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IL SALTO DI LEUCADE
Tutte negli occhi accogliere le stelle,
risognare ogni sogno, smemorare
la terra in me, perdutamente nelle
lusinghe dell’abisso andare, andare
nel cuor del vero, ormai non più ribelle
al più puro e spazioso fantasiare,
come recasse la follia un consólo
ultimo di saggezza; come solo
fosse profumo e suono e pace il mare.
EPIGRAFE
V
oce dei miei ricordi che mi neghi
la pace ansiosa immaginata invano
so io il perché dell’empio tuo ululare
nell’esile silenzio della notte?
Ecco: è un’ombra d’ignoto come il fine
dell’amaro intristire che vien greve
già scolorendo la mia giovinezza.
E se quest’ora insonne in me dilegua
pur l’estrema speranza del riposo,
dove termini mai, come saprò,
Non avrò mente, non avrò più mente
per rigodere l’alba che si chiuse
intenebrata nel mio dì natale;
il sogno umano e avvenga il mio risveglio?
né ormai puro sarò perché son giunti
questi miei occhi a discoprire il fondo
d’un padule ch’esala oltre la vita
una pena più bassa della carne.
Questo m’avvenne e in cupo cimitero
tramutato il mio corpo, d’un eterno
male, entro a lui, l’anima mia avvizzì.
Guai, miei fantasmi della solitudine,
guai a chi sogna conscio di sognare.
Volli venendo conservare in petto
l’aria delle altitudini: non seppi
dove fosse la vita e la cercai.
Ma alla putrida fonte del patire,
all’imo del Creato scesi invece.
Così inquieto, fuggendo lungamente
fuori del tempo e delle cose, io fui
quasi straniero sulla terra; e quando
credendo vinta in me la nostalgia
di purità, desiderai d’amare,
ogni frase d’affetto, ogni sospiro
d’amplesso fu un appello che a me tutte
le delusioni convocò d’intorno.
Le delusioni che alzano la voce
dura nel tono del ricordo e afflitto
questo spirito mio tolgono al sonno.
Fulvio Sambo
VI
C
omplice l’ostro,* modula allusivi
temi, sull’arpa di schiuma, lo scoglio
algoso: un canto grondante echi chiari
di quello che ho goduto in liete soste
sepolte sotto cenere di giorni.
Geloso il Carso più col salso crea
rare magie, se l’occhio dall’incanto
dei ginepri si toglie e del sommacco*
fulvo o appetisce la gemma di pura
acquamarina della sera. Amore
esclusivo, ti gusto come agretto
alvo di donna che la bocca allega
delizioso. Mai saprei con onda
prona alla foia di qualunque lido
tradirti, aspro mio amore di calcare.
*Ostro:Vento da Sud (Libeccio, Scirocco) Per estensione, il Sud come Punto Cardinale.
*Libeccio: vento umido da Sud-Ovest con raffiche violentissime (dall’arabo lebeg (Libia))
*Scirocco: Vento umido da Sud-Est che soffia dal Sahara.(dall’arabo magrebino shuluq)
*Sommacco:Arbusto delle Anacardiacee (Rhus Coriaria) le cui foglie ricche di tannino “
“sono impiegate nella concia di pelli fini
VI
G
occe di stella, come fredda traccia
d’un sorso il labbro indiamanta, fanno
manifesta la sete d’universo,
anima d’ombra; che hai tentato spesso
saziare, bevendo al buio pozzo
della Galassia: ma per rischiarare
non bastano la via che va all’ignota
casa di Dio. Ne trapelasse almeno
ora una luce sorprendentemente.
Ma la casa di Dio non ha finestre.
Se un urlo che paura, implorazione,
avvilimento d’abbandono, fame
d’amore di quest’orfano palesi,
giungesse là dov’Egli si rinserra,
pietà, curiosità lo stanerebbe.
Ma la casa di Dio non ha pareti.
Rinuncia a ricercarla, allora: è certo
che di lacrime insalerà il tuo labbro
sempre: mai più che perfido miraggio,
questa casa di Dio disabitata.
XXII
V
iolenta Rupinpiccolo la foia
d'estate e a stento l'impeto contrasta
la cerula innocenza di poca ombra
arroccata sull'erte spigolose
dei vicoli ove, male incamiciate
negli intonachi logori, le case
boccheggiano nell'afa dai riquadri
esigui di finestre rozzamente
incorniciate di pietra.
Si lagna
il fico riarso nel cortile, alzando
al sole, supplichevole, un frinire
di cicala che va col rarefatto
breve strido di passeri a cadere
nel cuore tramortito del silenzio
delle doline.
L'arco di un portale
mi immette ove incredibile trasuda,
nel barbaglio accecante, nubiloso
un ricordo di morti che una volta
hanno varcato effimeri il mio tempo.
Pure, ora in me torna
a gemmare con gli aceri e i cornioli,
mite e penoso, l'insensato amore
della stagione che vivida sgorga
da un pingue sedimento di stagioni
decomposte.
E in me casta, fiduciosa,
indifesa, sedotta da dolcezza,
l'anima ancora alla ripulsa usuale
del suo distratto artefice s'espone.
Rinuncia a ricercarla, allora: è certo
che di lacrime insalerà il tuo labbro
sempre: mai più che perfido miraggio,
questa casa di Dio disabitata.