stregonerie. Ebbe famosi santuari ad Argo, sull’Acropoli di Atene, ad Egina in Samotracia, e in genere le si offriva in sacrificio una cagna invocata con orrendi riti nei crocicchi delle città (trivi cittadini). Dai Romani fu identificata con Trivia, che si venerava appunto negli incroci stradali ed il suo culto si diffuse particolarmente durante l’Impero.
ECATOMBE
(dal greco cento buoi)
Grandioso sacrificio originariamente di cento buoi, ma in seguito anche di altre vittime di valore corrispondente. Veniva offerto nell’antica grecia in onore di Zeus e di Apollo; da questi l’epiteto di ecatombeo, a scopo propiziatorio e come occasione per offrire ai sudditi un buon banchetto; e detto ecatombeo era il periodo del calendario greco dal 15 luglio al 15 agosto circa, a ciò predisposto.
ECATONCHIRI
(dal greco cento braccia)
Famosi giganti della mitologia greca, con cento braccia e cinquanta teste, figli di Urano e Gaia. Secondo una versione, erano tre: Briareo, Cotto, e Gie (Gyes). Vennero ripetutamente rinchiusi nelle viscere della terra dal padre Urano, timoroso che nella loro indisciplinatezza abusassero della loro forza strardinaria per causare danni. Zeus li liberò e con il loro aiuto vinse la guerra contro i Titani (personificazione delle forze cieche della natura).
ECHIDNA
Dragonessa della mitologia greca; mostro simile alla chimera, era raffigurata come donna bellissima, con metà corpo serpentiforme e viveva in una grotta inaccessibile (Arina). Sposa di Tifone era considerata madre di numerosi mostri, tra cui Cerbero, il cane infernale, la Chimera, la Sfinge, l’Idra di Lerna e Scilla.
Trovò la morte nel sonno uccisa da Argo.
ECLOGA
Composizione, secondo gli antichi, non poetica pastorale, bensì poesia eletta.
ECO
Ninfa, figlia dell’Aria e della Terra. Un suo mito la vuole condannata da Giunone a ripetere solo gli ultimi suoni di quel che udiva. Altro mito la vuole sbranata da pastori aizzati dal dio Pan, di cui aveva rifiutato l’amore, e i suoi brani, dispersi per il mondo mandano ancora lamenti. Un altro mito ancora vuole che Eco, il cui amore non corrisposto da Narciso, la consumò tanto da ridurla alle sole ossa e alla sola voce, tramutata poi in rupi.
- Note:
-
- Dove Eco albergava le api non potevano esserci per il luogo troppo sonoro, ed è detto ripigliando tutto ciò che di Narciso e di Eco i miti greci favoleggiarono; prendendo poi Eco come simbolo della poesia rimata.
Varrone, Plinio, Columella, affermarono questa inimicizia delle Api con Eco.
Virgilio, (Georgiche, IV 48), ammonisce il cultore di non porre le api
"ubi concava pulchra, saxa sonant, vocisque offensa, resultat imago" ; elegantemente imitato dal Rucellai, là, dove fa che le api lo avvertano di scrivere in isciolti e di fuggire le rime. - Nota
- - Del Rucellai si ricorda il Foscolo ancora nella concezione (Api 12);
...tu sai pur, che l’immagin della voce,
che risponde dai sassi, ov’Eco alberga,
sempre nimica fu del nostro regno;
non sai tu ch’ella fu conversa in pietra,
e fu inventrice delle prime rime?
E dèi saper ch’ove abita costei
Null’ape abitar può, per l’importuno
Ed imperfetto parlar loquace. - Dal Carme “Alle Grazie” del Foscolo - Inno secondo vv.187/ 197
- ...Né le Febee
- Api (sebben le altre Api abbia crudeli)
- Fuggono i lai della invisibil Ninfa,
- Che ognor delusa d’amorosa speme,
- Pur geme per le quete aure diffusa,
- E il suo altero nimico ama e richiama;
- Tanta dolcezza infusero le Grazie
- Per pietà della Ninfa alle sue voci,
- Che le lor api immemori dell’opra,
- Oziose in Italia odono l’eco
- Che à par dè carmi fè dolce la rima".
ECUBA
Mitica regina di Troia, seconda moglie di Priamo, figlia del re frigio Diamante. Fu madre di diciannove figli, di cui il più noto è il famoso eroe troiano Ettore. Di lei si narra che,sopravvissuta alla distruzione di Troia, visse drammatiche vicende e fu da ultimo trasformata in cagna; evidente riferimento al dolore che le strappava continui lamenti.
(Ritorna a POLIMNESTORE)
- Note:
- - Euripide nelle “Troiane” rappresenta il dolore di Ecuba prigioniera dei Greci. ed il suo furore di vendetta, quando acceca Polinestore, re Frigio che aveva ucciso per rapina il figlio di lei Polidoro.
EDICOLA
Anticamente un simulacro di tempio aperto racchiudente la divinità visibile. Solo più tardi racchiuse anche l’immagine dei defunti Nel suo tipo più semplice era a pianta quadrata e composta da quattro colonne su base a gradoni sostenenti la copertura e i timpani delle quattro facciate. Nelle rappresentazioni in superfice finì col diventare praticamente una cornice per l’immagine della divinità o del defunto, o per qualunque oggetto artistico. Come elemento di venerazione era molto diffuso nell’antichità greca e romana, rappresentando la manifestazione esteriore di culto più accessibile alle masse popolari, caratteristica che l’edicola ha conservato in pieno anche nella cristianità. Edicole sacre o funebri erano infatti frequenti nelle strade o sui muri delle città greche e romane, così come erano frequenti nel periodo gotico e in quelli successivi per contenere immagini sacre, nell’architettura.funeraria.
EDIPO
Mitico eroe greco del ciclo Tebano, figlio di Giocasta e di Laio, regnanti in Tebe. L’oracolo di Delfi aveva predetto che il neonato avrebbe ucciso il padre, e questi, per fuggire il fato, se ne fa strumento ed espone il figlio neonato sul monte Citerone, perché vi morisse. Raccolto da pastori lo chiamarono Edipo (Oidipus= piede gonfio), per il gonfiore causato dai lacci che gli avvolgevano i piedi. Portato alla corte del re di Corinto Polibo. Questi lo alleva come un figlio. Adolescente, appreso il suo destino, dopo essersi recato a Delfi dall’oracolo (che avrebbe cioè ucciso il padre e sposato la madre), ignaro dei suoi reali natali, abbandona Corinto e si avvia verso la Grecia centrale.
In prossimità della città di Tebe, uccide, causa un litigio, senza sapere chi fosse quell’uomo, il padre naturale Laio. In seguito sposa Giocasta che gli concede la mano e il regno per compensarlo d’aver liberato la regione dalla Sfinge, un mostro che uccideva i viandanti, ove, se interrogati, non scioglievano l’enigma da essa proposto, e cioè: ”qual è quell’animale che all’inizio della vita cammina con quattro gambe, poi con due e infine con tre? ”L’uomo! Perché da bambino cammina con gambe e piedi, da adulto su due gambe, e da vecchio con due gambe e una terza costituita dal bastone! Edipo indovinando l’enigma fa morire il mostro, viene eletto re e, ignaro della identità filiale sposa la madre naturale Giocasta. Spinto poi dall’oracolo a ricercare l’uccisore del re Laio, viene a poco a poco a conoscenza dell’orribile verità. Dal matrimonio incestuoso nascono: Eteocle, Polinice, Antigone e Ismene. Ma gli dèi sdegnati del parricidio e delle nozze illegittime, sia pure involontarie, li puniscono duramente con l’invio di una fiera pestilenza. Giocasta poi si uccise, ed Edipo si cavò gli occhi e andò errando come un mendico accompagnato dalla figlia Antigone. Altra versione vuole che l’eroe, accecatosi scomparisse nell’Attica, dopo aver vagato senza meta a lungo in preda a cupa disperazione el bosco di Colono presso Atene, sacro alle Furie.
- Note:
- - “Edipo Re” e “Edipo a Colono”sono altrettante tragedie di Sofocle. Di particolare rilievo nello studio della psicanalisi il“Complesso di Edipo”per cui il figlio maschio,nutre amore intenso per la madre e odio per il padre e al contrario la figlia.
EETA
Re della Colchide.
EEZIONE
Nome del Padre di Andromaca dimorante in Tessaglia sotto il monte Placo ricco di foreste. (Iliade)
EFESO
Città dell’Asia Minore, presso le foci del Piccolo Meandro, al centro della costa egea della Turchia. Il centro indigeno fu sede di un culto della dèa della Fecondità della Terra, assimilata poi dai greci ad Artemide. Fu una delle più antiche colonie degli Ioni sulla costa asiatica (IX° s.a.C.) Passata più tardi sotto la Signoria di Creso, re di Lidia, e dei Persiani. Fu in seguito liberata, ma per poco tempo, assieme a tutte le città greche dell’Asia Minore. Importante fu per lo sviluppo edilizio della città la Signoria di Fisimaco di Tracia (287-281 a.C.). Più tardi divenne la capitale della provincia romana d’Asia. Fu importante centro di culto cristiano, e sede del terzo concilio ecumenico del 431. Il santuario di Artemide (Artemision) ebbe diverse fasi costruttive, a partire dal l’VIII° s.a.C. Il tempio, monumentale, in marmo, risale al VI° s.a.C. è di ordine ionico diptero, con tre file di colonne sulla fronte, decorate da rilievi nella parte inferiore. Completamente distrutto da un incendio, fu ricostruito da Alessandro Magno. Il complesso urbano risale all’età ellenistica, ed all’opera regolatrice di Lisimaco. Tra le opere di età romana ricordiamo i restauri al teatro, alla biblioteca, vari ginnasi, le terme e le acropoli. I maggiori edifici cristiani della città sono la Chiesa della Vergine, ove avvenne il concilio del 431 e quella di S.Giovanni Evangelista.
EFESTO
Dio greco che i Romani identificarono con Vulcano. La mitologia ne fa un fabbro che lavorava i metalli con il fuoco, e troviamo quindi il suo culto vicino ai vulcani Etna e Stromboli. In tal caso è associato all’opera di creazione e di ordine del fuoco, quale elemento cosmico. La sua posizione era per molti aspetti inferiore a quella degli altri dèi, presentando la figura e il suo mito con tratti predeistici, tipici degli esseri creatori e inciviliti (eroe culturale).
Come tali esseri, egli era rappresentato imperfetto nel corpo, a significare che apparteneva alla mitica fase precosmica (caos), ma nel contempo contribuiva, con la sua arte, ad instaurare la perfezione nel mondo divino e umano. L’imperfezione rivela com’egli sia il soggetto e non l’oggetto del perfezionare. Costruiva le dimore degli dèi, dando loro stabilità; aveva fabbricato lo scettro di Zeus, assicurandogli la sovranità. Grazie alla sua arte e a quanti la praticavano sotto la sua protezione (non solo i fabbri ma anche altri artigiani), si instaurò e si diffuse la civiltà presso il genere uma no. Padre di Cecrope, primo re dell’Attica e costruttore dell’Acropoli di Atene. Zoppo e sciancato per essere stato scaraventato da Era (o da Zeus) giù dall’Olimpo, venne riammesso tra gli dèi, do po essere vissuto a Lesbo ed aver appreso l’arte del fabbro. Nel ridicolo finivano le storie sul suo amore respinto da Atena e del tradimento di Afrodite, divenuta sua moglie.
Altro mito lo vuole sposo fortunato di Charis (una delle Grazie), alludendo certo alla bellezza dei prodotti della sua arte. I mitolo gi danno di Efesto varie interpretazioni: per alcuni sarebbe la divinazione del fulmine di Zeus, per altri la deificazione del fuoco donato agli uomini da Zeus.
(Vedi Vulcano).
Note- Il tempio di Efesto nell’agorà di Atene è detto“Theseion”dalle sculture che lo ornavano raffiguranti le imprese del mitico eroe Teseo; costruito nella seconda metà del V s.a.C.(il meglio conservato di tutti i templi greci).
EFIALTE
Gigante, figlio di Alceo; con il fratello Oto, sovrappose le montagne del Pelio e dell’Ossa all’Olimpo per dare la scalata al Cielo, ma fu ucciso da Apollo per questo, e punito nel Tartaro.
- Termopili è detto il passo tra il monte Eta e il Golfo Maniaco.
EGEO
(Vedi Teseo)
EGEONE
Gigante, figlio del Cielo e della Terra; in cielo era detto Briareo
(vedi CENTIMANI)
EGERIA
Ninfa latina protettrice delle sorgenti e per il culto abbinato a quello della dèa Diana e si pensa anche a quello delle partorienti. La leggenda la dice amante ed ispiratrice del re Numa Pompilio, come pure una fonte del bosco sacro a Diana, che porta il suo no me. I Romani la onoravano in una grotta ov’erano acque sorgive, situata presso la porta Capena.
EGIDA
Scudo di Giove, terribile, che emette lampi abbaglianti. Poi fu preso semplicemente per scudo in generale. Sovente se pur confusa con lo scudo di Minerva, pure Servio dice chiaramente: Aegis proprie est munimentum pectoris aereum, habens in medio Gorgonis caput. E aggiunge che se è sul petto di un Nume, si chiama egida, se sul petto di un mortale, lorica.
EGINA
Isola della Grecia nel golfo Sardonico. Nell’antichità, i più importanti centri erano a Capo Colonna sull’Oros e nella zona del Mesagro. Al Capo Colonna sorgeva probabilmente un santuario del VII-VI s.a.C. in onore di Afrodite o di Apollo. Il tempio era circondato da mura e il monte S. Elia (Oros) era occupato dal culto di Zeus. Nel Mesagro si riconosce il santuario di Aphaia (o Aphais) divinità locale, corrispondente ad Atena. La fase edilizia più importante coincide con l’inizio del V°s.a.C. Tuttavia già nell’età neolitica, si avevano tracce di culti nella zona. Il tempio era di ordine dorico, esastilo con cella divisa in navate e doppio ordine di colonne. Le sculture che ornavano i frontoni (conservate alla Gliptoteca di Monaco di Baviera), è il migliore esempio dell’arte scultorea greca arcaica. Entrambi i gruppi raffigurano il medesimo oggetto: lotta di guerrieri troiani ed indigeni alla presenza di Atena.
I caratteri di queste sculture sono entrati come motivi fondamentali di un canone della scultura greca arcaica; studio anatomico, frontalità, sorriso. Gli scavi del tempio e della necropoli, dopo la prima missione inglese che vendette i gruppi frontonali a Luigi I° di Baviera, furono condotti da archeologi tedeschi.
EGIODO
Epiteto di Giove; stà per, armato d’egida (scudo)
EGIPANI
Seguaci di Bacco.
Pomponio Mela,geografo e scrittore romano,chiama gli Egipani, anche Blemmi, Ganfasanti, Satiri. Il satiro è una figura mitica maschile, compagna di Pan e Dioniso, che abita boschi e montagne. I blemmi mostruosi sono descritti come degli esseri acefali, con gli occhi e la bocca posti sul ventre o sul torace. Così li riassume, ad esempio, Plinio il Vecchio (23-79) nella sua Naturalis historia: «Si dice che i Blemmi non abbiano il capo, e che abbiano la bocca e gli occhi nel petto».
EGIST0
Re dell’Argolide, nato dall’unione incestuosa di Tieste con la figlia Pelopia. Protagonista di fosche vicende, di tradimenti e ven dette, che si narravano sulla leggendaria famiglia reale di Micene, a cominciare dalla rivalità dei figli di Pelope. Egisto avrebbe ucciso il fratello Atreo (padre di Agamennone e di Menelao) e poi anche il figlio di questi Agamennone, dopo essere riuscito a se durne la moglie Clitemnestra. Così Egisto mentre Agamennone è lontano da Micene, quale duce nella guerra contro i Troiani, diviene l’amante della sua sposa Clitennestra. A fine guerra, ritornato Agamennone da Troia, Egisto, con la complicità di Clitemnestra, l’uccide, venendo poi ucciso a sua volta dal figlio di Agamennone, Oreste, con l’aiuto della sorella Elettra.
(Vedi Atridi)
EGITTO
Egitto è una figura della mitologia greca, eponimo di quell'area africana la cui cultura si sviluppò in simbiosi con quella greca.
Era discendente di Poseidone per parte del padre Belo e del Nilo per parte della madre Libia.
Egitto era il padre di Polittore e di altri undici figli avuti dalla ninfa Caliadne e gli altri undici furono Euriloco, Fante, Peristene, Ermo, Driante (o Dria), Potamone, Cisseo, Lisso, Imbro, Bromio e Ctonio[1]
Il mito
Egitto, che inizialmente regnava in Arabia, conquistò il territorio corrispondente alla valle del Nilo, a cui appunto diede il proprio nome. Nel frattempo Danao, fratello gemello di Egitto, regnava su un territorio chiamato Libia, dono del padre Belo. Egitto era padre di 50 figli maschi, gli Egittidi, e il regno che si era conquistato era caratterizzato da dispoticità e vessazioni. Il fratello gemello Danao aveva 50 figlie femmine, le Danaidi. Egitto pretendeva il diritto sul territorio del fratello e per questo impose a Danao di far sposare le sue figlie con i rispettivi cugini. Danao si vide così costretto a lasciare la Libia e a riparare nella sua città di origine Argo, fondata da un suo antenato Inaco. In vecchiaia Egitto volle tentare una riconciliazione col fratello proponendo di far sposare Egittidi e Danaidi tra loro. Danao accettò, ma in realtà stava tramando ai suoi danni. Dopo la celebrazione dei 50 matrimoni, che avvennero in Grecia, egli addestrò le figlie che uccisero tutti i rispettivi mariti, tranne Ipermnestra che risparmiò l'Egittide Linceo.
Egitto, privato così di quasi tutti i suoi figli, da persecutore diventò perseguitato e temendo la vendetta di Danao che nel frattempo era divenuto l'eponimo dei Danai, termine con cui Omero indica gli stessi Greci, abbandonò il regno.
Pare che sia morto di crepacuore subito dopo.
(da wikipedia)
EGLE
Ninfa delle fonti, la più bella delle Naiadi; dai suoi amori con il Sole (Elio), nascono le Grazie. Altra versione la vuole una delle quattro Esperidi, figlie della Notte e dell’Oceano.(Vedi Esperidi)
EI-EN
EIROMEDONTE
Gigante
Eurimedonte è un Gigante - o un Titano - figlio di Urano (il Cielo) e di Gea (la Terra).
Secondo Omero, Eurimedonte governava una razza di uomini giganteschi e selvaggi – probabilmente i Giganti – che vivevano nell'estremo Occidente, sull'isola di Thrinacia (forse Trinacria). Eurimedonte «che regnava sui Giganti superbi... il pazzo suo popolo, e lui stesso perì», senza che se ne sappia il perché.
Si tratta forse del medesimo Eurimedonte che, secondo una tradizione secondaria, seduce Hera mentre costei risiede ancora con i parenti. Da questo amore nasce Prometeo.
Quando Zeus, dopo aver sposato Hera, (Vedi Era) s'accorge che ella non è più vergine, getta Eurimedonte nel Tartaro e approfitta del primo pretesto per fare incatenare Prometeo.
("Ritorna a Giganti")
ELEA
Elea, città ad Est della foce dell' Eurota, in luoghi paludosi; Omero la dice giacente presso il mare.
ELEATISMO
Scuola eleatica, così chiamata dalla città di Elea (latino Vèlia.o Avelia) nella Magna Grecia. Fiorì soprattutto nel V° s.a.C. Rappresenta uno dei più tipici e importanti movimenti di pensiero dell’età presocratica, tanto che anche dopo la fine della scuola, le sue elaborazioni continuarono ad essere fra gli elementi principali del dibattito filosofico. Un’antica tradizione (di cui tra l’altro la critica moderna fortemente dubita), la vuole fondata da Senofonte di Colofonie, il quale con la sua vigorosa affermazione dell’unità del divino, prelude all’unità dell’essere, ritenuta tipica di questa scuola. Il massimo esponente dell’eleatismo è comunque Parmenide, il quale sostenendo rigorosamente come unica realtà verace ciò di cui si può dire che ”è” (e che quindi esclude in assoluto “non è” ogni alterità e molteplicità), e riducendo altrettanto rigorosamente il mondo dell’opinione e della sensazione a semplice apparenza: è anche l’iniziatore di un fondamentale indirizzo del pensiero metafisico. La scuola fu continuata da Zenone, di Elea, la cui polemica contro i sostenitori della molteplicità hanno goduto di una ininterrotta fortuna e considerazione, e da Melisso di Samo, la cui rigorosa affermazione dell’eternità e mobilità dell’essere, è di vitale importanza per comprendere l’ulteriore sviluppo della metafisica classica. Note - Velia o Avelia è il nome di un'antica città della Campania, nel Cilento, presso il fiume Palistro (odierna stazione Velia-scavi, sulla Napoli-Reggio). Colonia greca della Magna Grecia, sulla costa tirrenica della Lucania, fondata dai Focesi nel VI° s.a.C., fiorì dopo la distruzione di Sibari. Fu poi municipio romano nel I° s.a.C. ; notevoli sono gli avanzi di edifici ellenistici,e di terme romane.
ELEGIA
Componimento poetico greco-latino in*distici (strofe di due versi; esametro più pentametro), Sorta nella Ionia antica, si diffuse nel Peloponneso durante il VII s.a.C., e pare che originariamente fosse accompagnata con il flauto (élegos, in origine significava flauto). Nata come lamento funebre, servì in seguito ad esprimere i sentimenti più vari, patriottica con Catullo e Tirteo, amorosa con Mnimnermo, politica e morale con Senofonte, sentenziosa con Focilide. Gli alessandrini, Euforione e soprattutto Callimaco e Fileta, ne fecero un patetico canto di avventure mitiche e amorose, e le diedero un colorito malinconico e sentimentale, che divenne il carattere proprio del genere, a cui si ispirarono i poeti latini. Questi tuttavia, da Catullo a Tibullo a Propezio, a Ovidio, fecero dell’elegia intima. Soggettiva autobiografica, e per quanto il confronto sia oltremodo difficile dal fatto che la produzione alessandrina sia andata completamente perduta, sembra indubbio che diedero al genere uno spirito nuovo. In seguito il termine stette ad indicare non solo il componimento poetico in distici elegiaci, ma qualsiasi poesia o prosa ispirata a un sentimento di dolore e di malinconia.
ELENA
Mitica eroina, protagonista di molte leggende; figlia di Giove e di Leda, sorella di Clitemnestra e dei Dioscuri. Sposa Menelao re di Sparta. Innamoratasi del troiano Paride (figlio di Priamo), fugge con lui a Troia. Il rifiuto dei Troiani di restituirla è causa della guerra greco troiana, poiché il re Menelao, suo sposo, per riaverla, induce i Greci alla conquista di Troia. Ucciso Paride, sposa il fratello di lui Deifobo, che, a guerra finita la riconsegna nelle mani di Menelao, con il quale ritorna a Sparta. Altra leggenda lo vuole ucciso da Menelao e da Ulisse durante la distruzione di Troia. Morto Menelao, si sarebbe rifugiata a Rodi, dove, un suo parente (Polisso),l’avrebbe fatta impiccare per vendicare la morte degli eroi della guerra troiana.
- Note
- "La sacralità della sua figura è rilevata dal caso leggendario del poeta Stesicoro, il quale, divenuto cieco per aver infierito su di lei a causa del suo funesto adulterio, avrebbe riacquistato la vista solo dopo aver ritrattato ogni cosa con un nuovo canto (palinodia) per la riabilitazione di Elena, la più bella delle donne, assunta a simbolo del fascino femminile. Altra versione di Stesico ro* del mito di Elena è che, non essa aveva seguito Paride, ma un fantasma creato a sua immagine da Afrodite. Un’altra leggenda ancora tramandata da Erodono, dice, che la nave, sulla quale viaggiavano lei e Paride fu buttata dalla tempesta sulle spiaggie d’Egitto e che il re Proteo, trattenne con se Elena, rimandando Paride a Troia con il solo simulacro. *Stesicoro (ordinatore di cori): poeta greco (nato a Imera, Sicilia 630 circa a.C.,- m. 555 circa), così detto per avere inventato o normalizzato l’uso della triade strofica (strofa-antistrofa-epodo), nella poesia e nella danza. Restò famoso per aver cantato in forma lirica una materia mitica già elaborata dal l’epos. Si hanno notizie e pochissimi frammenti dei poemetti: Elena Palinodia; La presa di Troia; Oreste; Gerioneide."
ELENO
Uno dei figli di Priamo (re di Troia) e di Ecuba; indovino e poi schiavo di Neottolemo (o Pirro figlio di Achille), dopo la caduta di Troia. Virgilio lo vuole sposo di Andromaca in Epiro (già moglie di Ettore; l’eroe troiano per antonomasia).
- Note
- " - "Sunto parziale dall’Eneide di Virgilio; libro III.
Corrono ancora le navi sulle onde spumeggianti. Più veloci corrono fuggendo, quando appare in vista la rocciosa Itaca; e tutti maledicono la terra del feroce Ulisse. Il nuovo approdo è nell’Epiro; un approdo di pace che l’angoscia dei ricordi sconvolge. Qui Enea ha un incontro insperato, allontanatosi un poco dal porto, scorge Andromaca, la moglie del morto Ettore. Andromaca abbassa gli occhi e racconta la sua dolorosa vicenda. Era stata trascinata prigioniera da Pirro, figlio di Achille, e fatta sua sposa. Ma poi, essendo stato ucciso Pirro, era divenuta moglie di Elèno, figlio di Priamo, anch’egli schiavo; Elèno si era meritato la stima del popolo e aveva infine ottenuto una parte del regno, e vi aveva costruito una piccola Troia. Sopraggiunge poi anche Elèno lietissimo, che accompagna tutti in città versando lacrime di commozione."
ELETTRA
ELEUSI
Antico demo (circoscrizione dell’Attica), sulla costa del Golfo Saronico, sede di un culto misterico (misteri eleusini), in onore di Demetra, che avrebbe insegnato a Triptolemo l’arte dell’agricoltura (culto soppresso nel 396 d.C.). Vi si celebravano ogni cinque anni le grandi eleusinie ogni tre anni e forse annualmente, le piccole eleusinie; feste in onore di Demetra, come già detto, ma non in relazione con i misteri.
Eleusi è villaggio dell’Attica a 22 km. a NE di Atene, centro fin dall’età micenea del culto misterico di Demetra (Terra Madre) e della figlia Core (Persefone - gr. fanciulla), che simboleggiava la vegetazione. Incorporata nello Stato ateniese al principio del VI° s.a.C., il prestigio politico e culturale di Atene nel mondo antico contribuì molto alla diffusione dei misteri eleusini, come dimostrato dall’inno omerico a Demetra del secolo. Il culto eleusino doveva avere una certa importanza panellenica, possedendo già una ideologia di base, che rispecchiava gli interessi di molti. Le iniziazioni ai misteri eleusini avvenivano in primavera, con una iniziazione preliminare ai “piccoli misteri” di Agre, un sobborgo di Atene; e nell’autunno seguente gli iniziandi si riunivano a Eleusi dove, dopo un discorso del gerofante (massimo sacerdote del culto), partecipavano in giorni successivi a verie cerimonie (purificazioni sulla riva del mare, processioni, sacrifici), per poi, venir ammessi alla celebrazione dei misteri, ossia alle iniziazioni vere e proprie. Nel frattempo dovevano astenersi dal consumo di determinati cibi, e da ultimo, osservare anche un digiuno rotto solo dalla consumazione rituale di una bevanda sacra, detta Kikeon. Dei riti iniziatori si sa che consistevano in: ”cose dette”; in “cose fatte”; e in “cose mostrate”; espressioni che alludono a rivelazioni orali, ad esecuzioni rituali (forse anche azioni drammatiche), e alla presentazione di oggetti e simboli sacri. Tra le cose mostrate è da annoverare, una spiga matura. Il grano era certo un importante elemento nella simbologia eleusina, ed esprimeva forse, la speranza della rinascita ad una nuova vita dopo la morte, in analogia con il seme, dal quale, dopo ch’è stato sotterrato, nasce una nuova spiga. La vicenda del grano e la sorte dei morti, erano comunque connesse; la prova è nella presenza delle due dèe, la madre Demetra, protettrice dell’agricoltura e la figlia Persefone (Core) regina dei morti. Sotto la loro protezione gli iniziati volevano ottenere prosperità dalla Terra e una sorte felice nell’oltretomba. Questo significato che rappresentava già un’evoluzione del rito agrario magico originario, a iniziare dal II° s.a.C.,si dilatò sino a raggiungere tutte le esigenze di una palingenesi che rinnovasse l’uomo e la società. E’questo il principale motivo della diffusione dei misteri eleusini durante tutta l’epoca imperiale. All’iniziazione si sottomisero anche alcuni imperatori, fra i quali Adriano e Marc’Aurelio.
Cenni storici
La storia di Eleusi seguì gli avvenimenti politici di Atene, e il suo santuario famoso fino in età romana, fu raso al suolo da Alarico (IV°s.) Il santuario che risaliva all’età micenea e venne restaurato e ampliato più volte fino ai tempi di Adriano era stato costruito ai piedi dell’Acropoli ed era chiuso da una cinta di mura. Davanti ad esso sorgevano i famosi Propilei, di cui si ammirano i resti. Fra gli edifici culturali importanti si ricordano il Telesterion; aula porticata divisa da cinque file di colonne dove venivano celebrati i riti misterici; il tempio di Artemide Propylaia e di Poseidone e inoltre, i grandi propilei d’ingresso che ripetono le forme di quelli di accesso all’Acropoli di Atene. Tra gli edifici minori il Bouleuterion, un santuario del dio Mitra, le terme e le botteghe romane. La città che era collegata ad Atene per mezzo della via Sacra, si sviluppava intorno all’Acropoli, su una collina ad Ovest del santuario. Le abitazioni ellenistiche del III s.a.C., sono modeste e in parte scavate nella roccia. Le necropoli conservano arredi assai ricchi, di età elladica e micenea; vi sono esempi di seppellimenti a fossa o in pithoi (giare di terracotta). Dell’Acropoli restano solo avanzi delle mura, e alcune cisterne. Un importante rilievo di età fidiaca, rinvenuto ad Est, e conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Atene, raffigura la partenza di Trittolemo il giovane, destinato a diffondere i misteri eleusini nel mondo.
ELICIUS
Epiteto di Giove.
ELICONA
Catena montuosa della Grecia orientale, tra il Lago Copaide e il Golfo di Corinto. Nell’antichità considerato il soggiorno delle Muse, alle quali era dedicato un bosco sacro e ricchi templi, onde Elicona stà a significare il regno della poesia.
ELIDE
Una delle cosiddette scuole socratiche di filosofia. Meno importante dal punto di vista filosofico di quella cinica e megarica, alla quale è tuttavia avvicinabile nelle scarse e frammentarie fonti che ce ne parlano. Fondata tra il V°e il IV° s.a.C., nell’Elide, regione del Peloponneso da Fedone, uno dei membri del circolo socratico e continuata poi da Meneremo ch’ebbe tra i suoi maestri il megarico Stilpone, e che trasportò la scuola a Eretria, sua città natale (di qui il nome di scuola Eretria). Delle dottrine di questa scuola sappiamo che veniva ripreso con vigore (e non senza influssi eleatizzanti e megarici), il motivo socratico dell’unità della virtù, e che questa veniva intesa come unità del bene e della verità, con radicale esclusione di ogni molteplicità. Meneremo e i suoi scolari, negavano l’esistenza in sé delle proprietà generali degli oggetti, che per essi sussistono soltanto in oggetti presi individualmente e concretamente.
ELIEA
Il luogo dove si riuniva in Atene il tribunale degli eliasti, cioè i giudici popolari, che si riunivano per giudicare di ogni reato com messo da privati, esclusi i reati di sangue. Venivano eletti a sorte tra tutti i cittadini d’età superiore ai 30 anni, in numero di 6000 (500 per ciascuna delle 10 tribù, più 1.000 di riserva). Il tribunale fu istituito da Selone; dall’età di Pericle gli eliasti ebbero un’identità di 2 oboli per giorno (detta eliastico).
ELIO
Dio del sole, figlio del Titano Iperione, percorre il cielo da oriente ad occidente in un carro d’oro trainato da cavalli; osserva e giudica le azioni dei mortali. Ha quali figlie le Eliadi e un figlio, Fetonte. Possiede in Sicilia, secondo Omero nell’Odissea, le mandrie di buoi sacri, che i compagni di Ulisse non rispettano, attirandosi la vendetta di Zeus. Identificato in età tarda, con Febo (Apollo). Questa personificazione di un elemento della natura (Helios=Sole), dimostra che il processo di antropormofizzazione di Elio è rimasto al suo stadio iniziale senza evolversi in una umanizzazione completa, come per gli altri dèi greci. La sua genealogia infatti lo elenca fra i Titani, quali erano i suoi genitori Iperione e Teia. Tale stato ambiguo contribuì forse alla sua identificazione con Apollo (Febo) col quale venne spesso confuso, a partire dal V° s .a.C. Elio nel suo cammino solare, si recava ogni sera a Occidente (il paese delle Esperidi), da dove, attraversando la Terra (il paese dei morti), ritornava ad Oriente (il paese degli Etiopi), per risplendere nuovamente il giorno dopo sul mondo. Centro famoso del suo culto fu Rodi, ove era raffigurato nel celebre “Colosso”. In suo onore si celebravano le feste dette “Alia” durante le quali si sacrificava una quadriglia di cavalli che venivano precipitati in mare.
(ritorna a AURORA)
(ritorna a FEBO)
ELISO
ELISI
Il paradiso dei pagani. Luogo di premio per le anime dei buoni, ove si viveva in lieti canti e danze
ELISSA
o Didone
ELLADICA
(Civiltà elladica)
Nome dato alla cultura greca nella Grecia continentale durante l’età del bronzo. Essa ebbe inizio verso la metà del III° millennio e si prolungò sino alla fine del II° millennio a.C., identificandosi durante l’ultima fase. (Elladico recente 1570 – 1100 circa a,C., con la civiltà micenea. Un insieme di fattori nuovi e indipendenti dalle precedenti tradizioni neolitiche locali (Sesklo – Dimini), si affaccia gradatamente in Grecia intorno al 2550 a.C., per comporsi ben presto, nella fisionomia di una civiltà assai complessa, ove le influenze anatoliche si mescolano a quelle di chiara derivazione cicladica e cretese. Questa civiltà, nella sua prima fase (Elladico antico), ha già chiaramente un carattere urbano; le case sono rettangolari, con uno o più ambienti, a volte absidale (città di Orcomeno), poggiano su fondazioni di pietra, ma hanno pareti di mattoni d’argilla cruda. L’economia è prevalentemente agricola (si conosce anche la viticoltura). L’artigianato e il commercio svolgono anch’essi un ruolo importante; lo stagno, il rame, l’oro, l’argento sono importati e lavorati sul posto. Vengono acquistati anche prodotti finiti (sigilli cretesi, vasi, e idoli di marmo provenien ti dalle cicladi). La ceramica è prima di argilla scura, lucidata, decorata a incisione. Più tardi viene coperta da una vernice metalli ca nerastra, probabile imitazione di tecniche cretesi. La seconda fase della civiltà elladica (Elladico medio), intorno al 2000 a.C., inizia con la violenta distruzione di Orcomeno e altri centri, causata probabilmente da un’invasione subitanea di popolazioni guer riere,di origine anatomica; concorrono a dimostrarlo l’apparizione simultanea di una nuova ceramica di colore grigiastro, la cosid detta ceramica "miniia“ tipica della città di Troia, di un nuovo rito funerario (tombe a incinerazione, con le ceneri deposte entro vasi o piccole cassette all’interno degli abitati), di un’insolita abbondanza d’armi tra gli oggetti di corredo, di un notevole addestramento della popolazione nei centri maggiori e di altri fattori minori. Poichè da questo momento in poi lo sviluppo civile della Grecia fiorì in maniera ininterrotta fino all’invasiuone dei Dori (circa 1000 a.C.), è probabile che nei portatori della civiltà dell’ Elladico medio, siano da riconoscere i progenitori degli Achei e delle altre stirpi elleniche.
ELLE
E’ figlia di Atamante re di Orcomeno (figlio di Eolo), e di Nefele (dèa del le nubi). Mentre con il fratello Frisso sfuggiva sul montone alato alla persecuzione della matrigna Ino, cadde sul mare, nello stretto che da lei prese il nome di Ellesponto.
(Vedi Frisso)
ELLENISMO
Designazione moderna dovuta a Johann Gustav Froyson, di quel periodo della civiltà greca che va dalla morte di Alessandro Ma gno (323 a.C.), alla battaglia di Azio (31 a.C.). Il termine, derivato dal verbo - ellenico - che significa parlare il greco o fare il greco, vuole sottolineare il carattere riflesso delle manifestazioni spirituali e artistiche dell’intero periodo, in confronto alla genuina forza espressiva della civiltà ”ellenica”. Preferibile all’Alessandrinismo, giacchè il nuovo atteggiarsi dello spirito greco non ha se de soltanto nella città di Alessandria d’Egitto, ma interessa la Siria dei Seleucidi, la Macedonia degli Antigonidi, Atene e le isole dell’Egeo, Pergamo, l’India e la Persia. Lo stesso concetto di ellenismo è astratto dal territorio geograficamente delimitato dalla Grecia, e comprensivo cioè, almeno in origine, delle sconfinate regioni dell’impero persiano, quello che, erede delle millenarie civiltà asiatiche del Medio Oriente, si era opposto come un’insormontabile barriera ad un’efficace penetrazione della cultura ellenica in Asia finchè l’azione decisiva di Alessandro Magno aveva definitivamente risolto a favore del primo, il secolare conflitto tra il mondo greco e l’orientale, senza che ciò significasse la distruzione dei valori della civiltà di quest’ultimo.
Cenni storici
La Grecia, tagliata fuori con la battaglia di Cheronea (338a.C.) dal gioco politico internazionale, divenne una semplice provincia dell’ impero macedone, anche quando, sotto i colpi della rivalità dei diadochi (successori), la compagine dell’impero macedone, si frantumò, per dar luogo ai diversi regni ellenistici; per la Grecia non vi fu modo di ritornare all’antico ordine politico. Alla morte di Alessandro infatti, Perdicca, aveva assunto le funzioni di reggente dell’impero, dividendo con gli altri generali il compito di governo. Cratero divenne il suo chiriarco cioè in sostanza il ministro generale del reggente e Lisimaco il governo della Tracia; Tolomeo il governo dell’Egitto; Antigono, la Grande Frigia, Leonaro la Frigia dell’Ellesponto, Laomedonte la Siria, Antipatro, che già Alessandro aveva lascito in Europa come reggente, tenne il governo della Macedonia e della Grecia. Ma la mancanza di un uomo forte, che tenesse a freno le gelosie, le ambizioni e le rivalità di questi uomini, come aveva già fatto Alessandro, non poteva non essere di grave pregiudizio all’unità del grande impero. Immediatamente cominciarono gli intrighi nell’ombre e i coflitti a viso aperto, e appena due anni dopo la morte di Alessandro, eliminati Cratero e Perdicca, si procedette ad una nuova spartizione, in base alla quale Antipatro divenne reggente, Antigono comandante generale dell’esercito con l’assistenza di Cassandro, figlio di Antipatro. Seleuco ebbe la Babilonia,e Tolomeo conservò l’Egitto. Due anni più tardi (319 a.C.), la morte di Antipatro riaccese la lotta, finchè Antigono, che teneva l’Asia Minore, la Grecia e la Siria, assunse nel 306 il titolo di re, imitato ben presto dagli altri diadochi . Ma questo non pose termine alle lotte, che nel 301 i diadochi coalizzati, riuscirono ad eliminare Antigono; sconfitto e ucciso nella battaglia di Ipso. Con la morte di Tolomeo I Sotere nel 283, di Lisimaco nel 281 e di Seleuco nel 280 a.C., scomparvero gli ultimi compagni di Alessandro Magno. Con loro, non vennero meno le lotte per la supremazia sulle sponde orientali del bacino del Mediterraneo, ma si erano costruiti quattro regni abbastanza solidi e duraturi: Macedonia, Siria, Egitto e Pergamo, che in sostanza ne tennero le sorti per diversi decenni, alcuni, per qualche secolo, finchè tutti entrarono a far parte dell’impero romano. Nel 168 a.C., dopo la battaglia di Pidna, la Macedonia nel 146, la Grecia nel 133, Pergamo. che il re Attalo III morendo senza figli, lasciò in eredità ai Romani, e nel 64 la Siria con ciò che restava del regno dei Seleucidi ridotto a provincia romana da Pompeo, e nel 31 dopo la battaglia di Azio, l’Egitto.
LA CIVILTA' ELLENISTICA
Le conquiste di Alessandro Magno ellenizzarono il mondo, chiamando tutti i popoli civili e barbari a partecipare d’un patriomonio spirituale immenso e facendo di questo, un possesso perenne dell’umanità. La nuova lingua comune la ”Koinè”, che superò le barriere linguistiche dei dialetti, consentì agli uomini più diversi e lontani, di intendersi. Così si spiega come per esempio, già nel terzo secolo avanti Cristo, il babilonese Berosso, l’egiziano Manetone, e il romano Fabio Pittore, scrivessero le loro opere in greco. Rapida conseguenza delle conquiste di Alessandro, e del formarsi dopo la sua morte dei regni, fu un imponente fenome no urbanistico, sensibile soprattutto ad Alessandria che, fondata nel 330 a.C., dopo un secolo contava circa 400.000 abitanti. Nella metropoli egiziana, resa splendida dai Lagidi, vissero al tempo di Tolomreo I°, poeti e filosofi famosi, come Filita di Cos, e Zenodoto di Efeso, scienziati come il matematico Euclide, il naturalista Strabone di Lampsaco, e il medico Eròfilo di Calcedone, uomini di Stato come Demetrio Falereo, probabile fondatore della Biblioteca del Museo, che al tempo di Tolomeo II°. contava già circa 500.000 volumi. Sotto Filadelfo, Alessandria ospitò i grandi poeti dell’età ellenistica: Teocrito, Callimaco. Rodio Apollonio. Rivali della città di Alessandria furono Pergamo, sede di una Biblioteca di circa 20.000 volumi e d’una scuola filologica di prim’ordine; Antiochia, dove vissero i poeti Arato di Soli ed Euforione di Calcide; Pella in Macedonia, fiorente soprattutto sotto il re stoico Antigono Gonata; e la stessa Atene, dove, tra il IV° ed il III° s.a.C., fondarono le loro grandi scuole, Epicuro e Zenone Non vanno pure dimenticati i grandi centri artistici di Cos, dove insegnò Filita; di Samo, dove, un gran fervore poetico si ebbe attorno ad Asclepiade; di Rodi, importante nel campo dell’eloquenza e in quello della scultura. La fioritura delle città coincide per altro con il crollo dell’antica città stato (polis), ancora viva negli ideali politici di Demostene e negli ideali filosofici di Platone ed Aristotele. Il particolarismo comunale trovò superamento nella creazione di grandi Stati territoriali monarchici e in una nuova coscienza cosmopolita. Interprete fedele di queste esigenze è la filosofia post-aristotelica che si propose essenzialmente di fornire ad ogni singolo uomo il rimedio ai suoi mali e ai suoi dolori, e di prepararlo alla saggezza, e alla felicità. Filosofia eminentemente etico-pratica quindi, e nella quale i grandi problemi metafisici e cosmologici, hanno rilievo solo in quanto possono servire a confermare e a giustificare la scelta di un ideale morale. In questo quadro si intende anche il profondo contrasto tra tendenze razionalistiche (si pensi anche ad Evemero), ed esigenze religiose (tendenza al monoteismo, preoccupazione per la vita oltremon dana, vitalità di riti misterici e orgiastici sia indigeni che orientali, culto della Tyche, la ”Sorte”, ecc.). Scetticismo, stoicismo ed epicureismo sono le nuove filosofie che pur nella divergenza dei ”fini" assegnati alla vita umana, concordano nell’idealizzare un individuo, affrancato dai bisogni, dalle passioni e da ogni possibile legame esterno, e perciò assolutamente libero nell’esercizio della sua saggezza e nel godimento della sua felicità. E intanto la scuola Cirenaica veniva progresvivamente eclissata da quella epicurea; la scuola cinica o era assorbita da quella stoica o rimaneva a rappresentare la soluzione più intransigente delle medesi me esigenze; la scuola platonica e quella aristotelica, o confluìvano nelle grandi sintesi del medio stoicismo (per esempio con Panezio e con Posinonio), o perdevano nel probabilismo scetticheggiante e nelle minute indagini scientifiche il grande impulso spe culativo dei loro fondatori. Nella poesia, l’indole dell’uomo ellenistico non manca di riflettersi in misura cospicua sulle scene de la commedia, già dal IV° s., si dibatte una piccola umanità borghese e antieroica, un campionario di tipi invischiati in complicati intrecci, ove non c’è posto per la satira personale e politica, né per le effusioni liriche (Menandro); nelle biblioteche e nei cenacoli colturali, i poeti, scevri da preoccupazioni pedagogiche, incuranti d’essere interpreti o maestri dei cittadini, si dedicano sia alla formazione di una dottrina vasta, minuta, preziosa, sia alla sperimentazione di forme espressive estremamente raffinate e limate. I grandi poeti del passato sono classificati e sottoposti ad una formidabile revisione critica, attraverso l’analisi filologica; nei poeti nuovi, che ambiscono a essere “poetae docti”, si raffina il gusto per i miti insoluti, per le parole rare, per le immagini strane. Spento ogni spirito eroico, decadono i grandi generi della tragedia e dell’epopea considerati inimitabili, si cerca la brevità intensa e filtrata dell’elegia e dell’epigramma, secondo la grande lezione estetica di Callimaco, di cui è anche da ricordare l’aspra polemica con Apollonio Rodio, circa il poema epico. I tentativi drammatici dei poeti della Pleiade, da Filico ad Alessandro Etolo a Li còfrone, non sono che esperimenti libreschi. Prevale il gusto dei poemetti (epilli) di carattere eziologico, inperniati su di una psi cologia borghese, aperti a quadretti bucolici, o di vita quotidiana, e condotti con una tecnica narrativa nuova che, carica di allusioni difficili, procede per rapidi accenni. Generi quali l’idillio (da Teocrito a Mosco a Bione), e il mimo (Eroda), appaiono come fortunate novità, e sono coltivate con nuovo fervore. La stessa elegia, da un lato assume (con Filita, Fanocle, Ermesianatte) caratteri narrativi ed eziologici ignoti all’elegia arcaica, dall’altro si contrae nell’epigramma, che, da Anite, e Nosside ad Asclepiade, da Posidippo a Leonida a Meleagro e a mille altri poeti, si afferma come la più congeniale forma poetica dell’intero periodo. Non più d’un cenno, meritano, sul piano estetico, le ricerche formali e metriche strane (basta pensare ai carmi figurati), purtutta via tipiche dell’età. Nel dominio della prosa, oltre agli scritti dei filosofi, è da ricordare una copiosa produzione scientifica che investe i campi più diversi; dalla biologia vegetale e animale, alla medicina, dalla matematica alla meccanica (da Euclide ad Archi mede), dalla geografia fisico-matematica, a quella storico-archeologica e descrittiva e soprattutto all’astronomia, in cui Aristarco di Samo, Apollonio di Perge, e Ippolito di Nicea, lasciano impressionanti tracce del loro genio. Non mancano scienziati enciclopedici (come Eratostene) e neppure storici della scienza. Assai coltivata la storiografia per quanto caratterizzata da una curiosità per l’aneddoto e il romanzesco (Duride, Filarco, e in genere gli storici di Alessandro e dei diadochi), mentre l’erudizione curiosa si unisce alla ricostruzione pettegola nelle biografie, e, accanto alla narrativa, favolistica o meravigliosa nasce il romanzo (Romanzo di Nino). Supera gli altri storici per ampiezza d’orizzonti e d’interessi, Timeo di Tauromenio, nonostante le critiche a cui lo sottopose Polibio, che non è solo il più grande storico dell’intera età, ma uno dei più grandi della storiografia universale. Alla filo logia s’è accennato; è anch’essa una gloria del periodo ellenistico, e i nomi di Zenodoto, Aristofane di Bisanzio, Aristarco di Sa motracia, Cratere di Mallo, nonostante gli inevitabili limiti, restano nei secoli come esemplari dell’impegno grammaticale e critico di eccezionale portata. Per quanto riguarda l’oratoria, si profila l’antitesi ricca di avvenire a Roma (Cicerone) fra l’ampollosa, af frettata, contorta eloquenza asiatica (Egesia di Magnesia), le propaggini dell’atticismo, e i temperamenti del genere ”medio” nel corso di 250 anni, dà diverse scuole e figure.(Demetrio Falereo, scuola di Pergamo, scuola di Rodi, Molone ecc.). Nel campo delle arti figurative, i termini ”secolarizzazione” e “laicizzazione dell’arte usati a proposito del periodo in esame da alcuni critici moderni, che questa è al servizio del monarca o del privato, del quale deve celebrare le imprese militari e politiche o testimoniare la dovizia di mezzi, e non dipende più dall’organismo statale di una polis che proclama attraverso il monumento o l’oggetto artis tico il proprio sentimento religioso. Data la pluralità dei centri, la maggior estensione dell’area commerciale, le molte richieste di oggetti d’arte da parte di stati o di privati inizia inoltre in questi secoli l’industrializzazione, fenomeno che investe particolarmen te la scultura e le cosiddette arti minori. I centri dell’ellenismo mostrano una certa omogeneità per quanto riguarda l’urbanistica e l’architettura. Le scuole di scultura invece, si differiscono nella scelta dei temi iconografici e nello stile. Carattere comune a tutte le città sorte o sviluppatesi in questo periodo, è una tendenza ad un’organizzazione regolare e funzionale degli edifici nel piano della pianta del centro urbano. Tali edifici mostrano netta predilezione per le forme eleganti ed elaborate, per l’impiego degli or dini ionico e corinzio; inoltre una parte di quegli elementi architettonici che in età classica erano considerati esclusivamente con funzione portante, tendono ora ad assumere carattere solo decorativo. Gli scavi condotti a Pergamo, Priene, Mileto e in altri nu merosi centri fioriti in questi secoli, mostrano i resti e le piante di molti edifici, per avere un’idea dei quali, nel l’elaborata sovrapposizione di piani e dovizia di ornamenti, si pensi alle pitture parietali di Pompei (di II e IV stile) che derivano, senza dubbio da prototipi ellenistici. Quanto alla scultura, i centri artistici dell’ellenismo mantengono viva, almeno in un primo tempo, la tradizione delle grandi scuole del IV secolo. Poi, ciascuna prosegue ed elabora elementi particolarmente congeniali alle necessità e alle fun zioni che si richiedono all’opera d’arte, unendo motivi greci con temi iconografici e stilistici del l’Oriente, sviluppando in modo specifico quelle forme che contemporaneamente erano trattate in poesia, e ponendo a frutto studi scientifici filosofici per raggiungere nuovi risultati in campo artistico. Sulla scia di Prassitele, Scopa e Lisippo, si individuano (nel primo periodo dell’ellenismo) opere come la “Nike di Samotracia” e la “Fanciulla d’Anzio”. Di vere e proprie “scuole ” localizzate in particolari città, si può parlare agli inzi del III s. a.C., e fissare a Pergamo, Alessandria e Rodi, le più significative. Un certo successo ebbe inoltre nel II secolo la scuola neoattica in Atene. La scultura pergamenea fiorisce specialmente fra la metà del III e la metà del II s.a.C., a ser vizio della corte degli Attalidi. Il grande altare e i ”donari” offerti alle divinità per celebrare le vittorie di Attalo I e di Eumene II, presentano i caratteri tipici della scuola; drammaticità, dinamismo, chiaroscuro, gusto per rappresentazioni elaborate e complesse. Alla scuola di Rodi contemporanea all’incirca di quella di Pergamo e assai attiva e famosa in tutta l’antichità, sembra si possa attribuire il gruppo scultoreo di Laocoonte, che compendia in sé gli elementi patetici e virtuosistici che gli artisti roditi volevano rappresentare. Le manifestazioni artistiche di Alessandria, trovano preciso e puntuale riscontro negli studi scientifici e letterari di cui la città Egizia era centro il paesaggio, il gusto per la rappresentazione caricaturale o di genere, l’idillio, il realismo nel rendere i caratteri tipici di un volto o di una situazione. Particolare importanza, a quanto testimoniano gli autori antichi, deve aver avuto an che la scuola pittorica, che, insieme a quelle di glittica, e di oreficeria, ebbe poi successo e seguito sul suolo romano.Dal tipo di ritratto di Alessandro, creato da Lisippo, derivano, in tutti i centri dell’ellenismo, i ritratti fisionomici e realistici dei grandi del passato. Le fonti antiche letterarie ed epigrafiche, tramandano molti nomi di artisti del periodo, fra i quali notevoli sono gli architetti, Sostrato di Cnido, Ermogene di Alabarda; gli scultori, Boeto, Doldalsa, Agesdandro, Polidoro, Atenodoro ed il neoattico Archelao di Piene; il pittore Apaturi di Alabanda. Altri scavi, piuttosto recenti, hanno messo in luce nelle regioni orientali, documenti in teressanti specie nel campo della pittura; si pensi alle scoperte in Tracia e in Paria.
ELSA
Ipugnatura della spada.
EMONIO
Secondo un mito, re di Tessaglia, padre della ninfa Amaltea, nutrice di Zeus.
(vedi AMALTEA)
EMOLO
Re di Libia
(vedi ERCOLE in altre gesta)
EMPEDOCLE
Filosofo greco (Agrigento n. 492 c/ca – m. 432 c/ca a.C.). Fu uno dei maggiori rappresentanti del cosiddetto pluralismo pre-socratico. Con questo nome viene indicato quel vasto e assai vario movimento di pensiero che cerca di conciliare le opposte prospettive dell’eleatismo e dell’eraclitismo nel tentativo di salvare la realtà di quel mondo fenomenico ridotto da Parmenide a mera apparenza, senza tuttavia rinnegare le profonde esigenze metafisiche fatte valere in modo netto e vigoroso dall’eleatismo. Nato in Sicilia, assistette ai grandi avvenimenti di quell’età, accogliendone gli influssi e gli insegnamenti. La splendida vittoria che i Greci di Sicilia conseguirono contro i Cartaginesi ad Imera nel 480 a.C, (l’anno della vittoria di Salamina), apportò un periodo di somma prosperità e benessere, la cui eco si trova nelle poesie di Simonide, di Bacchilide, e di Pindaro. Arti, cultura e scienze, ebbero uno sviluppo impetuoso, e la stessa vita politica ne fù radicalmente cambiata per il generale decadere delle tirannidi e il sorgere di governi democratici. Alla caduta della tirannide di Trasideo in Agrigento, sembra che contribuisse anche Metone, padre di Empedocle, e non meraviglierà quindi trovare nel filosofo, radicali sentienti democratici. Si narra che rifiutasse il potere assoluto offertogli dal popolo, e che per il bene pubblico sacrificasse tutte le sue ricchezze. Nell’ultimo periodo della sua vita viaggiò a lungo in Sicilia, nella Magna Grecia e nel Peloponneso, arrivando forse, fino ad Atene, favorito dall’entusiasmo che suscitava la sua oratoria. Le circostanze della sua morte, furono ben presto circonfuse di leggenda; una morte dopo un banchetto. Mentre tutti dormivano fu chiamato da una voce misteriosa, mentre una luce si accendeva nel cielo, né alcuno lo vide più, ma l’Etna, che aveva ricevuto il suo corpo, né restituì i calzari di bronzo, rendendo così manifesto ch’egli era divenuto una deità cui andavano resi i sacrifici. Questa trasfigurazione religiosa, concorse a fare di lui, così come già con Pitagora, una figura eccezionale agli occhi dei contemporanei; mago e scienziato, oratore e filosofo, incantatore e politico, taumaturgo e medico, uomo e dio, egli non è estraneo a nessuna delle esperienze culturali della sua epoca. Fu autore di due poemi in esametri, ”Sulla Natura” e ”Purificazion"i nel secondo dei quali, erano espresse idee strettamente affini al Pitagorismo e all’Orfismo, in merito al destino immortale dell’anima una sua colpa originaria, e a una sua purificazione attuatesi attraverso una serie di migrazioni. *(metempsicosi ). Si è voluto perciò vedere un’inconciliabilità tra queste idee e quelle più propriamente scientifico - filosofiche, espresse nel primo poema, e si è parlato di una conversione di Empedocle dalla filosofia alla religione o viceversa; ipotesi, destinata a restare tale, in mancanza di sicuri dati esterni. Nè d’altra parte mancano numerosi punti di contatto e affinità tra i due poemi. Dai più di cento frammenti del poema ”Sulla Natura”, si possono ricostruire le grandi linee del pensiero filosofico e scientifico di Empedocle. Come già per Parmenide e i suoi scolari, anche per l’agrigentino non esiste in realtà nascita o morte (perché ciò significherebbe passaggio dal non essere all’essere e viceversa); le cose particolari che noi vediamo nascere e morire non sono altro che il prodotto di un’ incessante mescolarsi e separarsi di quattro principi (radici o elementi), che non nascono e non muoiono, ma permangono eternamente identici a se stessi, dal momento che ogni loro variazione, come aveva insegnato Melisso, sarebbe ancora una volta un passaggio dal non essere all’essere. Questi quattro principi sono: l’aria, l’acqua, la terra e il fuoco, ch’egli chiama ancora con i nomi delle divinità: Edoneo, Nesti, Era e Zeus, che avranno importanza decisiva in tutta la fisica posteriore, e la loro mescolanza e la separazione è resa possibile dalla presenza di due forme opposte; l’Amicizia e la Contesa, il cui alterno prevalere scandisce così l’eterna vicenda cosmica. Per opera della Contesa, si formano tutte le cose particolari, perché essa tende a scindere l’unità originaria degli elementi, mentre l’Amicizia tende a ricomporre questa unità e a condurre la realtà alla divina e immobile perfezione. Per opera di queste forze inoltre, quella reciproca attrazione dei simili con cui egli spiega la conoscenza che l’uomo ha della realtà. Nella descrizione dell’opera dell’Amicizia e della Contesa infine, Empedocle ha modo di mettere a frutto le sue conoscenze di astronomia, di metereologia, di fisica, di biologia, di fisiologia (gli antichi gli attribuivano la fondazione della scuola medica Siciliana), di botanica, ecc., componendole in una visione non solo scientifica, ma anche altamente poetica.
- Note - * Metempsicosi:
- dottrina filosofica secondo la quale l’anima dopo la morte, trasmigra in un’altro corpo di uomo, di animale o di pianta; è dottrina filosofica comune alle antiche religioni indiane; al buddismo, ai misteri orfici, e ad alcune sette teosofiche moderne.
ENCAUSTO
Tecnica pittorica in uso nell’antichità, consistente nell’uso di colori mescolati a cera e liquefatti dal calore. Plinio, nella sua “Naturalis historia”, descrive i procedimenti di tale sistema di pittura e, sulla base di queste notizie, gli studiosi moderni si sono sforzati di definire i caratteri e di riconoscere pitture ad encàusto in alcune di quelle ancora conservate. Secondo le fonti letterarie, già nel V° s.a.C., Polignoto ed altri artisti, dipinsero ad encàusto. L’artista che più e meglio adottò tale sistema di pittura fu, sembra, Pausias nel IV° s. a.C. Encàusti veri e propri sono alcuni dei ritratti funerari del Faiyum, eseguiti fra il IV° e il I° s.a.C. Si è supposto che alcune delle pittura di Ercolano e di Pompei, fossero dipinte a encàusto, ma la maggior parte degli studiosi, le ritiene eseguite a fresco o a tempera.
ENDIMIO
o ENDIMIONE
Giovanetto amato da Diana ed immerso in un perpetuo sonno. Mitico pastore greco di rara bellezza, amato anche da Selene. In Caria era onorato in una grotta del monte Latmo, dove, mentre dormiva un sonno eterno, ogni notte Selene scendeva a baciarlo. In Elide era ricordato come un antico re della regione, fondatore dei giochi olimpici,e padre di cinquanta figlie, che aveva avute da Selene (con chiara allusione alle cinquanta lunazioni o mesi che passavano da un’olimpiade all’altra). Intorno a lui si intrecciarono parecchie altre leggende, e gli antichi regionalisti ne dedussero ch’egli sia stato il primo studioso delle fasi lunari.
ENEA
Figlio di Anchise e di Venere (Afrodite), è il maggior eroe troiano dopo Ettore. Abbandona Troia alla distruzione della città por tando con sé la moglie Crèusa, il padre Anchise, il figlioletto Ascanio (Iulo) e le statue dei penati. Una delle sue caratteristiche principali era la pietà, per cui era molto caro agli dèi e gli valse l’appellativo di pio Enea. Dopo varie peripezie approdò sulla costa africana, dove amò Didone (Elissa). Partito da lì per volere degli dèi, giunse infine, dopo altre vicissitudini, sulle rive del Tevere dove, vinto Turno re dei Rutili, fondò un regno, sposò Lavinia, figlia del re Latino, dando inizio alla progenie dei Romani dai quali venne adorato sotto il nome di Giove Indigete. Cantato da Virgilio nell’Eneide dove considera i suoi discendenti progenie della gloriosa razza latina ed albana; dal figlio Ascanio, derivarono i re di Albalonga. Tale mito fu usato da Vigilio per attribuire all’imperatore Augusto, suo protettore, una discendenza divina.
(Vedi Virgilio)
Così in Vigilio -Aeneide IV 234 Giove manda Mercurio ad Enea, perchè lo rimproveri di togliere ad Ascanio la gloria di dar origine all'alta Roma:
..."Ascanione pater Romanas invidet arces?"
Libro primo:
Canto le armi,
canto l’uomo che primo da Troia
venne in Italia, profugo per volere del Fato
sui lidi di Lavinio. A lungo travagliato
e per terra e per mare dalla potenza divina
a causa dell’ira tenace della crudele Giunone
,
molto soffrì anche in guerra; finchè fondò una città
e stabilì nel Lazio i Penati di Troia,
origine gloriosa della razza latina
e albana e delle mura superbe di Roma.
La prima parola dell' "Eneide" è armi, cioè guerre, la seconda è uomo. Virgilio canta il dramma dell'uomo travolto nella guerra. Enea è immaginato come il leggendario capostipite di un nuovo popolo, il primo glorioso e doloroso antenato dei romani. Troia è la patria scomparsa; l'Italia, la patria nuova. Le peregrinazioni di Enea oscillano tra questi due limiti; dall'accorato rimpian to per la patria perduta, al fiducioso anelito verso una patria promessa. Da Troia a Roma. Enea non vedrà più la prima, non vedrà mai la seconda. Egli resta pensoso dell'una e dell'altra, ma il suo cuore non è colmato da nessuna. Fuggiasco, errabondo, esule, Enea appare sempre come un eroe senza patria.
ENEADE
Discendente di Enea.
ENEIDE
- Eneide XI° 454
-
...fremendo chiedono armi
i giovani, ma i vecchi piangono mormorando.
(Vedi Virgilio)
ENEO
Re degli Etoli in Messenia
(vedi ENEO in ERCOLE altre gesta)
ENOSIDEMO
Filosofo greco originario di Creta, vissuto probabilmente nella seconda metà del I s.a.C. A Elio Tubero sembra dedicata la sua opera principale (otto libri dei “Discorsi pirroniani”), da identificarsi l’amico di gioventù di Cicerone. Insegnò ad Alessandria e si propose lo scopo di riportare lo scetticismo accademico, già trasformato in eccletismo da Filone di Larissa e da Antioco da Ascalona al più puro insegnamento di Pirrone. Nella storia dello scetticismo antico Enosidemo ha un posto di rilievo, per l’accu rata e minuta classificazione in dieci “Tropi” (o “modi”, ridotti a cinque dal suo scolaro Agrippa, nella seconda metà del I s.d. C di tutti gli argomenti dello scetticismo, per sostenere la necessità di sospendere l’assenso. La sua critica si appunta egualmente contro la certezza sensibile e contro la ragione; nega la possibilità di formulare dimostrazioni scientifiche, di conoscere le cause direttamente, e di risalire ad esse dagli effetti (o “segni”). L’interpretazione corrente a quell’epoca, della filosofia eraclitea come scettica, spiega perché egli potesse sostenere che lo scetticismo era una premessa e un’introduzione all’eraclitismo
ENIGMA
Breve componimento in versi o in prosa che, sotto il velame di termini volutamente oscuri, propone una parola o un concetto da indovinare. L’enigma ha appassionato il genere umano sin dai tempi più remoti. Dalla Bibbia si apprende che Sansone propose enigmi ai Filistei e la regina di Saba volle provare l’intelligenza di Salomone ponendogli quelle ingegnose questioni alle quali egli diede pronta e sicura risposta. I Greci identificarono l’enigma con il responso degli oracoli e fiorirono di enigmi le loro leggende, come quella di Edipo che riuscì a sconfiggere la terribile Sfinge di Tebe, risolvendo tutti gli indovinelli propostigli. Mentre nei paesi orientali l’enigma appare più vicino alla parabola, nella Roma antica si predilessero gli indovinelli intessuti sul gioco di parole o di frasi. Nel Medio Evo, l’enigma ebbe molta fortuna e trovò applicazione fra l’altro in alcuni stemmi, il cui motto aveva carattere di sciarada. Richiedendo una certa acutezza e preparazione, l’enigma incontrò il favore delle classi più colte ed eminenti personalità quali Leonardo da Vinci, Galilei, Voltaire, non disdegnarono di scriverne. Solo all’inizio del‘800, incominciò ad interessare il più vasto pubblico e attraverso pubblicazioni specifiche; prima sotto forma di almanacchi annuali e poi sotto forma di periodici mensili. Dall’enigma, la cui forma più semplice è l’indovinello, sono derivate e si sono moltiplicate numerosissime varietà di giochi geometrici quali la sciarada, l’incastro, l’anagramma, il cruciverba,ecc.
ENNIO
QUINTO
Primo grande poeta della letteratura latina, padre dell’epica romana in esametri (n. Rudine Lecce 239 – m. Roma 169 a.C. ). Abbandonato il suo paese d’origine, militò in Sardegna sotto Catone, che lo condusse a Roma. Cittadino romano nel 184 ebbe dimestichezza coi più cospicui uomini politici del tempo e fu onorato per il prestigio dalla sua sapienza e della sua poesia. Si van tò di avere tre cuori, perchè possedeva tre lingue; l’osco, il greco e il latino. Tragediografo. imitò soprattutto Euripide, assimilandone il razionalismo e il pathos. Cicerone, nella polemica contro i “poeti nuovi”, fece di Ennio una bandiera della poesia arcaica e citò, salvandoli dall’obblio, alcuni tratti dei suoi lavori; lodò con commosso entusiasmo il lamento della protagonista "nell’Andromaca prigioniera" (Andromacha aechmalotis), e quello del protagonista “Telamone” (Telamo), e inoltre l’angoscia di “Alcmeone” perseguitato dalle Furie; "Il delitto di Cassandra", ”Le maledizioni di Tieste”, oltre alle tragedie di argomento greco, fra le quali famosa è “La Medea”. Scrisse due “Praetextae”, di soggetto nazionale, “Sabinae” e “Ambracia”. Ma il suo nome è legato principalmente agli “Annali”(Annales), poema epico in diciotto libri, probabilmente suddivisi in triadi, cui restano frammenti di circa 600 versi, ivi impiegando per la prima volta in Roma l’esametro, egli cantò l’intera storia romana dalle origini troiane ai suoi tempi. Tenne conto dell’esperienza di Nevio, ma sentì soprattutto la suggestione di Omero; anzi, secondo la dottrina pitagorica della metempsicosi, immaginò d’essere un Omero redivivo, incorrendo le ironie dei posteri (Orazio), ma dimostrando una fiera autocoscienza di vate. Le parti migliori degli “Annali” sono le prime, dove la materia leggendaria, meglio si presta alla trasfigura zione, laddove un’andatura prosastica di storia versificata si avverte nella rievocazione degli eventi contemporanei. Sul piano tecnico, l’esametro enniano, che ha un’inconfondibile patina di gravità, rivela impacci e goffaggini, ma gli effetti fonici e ritmici, sono cercati e talora raggiunti felicemente, e impressionante è la creatività linguistica. Ovunque si avvertono i precorrimenti dell’epoca di Virgilio. Scrisse inoltre “Le Satire” (Saturae) di carattere didattico, e alcune operette minori. Più importanti sul piano filosofico ”l’Epicharus”, una sorta di teoria cosmologica intitolata al poeta comico Epicarpo, ritenuto un filosofo pitagorico; “l’Evèmero” (Eubemerus), ispirato alla famosa dottrina per cui gli dèi non sarebbero che uomini potenti, fatti oggetto di un culto postumo. Venerato ”come i boschi sacri nell’antichità (Quintiliano), non senza riserve sprezzanti (Orazio, Ovidio), per la mancanza di ars fu accusato in tempi recenti di aver ellenizzato la letteratura romana; sarebbe meglio dargli lode d’aver affrettato un’ineludibile processo storico, rielaborando, una cultura greca antica e recente con animo e originalità d’artista.
ENOMAO
Padre di Ippodamia, è re dell’ Elide.
ENOSIGEO
(gr.Scuotitore della terra).
Epiteto di Nettuno, in quanto produceva il fenomeno dei terremoti che gli antichi ascrivevano all'azione del mare, battendo la terra col tridente, a lui attribuito.
- Monti:
- "Prometeo"
...Col gran tridente, onde i tremoti han vita,
Nettuno ti colga… - Foscolo: da "Le Grazie"
- Inno prino; vv. 28/30
- ...Eran l'Olimpo, il Fulminante e il Fato,
e del tridente enosigeo tremava la genitrice Terra…
EO-ER
EOLI
Una delle tre stirpi in cui si divideva tradizionalmente la popolazione della Grecia antica.(vedi DORI)
EOLO
Figlio di Giove, signore dei vènti, padre di Alcione, con sede nel le isole Eolie (Lipari); mitico capostipite degli Eoli. Essere semi divino, ricordato nell’Odissea per aver ospitato Ulisse nella sua reggia situata in una delle isole Lipari. In quell’occasione diede in dono all’eroe greco un otre contenente tutti i venti, proibendo gli di aprirlo, che così facendo non avrebbe raggiunto la patria. I compagni di Ulisse lo aprirono mentre dormiva e furono risospinti nella tempesta provocata dai venti contenuti nell’otre all’iso la di Eolo.
EOS
Eos è una figura della mitologia greca, dea dell'aurora. Esiodo la indica come figlia di due titani: Iperione e Teia. Era sorella di Helios (il Sole) e di Selene (la Luna). È moglie di Astreo, col quale ha generato i venti Zefiro, Borea, Noto ed Apeliote. In seguito generò anche Phosphoros. Tra i primi amanti di Eos si nomina lo stesso Zeus, da cui ebbe una figlia di nome Ersa (o Erse), dea della rugiada, altrove ritenuta figlia del padre degli dei e di Selene, sorella di Eos. Più tardi fu amata da Ares, il dio della guerra, con cui condivise più volte il suo talamo (termine utilizzato in epoca arcaica per designare vari ambienti della casa, che andò ad indicare più comunemente la camera da letto, e quindi lo stesso letto nuziale); sdegnata per il tradimento del suo amante, Afrodite punì la dea sua rivale, condannandola ad innamorarsi di continuo di comuni mortali. La maledizione di Afrodite ebbe il suo effetto, quando Eos intravide, durante una sua passeggiata presso la città di Troia, un fanciullo di straordinaria bellezza e di sangue reale, di nome Titone, figlio del re Laomedonte. Così, un giorno, la dea lo rapì e lo condusse con sé, rivolgendosi poi a Zeus affinché gli concedesse l'immortalità. Dalla loro unione nacquero due figli, Emazione e Memnone, ucciso da Achille durante l'assedio di Troia. Da quel giorno la dea dell'aurora piange inconsolabilmente il proprio figlio ogni mattina, e le sue lacrime formano la rugiada. Un altro suo amante mortale fu Cefalo, marito di Procri. Secondo Esiodo i due avrebbero generato Fetonte, altrove ritenuto figlio di Helios e Climene. Omero la chiama "la dea dalle rosee dita" per l'effetto che si vede nel cielo all'alba e la ricorda come rapitrice di Titone, ed era raffigurata con cavalli alati mentre precedeva il carro del Sole nell’atto di spargere rugiada sulla Terra, o di rapire amanti. Madre di Emazione e di Memnone
- dall’Odissea di Omero:
- « Protasi Anche questo poema inizia con una religiosa invocazione. Anche qui il poeta chiede alla dèa della Poesia che essa stessa gli suggerisca il racconto delle dolorose vicende di Ulisse.»
"Musa, quell’uom di multiforme ingegno
dimmi, che molto errò poi ch’ebbe a terra
gittate d’Iliòn le sacre torri;
che città vide molte e delle genti
l’indol conobbe; che sovr’esso il mare
molti dentro del cor sofferse affanni,
mentre a guardar la cara vita intende,
e i suoi compagni a ricondur; ma indarno
ricondur desiava i suoi compagni,
chè delle colpe lor tutti periro.
Stolti che osàro violare i sacri
al Sole Iperiòn candidi buoi
con empio dente, ed irritàro il nume,
che il ritorno del dì lor non addusse.
In questi versi è condensato e riassunto tutto il Poema. Essi ci dicono che leggeremo la storia di un uomo saggio, intelligente, che nel suo doloroso peregrinare imparò molte cose, che fu perseguitato dalla sventura, ma sempre seppe resistervi, che cercò di salvare anche i suoi compagni, che sempre ebbe nel cuore il desiderio struggente della casa lontana.
Subito risalta il grande protagonista, subito sono messe in luce le più alte qualità dell’uomo.
Ogni parola quindi dev’essereattentamente meditata.
EPAFO
Figlio di Zeus e Io.
Épafo si sposò con Menfi, una figlia del dio Nilo. In suo onore fondò la città di Menfi che divenne con il tempo la nuova capitale del regno.
Con Menfi ebbe una figlia chiamata Lisianasa e, con la stessa o con Cassiopea, fu padre di Libia. Da tali unioni discesero i libici, gli etiopi e i pigmei, avendo così questi popoli un'origine comune argivo. Secondo Eschilo nel suo Prometeo incatenato, fu uno di questi discendenti (precisamente il tredicesimo) quello che liberò il titano dalle catene.
Épafo era grande amico di Faetón, al quale somigliava molto. Gli scherzi che gli faceva il suo amico, o meglio le offese di Épafo durante una disputa, incitarono Faetón a chiedere a suo padre che gli facesse condurre per un giorno il carro del sole, con le conseguenze disastrose che ciò ebbe e che intristirono profondamente Épafo.
Dopo un regno glorioso, Épafo ebbe una morte orribile. Vedere il figlio bastardo di suo marito convertito in re di un luogo così bello accese ancora di più la sete di vendetta di Era, che decise che Épafo doveva morire mentre cacciava, e convinse i titani a ribellarsi contro suo marito. Sebbene questa ribellione risultò infruttuosa, i titani divorarono Épafo prima che Zeus e gli altri olimpi li gettassero nel Tartaro.
In consonanza con la deificazione della madre, che acquisì gli attributi della dea egizia Iside, Épafo fu identificato con Apis, e come tale gli si attribuirono le leggende e gli attributi di questo dio.
(Vedi IO)
EPAMINONDA
Generale e uomo politico tebano (n. in Beozia fra il 420 e il 415; m. a Mantinea 382 a.C.). Figlio di Polimnide, fu l’artefice con Pelopida dell’ascesa e della supremazia tebana sulla Grecia nella prima metà del IV s.a.C. Di estrazione liberale fu discepolo del filosofo pitagorico Liside. Si impose per la prima volta all’attenzione del mondo greco, alla conferenza generale per la pace tenu ta a Sparta nel 371, poiché non fu riconosciuta a Tebe la supremazia su tutta la Beozia, rifiutò di sottoscrivere il trattato; ne conseguì l’intervento armato del re di Sparta Cleombroto che invase la Beozia al fine di liberare le città dal predominio tebano. La gravissima crisi non lo trovò impreparato, anzi, con la battaglia di Leuttra (agosto del 371), applicando una tattica nuova e rivoluzionaria del cosiddetto “ordine obliquo”, sconfisse l’esercito spartano nettamente superiore per numero di combattenti e ritenuto sino a quel momento invincibile. La vittoria segnò l’inizio della supremazia tebana in Grecia. Nell’autunno dell’anno seguente e poi negli anni successivi; 370 - 369 - 367, invase più volte il Peloponneso, occupando la Messenia, isolando Sparta e attirando nella sua orbita tebana l’Acaia. Dopo una breve parentesi (coincidente con la prevalenza a Tebe del partito della pace, che tentò di abbattere la posizione preminente di Epaminonda, questi, prese le redini della politica tebana, e, stretta un’alleanza con il re di Persia, che riconobbe la posizione egemonica dei Tebani sulla Grecia centrale, tentò di far costruire nel 364 una flotta da guerra di 100 triremi, con la quale abbattere o quanto meno ostacolare il dominio incontrastato di Atene sul mare. Senonchè nel 362 in vaso per la quarta volta il Peloponneso, in una grande battaglia combattuta presso Mantinea, sconfisse ancora una volta l’esercito spartano, sostenuto anche da contingenti ateniesi, e fu esso stesso mortalmente ferito, ciò che trasformò in un disastro la vittoria tebana. Pochi anni dopo infatti, la gloria di Tebe, privata di una solida guida politica e militare, volse al tramonto.
EPEO
Costruttore del cavallo di Troia, ma l’idea di questo stratagemma era stata di Ulisse. Nato sul Parnaso ai confini della Focide, Epeo fondò in Italia Metaponto e Pisa.
EPICA
Genere letterario, il cui nome deriva dall’espressione greca “epos” con la quale i Greci indicavano ogni componimento, di qual siasi contenuto o lunghezza, in esametri dattilici. Nell’uso posteriore, e attualmente comune, per “epico” s’intende un componimento poetico narrativo di una certa estensione, il quale prenda ad argomento imprese straordinarie compiute da persone sopra naturali o da eroi, in uno stile che, conformandosi al contenuto, risulta in genere alto, spesso giovandosi di una vigoria popola resca, anche perché frequentemente, l’epico. esprime, oppure elabora, letteralmente tradizioni popolari. Nella cultura occidentale i poemi greci Iliade e Odissea, attribuiti a Omero, forse derivati da precedenti canti epicolirici, fornirono un modello alla gran parte della posteriore epopea greca e latina, nonché a quella di altri Paesi occidentali. In Grecia ebbero contenuto epico, almeno episodicamente alcune opere di Esiodo, alla fine del secolo V° a.C.; Antimaco di Colofonie, riprese la tra dizione del lungo poema con la ”Tebaide”, seguito da Apollonio Rodio con le “Argonautiche”. A lui si oppose l’alessandrino Callimaco, che propose invece poemetti brevi e raffinati (epilli). L’immensa congerie di leggende greche porge materia di quarantotto libri del poema di Nonno di Panopoli, nel V° s.d.C. Un’altra sottospecie dell’epica, può essere considerato il poema mitologico. L’esempio greco dà senz’altro forma in complesso, all’epica dei Latini, che ebbero forse originariamente una loro autonoma serie di leggende “carmi conviviali”, documentati in modo incerto. La poesia epica latina ebbe tuttavia sin dall’inizio carattere di epica storica, parallela in certo modo alla storiografia, con un doppio contenuto favoloso, per quanto riguarda la prima parte delle origini della città, e storico per la parte seguente, che ha l’intento di glorificare i personaggi della storia romana; schema originale nella sua sostanza, che si ripete da Nevio a Ennio, e risorge, per quel che riguarda la storicità dell’argomento, nel ”Bellum Civile o Pharsalia”, di Lucano Virigilio accetta lo schema e insieme lo modifica con un forte apporto mitologico derivato dal gusto ellenistico (imitato da Silio Italico, Stazzio e Valerio Flacco) mentre l’epica mitologica latina ha la sua massima opera nella “Metamorfosi” di Ovidio. Quella greco - romana non è tuttavia la sola e antica studiata dalla scienza letteraria moderna, che rivolge la sua attenzione specie dall’età romantica, anche all’epica orientale, rappresentata dagli enormi e fantasiosi poemi indiani, così come elementi epici sono presenti pure nella Bibbia. Ricca è la poesia epica germanica del Medio Evo, che trasse spunto da fatti avvenuti all’epoca delle trasmigrazioni dei popoli Goti, Burgundi, Unni, Anglosassoni, Scandinavi, dalla Germania alle regioni romane, e canta le lotte fra grandi personaggi desiderosi di gloria, di vendetta, di amore. Nei paesi romanzi, l’epica si sviluppa soprattutto in Francia, mentre in Spagna, nell’ambiente feudale castigliano si canta la lotta per la liberazione della patria dai Mori, che è anche lotta per la cristia nità, con realismo particolarmente vivo. L’Italia riprende l’epopea carolingia in componimenti di scarso valore, mischiandone le storie alle altre dei cicli bretone e classico. e creando presto nuove forme che furono chiamate piuttosto cavalleresche che epiche con il Pulci, il Boiardo e l’Ariosto. Propriamente epici erano già stati nei secoli XII e XIII alcuni poemi in lingua latina, che versificavano fatti di cronaca storica e assumevano per lo stile. il modello virgiliano; il più importante di queste opere è il “Liber maiolichinus”, attribuito a Enrico Pisano. Il trecento ci offre due autorevoli tentativi con ”L’Africa”, petrarchesca in latino (modelli Virgilio e Livio), e la ”Teseida” boccacesca, in lingua volgare, e nel nuovo metro della ottava, il gusto umanistico fece prevalere nel quattrocento l’epica latina, con argomenti spesso tratti dalla storia contemporanea; "Sforziate" di Francesco Fidelfo), o dai testi religiosi “Departu Virginia” del Sannazaro, pur non mancando nello stesso secolo mediocri poemi cronachistici in volga re. Nel Cinquecento si tentò con maggior decisione di costruire il poema epico in volgare, seguendo la precisione storica, le regole di Aristotele e il modello di Omero (“Italia liberata dai Goti” del Trissino). Nello stesso secolo in Francia, Ronsard tenta di tradurre in termini moderni il poema epico classico con la “Franciade”, e il portoghese Camoes, con maggiore originalità, esprime in forme epiche le gesta dei navigatori - eroi portoghesi (“Lusiadas”). La“Gerusalemme liberata”del Tasso costituisce in Italia il modello (ma durante il XVII° secolo. nasce un famoso poema mitologico “L’Adone”del Marino), mentre in Inghilterra, il poema religioso in lingua moderna, già tentato dal Tasso, raggiunge il livello della grande arte con il “Paradis lost” (Il Paradiso perduto) del Milton. Nel Settecento, i tentativi epici costituiti dalle ”Visioni”di Alfonso Varano, si rivolgono anche a Dante e alla Bibbia, mentre in Francia Voltaire, con “L’Henriade”, insiste sul modello classicistico. In Germania Klopstock con la “Messiade”, ritenta il poema religioso, e Goethe con “Hermann e Dorothea”, cerca di tradurre l’epica, in termini concreti e borghesi. In Italia il gusto neoclassico e le imprese napoleoniche resuscitano in forme vistose l’epopea nel primo Ottocento (poemi del Cesarotti e del Monti). Il romanticismo con il gusto della storia, genera un’ultimo tentativo di poema storico, (I Lombardi alla prima crociata di Tommaso Grossi), e infine, la passione risorgimentale in componimenti epico - lirici (p.es., nei ”Profughi di Parga” e nelle “Fantasie” del Berchet). Il Prati e il Rapisardi ritentano la via del grande poema (piuttosto filosofico che epico). All’epico torna il Carducci che esprime un vigoroso senso della storia con la “Canzone di Legnano” e la serie di sonetti “Caira”(un tentativo di epopea popolaresca in lingua dialettale, sono le collane di sonetti: “Villa Gloria"; “Scoperta dell’America”; ”Storia.nostra” del Pascarella), inoltre i tentativi epici del D’Annunzio (IV° libro delle “Laudi”, che contiene le “Canzoni delle gesta d’oltre mare”), e del Pascoli (“Odi e Inni del Risorgimento “; “Canzoni di re Enzio”).
EPICARMO
Poeta comico greco (Siracusa 528?– 438 ? a.C.), detto erroneamente di Coo. Fu il creatore, assieme a Formide, della commedia siciliana. Visse a Siracusa alla corte di Gelone prima e di Ierone poi; nei suoi realistici “dramata”, brevi lavori in lingua dorica, senza coro, a noi noti solo per esigui frammenti e 36 titoli; si fece beffa del mito eroico, (Eracle – Odisseo) e della dialettica cavillosa, congiungendo gli atteggiamenti della farsa popolaresca, con un’acuta curiosità speculativa e una diffusa sentenziosità, per cui finì per essere considerato un sapiente.
EPICUREISMO
Scuola filosofica fondata da Epicuro; in antico ebbe lunga vita, sebbene il suo particolare carattere e la costante e scrupolosa fedeltà al pensiero del maestro, non le offrissero la possibilità di alcun sviluppo dottrinale. Tra i discepoli immediati di Epicuro si possono ricordare: Metrodoro, Ermarco, e successivamente Filodemo di Gadara, Colote e Diogene di Enoanda. Nel II° s.a.C., si diffuse anche a Roma, e nel I° s.a.C., fù particolarmente fiorente (grazie all’opera di Filodemo), in alcuni circoli della Campania. Massimo esponente fu Lucrezio, ma tale filosofia trovò strenui avversari negli ambienti tradizionalistici e senatoriali della cultura romana (specie in Cicerone), già largamente influenzati dallo stoicismo. Non stupirà quindi il favore che per l’epicureismo mostrarono Cesare e gli ambienti cesariani; favore che continuò in epoca augustea nel circolo di Mecenate (Orazio e in parte Virgilio). Più o meno palese la fortuna dell’epicureismo continuò in età imperiale. Lo stoico Seneca colse l’affinità tra gli ideali propri della saggezza dello stoicismo e dell’epicureismo, e a questa filosofia Marc’Aurelio affidò una cattedra nella scuola ateniese; ma a partire dal IV° secolo, la scuola epicurea cominciò a decadere, fino a scomparire sotto il peso della polemica cristiana. La ripresa di motivi epicurei nell’età moderna è legata ai nomi di Lorenzo Valla, di Gassendi, e per certi aspetti di Hobbes.
EPICURO
Filosofo.greco (n.Samo 341 c/ca – m. Atene 270 c/ca.a.C.). Iniziatore di una delle tre principali correnti filosofiche dell’età elle nistica. Nato da genitori Ateniesi, da padre Neocle e madre di nome Chermestra. La tradizione lo vuole discepolo di Nausifane, dal quale avrebbe appreso i principi della filosofia democritea, e del platonico Panfilo, ma con orgoglio e con vivo senso della propria originalità scriveva nella “Lettera ad Euriloco” di essere stato discepolo solo di sè stesso. Nel 310 circa fondò una scuola a Mitilene, che poi trasportò a Lampsaco e nel 306 si trasferì ad Atene, e qui comprò una casa con giardino (il “famoso Giardino di Epicuro”), dove fissò stabilmente la scuola, che lasciò poi in eredità ai suoi discepoli. Intollerante e polemico con gli altri filosofi, fu con i suoi discepoli di somma affabilità e generosità (fu tra coloro che più esaltarono l’amicizia, anche al di sopra dell’amore), guadagnandosi una venerazione che con il tempo divenne un vero e proprio culto. I frammenti della lettera alla madre e ai discepoli rivelano la grande bontà e forza del suo animo, che lo stato continuamente malfermo della sua salute mise a dura prova, ma non piegò. Altrettanto significativa è l’estrema frugalità di quest’uomo che la tradizione ha falsamente insistito a raffigurare come dissoluto ed effeminato. Scrisse molto Diogene Laerzio che gli dedicò tutto il decimo libro delle sue “Vite” dove, ci ha conservato oltre al testamento, tre ”Lettere“: (a Erodono, sulle dottrine fisiche, a Pitocce, sui fenomeni celesti, e a Meneceo, sulle dottrine morali) e 40 “Massime capitali”, accanto alle quali è da porre la raccolta delle cosiddette ”Sentenze vaticane”. Ma sappiamo che egli scrisse molte altre lettere, ai familiari, agli amici, e a comunità di discepoli, o con scopi polemici, come quella ”Ai filosofi di Mitilene”, o con lo scopo di salvaguardare la purezza e l’unità della dottrina, come quelle “Agli amici di Lampsaco” e “Agli amici d’Asia” eccetera. Da più di due secoli le scoperte papiracee, ci restituiscono brani, oltre che di scritti minori, di un imponente opera “Sulla Natura” in 37 libri. Fonti molto importanti per la conoscenza del suo pensiero, sono in fine “De rerum natura”, di Lucrezio e le opere filosofiche di Cicerone (specie il “De natura deorum”), e i due primi libri del ”De finibus”. Il centro di interessi filosofici di Epicuro, come in tutte le correnti speculative dell’ellenismo, è il problema dell’uomo e della sua felicità, e solo nella soluzione di questo problema, consiste per Epicuro il compito della filosofia; la cultura, che ha per fine solo sé stessa è inutile e degna di disprezzo. Epicuro divideva la filosofia in fisica ed etica; come introduzione ad ambedue, è poi da intendere la “canonica”, cioè la ricerca del cànone, del criterio di verità (e che perciò tiene posto della logica e della gnoseologica). Tale canonica è essenzialmente sensitiva; unico e sempre valido criterio di verità è la sensazione che consiste nella impressione che le immagini atomiche (simulacri) staccandosi continuamente dagli oggetti, producono nella nostra anima; gli errori nascono infatti soltanto dal giudizio e dalla valutazione che noi formuliano sulle sensazioni. Nella sensazione poi, ha la sua base il cosìddetto pensiero razionale, il quale non è altro che la formulazione di “anticipazioni” o “prolessi” dovute al fatto che il continuo ripetersi delle sensazioni e percezioni, consente alla memoria di conservare immagini comuni a più oggetti e al ragionamento di stabilire collegamenti e analogie e di passare dal noto all’ignoto. Questa logica e questa gnoseologia sensistiche sono giustificate dal rigoroso materialismo della fisica epicurea, che è una consapevole e non meccanica ripresa dell’atomismo di Democrito, fatta tenendo conto delle obiezioni formulate da Aristotele; tipica a questo proposito la teoria della “declinazione” (il “clinamen” di cui parla Lucrezio), che gli uomini subirebbero nel loro libero cadere nel vuoto e che spiegherebbe i loro incontri e quindi la formazione dei corpi. Tutto risulta dal meccanico incontro degli atomi; resta quindi escluso ogni altro intervento di una supposta provvidenza e ogni interessamento degli dèi verso quanto accade nel mondo. Epicuro tuttavia ammette l’esistenza degli dèi (altrimenti mancherebbe il sostrato materiale dell’immagine che tutti gli uomini hanno di essi che vivono beati e senza cure negli intermondi. Irragionevole è quindi temerli, così come irragionevole è il terrore della morte: anche l’anima umana è corporea (fatta di atomi, sia pure più sottili) e perciò mortale, cosicché la morte è nulla per noi, perché fintanto ci siamo noi, essa non c’è, e quando c’è lei, noi non ci siamo più. Ecco così che una reale conoscenza della natura e di noi stessi ci libera di due grandi paure che hanno sempre angosciato l’umanità; ma contro altre due malattie dell’anima la filosofia deve offrire la medicina (il celebre ”quadrifarmaco” epicureo): la paura di non poter raggiungere la felicità, e la paura del dolore. Per le sue stesse premesse materialisti che, l’etica epicurea non può che porre il criterio di scelta morale nelle senzazioni di piacere e di dolore (ed è continua la polemi ca di Epicuro contro l’intellettualismo di Platone e di Aristotele): il piacere è così il fine, ciò che l’uomo per natura ricerca. Ma Epicuro con ciò non pensa al piacere volgare o al “piacere in movimento”, di cui parlano Aristippo e i pirenaici, che è sempre commisto a turbamento e quindi a dolore, bensì quel piacere “a riposo” o catastemantico che risulta dall’assenza e dalla cessa zione del dolore: in ciò consiste la serenità (atarassia), la felicità e la virtù. Il dolore cessa quando il desiderio che lo provaca viene soddisfatto. E tuttavia Epicuro avverte che solo i desideri naturali o necessari devono essere soddisfatti, mentre la soddisfazione di quelli né naturali nè necessari produce piacere misto a dolore, cosicché spesso bisogna saper rinunciare a un piacere quando possa conseguirne un dolore maggiore, accettare un dolore quando possa conseguirne un maggior piacere. Questo è quel calcolo dei piaceri in cui consiste la vera prudenza e saggezza dell’uomo, a cui consegue l’atarassia. Tale etica è nettamente individualistica, e perciò Epicuro raccomanda di tenersi lontani dalla vita “politica” (“vivi nascosto“ è il suo motto), anche se l’ubbidienza alle leggi è dolorosa per l’utilità che ne deriva.
EPIDAURO
Città greca del Peloponneso sul Golfo Saronico. Centro di un antico culto pre - greco del dio Maleatas, nel VII° s.a.C., vi fu fon dato un tempio ad Apollo che prese l’epiteto di Maleatas.Solo nel IV secolo vi si insediò il culto del dio Asclepio, la maggiore divinità greca donatrice di salute. I fedeli si recavano in pellegrinaggio al santuario per ottenere la guarigione dalle loro malattie, e le numerose epigrafi conservate ci confermano la ricchezza dei doni che venivano offerti al dio e tale attività del santuario si prolungò in età romana fino al III° secolo dopo Cristo. L’edificio più importante dell’area sacra è il grande tempio *periptero, dorico,*esastilo. I frontoni furono scolpiti da Thimoteos Theotimos ed Ectoridas (inizio del IV° s.a,C.). Il frontone occidentale raffigura l’amazzonomachia (lotta tra le Amazzoni e i Centauri). Di quello orientale è conservato troppo poco per poter stabilire che cosa rappresentasse. La statua di Asclepio, crisoelefantina era opera di Trasimene. Particolare interesse ha un piccolo edificio rotondo databile alla seconda metà del IVs.a.C.; la “tholos”. Non si conosce bene la funzione di questa costruzione, riccamente decorata da trabeazioni, colonne e cassettoni di marmo. Le fonti la dicono opera dell’architetto Policheto il giovane, al quale deve pur essere collegata la costruzione del teatro (350 a.C.), assai bello e ben conservato; uno dei migliori esempi di teatro ellenistico.
(ritorna a APOLLO)
- Nota -
- * Periptero: tempio la cui cella al centro è tutta circondata da colonne (es. il Partenone).
- *esastilo: edificio o tempio ornato di sei colonne.
EPIGONI
I figli e discendenti dei sette eroi argivi greci che combatterono e furono uccisi sotto Tebe alla guida di Polinice, che, dopo dieci anni, secondo la storia favolosa dell’antica Grecia, rinnovarono la guerra, espugnando la città.
- Note
- (fig) Epigoni, gli imitatori, i seguaci di un autore.
EPIMETEO
(Gr. che riflette dopo). Personaggio della mitologia greca, figlio di Giapeto e fratello di Prometeo (gr.che riflette prima); marito di Pandora che per curiosità apre il vaso contenente tutti i mali dono di Zeus. Figlia di Epimèteo è Pirra, moglie di Deucalione.
EPIRO
Regione della Grecia nord occidentale, al confine con l’Albania. Si estende fra la catena del Pindo a Est, il Mar Jonio a Ovest, il Golfo di Arta o Golfo Ambracico a Sud. Territorio in gran parte montuoso, interessato da rilievi calcarei, disposti parallelamente alla costa e assai ricchi di fenomeni carsici. La città più importante è Giànnina, capoluogo della omonima provincia, affacciato alla sponda occidentale del Lago Giànnina il nucleo urbano più antico, posto su uno sperone che si protende nel lago, circondato da mura conserva un aspetto orientale assai pittoresco; edifici interessanti sono la Moschea di Sralan Pascià e il museo. Gli altri centri principali: Arta, capoluogo della provincia omonima, situato sul corso inferiore del fiume Aràchthos, nota per le sue Chiese bizantine, fra cui le chiese metropolitane di San Basilio e Santa Teodora. Prévesa è città capoluogo della omonima provincia, posta presso l’entrata del Golfo di Arta; Hegonu Menitsa, capoluogo della provincia di Thesprotia, frequentata stazione balneare. L’attuale regione greca comprende solo la parte meridionale dell’antico Epiro, che in passato includeva anche la sezione meridionale dell’odierna Albania.
Storia
Il nome già diffuso in epoca omerica, deriva dal greco Epeiros (continente). Esso venne dato alla regione dagli abitanti dell’isola di Corcire (Corfù) che, con quel termine solevano distinguere la”terra ferma” rispetto alle isole del l’arcipelago. L’Epiro fu abitato da varie genti, che. per la difficoltà delle comunicazioni rimasero a lungo come gruppi etnici indipendenti, quasi isolati fra loro, con pochi contatti col più evoluto mondo dell’Egeo. Il primo storico che si è occupato dell’Epiro, Ruopompo del IV s.a.C., ricorda 14 stirpi o tribù, fra cui emergevano i Temprozi, i Caoni, e soprattutti i Molossi, che attuarono verso la metà del Vs.a.C., la prima unificazione politica del Paese. Questa si realizzò come una specie di comunità federata detta “Lega epirotica”, rappresentata nei rapporti con gli Stati esteri, dal “re degli Epiroti”, il quale ogni anno giurava fedeltà alla costituzione, riavendo a sua volta la promessa di obbedienza dai cittadini. Nel 357 a.C., la dinastia epirota si imparentò con quella di Macedonia, perché Olimpia, figlia del re Neottolemo, sposò Filippo di Macedonia. Per mezzo di Olimpia, madre di Alessandro Magno, l’Epiro fu unito alla Macedonia, seguendo il destino della Grecia durante la lotta dei diadochi. Al principio del III° s.a.C., fu re dell’Epiro, Pirro; soprattutto a lui la regione deve la sua fama, il quale per aumentare il suo territorio, accolse la richiesta di alleanza con Taranto, combattendo in Italia contro i Romani, e in Sicilia contro i Cartaginesi, senza però riuscire a trarre qualche vantaggio dalle sue vittorie. Verso la fine di questo stesso secolo, la monarchia decadde, e, restaurato il regime repubblicano. A partire d’allora l’Epiro si ridusse a mano a mano di territorio e di potere, finchè, dopo una breve alleanza con Roma contro Filippo V° di Macedonia (198 a.C.), fu ridotto a colonia romana (167 a.C.). Ne furono artefici le legioni di Paolo Emilio, a seguito di una guerra rovinosa, che costò al paese 150.000 schiavi e 70 città saccheggiate e distrutte. Riunito in un’unica provincia con la Macedonia, seguì poi insieme con questa, le sorti dell’impero di Bisanzio, finchè nel 1435 fu occupata dai Turchi che lo tennero, tranne una breve parentesi di indipendenza (1447 - 1466), fino al 1912, quando, dopo la guerra balcanica, l’Epiro fu spartito fra l’Albania e la Grecia, delle quali costituisce ancora oggi due distinte regioni.
EPITAFFIO
o Epitafio
Iscrizione sepolcrale, ma originariamente era un discorso funebre pronunciato da un oratore a nome dei cittadini e dello Stato, per celebrare i caduti per la patria. Ci è pervenuto, nella sua forma originale, l’epitaffio di Iperide. 322 a.C., per i morti della guerra di Lama; conosciuto invece attrraverso Tucidite l’epitaffio di Pericle per gli Ateniesi morti nel primo anno di guerra del Peloponneso. Trasportato nel mondo latino, divenne declamazione retorica a carattere familiare ed entrò nella letteratura.
EPITALAMIO
Componimento poetico della letteratura classica, celebrante le nozze di un dato personaggio, e cantato alla porta della camera nuziale. In senso più vasto si dice epitalàmio un pezzo di circostanza cantato in occasione di un matrimonio, secondo un’antica consuetudine. Scrissero spesso epitalàmi ispirandosi alle nozze di divinità, molti poeti greci, tra cui: Alcmeone, Anacreonte, Pindaro, Saffo, ma l’unico pervenutoci intiero è quello di Teocrito, per le nozze di Menelao ed Elena. Presso i latini l’epitalàmio pur ispirato a quello alessandrino, subì fortemente l’influenza degli antichi *fescennini. Gli esempi più tipici sono dati da Catullo; altri scrittori furono: Stazio, Ausonio, Siconio, Apollinare.
- Note:
- - Musica: l’epitalàmio fra gli esemplari più antichi è un cantico fornito di musica in notazione mozarabica (cioè con segni usati dall’antica liturgia musicale iberica), conservato in un codice del XI secolo a Madrid. Nel Medio Evo invalse l’uso di comporre epitalàmi in forma di canzoni popolari, spesso licenziosa o di contenuto grossolano.
- *Fescennini:
- - Manifestazioni del teatro latino risalenti, le più antiche, al periodo pre-letterario.
EPITETO
Aggettivo, sostantivo o locuzione apposita, che si aggiunge a un nome proprio per indicare una caratteristica saliente della persona o della cosa determinata. Ricco di epiteti fissi è il linguaggio delle formule religiose di tutte le lingue, ed era il linguaggio dell 'antica poesia latina, greca e indiana. Notevoli concordanze si sono osservate soprattutto fra gli epiteti usati nella poesia epica greca, e quelli usati nei “Veda” (il primo testo poetico appartenente all’India). Poichè l’epiteto fisso presuppone una lunga tradi zione per consolidarsi, si suppose che tali concordanze non siano dovute a coincidenze occasionali, ma siano tracce di un’antichissima comune tradizione poetica indo-europea.
EPITTETO
- EPITTETO:
- EPITTETO:
Filosofo greco (n. Ierapoli, Frigia 50 d.C. c/ca – m. Epiro 138 c/ca). Con Seneca e Marc’Aurelio, è uno dei maggiori rappresen tanti del tardo stoicismo romano. Non scrisse nulla, ma il suo discepolo Adriano di Nicomedia, trascrisse fedelmente i suoi discor si, nelle “Conversazioni” e ne condensò gli insegnamenti nel celeberrimo”Manuale", uno dei libri che hanno goduto di maggior fortuna, tradotto in italiano anche dalLeopardi. Il motivo su cui Epitteto maggiormente insiste è quello della libertà interiore, massimo bene al quale l’uomo può pervenire, solo mediante l’assiduo esercizio di sopportazione e di astinenza (sustine et abstine); in tal mo do, nella dottrina della saggezza propria dello stoicismo, Epitteto introduceva forti motivi rigoristici che davano ad essa una colorita impronta cinica.
Ceramografo attico (VI s.a.C.). E’ considerato la personalità più significativa tra quelle dei pittori vascolari a figure rosse del periodo cosiddetto”severo”. Relativamente numerosi sono i vasi, sulle coppe, sui piatti, ove appare la sua firma, per cui è stato possibile non solo ricostruire la sua figura artistica, ma lo sviluppo stesso della sua opera. Egli è generalmente accostato ad un altro grande ceramista, suo contemporaneo, Oltos, dal quale tuttavia si distingue per un più calcolato equilibrio formale e per una maggiore ricchezza compositiva.
“Flautista e danzatrice” – Eppiteto - Particolare da una “Kylix” - British Museum – Londra.
ERA
Sposa di Zeus (Dio sovrano), massima dèa dell’Olimpo greco, patrona della vita matrimoniale. Rappresenta la condizione della donna, ed era detta Gamelia (nuziale o Gyg o Syzygia – coniugale). Alcuni miti narrano le malversazioni che Era subì ad opera dei Sileni e del gigante Eiromedonte, prima del matrimonio con Zeus (suo fratello), figlio come lei di Crono e di Rea. Ma le nozze con Zeus la resero "perfetta” (in greco Teleia), come veniva ritualmente chiamata. Nella nuova condizione non poteva più essere offesa impunemente, ne fa fede il caso di Issione, mitica figura di pescatore, che fu precipitato nel Tartaro, per aver tentato di violentarla. Le se addiceva l’intangibilità e la fedeltà ed in tal senso va interpretata la sua gelosia nei confronti dell’infedele Zeus e le persecuzioni degli amanti di questi, di cui si favoleggiava nell’antichità. Fedele e casta, come da tradizione argiva, riaquistava la verginità ogni volta che si bagnava nelle acque della sorgente Karnathos. Più vergine che madre; la maternità non le si addiceva, come ad altre dèe, quali Latona e Leto: i figli Ares ed Efesto, secondo alcune versioni, non erano frutti del matrimonio con Zeus, ma li aveva generati da sola, in opposizione e in odio alle numerose paternità extra coniugali di Zeus, che come dio-padre generatore per eccellenza, non poteva trovare limiti nel matrimonio. Una figlia, Ebe, avuta da Zeus, alludeva in altro modo alla purezza di Era. I più famosi culti si celebravano ad Argo e a Samo. Le era sacro il pavone e le sue prerogative variavano a seconda della località. In alcune era venerata come dèa della luce notturna emanata dalla luna, in altre come dèa delle bufere o della fecondità; comunemente onorata come regina del cielo.
ERACLE
ERACLITO
Filosofo greco nato a Efeso nella Jonia; vissuto tra la fine del VI e la prima metà del V s.a.C. Pochissimo sappiamo della sua vita; gli antichi gli attribuivano discendenza regale e fieri sentimenti aristocratici che lo portarono ad estraniarsi dalla vita politica e a ritirarsi in solitarie meditazioni. Il che sembra anche confermato dal carattere della sua opera cui fu attribuito il titolo identico per quasi tutti gli scritti dei presocratici “Sulla Natura”, scritta in uno stile oracolare e immaginoso, che valse al suo autore il sopranome di “oscuro”. Vedi Democrito, in opposizione al quale Eraclito fu detto “piangente", e che sarebbe stata deposta nel tempio di Artemide, appunto perché riservata solo a pochi. Vivissima è in lui la polemica contro il comune modo di vedere e contro la varia e disordinata scienza dei cosiddetti “sapienti”, tra cui sono annoverati: Omero, Esiodo, Archiloco, e Pitagora; a tutto ciò egli contrappose il suo ”logos” verace, ossia il suo discorso che rispecchia la vera natura delle cose, le quali non sono vere e reali nella loro apparente e singolare individualita, ma in relazione in cui ciascuna è sé stessa e nello stesso tempo non è le altre. Questa relazione è la legge universale di opposizione di tutte le cose. La”discorde armonia” che rende ragione della varietà del mondo sensibile e fa dire ad Eraclito che “la guerra è madre di tutte le cose”, perché ciascuno degli opposti ”vive la morte dell’altro, mentre l’altro muore la vita del primo”. Si vede con ciò che la filosofia di Eraclito si configura come l’antitesi di quella di Parmenide, e dell’eleatismo, tendente ad assumere proprio questa opposizione, come la prova dell’irrealtà del molteplice e la realtà di quell’unico ente che esclude da sé ogni contraddizione. Quanto più la filosofia eleatica è portata dalle sue premesse a sottolineare la permanenza e l’immobilità di quell’unico ente, tanto più la filosofia eraclitea sottolinea il divenire di tutte le cose e il loro tramutarsi nel l’opposto, anche se il deciso sviluppo della dottrina in questo senso sembra doversi attribuire a un discepo lo di Eraclito, Cratilo, e se il più famoso dei motti eraclitei “tutto scorre”, non si trova nei suoi frammenti autentici. La realtà è quindi per Eraclito, simile ad un fiume che è sempre quel fiume, ma nello stesso tempo non lo è, perché le sue acque, scorrendo, sono sempre diverse e quindi in esse non possiamo mai bagnarci due volte. Simbolo di questo scorrere è il fuoco ”sempre giovane” che vive solo trasformandosi e trasformando le altre cose (e perciò Eraclito è stato collegato alla scuola ionica, quasi che anch’egli avesse voluto identificare in un principio naturalistico la sostanza delle cose molteplici). Influenzati dalla cosmologia stoica, gli antichi dossografi, hanno poi attribuito ad Eraclito una grandiosa cosmologia: il fuoco diventa prima acqua e poi terra e quindi di nuovo fuoco, ripercorrendo all’insù quella stessa via che prima aveva percoso all’ingiù. Ma a questa cosmologia non corrispondono ipotesi scientifiche altrettanto degne di nota; il Sole, secondo Eraclito è nuovo ogni giorno, ha la lunghezza di un piede umano, eccetera. Il che conferma che il fuoco di Eraclito, non è uno degli elementi naturali, ma il simbolo di quel ”logo”, di quella legge di opposizione, la cui scoperta è il suo grande merito; quella che ha fatto di lui il padre di ogni concezione dialettica della realtà.
ERASISTRATO
Famoso medico dell’epoca alessandrina (notizie nel III s.a.C.). L’opera sua si conosce soltanto attraverso le citazioni fatte da al tri studiosi, fra cui Galeno. Studiò attentamente il cervello e gli attribuì la funzione di trasformare lo spirito vitale in spirito anima le; fece ricerche anche sulla circolazione, ammettendo però che nelle arterie circolasse aria; scoperse in ogni modo le funzioni de la valvola aortica, che avrebbe obbligato, secondo le sue teorie, lo spirito vitale a incanalarsi per l’aorta.
ERATO
Musa della poesia amorosa.
(Vedi Muse)
ERATOSTENE
Scienziato ed erudito scrittore greco (Cirene 275 circa - Alessandria d’Egitto 195 a.C. circa). Educato in Grecia dal grammatico Lisanisa, verso il 235 fu chiamato da Tolomeo Evergete a succedere a Callimaco nella direzione della biblioteca di Alessandria, dove strinse amicizia con Archimede: enciclopedico soprannominato Beta, perchè di tutto si occupò, ma in nulla fu primo. Si dedicò alla geodesia e all’astronomia, oltre che alla geometria e alla matematica. Pappo gli attribuisce un’opera sulle proporzioni, a noi ignota, che va sotto il nome di “Crivello di Eratostene”, un metodo per costruire una tavola di numeri primi, che rese popo lare il suo nome presso i matematici. Poeta di epilli, ottimo filologo, equilibrato esegeta di Omero, dottissimo autore di un reper torio sulla commedia antica, diede nelle “Cronografie” un quadro degli eventi storici, a partire dalla caduta di Troia (1184 a.C.),e redasse inoltre un catalogo delle gare olimpiche.
ERCOLE
(Eracle)
Figlio di Alcmena (moglie di Anfitrione) e di Giove, eroe nazionale della mitologia greca. Per l’invidia di Era è costretto a servire Euristeo e da questi sottoposto alle famose dodici prove o fatiche: l’uccisione dell’invulnerabile leone di Nemea che soffocò e dalla pelle si fece un mantello col quale è solitamente raffigurato; l’uccisione dell’Idria di Lerna; la cattura del cinghiale di Erimanto; la cattura della cerva di Cerimeo, dalle corna d’oro e dalle zampe di bronzo (o di rame); lo sterminio dei mostruosi uccelli che infestavano la palude di Stinfalo (uccelli Stinfalici); la conquista della cintura di Ippolita (guerra contro le Amazzoni), loro regina; la sottrazione dei tre pomi dal giardino delle Esperidi; la cattura del toro cretese; la ripulitura delle stalle di Augia (re d’Elide) che possedeva tremila buoi ai quali non faceva mai cambiare lo strame, deviando il fiume Alfeo, portando le acque nelle stalle; la punizione di Diomede, re tracio che nutriva di carne umana i suoi cavalli; la liberazione di Prometeo dall’aquila che gli rodeva il fegato; la liberazione di Teseo dagli inferi; il sostenimento del mondo sulle spalle in luogo di Atlante. Compì inoltre altre notevoli imprese, riuscendo sempre vittorioso; la distruzione di Troia per vendicarsi delle mancate promesse del re Laomedonte; combattè contro la città di Ecalia e il re Eurito, perchè innamorato della sua figlia Iole; servì con abiti femminili Onfale, regina di Lidia. Morì per aver indossato la tunica imbevuta del sangue del centauro Nesso, inviatagli in dono dalla gelosa Deiamira.(Ritorna a NESSO) Accolto nell’Olimpo, ebbe in moglie Ebe, la dèa della giovinezza. Ercole, simbolo della forza umana, era venerato anche a Roma con culto molto antico, e, secondo il mito romano, tornando dal l’uccisione di Gerione, passò per il luogo dove sarebbe sorta Roma, e lì venne derubato della mandria dal mostruoso Caco, e l'uccise, edificando sul luogo un’ara a ”Jupiter inventor”. (ritorna a AUGIA)
Mito e leggenda
Ercole, l’eroe degli eroi, il più grande dell’antica Grecia, il più forte di tutti senza confronti, era figlio di Giove e Alcmena, regina di Tebe. Ancora piccolino, strozzò due serpenti mandatigli contro da Giunone per divorarlo; implacabile Giunone!
Ma, come si vendicò Giove?
Incaricò Mercurio di portargli il figlio sull’Olimpo.
Voglio che mia moglie stessa, a sua insaputa, lo allatti; al chè Mercurio glielo collocò vicino, mentr’ella dormiva. E fu così che Giunone allattò un figlio non suo, senza nemmeno accorgersene, rendendolo immortale. Anche per questo Ercole non ebbe mai paura di nessun mortale.
Gli fu maestro nella lotta, il dio dell’equitazione Antolico, figlio dello stesso Mercurio; Eurito, pronipote di Apollo nel tiro dell’arco; il centauro Chirone nel pugilato; Lino (altro figlio di Apollo) ed Eumolpo, figlio di Nettuno, in tutto il resto.
(Ritorna a PITONE)
Di chi poteva aver paura!
Cominciò dunque assai presto a far parlare di sé.
Uno di quei valenti maestri, e precisamente Lino, ebbe l’imprudenza di fargli un’ osservazione; al chè, il tremendissimo Ercole, afferrò una cetra (poiché egli si dilettava nei momenti di riposo anche di musica) e gliela sbattè sulla testa, e questi piombò a terra fulminato.
Scellerato! Va via di qui!
Gli gridò dietro sua madre Alcmena.
Ed Ercole andò via!
A mezza strada incontrò su un monte, un leone, lo affrontò, afferrò per la gola e lo strangolò, e con la pelle si fece un mantello. Poi si inbattè in alcuni ambasciatori del re Erzino di Orcomeno, diretti a Tebe, città sua nativa, per riscuotere l’annuo tributo di cento buoi. (ritorna a AUGIA)
Dov’è che andate voialtri? Così, e così…
Ercole li legò come tanti salami, poi tagliò loro le orecchie e il naso, e così malconci li rispedì a casa.
Bravo! Gli disse il re di Tebe, Creonte e lo invitò a restare nel suo palazzo. Ma ecco che l’altro re dichiara la guerra e un formidabile esercito avanza contro la capitale. Ercole allora, rompe gli argini d’un fiume e ne devia le acque rovinose verso una vallata, per la quale l’esercito invasore stava passando e i nemici affogarono.
Bravo! Esclamò riconoscente il re di Tebe; ti voglio dar in sposa la mia figlola Megaira.
(Ritorna a PITONE)
Ercole la sposò, poi, se ne stancò, o forse ne fu stancato; il fatto si è che un giorno, perse la luce degli occhi, e, accecato dal furore, scaricò contro lei e i suoi figli, tutte le frecce che aveva nel turcasso (faretra), facendo un macello.
Ercole al bivio
assalito dai rimorsi si mise a girovagare per il mondo. E chi dice che si sia recato in penitenza all’Oracolo di Delfo, chi afferma che si sia fermato ad un bivio indeciso, dov’erano due bellissime donne; per di qua, gli disse una, avrai bella vita, giochi, gioie, ozi beati, continue feste e divertimenti:
io sono la Mollezza; vieni con me!
Io, gli disse invece l’altra, son la Virtù: con me avrai vita dura, aspre fatiche, forse dolori, non mai riposo, continue cure e ambasce ma saprei rendere la tua memoria venerata e immortale; scegli; Ercole, dopo lungo pensare scelse quest’ultima e per espia re i suoi precedenti omicidi, si pose al servizio di Euristeo, re di Tirinto.
Le dodici fatiche
Ercole! Gli ingiunse subito il re Euristeo: in una caverna dell’Argolide c’è il leone Nemeo, una belva ferocissima che perpetuamente tempesta e rugge, sbrana, dilania e spaventa le contrade. Và, e con la tua clava, spaccagli la testa. Andò e con le frecce tentò prima di ammazzare da lungi il terribile leone, ma la sua pelle era invulnerabile. Lo assalì allora con la clava, ma il leone si rifugiò nella sua caverna ove l’eroe intrepido lo seguì. Successe un corpo a corpo formidabile. Terminata la lotta l’eroe aveva una pelliccia di più sulle spalle. (ritorna a AUGIA)
E una!
Ercole! Gli disse il re Euristeo quand’egli fu tornato a Tirinto Sappi che presso Argo, nel lago di Lerna c’è un drago fastidioso, che divora quella povera gente, e ne mangia molti, perché ha nove teste e nove bocche. Dovresti troncargliele.
Sarà fatto! rispose Ercole. E andò presso Argo e presso il lago.
Iolao! Iolao, un suo fedele amico che l’accompagnava disse: qui non si vede nessuno! Prova a stuzzicar quell’acqua con qualche frecciata! Subito Ercole sollevò qualche schizzo con le sue frecce, ed ecco il mostro che vien su dall’acque a galla, con tutti gli occhi già accesi, occhi di fuoco. Dalle bocche e dalle froge, uscivan getti di vapore micidiale. Ercole si mise in guardia. Il drago era già venuto a terra ch'egli gli fa balzar via con un colpo secco di clava una testa, ed ecco che dal collo reciso ne sbucan fuori altre tre! Gliene taglia un’altra, e ne rispuntan altre cinque! Iolao, corri nella foresta e appicca il fuoco alle piante, poi torna qui con due tizzoni ardenti! Con questi due tizzoni, a mano a mano che Ercole mozzava le teste,Iolao le bruciava. Un colpo dopo l’altro ed ecco finalmente tutte le teste furono mozzate e bruciate. Solo allora i due si decisero a tornare a Tirinto. Ma prima Ercole volle intingere le sue frecce nel sangue velenoso del mostro. Il drago era morto.
E due!
Ercole, gli disse soddisfatto il re Euristeo, adesso tu devi andare in Arcadia. C’è laggiù ad Erimanto un tremento cinghiale, ter rore di quelle contrade. Ammazzalo!
Ercole lo ammazzò e glielo riportò sulle spalle.
(Ritorna a PITONE)
E tre!
Ercole, hai mai udito parlare della cerva del Monte Cerineo?
Che cos’è? E’un animale dalle corna d’oro e dagli zoccoli di rame. Tutti le dànno la caccia, e nessuno riesce a prendela. Tu la prenderai.
Ercole partì, inseguì la bestia per monti e per valli e per un anno intero fino alle terre estreme degli Iperborei, cioè fin presso il Polo Nord; ma la catturò; e viva, la regalò a Euristeo.
E quattro! Ercole, gli disse il re, sai tu, che al lago di Stinfale, ci sono degli uccelli mostruosi con becco ed artigli di rame, e penne pur di rame, ch’essi scagliano contro gli uomini volando, e così li trafiggono e li uccidono per mangiarli?
Che cosa devo fare?(ritorna a AUGIA)
Sterminar quegli uccelli!
Ed Ercole nuovamente partì, Si portò sulla cima di una montagna; produsse con un tamburo un chiasso d’inferno: si levarono in volo spaventati i feroci pennuti e con un nembo di frecce, li abbattè.
E cinque!
Ercole! Mi dovresti portar vivo quel toro maledetto che devasta per volontà di Nettuno l’isola di Creta! L’avrai, fu la risposta di Ercole.
E glielo portò vivo, imbrigliato in una rete, come un coniglio.
E sei!
Ercole, gli disse il re, sei proprio straordinario. Scommetto che saresti pure capace di ripulire le stalle di Augia! Bisogna sapere che Augia era un re dell’Elide, il quale manteneva tremila buoi nelle sue fetenti stalle, di cui non cambiava mai la paglia(lo strame) Eran trent’anni che quelle stalle non venivano spazzate e pulite, e un puzzo irrespirabile appestava tutta l’aria, tanto che nessuno più poteva avvicinarvisi. E non si avvicinò neppure Ercole. Egli, come aveva già fatto contro l’esercito del re Ergino, deviò il corso di un fiume, le cui acque si precipitarono nelle stalle e le pulirono in un attimo.
E sette !
C’è da far altro? Chiese al re Eristeo.(ritorna a AUGIA)
Si; ci sarebbero quelle ”Cavalle di Diomede“,.. Sai tu chi è? E’ il re dei Bistoni di Tracia; dà da mangiare alle sue indomabili ca
valle la carne umana! Ma bada, ch’egli è un figlio di Marte!
Peggio per lui, fu la risposta di Ercole!
Ed Ercole andò presso Diomede e diede da mangiare alle cavalle la sua stessa carne del re; e le portò legate al re Euristeo.
E otto
I muscoli di Ercole nel frattempo erano diventati così potenti da sgretolare le montagne. Testa piccola, cappelli ricci, largo collo, gonfio petto, ampie spalle, mezzo ignudo o appena ricoperto d’una pelle di leone, appoggiato ad una clava, guardatelo com’è raffigurato nelle statue antiche! Egli pareva il simbolo della forza.(ritorna a AUGIA)
Tu sei grandissimo, Ercole! Sappi che mia figlia Acmeta, s’è invaghita del cinto d’Ippolita, regina delle Amazzoni. Se tu …
Ho capito… gli fece Ercole.
Erano le Amazzoni, un popolo di donne, che abitavano presso le rive del Ponto Eusino, in Cappadocia: oggi si direbbe Mar Nero. Tutte guerriere, non vivevano che di stragi e la loro regina Ippolita, aveva una cinta di inestimabile pregio e di meravigliosa bellezza. Le Amazzoni massacravano quanti uomini ardivano di andarle a trovare. Ercole ne fece strage; uccise la loro regina, le tolse il bel cinto e lo regalò alla figlia del re Euristeo, Admeta.
E nove !Ercole, gli disse ancora il re; tu sarai un giorno da me ricompensato; ora và a rapire da Gerione, al terribile gigante dell’Isola Eritea nell’Oceano le sue mandrie di buoi. Ma bada, che Gerione è un mostro con due gambe e tre corpi e le sue mandrie sono guardate da un pastore gigantesco e da un gran cane con tre teste, e tutti i bovi sono rossi come fiamme.
Peggio anche per loro, disse!(ritorna a AUGIA)
Ercole si mise in viaggio per mare e giunse allo Stretto di Gibilterra. A quel tempo lo stretto era chiuso e al suo posto c’era un istmo. Ercole allora, diede una spallata a destra e una a sinistra, ammucchiò da una parte e dal l’altra le montagne di Abila e Calpe, e passò. Ercole, aprì dunque lo Stretto di Gibilterra, scaraventò le montagne dell’Istmo a destra e a sinistra, le cosiddette colonne d’Ercole, e passò. Ammazzò il cane con tre teste, ammazzò il gigantesco pastore, ammazzò Gerione, il mostro con tre corpi, s’impadronì dei suoi buoi e li spinse innanzi per via di terra, attraverso la Spagna, le Gallie, l’Italia e la Grecia, fino alla reggia di Euristeo.
E dieci!
Ma Euristeo aveva sempre qualcosa da chiedergli.
In Africa, là, verso l’ultima riva, presso il luogo dove Atlante sorregge con le sue spalle la volta celeste, c’è un’amena valletta con l’Orto delle Esperidi, alberi fatati, con i gran frutti d’oro; riportami quei pomi, ma stà attento che a mezza strada in Libia, c’è il gigante Anteo, il figlio della Terra e di Nettuno.
Che me ne importa!
Nessuno può ammazzarlo; se ridotto in fin di vita, basta ch’egli tocchi il terreno perché sua madre (la Terra) gli ridia forza. Io lo strangolerò, tenendolo sempre levato, rispose Ercole!(ritorna a AUGIA)
Così fece. e proseguì, Ma non sapeva dove si trovassero le Esperidi. Domandalo a Proteo, gli suggerirono alcune Ninf0e. Era Proteo, un vecchio iddio marino, che custodiva in una piccola isola le divine foche di Anfitrite, moglie di Nettuno.
Egli poteva assumere tutte le forme: di uomo, di donna, di serpe, di gatto, di pulce, di volpe, di tigre, d’uccello, di vento, di fuoco, di frutto, di pianta… tanto che ancora oggi di uno che cambi aspetto, è detto un uomo proteiforme, ossia un uomo trasformista. Ma, con Ercole, non potè fare il vèrsipelle: dovette indicargli la strada; arriva in Occidente, e vede il Titano Atlante, curvo sotto il peso del cielo, presso il Giardino delle Esperidi.
Atlante! Se tu mi aiuti a cogliere quei pomi, te ne regalo qualcuno!
Uccidi prima il dragone dalle cento teste che stà sulla soglia; ed Ercole uccide il dragone.
E Atlante: sorreggi ora sulle tue spalle la volta celeste, finchè io entri nel l’orto. Ercole sostituì, nella bisogna, Atlante, il quale di là dal muro gli gettò una sonante e rimbolzante gragnuola di bei pomi d’oro. Il suono e lo splendore di quei grossi globi metal lici, era stupendo. Dopo che tutti gli alberi furono saccheggiati: per chi sono i frutti? Chiese Atlante.
Per il re di Tirinto, Euristeo.(ritorna a AUGIA)
Glieli porto io, bofonchiò il titano, a cui non pareva vero di essersi sbarazzato del peso tremendo del mondo
Ed Ercole, che ne aveva già mezza acciaccata la schiena: aspetta, fammi prima mettere sotto i denti qualche cosa! Così non resisto. E gli addossò ancora una volta l’immensa volta celeste sopra le spalle: stà lì addesso!
A Tirinto, da Euristeo, ci devo andare io!
E undici!
Ora, disse Euristeo, manca soltanto che tu vada all’Inferno. Si tratta di mettere il guinzaglio a Cèrbero, e di condurmelo qua.
Ed Ercole andò anche all’Inferno, accompagnato da Mercurio e compì in tal modo la sua dodicesima fatica.
ALTRE GESTA
(ritorna a AUGIA)
Compiute queste dodici imprese, conosciute sotto il nome di, Dodidici fatiche: il Leone Nemeo, l’Idra di Lerna, il cinghiale di Erimanto, la Cerva del Monte Cerineo, gli Uccelli della Palude di Stinfale, il Toro di Creta, le Stalle di Augia, i Cavalli di Diome de, il Cinto d’Ippolita, i Buoi di Gerione, i Pomi delle Esperidi, la cattura di Cèrbero, e espiati così i suoi antichi delitti, Ercole abbandonò Euristeo, col proposito di adoperare le sue forze a beneficio dell’umanità, e non ci fu un eroe che non fosse da lui aiutato, né guerra, né spedizione eroica a cui egli non partecipasse. Tornando dall’Atlantico coi buoi di Gerione, aveva già am mazzato in Italia, sul colle Aventino, dove poi fu Roma, il gigante Caco, che gliene aveva rubati alcuni, e che infieriva con le sue violenze e le sue ruberie tutto il Lazio. Caco, di notte, aveva afferrato quei buoi per la coda, perché camminassero indietro e con le orme rovesciate ingannassero gli inseguitori. (ritorna a AUGIA)Ma Ercole, li scoperse in una caverna, e a colpi di clava, fracassò le costole al gigante. Aveva mosso guerra ad Augia, dopo la pulizia delle stalle, perché l’esoso re non voleva star più ai patti di cedergli la decima parte dei promessi armenti. Lo sconfisse e lo trucidò con tutti i suoi figli. Combattè contro i Centauri della Tessaglia, scacciandoli definitivamente; contro il re di Troia, Laomedonte, a cui aveva salvato la figlia Esione da un mostro e che non vole va più dargli i pattuiti cavalli, anche costui, Ercole punì ferocemente, uccidendolo con tutti i suoi figli, tranne il famoso Priamo, che fu salvato da Esione. Combattè poi contro Neleo, signore di Pilo in Messenia, perché gli aveva vietato di entrare nelle sue terre, e lo uccise con i figlioli, eccetto Nèstore ch’era lontano.(Ritorna a NELEO) Andò in ultimo contro Eurito, re di Tessaglia, che aveva parteg giato per Augia e gli aveva negato la figlia Iole in sposa: Ercole lo massacrò, con tutti i suoi. Per queste nuove efferate uccisioni, l’Oracolo di Delfo, gl’ingiunse di farsi vendere come schiavo dal dio Mercurio, e fu comprato dal re Emolo della Libia.(ritorna a EMOLO) Quel che quivi sofferse l’Eroe in tre anni di servitù, è più facile immaginarselo che descriverlo. Nonostante molte sue prodezze, nonostante che, fra l’altro, egli sbrattasse il regno da certi fastidiosi nanerottoli, i Cecconi, che l’angustiavano, la regina Infale
lo vestiva da donna e lo trattava come tale, facendolo sedere per terra accucciato ai suoi piedi, a filare con le sue ancelle. Ercole si liberò di lei, e cadde nelle braccia di Deianira; dalla padella alla brace.(ritorna a INFALE) Deianira era figlia di Eneo, re dell’Etolia, la quale aveva pro messo ad Ercole di sposarlo, senonchè ella, era già fidanzata ad un certo Acheloo, primogenito nientemeno che del dio Oceano e della dea Teti, ed egli ora reclamava i suoi diritti. Acheloo si convertì in serpe per atterrire Ercole e fu vinto; si trasformò in to ro, ed Ercole gli spezzò le corna. I due novelli sposi scapparono, ma arrivarono a un fiume senza ponti.(ritorna a ENEO)
La camicia di Nesso
Ehi, Nesso! Chiama Ercole. Accorre galoppando il centauro.
Ci porti di là dall’acqua? Montami in groppa, dice a Deianira il centauro che faceva da traghettatore. Ma quand’è di là, si dà alla fuga con la donzella in groppa. Ercole gli scaglia dietro una freccia, e lo trafigge da parte a parte.
Deianira! Mormora Nesso morente…Io volevo sposarti…ma con Ercole…sarai felice lo stesso. Eccoti la mia tunica intridila del mio sangue…se un giorno, quel perfido ti abbandonasse…fagliela indossare…vedrai che resterà e… spirò.
Ed ecco quello che accadde: Deianira era di una gelosia così ostile, così intransigente, così furibonda, da non potersi paragonare neppure con quella della dèa Giunone. Il povero Ercole, non poteva più muoversi, né parlare, né essere accostato; la sospet osissima moglie lo faceva campar d’affanni, ed allora egli si ricordò di Iole, della sua piccola Iole, la bella figlia di Eretteo, re della Tessaglia cui per amore aveva ucciso i fratelli e il padre.
All’insaputa di Deianire,la rapì.(ritorna a AUGIA)
Lica, disse poi a un fedele compagno, va da Deianira e fatti dare una bella tunica bianca per le mie nozze. Lica, spifferò tutto a Deianira.che disperata gli mandò in tutta fretta la tunica di Nesso, credendo così di richiamarlo al suo amore ed Ercole l’indossò. Subito il sangue del centauro avvelenato da una delle frecce che erano state intinte nelle piaghe del Drago di Lerna, gli entrò per i pori sotto la pelle, gli penetrò nelle vene e nel sangue. Ercole si sentì bruciare tutto, si diede a correre come un pazzo infuriato di qua e di là, afferrò Lica per uno stinco, e lo fece volar fin nel mezzo del mare e il disgraziato piombò fino in fondo, mise radici e tornò sù tramutato in scoglio. Poi l’eroe continuò a fuggire e a infuriare per i boschi del Monte Oeta, dove, giunto alla cima, sradicò tutti gli alberi, li accatastò in un cumulo altissimo, vi appiccò il fuoco, vi salì, si stese sulla pelle dell’antico Leone Nemeo, e attese le fiamme. L’incendio non tardò molto a divampare.Tutto fu avvolto in una nube rossastra ed enorme. Scoppiò dal cielo un gran temporale. Folgori abbaglianti e colpi secchi di tuono: era suo padre, Giove che si commuoveva… Quando la pira non fu che un mucchio di ceneri spente, Ercole non c’era più. Giove l’aveva trasportato sul l’Olimpo e già convertito in dio, nel possente iddio della Forza, e già si preparava a dargli in sposa una delle sue dèe giovinette, più leggiadre e belle, la dèa stessa della Giovinezza, colei che mesceva ai celesti il nettare della vita immortale; Ebe.
Note : Dovremmo persuaderci che un po’ di fondamento e un pò di verità, in tutte le leggende e in tutti i personaggi mitologici c’è. Saranno fatti e personaggi esagerati certo, svisati dalla fantasia dei popoli primitivi, ma che sempre si riferiscono a qualche cosa che realmente è successa. La spedizione degli Argonauti per il Vello d’oro, non può essere stata contro un paese di levante la Colchide da cui i vincitori saran tornati carichi di bottino? E la Medusa, non potrebbe essere stata un tiranno che terrorizzava un altro paese, e che sia stato debellato dal braccio di un eroe;(ritorna a AUGIA)
EREBO
Figlio del Caos e fratello della Notte, assieme ad essa generò Etra (Etere, la luce del giorno) e il Giorno. E’parte tenebrosa dell’oltretomba che le anime devono attraversare per raggiungere l’Ade. E’ la personificazione mitica delle tenebre primordiali; infatti sceso nelle profondità della terra, impersonò il regno delle tenebre, dimora delle anime dei morti.
ERETTEO
Mitico re ateniese successore di Cecrope; figlio di Efesto e della Terra, allevato da Atena, era considerato il fondatore dei misteri Eleusini (Eleusi), istitutore della festa delle Panatenee, e inventore della quadriga. Altre fonti riferiscono queste istituzioni ad
Erittonio, figura autonoma, ricordato come il padre di Eretteo, che venne distrutto con tutta la sua famiglia da Posidone infuriato per la morte di Eumolpo, comandante degli Eleusini, sconfitti da Eretteo. Sull’Acropoli, luogo della sua sepoltura, gli Ateniesi eressero un celebre tempio che portava lo stesso nome dell’eroe. Altro mito lo vuole figlio di Pandione e di Pilia; fratello di Bute, Egeo, Progne e Filomèla.
- Note - :
-
Cenno storico: Tempio, il più antico dell’Acropoli di Atene, detto Eretteo perché eretto e dedicato al mitico re di Atene, nel quale si venerava una statua lignea di Atena; ricostruito nell’età di Pèricle nel V s. a.C. Dell’Eretteo è noto il portico delle Cariatidi. L’Acropoli è Tempio dedicato alla dèa Atena Polìs.
(Ritorna a CARONTE)
ERICE
Città e monte della Sicilia con un celebre tempio di Venere.
ERICINA
Epiteto di Venere (da Erice in Trapani Sicilia)
ERIDANO
Antico nome da' latini detto il fiume Po.
ERIDE
IRIDE
Dèa della discordia
- Note
- "Eris (Ἔρις) la dea della discordia e della competizione, in un kylix a figure nere risalente al VI secolo a.C., oggi conservato presso l'Altes Museum di Berlino. Eris non possiede solo un aspetto negativo, ma governa anche la sana emulazione tra compagni di lavoro (Esiodo Opere e giorni 11 e sgg.). Figlia della Notte (Nύξ, Nyx) è madre, tra gli altri, dei Dolori, delle Menzogne e degli Assassinii. I Canti Ciprii (VII secolo a.C.) riportano l'evento in cui Zeus, volendo alleggerire la Terra (Γαῖα, Gaia) dal peso dei troppi mortali decide la presenza di Eris al matrimonio di Peleo e Teti, facendo così suscitare la competizione tra le dee che condurrà al giudizio di Paride e quindi alla rovinosa guerra di Troia."
ERIFILE
Figlia di Talao e moglie di Anfiarao. Indotta da Adrasto o Polinice, con il regalo di una collana, disvelò dove Anfiarao si nascon deva per sottrarsi alla guerra contro Tebe, nella quale sapeva di do ver morire; fu uccisa perciò dal figlio Alcmeone.
(ritorna a ADRASTO)
(ritorna a ANFIARAO)
(ritorna a POLINICE)
ERIGONE
Figlia di Icario
Secondo il mito, Dioniso venne ospitato da Icario e, per ringraziarlo, gli insegnò la coltivazione della vite e gli consegnò delle otri di vino. Icario distribuì il regalo ai concittadini, che conseguentemente si ubriacarono e, non conoscendo la sostanza, ritennero di essere stati avvelenati: per questo motivo lo uccisero (secondo lo Pseudo-Plutarco tramite lapidazione, secondo Igino tramite bastonate). Una volta che la figlia, Erigone, scoprì il fatto (tramite il cane Mera, che la portò sul luogo) si impiccò all'albero sotto cui era la salma del genitore.[2][3][4] Il cane, per espiare la propria colpa, si gettò in un pozzo di nome "Anigro".[2] Una tradizione posteriore farebbe intuire che Dioniso avrebbe anche sedotto Erigone.[4] Secondo la mitologia astronomica Erigone si trasformò nella costellazione della Vergine (costellazione), Mera nel Cane maggiore (o minore) e Icario in Boote.[5]
(da wikipedia)
ERIMANTO
Monte dell'Arcadia. Fiume dell'Elide, affluente dell'Alfeo.
ERINNI
o ERI
Dèe primordiali della maledizione, della vendetta e della punizione; divinità infernali, vendicatrici dei delitti di sangue, spesso figurate con chiome di serpenti. In numero di tre: Megera, Aletto, Tisifone. Placate, erano in aspetto benigno, con nome di Eumenidi (dal greco Erynies = benevoli - graziose; quale eufemismo!), forse con intento propiziatorio, Figlie di Gaia (Terra) e della Notte, erano rappresentate come vecchie con pelle nera e serpenti al posto dei capelli. I loro nomi alludevano all’implacabilità, alla vendetta o rappresaglia e forse all’ira. A Roma le troviamo identificate con le Furie.
(ritorna a Tisifone)
ERIS
Divinità Greca, personificazione della discordia, appartiene al corteggio di Ares, spesso considerata come l’elemento disintegratore nelle antiche cosmogonie, in opposizione ad Eros (Amore).
ERITEA
ERITRE
Città della Beozia. Città della Ionia nell' Asia Minore
ERITTONIO
Di lui parla Omero, dove Enea fa esporre la genealogia della stirpe di Dardano.
- Note
- - Iliade XX 266;
"Di Dàrdano fu nato il re, d'ogni altro più opulento: Erittonio".
ERMAFRODITO
Mitico figlio di Ermes e di Afrodite. La sua bisessualità, denunziata anche dal suo stesso nome, veniva spiegata con il racconto della fusione nella sua persona della ninfa Salmace innamorata di lui. Alcuni studiosi interpretano il mito come un’esaltazione unica da parte dei Greci di tutte le perfezioni raccolte nei due sessi; altri invece vi ravvisano la personificazione della primordialità ancora informe e differenziata.
- Note
- L’arte ha esaltato la sua figura in stupende statue conservate in Vaticano, a Villa Borghese a Roma, alla Galleria degli Uffizi a Firenze, e al Louvre a Parigi. Il racconto mitologico ci è stato tramandato da Ovidio.
ERMESIANATTE
ERMETE
o HERMES
Dio greco (il romano Mercurio), dio della guida delle anime nell’Ade; protettore dei ladri, araldi, mercanti (era ladro lui stesso), detto il psicopompo (conduttore di anime). Figlio di Zeus e della ninfa Maia, era nato in una grotta del monte Cilene in Arcadia. Padre di Eros, Ermafrodito e Pan, il selvaggio dio dei pastori. Rappresentato con il caduceo e con il petaso (copricapo a tese larghe), con alette, che si trovavano spesso anche sui calzari. Messo in relazione con quella particolare sfera del caotico, inteso come ciò che è posto al di fuori della legge. Nella sfera dell’oltretomba, aborrita dagli dèi olimpici, egli si muoveva agevolmente; operava agli ordini di Zeus, proteggendo dai pericoli quanti ricorrevano al suo aiuto. Un celebre esempio di questa sua attività è dato nell’Iliade, ove è presentato come guida e protettore di Priamo, che si reca nel campo greco a parlamentare. Appena nato iniziò le sue imprese inventando la lira, da lui costruita con il guscio di una tartaruga, e poi, con il furto dei buoi di Apollo. Quando questi si accorsero del misfatto, lo placò regalandogli la lira. Altri miti lo mettevano in relazione con Proserpina, con Artemide, e con Afrodite. Per le sue qualità inventive era considerato anche protettore delle arti (musica e letteratura), e delle scienze, (matematica ed astronomia).
ERO
e LEANDRO
Leggendari amanti celebrati in un famoso poemetto di Museo (poeta greco del VI -V s.a.C.). Sacerdotessa di Venere a Sesto, sulla sponda asiatica dell’Ellesponto (odierno stretto dei Dardanelli), veniva raggiunta ogni notte da Leandro che abitava ad Abido, città della sponda opposta. Il giovane attraversava a nuoto lo stretto, gui dato dalla luce di una fiaccola che Ero teneva accesa su di una torre.Una notte la tempesta spense la fiaccola e Leandro, sperdutosi tra i flutti, annegò. Ero vide il suo corpo esanime tra le rocce e si gettò in mare per morirgli accanto.
- Questo romantico racconto di Museo, fu ripreso da Ovidio e da Stazio.
ERODA
Mimografo greco, nato a Cos e attivo fra il 275 e il 245 a.C. Un papiro scoperto nel 1891 rese noti nove suoi brevi mimi, in lingua ionica (detti mimiambi perché in metro giambico). Essi rivelano un gusto per la rappresentazione d’una esistenza misera e sudicia, già portato nella poesia da Ipponatte; furono salutati come esemplari d’un bossettismo veristico, mentre sono documenti letterari alquanto frigidi, in cui si muovono personaggi generici.
- Note:
- " - Due brevi mimi: ”Il maestro di scuola” e ”Il calzolaio”,sono stati rappresentati con qualche fortuna in tempi non lontani.. "
ERODOTO
Storiografo greco (Alicarnasso – Asia Minore (n.484 c/ca – m.426 c/ca a.C.). Viaggiò di continuo; esule a Samo, visitò l’Oriente fino al Ponto e alla Scizia, fu in Egitto e in Persia, e conobbe tutta la Grecia, e le città greche dell’Italia meridionale. Ad Atene dove entrò nel circolo di Pericle, legandosi di amicizia specie con Sofocle, dimorò dal 446 al 444, tornandovi, dopo aver partecipa to alla colonizzazione di Turi. E’autore delle “Storie”, in lingua ionica, divise dagli alessandrini in nove libri contrassegnati dai nomi delle Muse. In esse, dopo una premessa mitica, sono narrate le vicende della Lidia, da Creso a Ciro, la formazione del regno di Persia, e le guerre imperialistiche di Cambise e Dario I (in Egitto. Scizia, Libia), e infine, il grande scontro greco - persiano, dalla rivolta ionica a Maratona, e dall’imponente spedizione di Serse, alle decisive vittorie greche di Salamina e Micale, fino all'occupazione di Sesto del 478, e all’esclusione definitiva della Persia dall’Europa. Si valse della versione diretta dei fatti (autopsia),e di tradizioni orali e scritte, raccolte nei suoi viaggi e integrate da fonti letterarie e ricostruzioni personali. Poco versato nei problemi economico politici, e in quelli tattico - strategici, egli non ebbe neppure una visione unitaria del mondo, capace di costituire il centro ideale delle sue ”Storie”. Dal punto di vista strutturale,la “Storia” di Erodoto si annoda alla tradizione dei ”logoi” (narrazione staccate di carattere etnografico e geografico), ma la trascende per una maggiore organicità. Il problema dell’unità compositiva dell’opera (noto come questione erodotea), è stato lungamente dibattuto dai filologi, fino alle illuminanti ipotesi di Gaetano De Sanctis; probabilmente Erodoto mosso dall’intento di narrare una storia persiana, con digressione sui popoli contrari, via via in contatto con la Persia (il II° libro è un amplissimo logos sull’Egitto); quando giunse alla lotta greco - persiana,(V° libro) il polo del suo interesse divenne storiografico, e la visione cosmopolitica lasciò il posto a una prospettiva ellenistica; seguirono rielaborazioni, non ultima te delle precedenti stesure. La questione erodotea è piuttosto artificiosa, dal momento che, a differenza di quanto accade per i poemi omerici, ci troviamo in presenza di un’opera redatta da uno scrittore di precisa fisionomia storica; essa è in ogni caso svalutata da chi considera “Le Storie” soprattutto come opera d’arte. Il fascino di Erodoto nasce dal suo atteggiamento di stupore di fronte al mondo. Costante è il rilievo degli aspetti insoliti o curiosi, o avventurosi degli usi, costumi e attività degli uomini e dei popoli. Il narratore mostra spesso capacità drammatiche nella delineazione di alcuni personaggi (le grandi regine Tomiri, Nitori, Artemisia, Atossa, Creso e Solone; il pazzo Cambise; Milziade; Serse), nel l’enucleazione delle situazioni psicologiche precedenti o seguenti ai fatti d’arme importanti. Il gusto del meraviglioso e il senso del prodigio hanno campo di manifestarsi soprattutto nelle novelle, alcune delle quali famose: Arione e il delfino,;L’anello di Policrate; Rampsinito (un vero romanzo breve); Le Amazzoni, un racconto improntato ad una malizia boccaccesca; Gige e Candalule, una storia piena di ambiguità misteriosa e di fosca tristezza.
Ritenuto il fondatore della storiografia occidentale, Erodoto è soprattutto notevole per la ”gioia del novellare”, tipica degli Ioni, che fa della sua opera storiografica un ”epos” in prosa, e questa prosa semplice, chiara, ma illuminata d’estro brillante, capace di sobrietà lapidaria e di effusivo abbandoto, è miracolo di “primitiva” freschezza e duttilità. L’opera di Erodono, recitata ed applaudita in Olimpia, amata dai Greci come fonte dei più gloriosi eventi della storia patria, è rimasta inimitabile. In lui si è voluto vedere il padre del giornalismo, i cui limiti imposti dalle città-stato, dove la vita si svolgeva nell’agorà, hanno impedito che si andasse al di là dell’informazione orale.
- Note:
- - Da *Eròdoto è identificato con Apis, il toro divino degli Egiziani.
- *Eròdoto: storico greco di Alicarnasso (484 – 428 a.C.), espose in dialetto ionico i risultati delle sue ricerche intorno ai popoli di Lidia, Libia, Persia, Scizia, Egitto, e intorno alla guerra tra greci e persiani; quest’ultima parte è per ampiezza di concezione la più importante e merita a Eròdoto il titolo di padre della storia. Si affaccia nell’opera un inizio di critica storica, ma gli avvenimenti sono ancora considerati come una emanazione diretta del volere divino (l’invidia degli dèi colpisce la prosperità eccessiva). L’opera fu divisa dai filologi alessandrini in nove libri intitolati alle nove muse.
EROE
Nella religione della Grecia antica. era un essere mitico, al quale veniva reso un culto regolare. Si distingueva dalla divinità perché a differenza di questa, veniva considerato mortale, ed anzi tale che, solo la morte, ma una morte eccezionale, lo rendeva capace di sovvenire i bisogni di coloro che lo veneravano. Il culto si svolgeva per lo più sulla tomba attribuitagli; a volte assumeva l’as petto di un tempio o santuario (detto - heroon), e anche le caratteristiche di un culto funerario, con una particolare forma di sacrificio, che lo distingueva dal culto prestato agli dèi. Assicurava una protezione generica (vittoria in guerra, prosperità in pace, buona fortuna nelle varie imprese ecc.), alla comunità che lo venerava. Vi erano inoltre eroi la cui azione trascendeva i miti locali: ai loro santuari la gente accorreva per ottenere responsi oracolari e soprattutto guarigioni. Il mito segue gli eroi fin dalla nascita, per lo più dovuta all’intervento di un dio. Anche l’educazione, di solito lontano dalla patria, è spesso rilevata; educatori sono esseri eccezionali che vivono al di fuori del mondo abitato, come il centauro Chirone, che nella sua grotta fu maestro di Achille, di Ercole e di altri eroi. L’argomento centrale della narrazione mitica era comunque costituito dalle imprese eroiche; guerre, duelli, sterminio di mostri, di giganti, e liberazione di regioni da simili flagelli. Nelle sue lunghe peregrinazioni, prima di giungere alla conquista finale o alla meta della carriera eroica, fondava città, dava leggi, istituiva culti, contribuiva all’installazione del vivere civile.
In questa attività civilizzatrice vanno comprese le invenzioni (musica, canto, scrittura), attribuite ai diversi eroi, e, d’altro lato, la fondazione di stirpi, popoli ecc., per cui venivano ricordati come eponimi di città, regioni e località varie. Essendo una creazione mitica,è improntato ai caratteri del tempo e dell’ambiente in cui il mito nasce; della gente del tempo, egli assomma virtù e difetti, ma riportati in dimensione sovrumane, per cui egli appare come un es sere fuori de l’ordine naturale, civile, etico e sociale del tempo. Nella categoria degli eroi venivano talvolta inclusi personaggi reali, vissuti, le cui gesta sembravano rientrare nello schema dell’azione eroica (fondatori di città, vincitori di agoni ecc.), e che, dopo morti, manifestavano in qualche modo il potere raggiunto con la nuova condizione. In genere, il mito dell’eroe tende a vedere l’aspirazione di una collettività ad identificare in una persona la propria storia e la propria grandezza
Note - A Roma, la figura dell’eroe perde tutte le sue caratteristiche mitologiche e ridiventa il cittadino, che nella normalità della legge ha ben operato per la collettività e lo Stato
EROFILO
di *Calcedonia
Insigne rappresentante della medicina alessandrina, vissuto intorno al 300 a.C. Condusse approfondite ricerche anatomiche, che gli permisero di distinguere i vasi sanguigni dei nervi e di delineare un quadro completo del sistema nervoso, riconoscendo al cer vello la funzione di organo centrale, sede dell’intelligenza.In campo clinico fu ricordato dai posteri per lo studio dei caratteri del polso. Note - Calcedonia - Città della Bitinia antica in Asia Minore di fronte a Bisanzio, nel luogo dell’odierna Kadikov,(colonia megarese 684 a.C.) ; nel 541 vi ebbe luogo il quarto Concilio Ecumenico.
ERONE
Matematico e ingegnere greco, vissuto nel II o Is.a.C.- Mentre sono noti molti dei suoi scritti che ebbero larga diffusione, si hanno scarsissime notizie biografiche. Probabilmente insegnò meccanica in Alessandria d’Egitto e a questa materia, come all’idraulica si dedicò con successo. Si occupò anche con particolare interesse in ricerche e applicazioni nel campo della geometria, soprattutto dal punto di vista pratico; ad essa dedicò un’intera sua opera intitolata “Metricas”.
EROS
Amore-Cupido (gr. Eros = amore) Dio greco dell’amore, nato dal Caos e da Gaia (Terra) o, secondo altri, dal Tartaro e dalla Notte. Conosciuto come fanciullo alato, munito d’arco nelle raffigurazioni, al cui potere veniva attribuita ogni vicenda amorosa. Tale essendo il suo campo d’azione, era immaginato come compagno e a volte quale figlio di Afrodite, la dèa dell’amore. La sua potenza era intesa anche in senso *cosmogonico, quale forma di coesione della natura che spinge gli elementi a combinarsi tra loro e a dare vita alle varie forme della realtà; così Eros, era annoverato tra gli esseri primitivi, non procreati da alcuno, che figuravano nel mito delle origini del mondo. Uno dei luoghi più famosi del suo culto era Tespi, nella Beozia, dove esistevano staue del dio scolpite da Prassitele e da Lisippo.
(Vedi Cupido)
- Note:
- *Cosmogonico
- " che si riferisce alla cosmogonia, cioè alla nascita del mondo. Secondo la mitologia greca la prima cosmogonia nota è contenuta nella Teogònia di Esiodo. Il cosmo ebbe veste poetica da Apuleio nelle Metamorfosi, il cui racconto acquistò notevole valore morale nelle interpretazioni del neoplatonismo e del primo cristianesimo, che vide in Eros il simbolo della gioia eterna; nasce per volere di un dio dal preesistente caos. "
- *Psicanalisi;
- - Eros è l’istinto dell’amore Energia istintiva dell’istinto erotico fondamentale.
- - Astronomia:
- Asteroide costituito da due corpi rotanti, l’uno attorno l’altro; invisibile a occhio nudo, giunge più di tutti gli altri pianeti vicino alla terra,
ES-EV
ESCHILO
Tragediografo.greco (Eleusi,Atene n.525 c/ca a.C. m.Caltanisseta 456 c/ca). Di famiglia aristocratica assimilò la religione locale della Terra Madre e ne fece una componente della sua spiritualità, accanto alla religione delfica di Apollo e a quella di Zeus.
Esordì come attore drammatico nel 490 vincendo la prima gara nel 484, dopo aver combattuto valorosamente a Maratona col fratello Cinegiro. Nel concorso per un epigramma sui caduti di quella battaglia fu superato da Simonide. Divenuto famoso come tragediografo fu invitato da Gerone a Siracusa, dove tra l’altro fece rappresentare le Etnee (una tragedia d’occasione: perduta). Nel 468 fu vinto ad Atene dal giovane Sofocle; dieci anni dopo riportò il suo più grande trionfo con l’Orestea. Cacciato poi da Atene per ragioni oscure, tornò in Sicilia, dove morì. Eschilo ebbe carattere austero; in un epigramma per la propria tomba, non parlò della sua attività di poeta, ricordando solo come un vanto, la sua partecipazione alle guerre persiane. Un suo figlio, Euforione, fu poeta tragico. Dei suoi lavori (73-90), ispirati in parte a miti divini, in parte a leggende eroiche, soprattutto del ciclo troiano, restano sette tragedie intere e centinaia di frammenti. Dal punto di vista della struttura e anche per l’assenza di veri conflitti spirituali la tragedia più antica si ravvisa nelle ”Supplici”, primo dramma di una trilogia completata dagli “Egizi” e dalle “Menadi”, per quanto la sua datazione (circa il 490), sembra ora sovvertita da indizi cronologici emersi da un papiro ove “Le cinquanta figlie di Danao” per sfuggire alle nozze con i cugini egizi, chiedono asilo a Pelago, re d’Argo e ne ottengono la protezione, in virtù dei loro appelli agli dèi e alle ragioni della pietas. I “Persiani” (472), rappresentano l’esperienza della sconfitta di Salamina, nell’animo del popolo vinto. La chiave morale della vicenda è nella grande scena in cui il morto è Dario, evocato dall’oltretomba, indica nello spirito di sopraffazione e nella smodatezza di Serse, la bieca forza che ha scatenato la collera divina, determinando il disastro. In un lavoro di ispirazione patriottica (in senso lato), è autorevole la pietà del poeta, per il dramma spirituale e fisico degli sconfitti. Incerta la datazione e la stessa attribuzione ad Eschilo del ”Prometeo incatenato”, unico dramma superstite di una trilogia completata dal “Prometeo librato” e dal “Prometeo portatore di fuoco” (l’ordine dei tre drammi è discusso). Prometeo, responsabile del fuoco è incatenato su una rupe dove bestemmia Zeus. Questi è un dio prepotente e capriccioso, come dimostra la comparsa in scena della fanciulla Io, piegata da Zeus alle sue voglie e tramutata quindi in giovenca. Ostinato nel suo rancore e invano confortato dalle Oceanine, Prometeo rifiuta la rivelazione di un segreto da cui dipende la sorte di Zeus, ed è subissato da un cataclisma. Nel proseguo della trilogia, Prometeo rappresentante di un ordine antico, si conciliava con l’ordine nuovo, grazie agli interventi di Eracle e di Chirone; la vicenda di Io trovava una soluzione e il fuoco era celebrato fra gli uomini come luce di civiltà.
Nel dramma superstite sembra rispecchiarsi un momento dinamico della storia sacra, per cui Zeus, mentre tende all’instaurazione di un mondo di armonica giustizia, è ancora un tiranno antropomorfo e imperfetto. Tuttavia il blasfemo Prometeo, è sostanzialmente condannato da Eschilo, ben lontano dal titanismo eroico che caratterizzerà il Prometeo di Goethe e quello di Scelley. “I sette contro Tebe” (che nella trilogia erano preceduti da “Laio” e dal “Edipo”), sono databili al 467, ma presentano manipolazioni nel finale. I due figli maledetti di Edipo, Etèocle e Polinice, sono rispettivamente il difensore e l’agressore di Tebe. Sulle mura della città si fronteggiano sette duci tebani e sette duci argivi, mirabilmente descritti; gli assedianti sono respinti e i due fratelli muoiono per mutua mano in duello. La prina parte della tragedia, presenta la lotta fra la libertà e la violenza; nella seconda parte si delinea un conflitto morale. Etèocle trascinato dall’odio fratricida, determina per un atto libero del volere, il verificarsi della maledizione paterna. L’Orestea, comprendente Agamennone, Coefore e le Eumenedi, rappresentata nel 458, è l’unica trilogia superstite. Il primo dramma si apre con l’annuncio della presa di Troia; giunto ad Argo attraversando una successione di fuochi accesi sui monti, Agamennone seguendo un araldo, arriva in patria preceduto dalla profetessa Cassandra, figlia di Priamo e sua concubina, la quale vaticina in un delirio, orrende sciagure. Clitemnestra uccide il marito e la profetessa, con l’aiuto del drudo (amante fedele) Egisto, e si accinge a regnare con lui. La scena più impressionante è quella del delirio di Cassandra, ma in tutti i personaggi e in tutte le situazioni si manifesta il dilemma tra il bene e il male e tra libertà e fatalità, La tensione che pervade il dialogo e i cori, fa di questa tragedia una delle opere “totali” dello spirito umano. Nelle “Coefore”, Oreste, l’esule, figlio di Agamennone, torna ad Argo con l’amico Pilade (incarnazione del volere di Apollo), per vendicare il padre. Si incontra con le “coefore” (portatrici di libagioni), inviate dalla regina alla tomba di Agamennone per stornare i sinistri auspici di un sogno. Riconosciuto dalla sorella Elettra, concerta con lei l’azione, dopo aver invocato in un grande canto a cui partecipa il coro, l’aiuto dei morti. Oreste poi entra in casa con un tranello, (recando cioè il falso annunzio della propria morte) uccide Egisto, e, dopo un allucinante scontro verbale, la madre. Nel finale la sua ragione vacilla, e dinnanzi ai suoi occhi appaiono fantomatiche Erinni, simbolo dello sdegno dei consanguinei uccisi, identificato col rimorso dell’o micida. Uscito di scena, Oreste si ritrova all’inizio delle “Eumenidi”, a Delfi , presso il tempio di Apollo, il dio ispiratore del matricidio. Le Erinni assopite sono eccitate dallo spettro di Clitemnestra, e poi, cacciate da Apollo inseguono Oreste.(ritorna a FEBO) Mutando la scena, questi, appare ad Atene, dove, dinanzi al tribunale dell’Aeropagosi si svolge il processo per il suo delitto. Difeso da Apollo, Oreste è graziato dalla dèa Atena, e poi chè i voti di assoluzione e di condanna risultano pari, le Erinni si mutano, dopo tenaci resistenze, in Eumenidi, cioè in divinità ”benevole”, e sono scortate da una processione alle nuove sedi del loro culto.
Eschilo ha una visione chiara del rapporto tra colpa e pena; gli dèi puniscono non per una capricciosa invidia la prosperità degli uomini, ma la prevaricazione.(hibrys). L’esistenza è gravata da forze fatali, soprattutto l’ereditarietà della colpa, per cui il sangue versato chiama altro sangue; ma è sempre un moto libero della volontà umana a far precipitare le sospese forze del destino.
Sul piano teologico, Eschilo appare un monodeista. Il suo Zeus che indipendentemente dal nome con cui è adorato, incarna il su premo polo della fede e della speranza, è congiunto con Dike (la Giustizia), e appare anche un dio salvatore, dacchè dopo aver travagliato l’uomo, interviene a redimerlo, inserendolo in un ordine etico e giuridico basato sulla “pietas”e sul rispetto del limite.
La concezione trilogica consente di presentare nella sua intierezza una vicenda mitica, mostrando il passaggio dalla sofferenza alla conoscenza del male e del bene. Una sorta di prospettiva cosmica anima il teatro di Eschilo, una poesia sostenuta, tesa, traboccante di metafore, oscura per una straordinaria densità verbale. Paragonato a Shakespeare. per la sua potenza di drammaturgo, Eschilo somiglia soprattutto a Dante Alighieri, per l’austero vigore del carattere, e per il possesso di una fede religiosa che gli consente di trovare un senso nella febbrile canticità delle vicende e delle passioni.
- Note:
- - Le versioni italiane sono per lo più inadeguate; la migliore versione dell’Oreste è senza alcun dubbio quella di Manara Valgimigli.
ESCHINE
Uomo politico e oratore greco nato ad Atene nel 390 circa a.C. Figlio di un ex atleta divenuto maestro di scuola, ebbe varie attività (fra l’altro fu anche attore). Partecipò alle ambascerie inviate a Filippo il Macedone in occasione della pace di Filocrate (346 a. C.) e, convintosi della superiorità del re, fu filo-macedone e pacifista. Nell’orazione “Contro Trimarco”(346-345), sostenne l’improponibilità delle accuse mossegli in seguito alla seconda delle suddette ambascerie per indegnità morale dall’accusatore. Nell’orazione “Sulla mala ambasceria” (343), si difese con successo dalle accuse di tradimento, aggredendo e ridicolizzando il suo rivale Demostene. Ma nel 330 la sua arringa “Contro Ctesifonte”, con cui si oppose alla concessione d’una corona a Demostene, non raggiunse il quinto dei voti, nonostante il limpido senso procedurale e giuridico sfoggiato; condannato ad un’ammenda, scomparve dalla scena politica di Atene, recandosi a Efeso e quindi a Rodi, dove aprì una scuola. Non sorretto da altri ideali, né da una chiara visione politica, indulse talvolta in un pedantesco moralismo e alla speciosa sottigliezza del caustico. Ma la sua prosa ricca, sostanziosa, piena di reminiscenze letterarie, arguta e densa, ha il respiro della grande eloquenza.
ESEDRA
Etimologicamente; sala munita di sedili, tipico dell’architettura civile romana, ma era già presente in Grecia, dove evidentemente nasceva dalle necessità della conversazione e dell’insegnamento, e in generale della vita collettiva. Lo schema dell’esedra era dei più elementari. Trattavasi di un emiciclo aperto su di un lato, provvisto di sedili fissi, talvolta coperto o porticato. Questo organismo architettonico, era molto frequente nell’antichità classica, non solo come costruzione pubblica, o privata, ma anche come complesso monumentale (Foro di Augusto a Roma), e non mancano nemmeno le tombe a esedra con sedili e schienali per il riposo dei viandanti (tomba della sacerdotessa Mamia a Pompei). Nella sua eccezione classica fu dimenticata sino al Rinascimento, in cui se ne edificarono di splendide.
ESCULAPIO
Figlio di Apollo e di Coronide, dèa della medicina; è forma latinizzata di Asklepios, eroe-greco, celebrato come medico, a volte, specie in epoche più recenti, quale dio della medicina. Era celebrato nei santuari di Epidauro (forse il luogo originario del suo culto), di Atene e di Cos. Quvi si recavano i malati, dormendo sulla nuda terra (incubazione): il dio appariva loro in sogno, indicando il rimedio per guarire. Altro mito lo vuole figlio di Ermete e della ninfa Coronide, e suo attributo costante era il serpente.
Il suo culto si diffuse presto un pò ovunque e i suoi santuari erano chiamati asclepiei e ubicati usualmente su alture o luoghi salubri. Avevano al centro una fonte, considerata il luogo più sacro, ed erano contornati da porticati, dove si riparavano gli infermi e i pellegrini. I sacerdoti erano per lo più medici, che curavano con mezzi empirici ed anche con interventi chirurgici. Asclepio risuscitò con l’arte sua Orione, Capanno e Ippolito. Fulminato per questo da Giove, fu trasportato in cielo a formarvi la costellazione del Serpentario .
(ritorna a ASCLEPIO)
ESIODO
Poeta greco nato ad Ascra in Beozia e fiorito tra l’ VIII° e il VII° s.a.C. Considerato il padre della poesia didascalica occidentale. Nel suo ”borgo selvaggio”, dove il padre si era trasferito da Cuma eolica, visse coltivando un magro podere, ma causa una lite col fratello Perse, si vide sottrarre la sua parte di eredità. La sua vittoria in una gara poetica a Calcide, fece nascere la leggenda di una sua sfida ad Omero, di cui egli è certamente posteriore di molto. Fantasiose sono anche le notizie sulla sua morte. La tradizione attribuì ad Esiodo una gran copia di opere, di cui le principali sono: la “Teogonia”, le “Opere”, i “Giorni”, e lo “Scudo di Eracle”, che certamente non gli appartiene. L’unità di composizione delle opere maggiori e l’attribuzione totale o parziale di esse al poeta, sono state oggetto di una spinosa “questione esiodea”, dibattuta sin dal secolo XVIII°, e analoga alla questione omerica. Oggi si inclina a riconoscere alla “Teogonia” e alle “Opere” una fondamentale unità, anche se innegabili appaiono le interpolazioni e le alterazioni. La”Teogonia”, è un’opera di sintesi teologica, in cui il poeta attingendo in parte ad una religione extra olimpica e preomerica, riassume la storia genealogica degli dèi. L’esposizione ha la forma di un catalogo, ma si apre a svariati tesori,
ESIONE
Esione è un personaggio della mitologia greca, figlia del re Laomedonte e sorella di Priamo.
Fu una principessa troiana, figlia di un uomo crudele e irrispettoso degli dei. Laomedonte offese infatti gli dei Apollo e Poseidone che avevano innalzato le mura di Troia, rifiutando di versare il compenso pattuito, e fu punito in modo tale che un mostro marino devastasse i raccolti del suo regno rovesciando acqua marina nei campi e divorasse gli abitanti. Laomedonte consultò l'oracolo di Zeus Ammone e seppe che il suo regno avrebbe ritrovato la pace se avesse offerto la propria figlia Esione in pasto alla bestia. Il re si rifiutò di ascoltare il consiglio e pretese che fossero i nobili troiani a sacrificare per primi le loro figlie. Essi consultarono a loro volta l'oracolo di Apollo che, irato non meno di Poseidone, s'astenne dall'emettere responsi. Laomedonte cercò allora di appropriarsi delle tre figlie di un certo Fenodamante e lo istigò ad esporle sulla spiaggia. L'uomo sbottò, sollevò i presenti all'assemblea contro Laomedonte e urlò che il re era l'unico responsabile delle loro disgrazie e che quindi dovesse sacrificare Esione esponendola al mostro. La discussione si risolse con un sorteggio, e la sfortunata fu la stessa Esione.
La fanciulla fu incatenata a una roccia completamente nuda e adornata solo da gioielli, in lacrime, e qui fu scorta da Eracle in cammino dopo essersi battuto con le Amazzoni. L'eroe la liberò dai ceppi e si recò in città per offrirsi di stroncare il mostro marino in cambio di una coppia di bellissimi cavalli, dono di Zeus a Laomedonte per risarcirlo del ratto di Ganimede. Il re premiò poi l'eroe dandogli in sposa la stessa Esione, ma lo invitò ad andarsene lasciando sia la fanciulla sia i cavalli in città.
Eracle tornò a Troia anni dopo per sistemare i conti con il malvagio re. Radunò un imponente esercito ed espugnò la rocca di Troia, saettando con le sue frecce Laomedonte e i suoi figli, salvo Podarce e la stessa Esione. Eracle concesse a Telamone, suo compagno nella spedizione, di prendere in sposa Esione e ad essa permise di riscattare uno dei prigionieri. La fanciulla scelse il fratellino Podarce e lo riscattò con il velo dorato con cui era coperta. Da allora, egli prese il nome di Priamo che significa «riscattato».
Esione seguì il suo nuovo compagno, Telamone, sull'isola di Salamina e qui gli diede un figlio, Teucro. Un giorno, essa lasciò il marito incinta, si recò in Asia Minore e raggiunse a nuoto Mileto, dove fu sorpresa in un bosco dal re Arione. Poi diede alla luce un figlio, Trambelo, che il re allevò come se fosse proprio. Spesso la madre di Trambelo è Teanira, una prigioniera troiana.
"Aesiona" è anche il titolo di una cothurnata di Nevio, la cui trama era appunto la storia di Esione salvata da Telamone. La trama assomiglia molto a quella dell'Andromeda - tragedia scritta da Livio Andronico.
(Vedi Cothurnata)
(da wikipedia)
ESQUILLINO
Uno dei sette colli di Roma.
ESPEREDUSA
La seconda delle Esperidi; figlia della Notte e dell’Oceano
ESPERIA
Esperia nome che significava per i Greci antichi "terra dell'occidente" e quindi anche l’Italia.
ESPERIDI
Ninfe, figlie della Notte e dell’Oceano; personificazioni delle onde dell’Oceano. Abitavano all’estremo occidente un giardino pieno di pomi d’oro, custodito da un drago, poi ucciso da Ercole.
I loro nomi: Egle, Esperedusa, Aretusa.
Altra versione; figlie di Atlante, abitanti in”un paradiso”, localizzato ad Occidente (Esperidi = occidentali), in un’isola o nell’Africa settentrionale (Pirenei o Marocco), dove appunto custodivano un albero che produceva pomi d’oro. In un’altra versione ancora sarebbero le tre figlie della Notte, ninfe, che col drago Ladone, custodivano in un’isola del più estremo occidente, i pomi d’oro che Gea aveva regalato a Era in occasione delle sue nozze. Ercole uccise il drago e rapì i pomi, ma, secondo un’altra versione ancora li fece rapire ad Atlante, che lì presso, reggeva sulle spalle la volta celeste, sostituendolo per poco nell’immane fatica.
(vedi ATLANTE)
ESPERO
E' il pianeta della sera; Venere vesperina. Al suo apparire gli antichi conducevano la giovane sposa alla casa del marito; il bellissimo epitaffio di Catullo recita:
"Vesper adest, iuvenes consurgite:
vesper Olympo
Expectata diu vix tandem lumina tollit ecc."
- Nome dato al pianeta Venere che talora precede il sorgere del Sole, talora iil tramonto. E' nome dell'ora canonica che precede la sera (Vespero o Vespro una delle sette ore canoniche)
ESTIA
Figli incestuosi di Edipo e di Giocasta. Secondo un mito greco, (reso celebre dalla tragedia di Eschilo ”I sette contro Tebe”), i due fratelli vengono a conflitto per il rifiuto di Eteocle a lasciare il trono al fratello, come prevedeva un precedente accordo fra loro, cacciandolo dalla città. Polinice ritornò per espugnare la città aiutato da altri sei re, ma i suoi alleati trovano la morte sotto le mura della città e i due fratelli si uccidono scambievolmente in combattimento. Il senato di Tebe decretò per Eteocle grandi onori, come difensore della patria, mentre a Polinice negò persino la pace del sepolcro.
(Vedi Edipo)
ETICA
Dal greco "ethos = costume", corrispondente al termine latino ”mos”, da cui il termine italiano”morale”. Designa ogni dottrina che pone come oggetto della sua elaborazione speculativa il comportamento pratico dell’uomo. L’etica filosofica, perciò si distingue sia dai positivi comandamenti o prescrizioni che emanano da una qualunque fonte (religioso, filosofica, giuridica, politica) sia dalle scienze descrittive che hanno per oggetto le azioni umane, le loro classi e tipi, in quanto non ha prescrizioni da fare e non si affida ad un metodo classificatorio. La storia dell’etica coincide con la storia della filosofia, per la parte che si riferisce alle teorie circa l’attività pratica e il bene. Il problema di un’etica si propone nel mondo greco quando il sistema religioso-politico della polis cade sotto la corrosiva critica dell’umanesimo sofistico. Si trasferisce poi nella speculazione di Platone e di Aristotele nel primo divenendo fondamento per una teoria dell’immortalità dell’anima individuale, nel secondo conformandosi a principio organizzatore della società, mentre poi il filone edonistico che già si era espresso nella sofistica, e contro il quale aveva polemizzato Platone, si ripropone con l’epicureismo. Il cristianesimo combattè aspramente l’etica filosofica del mondo classico, cui rimprovera un insuperabile naturalismo avvertendosi portatore di un principio etico volontaristico e spiritualistico, fondato sull’amore del prossimo e rivolto alla trascendente realtà finale del Regno di Dio. La radicale trasformazione che questi nuovi principi introducono nella concezione della vita e del mondo, fanno dell’etica cristiana la sostanziale protagonista della civiltà medievale in tutte le sue forme, non escluse quelle artistiche e social-politiche. Lo slancio etico verso il trascendente,che struttura una cosmologia finalistica, dà origine anche ad una organizzazione politica della società (Chiesa e Impero). Ciò spiega come la nascita di un mondo moderno in età umanistica e successivamente nel Rinascimento si manifesti come opposizione allo spirito del Medio Evo, e come una difesa della realtà terrena contro l’opressiva preminenza di quella celeste.
ETOLIA
Regione storica della Grecia centrale, oggi con l’Arcanania è dipartimento. Ricca di boschi e montuosa, celebre nella storia anti ca la Lega che gli Etoli fecero con i Romani, contro il re dei Macedoni,
ETRUSCHI
(da l'Italia prima di Roma)
ETRA
Etra (in greco antico: Αἴθρα, Aithra, "serenità", "cielo splendente"[1]) è un personaggio della mitologia greca moglie di Egeo e madre di Teseo.
Indice
1 Mitologia
2 Note
3 Bibliografia
3.1 Antica
3.2 Moderna
4 Altri progetti
5 Collegamenti esterni
Mitologia
Figlia di Pitteo il re di Trezene fu data in moglie ad Egeo il re di Atene da cui ebbe come figlio Teseo.
Secondo altre versioni il padri di Teseo sarebbero Poseidone e Climeno[2][3].
Etra ricevette il compito di custodire lo scudo, la spada ed i calzari di Egeo sotto una roccia con l'impegno di consegnare tali oggetti a Teseo una volta divenuto adulto ed in grado di combattere.
Dopo la salita al trono di Atene di Teseo, Etra fu catturata dai Dioscuri nella guerra che essi mossero contro suo figlio per recuperare Elena. Ridotta al ruolo di servitrice della principessa, che seguì con Tisadia a Troia, fu liberata solo alla presa della città su richiesta dei nipoti Demofonte e Acamante[4].
(da wikipedia)
ETTORE
Figlio di Priamo re di Troia,e di Ecuba. Sposo di Andromaca e padre di Astianatte è il maggiore degli eroi troiani, animatore del la riscossa durante l’assenza di Achille. Viene ucciso da lui, per vendicare la morte dell’amico Pàtroclo. Dopo tre giorni di strazio, il suo corpo viene reso al padre e onorato della sepoltura. Prediletto degli dèi Ares e Apollo, è il più umano degli eroi omerici per il suo amore per la famiglia, per lo spiccatissimo senso del dovere e dell’onore. L’addio di Ettore alla moglie Andromaca ed al figlio Astianatte (Iliade libro VI°), è fra le pagine più altamente umane del poema; così come a pari grandezza artistico poetica assurge il canto del suo duello con Achille e della sua morte. Troia perde il suo massimo eroico difensore paragonabile in valore a qualunque altro degli eroi greci, ma con la risolutezza e la calma quasi rassegnata di chi difende e non di chi offende.
Omero lo descrive anche nella felicità degli affetti domestici nel libro VI° .
Note - Eroe per antonomasia; caduto per la Patria.
EUBEA
(In greco Euvoia o Evvia); anticamente la Negroponte isola greca del Mar Egeo situata lungo la costa orientale della Grecia continentale da cui è separata tramite alcuni bracci di mare (Canale di Trikerion, Golfo settentrionale dell’Eubea, Golfo Meridionale dell’Eubea, e Golfo di Petalia). L’Eubea si estende per 3654 kmq, ha forma stretta e allungata in direzione NO-SE, è prevalente mente montuosa e collinosa con l’altitudine massima di 1745 mt. nel monte Dìrfis, nella sezione centrale dell’isola. L’unica città di qualche importanza è Calcide, situata sulla costa occidentale al centro di una fertile pianura agricola, nel punto dell’isola più vicino alla terra-ferma. La Provincia di Eubea comprende pure le isole di Petalio, Sciro e le isolette adiacenti.
EUCLIDE
Matematico greco vissuto nel IV - III s.a.C. Non si sa dove sia nato e morto ;è noto tuttavia che regnando Tolomeo I, insegnò ad Alessandria d’Egitto. Durante la sua vita si occupò in parte di ricerche originali e in parte al coordinamento dei risultati di quelle anteriori a lui. La fama di Euclide è soprattutto basata sull’opera intitolata “Elementi” in cui si trova quanto era stato conseguito fino ad allora dalla geometria greca. Essa si compone di tredici libri, un XIV e un XV sulla geometria solida sono da ritenersi opera di geometri posteriori. Nei primi quattro libri si trovano i teoremi fondamentali della geometria piana; nel V° e nel VI° è sviluppata la teoria delle proporzioni e vengono introdotte le grandezze incommensurabili; i libri VII° - VIII° - IX°, trattano di aritmetica. Il X° di una classificazione dal punto di vista geometrico, dei numeri irrazionali, risultanti da due radicali quadratici sovrapposti, sviluppando i risultati di Teodoro di Cirene e di Teeteto. Nei libri XI° e XII°, sono esposti i temi fondamentali della geometria solida; nel XIII° sono costruiti i cinque poliedri regolari e si dimostra che non ve ne sono altri. La trattazione di Euclide impostata in modo sistematico e razionale inizia con una serie di premesse, ossia definizioni, postulati e nozioni comuni; per le varie costruzioni geometriche è concesso solamente l’uso della riga e del compasso. I singoli teoremi, ossia le deduzioni logiche delle premesse sono enunciati in termini generali; sono poi indicate ove ciò sia necessario le condizioni cui debbono soddisfare i dati per la validità del teorema; si ha quindi la ripetizione dell’enunciato sulla figura e poi la “costruzione”, ossia il disegno delle linee ausiliarie, a cui segue la ”dimostrazione”, che termina con la ripetizione dell’enunciato. Nelle dimostrazioni, Euclide usa il metodo della riduzione all’assurdo, ma quasi sempre ricorre a tutti gli artifici logici atti a condurre allo scopo con la maggiore rapidità e sicurezza. Famoso negli “Elementi” è il quinto postulato che si può enunciare nel modo seguente: ”per un punto di un piano fuori di una retta, si può tracciare una e una sola retta parallela a quella data “. Per molto tempo si tentò di provare che questo postulato è conseguenza dei rimanenti, ma soltanto due millenni dopo fu dimostrato esserne invece indipendente. A Euclide sono dovute alcune altre opere. Quella nititolata ”Dati”; tratta di una speciale categoria di proposizioni, designate appunto con tale nome, perchè ognuna afferma l’esistenza di una determinata figura di cui si conoscono certi elementi, o dati, di posizione o di grandezza, Un’altra opera di cui si hanno tracce nella letteratura araba, è “Della divisione delle figure”; in essa è esposto come dividere una data figura in parti aventi fra loro relazioni prestabilite. Un lavoro analogo al precedente “I Prismi” è andato perduto; la stessa sorte è toccata a un’opera che sembra fosse una collezione di paradossi. Nell’opera “Fenomeni”, diede una descrizione della sfera celeste dal punto di vista geometrico; si occupò anche di musica e di ottica, su cui sembra abbia scritto due brevi trattati.
EUDOSSO
di Cnido
Geometra e astronomo greco, (Cnido 408 a.C. circa - 355 o 353). Fondò a Cizico nella Propontide una scuola che assunse presto a meritata fama. La sua originalità, come geometra, è comprovata dal fatto che a lui viene attribuito il V° libro degli elementi di Euclide, dovè spiegata la teoria delle proporzioni. Quasi certamente risale a Euclide la dimostrazione che una piramide è la terza parte di un prisma di eguale base e altezza, nonchè quella sull’uguaglianza fra i rapporti di due sfere e i cubi dei diametri relativi. Spetterebbe pure a lui di avere enunciato e applicato un principio equivalente e aver delineato il “metodo di esaustione" procedimento che, prima dell’introduzione del calcolo differenziale, interveniva nella determinazione di aree e di volumi. La ricostruzione avvenuta per opera dello Schiapparelli, del suo sistema astronomico, passato nella cultura posteriore attraverso i “Fenomeni” di Arato, permette, fra l’altro, la sua geniale concezione delle “sfere omocentriche”, per spiegare i fenomeni offerti dal movimento apparente degli astri. Dal punto di vista filosofico sembra ch’egli tendesse a interpretare le idee platoniche nel senso delle omeometrie di Anassagora. Certo è. che in etica, professò una forma assai nobile di edonismo, che suscitò grandi discussioni, e ne è testimonianza massima il “Flebo”platonico.
EUMENIDI
Figlie di Acheronte e della Notte, divinità infernali, vendicatrici dei delitti familiari.
(ritorna a FURIE)
EUMOLPO
Secondo la mitologia greca, Eumolpo era il figlio di Poseidone e Chiono (o di Hermes ed Aglaulo). Secondo alcuni autori, era figlio o padre di Museo.
Secondo la Bibliotheca, dello Pseudo-Apollodoro, Chiono, figlia di Borea e di Oritia, incinta di Eumolpo da Poseidone, spaventata dalla reazione di suo padre, gettò il bambino nell'oceano. Poseidone si prese cura di lui e lo portò sulle rive dell'Etiopia, dove Bentesicima, una figlia di Poseidone ed Anfitrite, crebbe il bambino, che sposò poi una delle due figlie di Bentesicima, avute da suo marito Etiope. Eumolpo tuttavia amava l'altra figlia e fu esiliato per questo. Si recò allora con suo figlio Ismaro in Tracia. Lì, fu scoperto quale complice di un complotto volto a rovesciare il re Tegirio, e perciò si rifugiò ad Eleusi.
Ad Eleusi Eumolpo divenne uno dei primi sacerdoti di Demetra ed uno dei fondatori dei Misteri Eleusini. Egli iniziò a tali misteri l'eroe Eracle.
Quando Ismaro morì, Tegirio andò a cercare Eumolpo; i due si riappacificarono ed Eumolpo ereditò il regno di Tracia.
Eumolpo era un eccellente musicante e cantore; suonava l'aulos e la lira. Egli vinse una gara musicale ai giochi funebri in onore di Pelia ed insegnò la musica ad Eracle.
Durante una guerra tra Atene ed Eleusi, Eumolpo si schierò con Eleusi. Suo figlio, Immarado, fu ucciso dal re di Atene Eretteo. Secondo alcune fonti, Eretteo uccise anche Eumolpo e Poseidone chiese a Zeus di vendicare la morte di suo figlio. Zeus, allora, uccise Eretteo con un fulmine o, secondo altri, Poseidone spaccò la terra ed inghiottì Eretteo.
Eleusi perse la battaglia contro Atene ma gli Eumolpidi e i Cerici, due famiglie di sacerdoti di Demetra, continuarono i Misteri Eleusini. Fu il figlio minore di Eumolpo, Cerice a fondare entrambe le stirpi.
(Ritorna a Chiono)
EUPLEA
Epiteto di Venere
EURO
Vento di levante.
EURIALE
Una delle figlie di Forco e Keto; mostro femminile, le altre due sono: Medusa e Steno
(Vedi Gorgoni)
EURIALO
e NISO
Eroi dell’Eneide di Virgilio (libro.IX): giovani e legati da tenera amicizia. Mentre il campo troianio è assalito da Turno, decidono nottetempo di passare le linee nemiche per informare Enea, ma sono scoperti e uccisi. La madre di Eurialo, apparteneva alla stirpe di Priamo; vi era quindi una certa parentela con Ascanio, perchè sua madre Creusa era figlia di Priamo.
EURICLEA
Nutrice di Ulisse; personaggio dell’Odissea di Omero.
EURIDICE
Mitica ninfa sposa di Orfeo.
- Note:
- "– Euridice anche il nome della moglie di Creonte nell’Antigone di Sofocle."
EURIMEDONTE
EURINONE
Moglie di Zeus e madre delle tre Grazie.
EURIPIDE
Poeta tragico greco (n.Salamina 480 – m. Pella Macedonia 406 a.C.). Molti sono i particolari della sua vita; figlio di un erbivendola avrebbe avuto due mogli infedeli e sarebbe finito sbranato dai cani. Appaiono deformazioni o invenzioni di poeti comici o di tardi biografi. Non partecipò alla vita politica, ma visse con trepidazione le vicende del declino di Atene e mostrò continua sollecitudine per i problemi istituzionali e per situazioni contingenti della sua patria. Assai colto, sentì molto l’influsso di Anassagora e dei sofisti di Socrate. Esordì nel teatro nel 455; vinse la gara tragica pochissime volte. Non compreso dal pubblico, osteggiato dai rivali, schernito dai commediografi, nel 408 esulò in Tessaglia e in Macedonia, dove ebbe onori dal re Archelao. Dopo la morte ebbe una popolarità e una fortuna scenica di gran lunga maggiore di quella di Eschilo e di Sofocle. Quest’ultimo gli sopravisse e quando Euripide morì, presentò i corenti vestiti a lutto. Dei 92 lavori a lui attribuiti (autentici 65), restano 17 tragedie, a cui si aggiunge il “Reso”, certo non suo, un dramma satiresco “Il Ciclope”, e più di un migliaio di frammenti. L’Alcesti (438), ultimo di una tetralogia, dato in luogo del dramma satiresco, presenta il sacrificio di Alcesti che dà la propria vita per salvare il marito Admeto, finchè Eracle in riconoscenza dell’ospitalità ricevuta nel frangente luttuoso, la strappa a Thànatos (la Morte), restituendola allo sposo e ai figli. La patetica figura della protagonista, che vediamo nell’agonia e nella morte, domina la tragedia, per il resto piuttosto gracile. Del 431 è la “Medea”, uno dei lavori più celebri e imitati del teatro gre co. Medea,una maga della Colchide, dopo aver aiutato coi filtri l’amato Giasone alla conquista del Vello d’oro, è da lui abbandonata per un matrimonio regale ed è cacciata da Corinto dal re Creonte. Per mezzo dei figli, Medea invia alla sposa un abbigliamento nuziale che si rivela uno strumento di morte. (la principessa e Creonte periscono tra gli spasimi); poi uccide i figli di propria mano fuggendo verso Atene sul carro del Sole. Animata da un odio barbarico, presa in un delirio ossessivo di vendetta, ma nell’addio ai figli, l’indugio con templativo sulle loro tenere carni, che non vale a trattenerla sulla china fatale, porta all’apice la tragicità del suo strazio). Medea mette in ombra le altre figure della tragedia, scabra, schematica e sconcertante. Un’altra grande figura femminile è nell’ “Ippolito”(428), dramma dell’incestuoso amore della matrigna Fedra per il castissimo figliastro Ippolito, figlio di Teseo. Quando la nutrice, impietosita dal delirante struggimento di Fedra, rivela a Ippolito, l’insana passione di lei, il giovane oppone sdegnanti repulse. Fedra si sottrae alla vergogna uccidendosi, ma, per una cieca smània di difendere il proprio onore, accusa Ippolito in una lettera menzognera, d’averla violata. Il giovane è maledetto dal padre e trascinato a morte dai suoi cavalli imbizzariti. La verità è svelata alla fine dalla dèa Artemide. La tragedia, che fu imitata infinite volte, è sostanziata dalla problematicità dell’amore. La castità programmatica di Ippolito è il caso limite della sordità contro cui può urtare la passione; costituisce la radice di un dramma di incomunicabilità che si conchiude con la rovina di entrambi. Dopo gli “Eraclidi”(429-427), una tragedia poco felice, la “Aucuba” (425 - 424), articolata in due parti distinte; ”l’Andromaca” (421 - 420), poco unitaria, mirabilmente rielaborata da Racine, le “Supplici” (circa 421), ricca di allusioni politiche. Euripide, raggiunse un’altra tappa del suo cammino artistico con l’ ”Eracle”, presentando una vicenda di raccapriccianti contrasti, per cui il salvatore dei suoi cari diviene omicida, il fortissimo eroe, travolto dalla follia, si riduce in una misera larva; spettacolo del capriccio divino e dell’infelicità incolpevole. Una tragedia corale sono le “Troiane” (415); denuncia implicita dell’assurdità della guerra e quadro desolato di una sconfitta. Una geniale novità rispetto alle “Coefore” di Eschilo e all’ “Elettra” di Sofocle, fu l’”Elettra“ che Euripide fece rappresentare nel 411 - 413 circa; e gli “Imborghesiti”, con elementi romanzeschi e patetici la nota vicenda del riconoscimento e della vendetta, facendo di Elettra la moglie intatta e intristita di un campagnolo, rievocando il matricidio nel canto, e suggellando la storia in un clima di trasognato sbigottimento. Una brillante situazione di sdoppiamento della personalità è alla base dell’“Elena”(412); il gusto dell’intreccio complicato, si riscontra nell’ “Ifigenia Taurica” e nell’ “Ione”, scritte nello stesso torno di tempo. La prima è famosa, se non altro per la rielaborazione di Goethe; la seconda è una vera e propria commedia, sia nel meccanismo, alquanto freddo, sia nell’accentuato carattere borghese dei personaggi e delle situazioni. Una tragedia pletorica, ma ricca di momenti bellissimi sono “La Fenicie”(circa 410); grande importanza ne aveva la musica, che talora si sovrapponeva al valore della parola. Lo stesso può dirsi per “l’Oreste" (408), un lavoro disuguale e composito. Due capolavori sono le ultime tragedie sue rappresentate postume, poco dopo il 406 a cura di un figlio del poeta : ”L’Ifigenia in Aulide” e le “Baccanti”. La prima rappresenta i lunghi dissidi interni di Agamennone, costretto da un vaticinio a sacrificare la figlia Ifigenia. Le “Baccanti” sono l’unica tragedia di argomento dionisiaco, che posse diamo. L’ebbrezza dionisiaca è il lievito costante dell’opera, percorsa da un vento di musiche, canti, balli, cacce frenetiche, operazioni prodigiose. Nel “Ciclope” unico esempio di dramma satiresco, a noi giunto, il poeta riprende gli elementi umoristici del l’episodio Omerico di Polifemo e Odisseo. Euripide è il poeta della ricerca; ritenuto un ateo, poiché opera di continuo uno smantellamento delle divinità tradizionali, mentre lo stesso spirito eroico appare in lui deformato e avvilito dall’interesse per i personaggi deboli e mediocri, umili e odiosi. In effetti la polemica religiosa fu da lui diretta contro l’Olimpo tradizionale, proprio in no me di un’esigenza acutissima, dell’eticità del divino, da cui erano lungi da corrispondere i fantocci del mito. Quanto agli eroi, il poeta ne assunse i nomi tradizionali, ma sentì i personaggi tanto più validi e universali, quanto maggiore era la loro concretezza nelle singole vicende e nella nuova e libera propspettiva in cui erano visti. Così, servendosi di un bagaglio di leggende e figure no te, ma da lui alterate e modificate, Euripide penetrò a fondo l’animo umano, con un introspezione analitica della psicologia, mai tentata prima d’allora. Lo spettacolo degli uomini vili e ipocriti, briganti e pazzi, sognanti e delusi, volubili e caparbi, tortuosi e veementi, non cessò di affaticare e appassionare il poeta. La sua ansia di capire e il suo rovello talora di non capire, si tradusse in atteggiamenti critico - sofistici, spesso stridenti con le parti schiettamente poetiche dei suoi drammi; di qui, fratture e salti di tono. Ma le risorse poetiche di Euripide sono insigni; ricercatore anche sul piano formale, sperimentatore di tecniche drammatiche, musicista d’avanguardia, incline a fare della tragedia un vero e proprio melodramma, uomo di teatro capace di larghe concessioni agli elementi spettacolari. Poeta originalissimo, spirito tormentato e disperato, trova i toni più suoi nel patetico, cioè nella commozione ottenuta con il palpito degli affetti. Ma la ricchezza e soprattutto l’apertura della sua spiritualità, è di tale importanza ch’è vano racchiuderla in formule. “Euripide è l’eroico poeta del possibile
EURIPO
Braccio di Mare tra l’ Eubea e la Beozia, famoso per le sue correnti; per esteso ogni stretto di mare angusto e tempestoso. Dicesi euripo la fossa scavata intorno all’ arena del Circo Massimo a Roma.
EURIPONTE
Figlio di Procle.
EURIPONTIDI
EURISTENE e PROCLE
Gemelli, discendenti di Ercole, mitici fondatori delle due dinastie reali dominanti nell’antichità a Sparta: gli Agiati (da Agide figlio di Euristene) e gli Euripontidi (da Euriponte, figlio di Procle).
EURISTEO
Nella mitologia greca, re di Micene, cui Era sottomise per dodici anni Ercole. Per paura dell’eroe e con la speranza di farlo soc combere, gli impose le famose dodici fatiche. Perseguitò poi i suoi discendenti, gli Eraclidi.
EURITO
Re di Ecalia, padre di Iole, pronipote di Apollo, maestro di Ercole nel tiro all’arco.
EURO
Euro è propriamente un vento che spira da levante a mezzo dì.
EUROPA
Mitica eroina greca figlia di Fenice, re eponimo dei Fenici. Amata e rapita da Zeus, che, apparsole sotto forma di toro, la con dusse a Creta. Dall’unione nacquero Minosse, Radamante e Sarpedonte. I primi due furono i primi re cretesi e dopo morti, giudici agli Inferi. Alcune varianti del mito narrano che si trattava del toro di Creta, inviato da Zeus; fu poi sposa di Asterione, re di Creta. Un altro mito la vuole sorella di Cadmo re e fondatore della città di Tebe. In origine era una divinità lunare.
(Vedi Cadmo)
EUROTA
(Basili-potamo) Fiume che nasce sui confini d'Arcadia, scorre verso Sud-Est nel golfo di Laconia.
- Note:
- "- Leda fu violata su quelle sponde da Giove, che per l'appunto si converse in cigno."
EUSIPPO
Filosofo greco (Mileto ? seconda metà del sec.V°a.C.) Si sarebbe allontanato da Mileto durante la rivolta aristocratica del 450 - 449, recandosi prima ad Elea, dove avrebbe appreso da Zenone la fisolofia eleatica, e poi ad Abdera, dove sarebbe diventato maestro di Democrito. Gli vengono attribuite due opere: la “Grande Cosmologia“ e “dell’ Intelletto“, da cui è tratto l’ultimo framento rimastoci; ”niente avviene a caso, ma tutto, secondo ragione e necessità”. Sarebbe stato il primo filosofo a porre gli atomi come principi di tutte le cose. Tuttavia, anche concesso questo, sarebbe arduo distinguere cosa sia da attribuirsi propria mente a lui di quella filosofia atomistica che certamente nella sua formulazione sistematica è dovuta a Democrito, al cui nome quello di Leusippo è costantemente legato. In Democrito detto l’abderide sapienza, in contrapposizione a Eraclito detto il piangente
EUTERPE
Musa della musica; presiedeva alla lirica auletica (arte di suonare il flauto)
EUTROPIO
Flavio Eutropio
(in latino: Eutropius; floruit 363-387; Bordeaux, III secolo – dopo il 387) è stato un politico, scrittore e un maestro di retorica romano.
Era probabilmente di origine italica (così è citato nella Suda)[1]. Ricoprì in due riprese importanti cariche pubbliche sotto vari imperatori. Professava il paganesimo.
Prese parte alla campagna sasanide dell'imperatore Giuliano nel 363. Successivamente ricoprì incarichi di estrema importanza a Costantinopoli, al servizio dell'imperatore Valente (364–378), di cui fu segretario e storico (magister memoriae) e su richiesta del quale scrisse il Breviarium ab Urbe condita ("Breviario dalla fondazione di Roma"). Nel 371/372 fu proconsole (governatore) della provincia d'Asia; restaurò alcune costruzioni di Magnesia al Meandro, e fu accusato di tradimento dal suo successore Festo, ma assolto.
Sotto Teodosio I fu prefetto del pretorio dell'Illirico nel 380-381, e nel 387 fu console posterior.
Un altro storico, Giorgio Codino, nel suo De originibus Constantinopolitanis ("Sulle origini di Costantinopoli"), afferma che Eutropio fu segretario di Costantino I, ma non è chiaro se si tratta della stessa persona. Morì dopo il 387.
Il Breviarium ab urbe condita, in dieci libri, è un compendio della storia romana, dalla fondazione della città fino alla morte di Gioviano, avvenuta nel 364.
L'attenzione dell'autore è concentrata più agli avvenimenti di politica estera, alle campagne e alle guerre di conquista, che alla politica interna. Gli ultimi quattro libri, dedicati alle vicende imperiali, offrono, però, interessanti ritratti dei sovrani.
Le fonti utilizzate da Eutropio sono varie: da Tito Livio e Svetonio, fino a cronache a noi non pervenute e ai ricordi personali dell'autore.
- Alcune frasi
- "Difficilius ab honestate quam sol a cursu suo averti potest"- (Eutropio, Breviario, II, 14).
- E' più difficile allontanarlo dall'onestà che far retrocedere il sole nel suo cammino -
Elogio che Eutropio mette sulla bocca di Pirro all'indirizzo di Fabrizio, il grande romano che non potè vincere nè con la forza, nè coll'oro. - del quale Dante dice: (Purg., XX 25)
- "...O buon Fabrizio,
Con povertà volesti anzi virtute
Che gran ricchezza posseder con vizio "-
Lo stile, generalmente imparziale, è semplice e chiaro, rendendo l'opera accessibile a tutti e contribuendo al suo enorme successo. Essa, infatti, non soltanto fu usata come testo di iniziazione al latino nelle scuole (come ancora oggi accade), ma suscitò tanto interesse che fu ampliata a più riprese (fino all'età di Giustiniano da Paolo Diacono e, successivamente, fino al tempo di Leone l'Armeno da Landolfo Sagace nella Historia Miscella) e ne vennero eseguite traduzioni anche in greco (quella di Capitone Licio è perduta, mentre rimane pressoché completa quella di Peanio).
(da wikipedia)
EVANDRO
Mitico re dell’Arcadia. La tradizione narra che fuggì in esilio nel Lazio insieme alla madre Carmenta. Con una colonia di Arcadi fissò la sua dimora sul Palatino, dove introdusse la festa dei Lupercali, Ricevette onorevolmente Ercole, al quale dedicò l’Ara Massima, e, al dire dell’Eneide, accolse con sommo onore l’eroe troiano Enea, al quale affidò il giovane figlio Pallante, caduto poi nella guerra contro i Latini.
EVEMERO
Filosofo greco nato a Messana (Messina), e vissuto nella prima metà del III° s.a.C. Fu autore di una celebre opera intitolata “Scritto sacro”, in cui narra di un viaggio da lui fatto nell’isola di Pancaia, nell’Oceano Indiano. Giunto nella capitale Panara aveva potuto osservare la colonna d’oro del tempio di Zeus, contenente un’iscrizione geroglifica che narrava le imprese di Urano, Crono e Zeus, tre antichissimi re. Evemero, riprendendo una lunga tradizione critico - religiosa, aveva così modo di esporre le sue opinioni sugli dèi, che altro non sarebbero che uomini divinizzati (dèi terreni) o personificazione dei fenomeni naturali (dèi celesti).Tale razionalismoo religioso (che certo non è sufficiente a spiegare l’origine degli dèi greci), non ebbe vero seguito nell’antichità, malgrado la riebolazione fatta da Ennio nel suo“Eubemerus”; conobbe invece momenti di fortuna prima, tra i padri della Chiesa, nella loro polemica contro il paganesimo, poi nel secolo XVIII°, quando il razionalismo antiteologico dell’illuminismo adottò co me modello di critica religiosa l’evemerismo. Detta più recentemente neo evemeistica, una superata teoria che vorrebbe far risalire ogni forma di religione al culto degli antenati. (Herbert – Spencer – Grant - Allen ed altri)
NOTE