TA - TE
TAFI
I Tafi sono un popolo presente nella mitologia greca.
Secondo il mito, vivevano sulle isole di Tafo e di Carno, ed avevano fama d'essere navigatori e pirati.
Secondo Omero, i Tafi combatterono una guerra contro Anfitrione: quest'ultimo, infatti, decise di attaccarli per vendicare l'assassinio della famiglia della sposa Alcmena. Nell'Odissea viene narrato che il capo dei Tafi fu Mente, di cui Atena prende le vesti per andare da Telemaco e rincuorarlo e far sì che vada a cercare suo padre.
TAGO
Guerriero rutulo che partecipò alla guerra contro Enea, era uno dei cavalieri di Volcente: fu ucciso da Niso con una freccia che gli trapassò le tempie.
- (Virgilio, Eneide)
- Imbaldanzito, ecco Niso scagliare una lancia dalla sommità dell'orecchio. E mentre s'affannano, L'asta attraversa le tempie di Tago, stridendo, e tiepida rimase nel cervello trafitto
TALAO
Nella mitologia greca, Talao era uno dei re di Argo, figlio di Però e Biante.
Padre di Erigile (moglie di Anfiarao)
Talao dal suo matrimonio con Eurinome (o Lisimaca o Lisianassa) generò Adrasto, Partenopeo, Mecisteo, Aristomaco ed Erifile.
Fra tutti loro, Adrasto e Mecisteo per tale discendenza sono indicati come i Talaionidi.
Talao Secondo Apollonio Rodio, ed altre fonti minori, partecipò alla spedizione degli argonauti, ma nel mito non vi sono tracce significanti del suo ruolo in quelle avventure.
TALETE
Filosofo e matematico greco, nato a Mileto, sulle coste dell’Asia Minore, e vissuto tra il VII° e il V° s.a.C. Con lui si è soliti far iniziare la storia della filosofia greca e occidentale. Storicamente è considerato il fondatore della scuola ionica o di Mileto, per aver posto per primo il problema di un principio (archè) di tutte le cose; questo principio fu da Talete individuato sia in base a motivazioni naturali e biologiche, sia in base a credenze mitiche e cosmologiche, nell’acqua. Questo duplice aspetto della sua filosofia risulta poi confermato dalla complessità dei suoi interessi; scienziato, matematico e astronomo (la tradizione gli attribuisce la scoperta di alcuni teoremi e la previsione dell’eclisse solare del 585 a.C.), ma anche politico avveduto (fu incluso nella serie dei Sette Saggi); completamente assorto nelle sue riflessioni e incurante della vita pratica, ma anche capace di mettere a frutto la sua sapienza, come quando, prevedendo un’abbondante raccolta di olive fece incetta di frantoi, dimostrando così, come dice Aristotele che se i filosofi non guadagnano denaro, è solo perché non lo vogliono.
TALIA
hàlia (Θάλεια) era una delle grandi muse, figlie di Zeus e Mnemosine: colei che presiede alla commedia sulla mitologia greca; è ritenuta la madre dei Coribanti avuti da Apollo. È associata anche alla più severa satira come nella Musogonia di Monti «e Talìa che l'error flagella e ride» (v. 200).
È raffigurata come una ragazza dall'aria allegra, che porta una corona di edera sul capo e tiene una maschera in mano.
Curiosità
Foscolo nel carme "Dei sepolcri" (vv. 53/56) fa riferimento a Parini, dicendo che il poeta era solito appendere alla statua della musa Talia corone di alloro che lui stesso coltivava all'interno della propria umile casa. Foscolo dice questo per rendere omaggio alla poesia satirica di Parini (la tua Talia) e ricordare la semplicità ed umiltà della sua vita, dedita alla poesia (corone di alloro).
TALTIBIO
Taltibio, (in greco Ταλθύβιος), è un personaggio acheo che compare in diverse opere greche oltre che nell'Iliade (I°, v. 320, III°, v. 118, IV°, vv. 192-193, VII°, v. 276, XIX°, vv. 196-250-267, XXIII°, v 897.)
Taltibio e Euribate, messaggeri e araldi di Agamennone, furono inviati dallo stesso Agamennone alla tenda di Achille per prendere e portargli Briseide[1].
Taltibio è anche un personaggio delle tragedie Ecuba e Troiane di Euripide
(gli araldi erano rispettati come sacri)
TANATO
o THANATOS
Tanato (nome sdrucciolo: Tànato) o Thánatos (dal greco θάνατος, "Morte"[1]), è, nella mitologia greca, la personificazione della morte. È figlio della Notte (o di Astrea) per partenogenesi (o da Erebo), nonché fratello gemello di Ipno, il dio del sonno (Ὕπνος, il Sonno).
È citato anche come "Colui che governa la morte" e "Legione Suprema". Nonostante l'importante funzione nella mitologia greca, è raramente rappresentato come persona.
Esiodo, nella sua Teogonia (vv.211-212) fa nascere Tanato dalla Nyx (Nύξ, Notte), assieme al fratello gemello Hypnos (Ὕπνος, il Dio Del Sonno). Altri fratelli erano Moros (Μόρος, il Destino inevitabile), Ker (Κήρ, la Morte violenta), gli Oneiroi (Ὄνειροι, la Stirpe dei Sogni) e con le Moire, delle quali fu spesso associato alla figura di Atropo, dea della morte lei stessa.
Sempre Esiodo descrive l'insensibilità di Tanato alle implorazioni degli umani:
- (Esiodo, Teogonia, vv. 758-766)
-
« Hanno le case qui della torbida Notte i figliuoli
la Morte e il Sonno Numi terribili; e mai non li mira
lo scintillante Sole coi raggi né quando egli ascende
il ciel né quando giú dal cielo discende. Di questi
sopra la terra l'uno sul dorso infinito del mare
mite sorvola ha cuore di miele per gli nomini tutti:
di ferro ha l'altra il cuore di bronzo implacabile in petto
l'alma gli siede; e quando ghermito ha una volta un mortale
più non lo lascia; e lei detestano sin gl'Immortali. »
Omero, nell'Iliade, definisce Ipno e Tanato come gemelli (da qui la celebre locuzione latina consanguineus lethi sopor) e descrive come furono mandati da Zeus su richiesta di Apollo, per recuperare il corpo di Sarpedonte, ucciso da Patroclo, per portarlo in Licia per ricevere gli onori funebri.
- (Omero, Iliade vv. 453-458 e 681-683)
- « Dall’alma il corpo, al dolce Sonno imponi Ed alla Morte, che alla licia gente Il portino. I fratelli ivi e gli amici L’onoreranno di funereo rito E di tomba e di cippo, alle defunte Anime forti onor supremo e caro. [...] D’immortal veste avvolgi: indi alla Morte Ed al Sonno gemelli fa precetto Che all’opime di Licia alme contrade »
Il carattere di Tanato è arrogante e impulsivo, amante del sangue e della violenza, quale potenza inevitabile e inflessibile. Nemico implacabile del genere umano, odioso anche agli immortali, ha fissato il suo soggiorno nel Tartaro o dinanzi alla porta dell'"Elisio" e degli "Inferi". Tanato ha un cuore di ferro, venne a meno in un mito popolare già citato da Omero[2] e sviluppato nel dramma satiresco Sisifo fuggitivo di Eschilo (Σίσυφος Πετροκυλιστής, Sisýphos drapétes, V° sec a.C.), dove Zeus per punire Sisifo, re di Corinto, mandò Tanato per rinchiuderlo nel Tartaro. Ma quando Tanato giunse a casa di Sisifo, questi lo fece ubriacare e lo legò con catene, imprigionandolo. Con Tanato incatenato, la morte scomparve dal mondo. Il dio Ares, quando si accorse che durante le battaglie non moriva più nessuno e che quindi non avevano più senso, si mosse per liberare Tanato e prendere Sisifo.
Sisifo riuscì una seconda volta a sfuggire alla morte convincendo Persefone di farlo tornare per un giorno da sua moglie sostenendo che lei non era mai riuscita a dargli un funerale appropriato (in realtà aveva imposto alla moglie Merope di non seppellire il suo corpo). Questa seconda volta Sisifo fu trascinato nell'oltretomba, fino nel Tartaro, da Hermes, quando rifiutò di accettare la propria morte; in più fu condannato per l'eternità a trascinare, in cima a una collina, un macigno che poi sarebbe rotolato giù[3]
Sisifo viene anche ripreso da Alceo di Mitilene. In un frammento di una sua lirica è riportato:
- (Alceo, Frammento 38a[4])
- « Il re Sisifo, il più astuto dei re, supponeva di poter controllare la morte; però, nonostante i suoi inganni, attraversò due volte l'Akeron al comando del fato. »
Se Sisifo fu l'unico che poté sfuggire all'inesorabile Tanato grazie all'inganno, Eracle fu l'unico che poté sfuggire grazie alla sua forza, come inscenò Euripide nella tragedia Alcesti.
TANTALO
Tàntalo è una figura della mitologia greca, era il primo re della Lidia (o della Frigia) e viveva inizialmente fra gli dei. I suoi tanti peccati lo portarono al supplizio deciso dagli dei, che è diventato un famoso modo di dire.
Le sue origini sono misteriose: secondo alcuni era figlio di Zeus, secondo altri di Tmolo,[1] mentre la madre, secondo la maggior parte dei mitografi, era la ninfa Pluto o la pleiade Taigete.
Secondo altri i suoi genitori erano o Crono e Nea oppure Oceano e Teti. Anche sul nome della consorte vi sono molte versioni:
Eurianassa, figlia di Pattolo
Euritemiste, figlia di Xanto
Clizia, figlia di Anfidamante
Dione, una delle Iadi.
Chiunque fosse la vera compagna di Tantalo sicura è la sua innumerevole progenie, tra cui Pelope, Brotea e Niobe.
La storia
Tantalo, figlio di Zeus e di Pluto, era benvoluto dagli dei, che spesso lo onoravano sedendosi alla sua mensa, ma fu autore di diverse offese nei loro confronti, consistenti sostanzialmente in violazioni delle regole della xenia: tra esse il ratto di Ganimede, il furto del nettare e dell'ambrosia per distribuirlo ai suoi sudditi. Inoltre vi fu l'episodio del furto del cane d'oro, custode di un tempio di Zeus situato a Creta. In tale mito, l'artefice del furto era in realtà Pandareo, che lo affidò al ragazzo con l'impegno che lo nascondesse agli occhi divini. Hermes giunse con il chiaro intento di riavere il sacro animale, ma Tantalo giurò il falso. Secondo un'altra versione dello stesso mito, in realtà il cane era Rea trasformata dal dio Efesto.[2]
Tantalo, per aver compiuto tutti questi misfatti, era stato umiliato dagli dei e deriso dai suoi stessi figli, perciò decise di vendicarsi. Prese dei ragazzi e li fece uccidere (alcune versioni dicono che si trattò dei figli di Tantalo, altri che fossero invece dei servi), facendone poi cucinare le carni, ed invitò gli dei alla sua mensa convinto che i suoi ospiti non avrebbero mai subodorato un simile abominio e che avrebbero mangiato carne umana. Tuttavia, quando i piatti vennero scoperti, gli dèi capirono immediatamente cosa Tantalo aveva fatto: furioso per un simile oltraggio e per l'immensa crudeltà del suo anfitrione, Zeus lo fulminò all'istante, uccidendolo e scagliandolo nell'Ade, facendo poi riportare in vita le vittime della sua follia.
Il supplizio
Tantalo, a memoria eterna del suo misfatto, sebbene sia oramai un'ombra, avverte costantemente il bisogno di mangiare e bere, ma nonostante sia circondato da cibo e acqua non può né nutrirsi né dissetarsi. È legato ad un albero da frutto carico di ogni qualità di frutti, ed immerso fino al collo in un lago d'acqua dolce; tuttavia, appena Tantalo prova a bere, il lago si asciuga, e non appena prova a prendere un frutto i rami si allontanano, o un alito di vento improvviso li fa volare via lontano dalle sue mani.[3] Inoltre un grosso macigno incombe su di lui, minacciando di schiacciargli il cranio e facendolo così vivere in uno stato di terrore perenne. Secondo un'altra versione, la morte viene collegata ad un supplizio, in cui deve sostenere un monte intero sulla sua testa.[4]
Questa impossibilità di raggiungere uno scopo che pure sembra a portata di mano ha dato origine all'espressione proverbiale il supplizio di Tantalo. Altri personaggi mitologici famosi per essere stati sottoposti a un supplizio sono Prometeo, Issione, Tizio e Sisifo.
TAORMINA
Citta della Sicilia, in provincia di Messina, conosciuta nell’antichità col nome di Tauromenium; seguì le complesse vicende storiche della Sicilia, passando sotto il dominio Greco, di Cartagine, di Siracusa e di Roma che vi dedusse una colonia militare di notevole importanza strategica. Ultima roccaforte dei Bizantini in Sicilia, fu conquistata dagli Arabi nel 902 e passò poi sotto il potere degli Altavilla, ed infine della Spagna. Tra i suoi monumenti più cospicui si ricordano due templi di età ellenistica e il teatro ricostruito in laterizio dai Romani tra il I° e il Il° d.C., che presenta a somiglianza del precedente teatro greco la cavea appoggiata alle pendici del monte (Tauro).
TARANTO
Città della Puglia, capoluogo di provincia, situata all’estremità settentrionale del vasto golfo omonimo sul Mar Ionio. Fondata nel VIII° s.a.C., da coloni spartani, divenne la più importante città della Magna Grecia. Federata con Roma, si alleò poi con Annibale, e nel 205 venne per questo severamente punita dai Romani. che la ridussero allo stato di colonia.
TARCONTE
(Tarchun-us in lingua etrusca; cfr. Taru, Tarhui e Tarhunt, in lingua ittita) è un eroe della mitologia etrusca. Figlio di primo letto di Telefo, re della Misia (regione confinante con la Troade), condusse insieme al fratello Tirreno una migrazione dalla Misia in Etruria. A lui è attribuita la fondazione della dodecapoli etrusca, insieme a Tirreno, fra le quali la principale fu Tarquinia (Tarchu-na in lingua etrusca; cfr. Tarui-sa - Tarhuisa- Troia e Tarhunt-assa in luvio) alla quale diede il suo nome.[1] Divenne, quindi, ecista di queste genti, grazie al fratello Tirreno.[1]
Egli compare nell'Eneide come capo di tutti gli Etruschi e alleato di Enea nella guerra contro Mezenzio e Turno, dove abbatte il giovane tiburtino Venulo. [2]
Ad Ilio-Troia (Wilusa-Taruisa - Tarhuisa) era venerato come Dio della Tempesta, protettore eponimo della città.
(da wikipedia)
TARTARO
L’oltretomba destinato agli impuri. Parte dell’Ade dove sono punite le anime degli empi: i Titani, le Danaidi, Issione, Sisifo, ecc. Nella cosmologia dei Greci antichi era il “cielo” degli Inferi, posto in posizione antitetica al cielo che incombe sulla Terra. Generalmente stava ad indicare gli Inferi e le loro profondità abissali.
- (Esiodo, Teogonia, vv. 721-25).
- «Tanto è profondo il Tartaro oscuro sotto la terra: se un'incudine di bronzo cadesse dal cielo, dopo nove notti e nove giorni, al decimo arriverebbe a terra - e così è profondo sotto la terra anche il Tartaro oscuro, che se un'incudine di bronzo cadesse dalla terra, dopo nove notti e nove giorni, al decimo arriverebbe al Tartaro»
TAUMANTE
Taumante (in greco Θαύμας) è nella mitologia greca una divinità marina, figlio di Ponto (il mare) e di Gea (la terra) e fratello di Nereo, Forco, Ceto ed Euribia e quindi lo si può considerare uno tra gli dei marini primordiali.
Con l'Oceanina Elettra generò le Arpie e Iride, l'arcobaleno, messaggera degli dei e in particolare di Era.
Non vi sono miti particolari legati alla figura di Taumante.
Il nome Taumante deriva dal greco antico θαῦμα, che vuol dire "meraviglia", "stupore".
TEANTE
Padre di Mirra, dal cui amore incestuoso nasce Adone.
(Vedi Adone)
TEBE
Antica città della Grecia in Beozia, fiorente già in età micenea; di ciò è testimonianza il mito dei Sette contro Tebe , eco probabilmente di un’ antica rivalità con la città di Argo. A differenza delle altre città della Grecia centrale, conservò un ordinamento aristocratico fino allo scoppio delle guerre persiane, durante le quali cercò l’amicizia della Persia. Dopo le Termopili, gli aristocratici Tebani si allearono con Serse e nella battaglia di Platea, milizie beotiche combatterono a fianco dei Persiani contro i Greci, ma, dopo la sconfitta, gli aristocratici filo persiani furono eliminati e il governo della città assunto dai democratici. Nel successivo antagonismo fra Atene e Sparta, i Tebani si appoggiarono alla seconda, senonchè la vittoria di Sparta nella guerra del Peloponneso con la conseguente pesante supremazia di questa su tutta la Grecia, portò ad un riavvicinamento con Atene. L’inimicizia con Sparta si acquì negli anni a venire, finchè nel 371 si ebbe la rottura, che portò alla battaglia di Leuttra, in cui Epaminonda e Pelopida colsero una schiacciante vittoria sugli Spartani. Cominciò quindi un’egemonia tebana su tutta la Grecia, conclusasi con la battaglia di Mantinea (362) nella quale trovò la morte Epaminonda, che di quella egemonia era stato artefice. Durante la cosidetta seconda guerra (356 – 346 a.C,) ebbe il torto di far intervenire Filippo di Macedonia nelle vicende greche e, sconfitta con Atene nella battaglia di Cheronea, dovette ricevere nelle sue mura una guarnigione macedone. Sollevatasi tre anni più tardi, alla notizia della morte di Filippo, fu distrutta da Alessandro Magno, che secondo la tradizione volle fosse risparmiata solo la casa di Pindaro e quella del filosofo Cratete. La città risorse ben presto ed ebbe ancora qualche periodo di indipendenza, fino alla conquista romana. Tra i cospicui resti archeologici della città ricordiamo il minoico palazzo di Cadmo, decorato con pitture stilisticamen te simili ai dipinti di Tirinto e Micene, e le mura. Gli scavi hanno inoltre mostrato che " l’Ismeion ”, il santuario più famoso, dedicato prima ad un culto di un eroe locale, e dal IV s.a.C., dedicato ad Apollo, fu ricostruito tre volte ed ornato di statue di Skopa e Fidia.
TELAMONE
o TELAMONIO
Eroe della mitologia greca, fratello di Peleo, padre di Aiace Telamonio e di Teucro. Partecipò alla caccia del cinghiale caledonio, alla spedizione degli Argonauti e alle guerre contro le Amazzoni. Laomedonte dopo la guerra di Troia, cacciò da sè Teucro, accusandolo di non aver saputo difendere e vendicare il fratello Aiace morto suicida.
Architettura
In architettura il telamone è una figura maschile colossale usata come colonna (vedi immagine sopra).[3] È chiamato anche atlante ed è la versione maschile della cariatide.
TELEGONO
Telegono (in greco classico: Τηλέγονος/ Tēlégonos, «nato lontano», con riferimento alla lontananza dal padre) è una figura della mitologia greca, figlio di Ulisse e di Circe. Protagonista del secondo episodio della Telegonia, poema che conclude il ciclo troiano, andato perduto. Telegono, saputo dalla madre Circe di essere figlio di Ulisse (che lo aveva rivelato al giovane dietro consiglio di Atena) e volendo conoscere il padre, s'imbarcò alla sua ricerca. Gettato dalla tempesta a Itaca e credendo che fosse l'isola di Corcira, per sfamare l'equipaggio si diede a saccheggiare il paese ed a razziare una parte del bestiame appartenente al re. Ulisse così intervenne a difendere i suoi beni, ma Telegono lo uccise accidentalmente sulla riva del mare con una bellissima lancia, che sulla punta aveva il pungiglione velenoso di un trigone (le cui ferite possono essere mortali) forgiata dal dio Efesto. Ulisse morente, ricordando la predizione di Tiresia, si fece condurre davanti lo straniero e così ebbe la spiegazione del tragico evento. Atena, accorsa inutilmente in aiuto del suo protetto, non poté fare altro che confortarlo e convincerlo ad arrendersi ai voleri del Fato. Telegono riconosciuto il padre, lo pianse a lungo e tornò da Circe insieme a Penelope e Telemaco, portandosi dietro il cadavere di Ulisse che fu sepolto ad Eea. Circe rese immortali suo figlio e gli ospiti. Telegono sposò Penelope e Circe Telemaco. Apollodoro in aggiunta rammenta che "la dea dalle belle trecce" mandò suo figlio e la sua sposa a vivere nelle isole dei beati. La leggenda ubbidisce alla predizione che Tiresia, nell'Odissea, aveva fatto all'eroe, e che diceva che dal mare gli sarebbe venuta la morte. In una tragedia ormai perduta di Sofocle, detta Odysseus acanthoplex (in greco classico: Ὀδυσσεὺς ἀκανθοπλήξ, Odysseus Akanthoplēx, "Ulisse punto dalla spina"), si racconta che un oracolo predisse a Odisseo che sarebbe morto per mano di suo figlio, così allontanò Telemaco da Itaca. Quando Telegono arrivò sull'isola, venne fermato da suo padre e scambiato per Telemaco, Ulisse si difese e nello scontro che ne scaturì fu ferito dalla lancia velenosa di Telegono. La tragedia racconta anche le nozze tra Telegono e Penelope, di Telemaco e Circe dopo la morte di Ulisse. Telegono nella mitologia italica e romana Ulteriori elementi fornisce Igino, mitografo romano, secondo cui per ordine di Minerva Telegono portò Penelope e Telemaco con sé, e sempre per ordine della dea si sarebbero celebrate le doppie nozze. Il nome di Telegono è anche connesso con le leggende italiche, in quanto, sposata Penelope, Telegono avrebbe avuto un figlio, Italo, l'eroe eponimo dell'Italia. All'eroe è anche attribuita la fondazione di Tusculo[1] (oggi Frascati) e di Preneste (Palestrina)br/> (da wikipedia)
TELEMACO
Figlio di Ulisse e di Penelope; nell’Odissea, giunto ormai all’età maggiore, va alla ricerca del padre recandosi a Pilo e a Sparta, (libro II e IV, la cosidetta Telemachia); al ritorno riesce a sfuggire alle insidie dei Proci. Riconosciuto il padre Ulisse, che nel rattempo era giunto a Itaca, lo aiuta a uccidere i Proci.
TELLURE
o Tellus
Antica divinità romana della vegetazione e della semina, identificata poi con la Terra (Cerere)
Il suo culto, probabilmente più antico della religione ufficiale romana, pare ricollegarsi a quello similare della Grande Madre. Veniva celebrato il 15 aprile con la festa delle Fordicidia; col tempo, tuttavia, fu associato a quello di Cerere sino a fondersi con esso.
Tellus, sempre con Cerere, è citata da Ovidio come una delle "madri delle messi" (frugum matres)
TEMI
o Temide
Titanessa figlia di Urano (Cielo) e di Gaia (Terra). Il suo nome, Themis significa norma (istituzione - legge), ed era pertanto annoverata dopo Metis e prima di Era, tra le spose di Zeus, il dio garante di ogni norma che sorregge il cosmo. Essa stessa impersonava l’ordine e la legalità, pre Ore siedendo principalmente ai doveri ed agli atti che uniscono gli uomini agli dèi, punendone i trasgressori. Erano figli di Temi e di Zeus, le Ore (il giusto alternarsi delle stagioni), le Moire (o Parche: la giusta parte e il destino di ciascuno), e la vergine Astrea (Nike) personificazione della giustizia.
(Vedi o ritorna a Le Ore)
(Vedi Titani).
- - Note -
- Suoi attributi; la cornucopia e la bilancia.
- - Geografia. -
- Themis è il vastissimo bacino geologico rappresentato oggi dal Mar Mediterraneo (lat. Medium - terra), dallo stretto di Gibilterra al Mar Nero di 2.965.900 km., con profondità media di 1.429 mt., e con picco massino di 5.121 mt., nel mar Jonio, presso le isole greche del Peloponneso.
TEMISTOCLE
Generale e uomo politico ateniese, figlio di Neocle; fu uno degli artefici della potenza di Atene. Nato fra il 530 e il 525 a.C.(forse nel 527), fu arconte di Atene dal 493 - 92 e da allora sostenne un’ampio programma di costruzioni navali e di fortificaxioni del Pireo, che dovevano essere la base della potenza marittima ateniese. Dopo il disastro delle Termopili, mentre l’esercito greco si ritirava sull’istmo di Corinto, fece evacuare Atene minacciata troppo da vicino dall’esercito persiano ed ottenne che la flotta ellenica venisse concentrata presso l’isola di Salamina, contribuendo così alla splendida vittoria navale sugli avversari. Si dedicò quindi a dare nuovo vigore ad Atene, provvedendo alla costruzione delle sue mura, alla riedificazione delle case distrutte dai Persiani ed alla fortificazione del Pireo, ordinando poi la costruzione di venti nuove triremi ogni anno. Avendo però sostenuto la necessità di appoggiare il movimento democratico che andava sorgendo nel Peloponneso contro Sparta, fu ostracizzato nel 471, e dovette rifugiarsi prima ad Argo e quindi presso Artaserse I°re dei Persiani, che gli affidò il governo di Magnesia al Meandro. Secondo leggenda si sarebbe ucciso per sottrarsi alla promessa fatta al re di sottomettergli la Grecia; ma secondo Tucidite morì a Magnesia di malattia.
TEMPIO
Presso i romani era uno spazio sacro (templum - sezione) delimitato nel cielo o sulla terra mediante un apposito rito: in tale spazio si attendeva la manifestazione di un dio. Tale idea appare chiaramente nell’uso di templa fatto dagli àuguri; l’evernto, per lo più il volo di uccelli o il passaggio di animali, che si manifestava, regolarmente interpretato, rivelava il volere di Giove. Il termine prima incluse le ”case” degli dei, che erano templi, in quanto sorgevano su spazi consacrati, poi divenne sinonimo delle case stesse; significato col quale è giunto sino a noi. Le idee di area consacrata e di abitazione di un dio, sono concomitanti ovunque e si conoscono templi, anche se è probabile che siano sorte indipendentemente. Spazi sacri sono forse i recinti storici delimitati da pietre (dolmen, recinti ecc), senza essere veri e propri templi, sorgono nella Mesopotamia, come case divine, legati ad una concezione religiosa politeistica. Col diffondersi del politeismo si diffuse in occidente l’uso di templi. Un’altra origine degli edifici può essere rinvenuta nelle cosiddette ”case degli uomini” che si hanno presso quasi tutti i popoli primitivi, destinate alle riunioni, a certi riti tribali; soprattutto le iniziazioni e come ripostiglio di oggetti sacri di vario genere Il tmpio greco è distinto in tre stili; dorico, ionico e corinzio, che derivano soprattutto dalla forma dei capitelli, sebbene esistano anche altre differenti strutture. Una tesi abbastanza attendibile è che esso rappresenti la naturale evoluzione del – megaton - del palazzo cretese - miceneo, come appare nella sua forma più semplice in “antis”. in cui una cella rettangolare (naòs) prolunga le sue pareti più lunghe fino a costituire un pronao, mentre fra i muri sono poste due colonne; a questo principio si richiama il tempietto di Prinias (Creta) del V s.a.C., con ricca decorazione scultorea, in cui le due colonne sono sostituite da un pilastro. Il tempio greco era quindi caratterizzato dalla cella che si prolungava nel pronao, mentre indietro in simmetria col pronao, c’era l’epistodomo ambientale non comunicabile con la cella nel quale si conservavano i tesori del tempio. Tutt’intorno si svolgeva un colonnato per il quale il tempio si chiamava periptero o diptero quando il colonnato era doppio; talvolta al posto delle colonne v’erano delle semi colonne, addossate al muro della cella, e in questo caso il tempio era detto pseudoperiptero. Le colonne in genere erano di numero pari sul fronte e la cella era divisa in due navate. Nel tempio arcaico la pianta era particolarmente allungata, il numero delle colonne in facciata dispari e la cella divisa in due navate. Il tempio dorico era sormontato dall’architrave e dal fregio a metope e triglifi: la metope era una superfice piana dipinta o scolpita; il triglifo era scompartito da tre scanalature. Sopra si ergeva il frontone triangolo risultante dagli spioventi del tetto. Il tempio ionico e quello corinzio, in tutto simile, salvo l’aggiunta al capitello del motivo delle foglie d’acanto: invece del fregio a metope ne avevano uno continuo. Non inconsuete erano le commistioni dei due stili, come nel Partenone, (Atene) che presentava entrambi i tipici fregi e colonne. Nel IV s.a.C., si diffondono nuove forme; per esempio circolari a – tholos – e per tutto l’ellenismo si assiste ad un ritorno di templi grandiosi e arcaizzanti come nell’Artemision di Efeso che aveva 117 colonne. Il tempio romano anticamente in tufo, ed in stile tuscanico, (variante del dorico) poi in marmo fu per lo più esemplato su quello greco ma sulla fase più arcaica simile a quello etrusco, come il Capiitolium a Roma, decorato dall’artista etrusco Vuca. Esso si distinse da quello greco, imitato soprattutto lo stile corinzio, perché le possenti fondazioni, non erano tutte ricoperte dal terreno, ma costituivano il caratteristico podio, e per una forma caratteristica, variata rispetto a quella greca, della –tholos - quella rotonda con pronao del Pantheon a Roma. Diffuso in tutto il mondo antico e conservato in numerosi esemplari, ancora in piedi, il tempio romano organicamente non è stato ancora studiato sufficientemente.
TENEDO
Isoletta di fronte alla Troade.
TEOCRITO
Poeta Greco (n. Siracusa 305 a.C. circa – m. Coo - dopo il 260). Il maggior rappresentante della poeia bucolica dell’antichità. Ad Alessandria conobbe i principali letterati del tempo; dimorò a lungo a Coo. Oltre a un carme figurato e a 24 epigrammi, conosciamo di lui 30 idilli (bozzetti d’ambiente agreste, in cui si muovono pastori veri, o personaggi borghesi in travestimenti bucolici, molti dei quali di discussa attribuzione e certamente erronea. Qual che sia l’origine del genere Teocrito investe gli spunti pastorali variamente presenti nell’età classica, di un afflato sentimentale nuovo e di nuove riserve espressive. Alcuni dei suoi bozzetti sono veri e propri mimi rustici e anche urbani; alcuni di carattere encomiastico e adulatorio; alcuni sono piccoli componimenti epici (epilei), di carattere mitologico, ricordano i Dioscuri, l’Ercolino, e il bellissimo Ila, ispirato al mito del giovanetto Ila che s’inabissa nel gorgo di una fonte, rapito dalle ninfe). La lingua di Teocrito è un dorico letterario misto di elementi siciliani, oltre che epico ionici e colici, in esametri ricchi di sonorità. Pur con l’esuberanza del suo temperamento, non è affatto immune dalle raffinate ricerche espressive della contemporanea poesia ellenistica; il suo inserimento nel clima letterario del tempo è testimoniato esplicitamente dall’idillio “Le Talisie”, imperniato nella prima parte su una polemica poetica trasparente sotto il velo dell’allegoria e dei travestimenti. Capolavoro del genere mimico sono “Le Siracusane”, dove due amiche si recano al palazzo reale d’Alessandria a vedere la festa di Adone. Attraverso una serie di scene, le protagoniste toccano con impressionante ”verità” tutta la perenne tematica del cicaleccio femminile. Negli amebei o canti alterni dei lavoratori e dei pastori, le note realistiche si mescolano alle evasioni letterarie; la delicatezza dei toni si alterna all’asprezza delle sfide, il candore alla scaltra schermaglia. Gustose le serenate o i contrasti d’amore dove il linguaggio trasmette delle squisitezze liriche alla trivialità, nella cornice d’u na natura intensamente sentita ed evocata. Nel ”Tirsi ” (ovvero la morte di Dafni), è presentata una gara di canto fra due pastori fulcro dell’idillio è la figura di Dafne che non vuole piegarsi all’amore e schernisce la dèa Afrodite con una caparbietà che cede solo davanti alla morte. Nella“Fattura” ovvero ” Le Incantatrici”, l’ardente e disperata Simeta dichiara alla Luna e alle Stelle il dramma della sua delusione, rievocando la nascita e il divampare nell’anima e nei sensi il suo amore per un atleta e quindi il tradimento di lui, a cui ella ricerca un vano rimedio in un’azione mimica d’incantesimo.Poeta d’amore, lontano dalle leziosaggini di tante arcaiche imitazioni, e poeta della natura tra i più commossi, Teocrito contò, com’è noto, fra i modelli di Virgilio. Dei 25 epigrammi tramandati nell'Antologia Palatina sotto il nome di Teocrito, 22 figurano, disposti in ordine metrico nei principali manoscritti degli Idilli. Risulta difficile sceverare quali siano autenticamente teocritei, anche se essi mostrano stile e temi tipici degli idilli, come nei primi 6 della raccolta; ad essi si affiancano epigrammi funebri, dedicatori, dediche a poeti strutturate come epigrafi tombali o di statue.
- Chiude la raccolta un epigramma autocelebrativo, che con orgoglio rivendica l'originalità del poeta:
- « Altri è quello di Chio, ma io, Teocrito, che scrissi queste cose, sono uno dei tanti siracusani, figlio di Prassagora e dell'illustre Filina: non seguii mai la Musa altrui. »
TEOFRASTO
Filosofo greco (n. Efeso nel’isola di Lesbo 382 a.C. - ? 287 ) Salvo un breve esilio nel 397, quando le scuole filosofiche ateniesi furono chiuse in seguito alla vittoria di Demetrio Poliorcete e alla restaurazione democratica, visse sempre ad Ateme. E’il più ce lebre discepolo di Aristotele, che lo designò a succedergli come capo dela scuola. Insegnò con molto successo e scrisse moltis sime opere (quasi tutte perdute) di logica, di metafisica, (di cui ci è pervenuto un ampio frammento) di scienze naturali (di cui ci sono pervenute: " Ricerche sulle piante " e " Cause delle piante), di politica, di retorica, d’etica, di psicologia, di storia della filo sofia. Dalla sua opera “ Opiinioni dei fisici ” di cui ci è pervenuto un ampio frammento,”Sulle Sensazioni”, deriva tutta la poste riore dossografia. In tutte queste opere Teocrito accentua e amplia l’interesse erudito che già Aristotele aveva impresso alla sua scuola, ma non eccelle in originalità di pensiero; i contributi più importanti li dette, forse in logica, con le sue analisi dei sillogis mi ipotetici e disgiuntivi. Ma l’opera più famosa e celebre è “ I Caratteri ”; trenta ritratti di tipi umani (l’avaro, il rustico ecc.), condotti secondo i canoni descritti dall’etica aristotelica, e in cui mette in evidenza la sua sapienza psicologica e una certa ele ganza di scittore.
TEOGONIA
(Dal greco – nascita degli dèi), significa una cosmogonia in senso politeistico; i miti cosmogonici che narrano le origini del mondo, diventano teogonici nelle religioni politeistiche, dove gli dèi sono le forme stesse della realtà o del mondo. Note - Famosa è la teogonia composta dal poeta greco Esiodo che narrò la nascita degli dèi in varie serie di generazioni proce denti dal caotico al cosmico.
- (Esiodo, Teogonia, 1-2.
-
« Dalle Muse Eliconie cominciamo il canto,
loro che di Elicone possiedono il monte grande e divino »
(Traduzione di Graziano Arrighetti, in Opere. Milano, Mondadori, 2007, p. 3)
TERENZIO
Publio Terenzio Afro
(in latino Publius Terentius Afer; Cartagine, 190-185 a.C. circa[1] – Stinfalo, 159 a.C.[2]) è stato un commediografo romano, probabilmente di etnia berbera[3], attivo a Roma dal 166 a.C. al 160 a.C..
Fu uno dei primi autori latini a introdurre il concetto di humanitas, elemento caratterizzante del Circolo degli Scipioni.
Il grammatico Donato ci ha tramandato, premettendola al suo commento delle commedie terenziane, la Vita Terentii redatta da Svetonio e da lui inserita nel suo De poetis. La data di nascita non è conosciuta con precisione; si ritiene sia nato lo stesso anno della morte di Plauto, nel 184 a.C., e comunque tra il 195 e il 183 a.C.. Di bassa statura, gracile e di carnagione scura,[4], nacque a Cartagine; arrivò a Roma come schiavo del senatore Terenzio Lucano.[5]
Il senatore lo educò nelle arti liberali, e in seguito lo affrancò (la biografia dice "ob ingenium et formam") per la sua intelligenza e la sua bellezza; il liberto assunse pertanto il nome di Publio Terenzio Afro.[5] Fu in stretti rapporti con il Circolo degli Scipioni, ed in particolare con Gaio Lelio, Scipione Emiliano e Lucio Furio Filo: grazie a queste frequentazioni apprese l'uso alto del latino e si tenne aggiornato sulle tendenze artistiche di Roma.[5] Il grammatico Fenestella cita però altri esponenti della "nobilitas", ossia Sulpicio Gallo, Quinto Fabio Labeone e Marco Popillio. Durante la sua carriera di commediografo (dal 166, anno di rappresentazione della prima commedia, Andria,[5] al 160 a.C.), venne accusato di plagio ai danni delle opere di Nevio e Plauto (entrambi condividevano come lui le idee di Menandro) e di aver fatto da prestanome ad alcuni protettori, impegnati in politica, per ragioni di dignità e prestigio (l'attività di commediografo era considerata indegna per il civis romano), tanto che Terenzio stesso si difese tramite le sue commedie: nel prologo degli Adelphoe (I fratelli), per esempio, egli rifiuta l'ipotesi che lo vede prestanome di altri, segnatamente dei membri dello stesso Circolo degli Scipioni.[6] Venne accusato di mancanza di vis comica e di uso della contaminatio.[7]
Morì mentre si trovava in viaggio in Grecia nel 159 a.C., all'età di circa 26 anni.[8] Era partito per la Grecia per varie ragioni: la ricerca di altre opere di Menandro, per servirsene come modelli; la volontà di vivere personalmente nei luoghi in cui ambientava le proprie opere; e comporvi delle opere, lontano dai sodali, dimostrando quindi definitivamente d'esserne l'autore unico.[4] Le cause della morte sono incerte; Svetonio riporta alcune ipotesi, tra cui il naufragio e il dolore di aver perduto, con i bagagli, 108 commedie rimaneggiate dagli originali di Menandro reperiti in Grecia.[4] Probabilmente proprio per un accostamento all'ispiratore Menandro, diffusa è anche la voce, senza riscontro, di una morte per annegamento.[4]
Commedie
Terenzio scrisse soltanto 6 commedie, tutte giunte a noi integralmente.[4]
La cronologia delle opere, frutto del lavoro filologico e delle ricerche erudite dei grammatici antichi, è attestata con precisione nelle didascalie anteposte, nei manoscritti, alle singole commedie.[4]
Terenzio si adattò alla commedia greca; in particolare segue i modelli della Commedia Nuova (νέα κωμῳδία) attica e, soprattutto, di Menandro.[9] Per questo forte legame artistico col commediografo greco fu definito da Cesare dimidiate Menander, ovvero "Menandro dimezzato".[10]
L'opera di Terenzio non si limitò ad una semplice traduzione e riproposizione degli originali greci. Terenzio, infatti, praticava la contaminatio, ovvero introduceva all'interno di una stessa commedia personaggi ed episodi appartenenti a commedie diverse, anch'esse comunque di origine greca. Parte della fortuna delle sue commedie è da attribuire alle capacità del suo attore, Lucio Ambivio Turpione, uno dei migliori a quell'epoca.[11]
ANDRIA
Il vecchio Simone si è accordato con il vicino di casa Cremete perché i loro figli, Panfilo e Filùmena, si sposino. Panfilo ha però una relazione segreta con Glicerio, fanciulla da cui attende un figlio e che tutti credono sorella dell'etera Criside. Simone scopre la relazione del figlio solo in occasione del funerale di Criside; profondamente irritato da questa "ribellione", gli comunica l'imminenza delle nozze con Filumena, nonostante Cremete abbia annullato l'accordo. Intanto Carìno, amico di Pànfilo, è innamorato di Filùmena. A risolvere l'intricata situazione giunge Critone, un parente di Crìside, il quale svela che non esiste alcun legame di parentela tra Glicerio e Crìside e che Glicerio è figlia di Crèmete. Così avviene un doppio matrimonio tra Pànfilo e Glicerio e Carìno e Filùmena.
L’Andria è la prima opera di teatro latino in cui il prologo è dedicato non all'esposizione del contenuto, ma alla polemica letteraria. Nei primi versi, infatti, Terenzio si difende dall'accusa di plagio e contaminatio.
- Terenzio (Andria, 2, 24).
-
"Davus sum, non Oedipus" -
Io sono Davo, non Edipo
Davo sta per un povero schiavo ingenuo; Edipo invece, il re di Tebe, persona sublime ed intelligente. Si allega questa sentenza quando si vuol addurre la propria debolezza come scusa per non assumere o compiere incarichi troppo alti o difficili.
HECYRA
L'Hecyra ("La suocera") è ispirata da due commedie, una di Apollodoro di Caristo e un'altra di Menandro. Fu rappresentata per la prima volta nel 165 a.C. in occasione dei Ludi Megalenses, ma non ebbe successo pur essendo recitata da Ambivio Turpione (l'attore più famoso di quel tempo). Fu ripresentata nel 160 a.C. in occasioni dei giochi funebri per Lucio Emilio Paolo con lo stesso risultato dato che gli spettatori abbandonarono il teatro preferendo assistere ad uno spettacolo di funamboli. Sempre nello stesso anno in occasioni dei ludi Romani fu rappresentata nuovamente e ottenne successo.
Heautontimorumenos
HEAUTONTIMOROUMENOS
L'Heautontimorumenos (in greco "Il punitore di se stesso") è un'opera rielaborata dall'omonima commedia di Menandro. Fu rappresentata con buon esito nel 163 a.C.
Il vecchio Menedèmo vive volontariamente una vita di rinunce, per punirsi di aver impedito al figlio Clinia l'amore per Antìfila, povera e senza dote. Clinia se n'è andato di casa e si è arruolato come mercenario. Nel frattempo Clinia, senza che il padre lo sappia, alloggia in casa di Clitifone, figlio di Cremète, amico di Menedemo che non vuole più ostacolare il figlio. La moglie di Cremète riconosce Antìfila come sua figlia e così Clinia può sposarla, ma Clìtifone, innamorato di Bàcchide, dovrà sposare una donna scelta dal padre.
Compare nell'atto 1, scena 1 la famosa frase Sono uomo; e di quello che è umano nulla io trovo che mi sia estraneo.
EUNUCHUS
L'Eunuchus (L'eunuco) è una commedia ispirata da due diverse opere di Menandro. Fu rappresentata nel 161 a.C. e fu il maggior successo di Terenzio. Questa commedia parla di un ragazzo che si finge eunuco per stare con la donna amata. Il racconto particolareggiato ad un amico (Antifone) della violenza sessuale (atto ricorrente nella commedia antica), ai danni della ragazza di cui si è invaghito, rappresenta una delle pagine più sensuali della commedia antica.
L'Eunuchus deriva dalla contaminazione dell'Eunuchus e del Colax di Menandro. Il pubblico gradì molto questa commedia grazie all'utilizzo dell'intreccio che l'accomunava con alcune commedie di Plauto.
PHORMIO
Phormio è un'opera rappresentata con successo nel 161 a.C.; il suo modello greco è l'Epidikazòmenos (Il pretendente) di Apollodoro di Caristo. Il parassita Formione riesce con vari stratagemmi a combinare il matrimonio tra i due cugini Fédria e Antifòne e le ragazze di cui sono innamorati, rispettivamente una suonatrice di cetra e una ragazza povera. Alla fine però si viene a scoprire che quest'ultima, di nome Fanio, è cugina di Antifone, mentre la citarista viene riscattata.
ADELPHOE
Commedia di due fratelli e dei relativi padri, con differenti mentalità e metodi educativi; tratta dall'omonima opera di Menandro. Fu rappresentata nel 160 a.C.
Differenze tra le commedie terenziane e quelle plautine
Frontespizio miniato del codice medievale terenziano detto Térence des ducs, appartenuto al re Carlo VI di Francia, poi a suo figlio Luigi di Valois, duca di Guyenna, e quindi a Giovanni, duca di Berry.
Rispetto all'opera di Plauto, tuttavia, quella di Terenzio si differenzia in modo sensibile in vari punti.
Innanzitutto, il pubblico ideale di Terenzio è più colto di quello di Plauto: infatti, in alcune commedie si trovano alcuni argomenti socio-culturali del Circolo degli Scipioni, di cui faceva parte.[10] Inoltre, contrariamente alla commedia plautina, denominata motoria per la loro eccessiva
spettacolarizzazione, straniamento e presenza di cantica, l'opera di Terenzio è definita stataria, perché sono relativamente serie, non comprendono momenti di metateatro né cantica. Data la maggiore raffinatezza delle sue opere, si può dire che con Terenzio il pubblico semplice si allontana dal teatro, cosa che non era mai successa prima di allora.
Altra differenza è la cura per gli intrecci, più coerenti e meno complessi rispetto a quelli delle commedie plautine, ma anche più coinvolgenti in quanto Terenzio, al contrario di Plauto, non utilizza un prologo espositivo (contenente gli antefatti e un'anticipazione della trama). Particolarmente importante in Terenzio è anche il messaggio morale sotteso a tutta la sua opera, volta a sottolineare la sua humanitas, cioè il rispetto che ha nei confronti di ogni altro essere umano, nella consapevolezza dei limiti di ciascuno, ben sintetizzato dalla sua frase più famosa:
- (LA)
- « Homo sum: humani nihil a me alienum puto »
- (IT)
- « Sono un uomo: nulla che sia umano mi è estraneo »
(Heautontimorumenos, v. 77)
È da sottolineare inoltre la differenza presente tra i personaggi plautini e quelli terenziani. Terenzio infatti creò personaggi in cui lo spettatore potesse identificarsi, e viene messa in risalto la psicologia di questi ultimi. Inoltre la figura dello schiavo, il vero personaggio delle commedie di Plauto, viene notevolmente ridimensionata. Il linguaggio usato da Terenzio è quello della conversazione ordinaria tra persone di buona educazione e cultura, quindi un linguaggio settoriale diverso dallo stile di Plauto, in cui erano presenti neologismi e giochi di parole atti a far ridere lo spettatore.
Il più antico commentatore dell'opera terenziana è Elio Donato. Tuttavia la fortuna di Terenzio si protrasse per tutto il Medioevo e il Rinascimento, come attestano le decine di manoscritti che contengono integralmente o almeno in parte le sue commedie. Questo successo fu dovuto in particolare alla loro costante inclusione nei programmi scolastici del tempo, in virtù del loro carattere edificante e dello stile, semplice ma allo stesso tempo corretto e non banale.
Le commedie terenziane costituivano una tappa obbligatoria del curriculum latino del periodo neoclassico.
Una volta il Presidente degli Stati Uniti John Adams scrisse al suo giovane figlio John Quincy Adams (anch'egli, in seguito, Presidente): «Terenzio è notevole per buoni costumi, buon gusto e buon latino... Il suo lessico ha una semplicità e un'eleganza che lo rendono adatto a essere accuratamente studiato come modello».[12]
Inoltre, si pensa che due delle prime commedie inglesi, Ralph Roister Doister e Gammer Gurton's Needle, siano parodie di commedie terenziane.
A causa della sua provenienza, Terenzio è stato a lungo acclamato come il primo poeta della diaspora africana da generazioni di scrittori neri tra cui Juan Latino, Phyllis Wheatley, Alexandre Dumas, Langston Hughes e Maya Angelou.
È inoltre noto che Thornton Wilder, scrittore e commediografo, si basò sull'Andria di Terenzio per scrivere il suo romanzo The Woman of Andros (1930).
(da wikipedia)
TERMINE
Dio romano venerato nel culto privato, nelle pietre confinarie che dividevano due proprietà contigue, e nel culto pubblico, in una cappella del tempio di Giove sul Campidoglio. La limitata sfera d’azione del dio, concernente la salvaguardia dei confini, cadeva in effetti nel più vasto campo d’azione di Giove, garante di ogni diritto, e quindi anche del diritto di proprietà, tanto che a volte si rivolgeva allo stesso Giove l’epiteto di Termine. La sua festa i ” Terminalis ” al 23 febbraio, chiudeva l’arcaico anno sacro romano, quasi al confine tra il vecchio ed il nuovo anno; tale festa rivela la portata cosmico - temporale del dio.
TERRA
(GEA- GAIA)
Fu considerata dai pagani una divinità, madre dei Titani. Madre terra, origine e madre di tutte le cose; contrapposta a Cielo (Urano - Gaio), e spesso, per indicare la vita mondana.
(Vedi Gea)
Note - Terra Madre. Essere superiore femminile di civiltà agricole, garante della fertilità dei campi. Per l’ideologia religiosa che si manifesta nel culto della Terra Madre, L’agricoltura è a fondamento di ogni espressione di civiltà, e dell’ordine stesso del mondo, così che la garanzia della fertilità agraria, attribuita alla Terra Madre, si esternde a garantire l’esistenza del mondo intero e il vivere civile degli uomini. Nella figura della Terra Madre si fondano i due concetti; della terra cosmica e della terra coltivata. In quanto cosmica, viene per lo più accompagnata da un Cielo Padre, ossia all’Essere supremo maschile di natura uranica. L’idea di tale accoppiamento è diffusa sia nel mondo antico, (Europa – Asia) sia presso alcuni odierni primitivi (Oceania). La coppia Terra - Cielo, nelle religioni politeistiche, è stata relegata in genere alle origini mitiche; ad essa si è attribuita, come in Grecia, la nascita della prima generazione divina. La ”maternità” della Terra si esprime quindi nei due sensi; del cosmico e del l’agrario; essa è madre del grano, così come è madre degli dèi, cioè del mondo. Il titolo dell’antica Terra Madre mediterranea diffusasi nella figura di Cibele, era quello appunto di Grande Madre degli dèi, insieme a quello di madre delle biade.
Altre componenti di vario genere concorrono a determinare la “maternità” della Terra.
Tra le altre ricordiamo il rito degli uomini nati dai sassi (le ossa della Terra), di indiscussa antichità, come prova la sua diffusione in aree così distanti tra loro; fra la Grecia antica e il Perù incaico. Allo stesso livello si possono porre i miti, ugualmente diffusi, che fanno venir fuori l’umanità da fori della terra o da caverne, secondo un chiaro simbolismo sessuale. Quanto alla realtà culturale della Terra Madre, essa si riduce allo scopo di assicurare la fertilità dei campi e in genere, il buon andamento dei raccolti.
Indirizzate a questa specifica funzione appaiono, in formazioni politeistiche, dèe, che pur portando il nome di Terra Madre, hanno perduto i caratteri cosmici della figura mitica pre deistica.
Ad esempio la dèa greca Demetra, è stata distinta dalla mitica Gaia, formante con Urano la coppia cosmogonica.
La Terra Madre cosmogonia può alcune volte comparire in altri settori del culto; come in funzione oracolare, come accadde in Grecia, dove si attribuì tale funzione a Gaia. In questa funzione la Terra Madre opera al presente come operò al tempo delle origini del mondo, quando aveva in sé tutto il futuro. Ciò implica forse, il concetto di una creazione continua, ma simili concetti appartengono alla speculazione, e non alla religione, nei cui limiti e piuttosto dato di vedere, per quel che riguarda la Terra Madre oracolare, una semplice riattualizzazione rituale del mito delle origini a cui si ricorre in momenti critici, appunto in quei momenti che richiedono la consultazione di un oracolo.
TERSILOCO
- Tersiloco il peone
- Tersiloco compagno di Enea
Tersiloco, che nella guerra di Troia combatté come alleato degli assediati, era uno dei guerrieri peoni uccisi da Achille sulle rive dello Scamandro, i cui corpi furono poi gettati nel fiume affinché le loro anime non raggiungessero l'Ade. Questa vicenda è narrata nel libro XXI dell'Iliade. Tuttavia nel libro VI dell'Eneide si evince che il cadavere di Tersiloco venne ritrovato, prima dunque che potesse essere divorato dalle anguille (quel che accadde ad Asteropeo) o bruciato dalla pioggia di fuoco inviata da Efesto sul fiume (tale fu la sorte che ebbero i corpi degli altri suoi compagni): Enea, disceso vivo nel mondo sotterraneo con l'aiuto della Sibilla, vede infatti nell'Ade vero e proprio l'anima di Tersiloco, che emozionato gli si fa incontro. Del ritrovamento del corpo e della sua onorata sepoltura doveva evidentemente parlare qualche opera letteraria a noi non pervenuta.
Tersiloco, guerriero troiano esule con Enea dopo la caduta della loro città, perisce in Italia nella guerra contro le popolazioni locali, ucciso da Turno nell'ultima battaglia.
TERSITE
Soldato semplice greco nella guerra troiana (Iliade libro II°)- "Solo Tersite ancora gracchiava parole importune. Era l'uomo più brutto venuto all'assedio di Troia; era sbilenco, storto d'un piede, le spalle curvate in dentro verso il petto; di sopra le spalle la testa sorgeva aguzza, e sopra spuntava una rara peluria..."
TESEO
Eroe atenniese, re e legislatore; figlio di Egeo e compagno di Ercole nella guerra contro le Amazzoni che vinse con l’aiuto della loro regina Ippolita, la quale, innamoratasi di lui, gli diede un figlio; Ippolito. Il mito suo più noto, è quello dell’uccisione del Minotauro.
Gli Ateniesi dovevano pagare ogni anno al re di Creta Minosse un tributo di sette giovani e di sette fanciulle, che venivano date in pasto al Minotauro, un mostro rinchiuso nel Labirinto; il noto edificio tanto intricato che a chi vi entrava era impossibile trovare la via d’uscita. Teseo si unì al gruppo dei giovani destinati al sacrificio.
A Creta si innamorò di lui Arianna, figlia del re. Costei, gli insegnò il modo di uscire dal Labirinto, seguendo un filo che avrebbe sciolto inoltrandosi nell’edificio, mentre lei stessa ne avrebbe tenuto un capo stando fuori. Teseo entrò nell’ edificio dove, con l’aiuto della dea Atena, uccise il Minotauro.
Ne venne poi fuori seguendo il filo di Arianna. Fuggì quindi da Creta, portando con sé la figlia del re Arianna, che in seguito abbandonò nell’isola di Nesso, durante il viaggio di ritorno ad Atene.
Oltre che per l’uccisione del Minotauro, Teseo si rese celebre per la soppressione di giganti e di feroci briganti, nonché per aver debellato le Amazzoni, così come s’è già accennato.
In suo onore venivano celebrate le feste Tesee nei giorni 7 - 8 - 9 del mese di Pyanopsione, (ottobre) che assunsero particolare magnificenza a cominciare dal l’età di Pisistrato e si concludevano con nove gare atletiche. Nel novero delle sue fatiche, il mito vuole che, assieme a Piritoo scendesse all’Ade per rapire Proserpina e anche di prendere parte all’impresa degli Argonauti e per le sue mitiche imprese era venerato quale semidio.
(ritorna a Egeo)
TESEO E IL MINOTAURO - IL LEONE IMPAGLIATO
Pitto, il vecchio re di Trezene, città dell’Argolide, si sbellicava dal ridere; il suo nipotino Teseo, un frugoletto che sapeva appena camminare, aveva visto un’enorme leone nell’atrio della reggia; gli si era avvicinato con un grosso randello in mano e. giù botte da orbi sul groppone e sul muso!
- Ma che fai,piccolino?
- Disse ridendo anch’essa sua madre, la sventurata Etra.
- Non vedi che è un leone impagliato? E’un dono di Ercole, lascialo stare, e subito ripiombò nella sua solita tristezza.
- A che pernsi? Le chiese affettuosamente il re Pitto.
Rissovenendosi di Egèo, re di Atene che l’aveva abbandonata.
Non pensar più a lui; questo bambino supererà un giorno le gesta di suo padre. E non s’ingannò, che Teseo divenne uno dei più grandi eroi nazionali dell’antica Grecia.
Fu uno dei valorosi che parteciparono alla spedizione degli Argonauti: aveva già preso parte con Meleagro e Atalanta alla famosa battuta contro il feroce Cinghiale Calcedonio.
Un giorno, per esercitare i suoi muscoli, smuove un gran masso e vi trova sotto, nascosti, un paio di sandali e una spada.
Li porta alla reggia.
- Son di tuo padre esclama impallidendo la madre.
- E chi è mio padre?
- Il re di Atene!
- E Teseo parte per Atene.
(ritorna a Egeo)
I TRE GIGANTI: - PERIFETE, SINI, SCIRONE
Durante il viaggio incontra un bandito che gli sbarra il passo in una valle, presso Epidauro. Era questi Perifete, un vero gigante che con la sua clava spaccava la testa a quanti si avvicinavano.
Teseo allora l’affrontò, gli strappò di mano la clava, e con un colpo solo lo stese morto a terra col cranio infranto.
Sull’istmo di Corinto ne incontrò un’altro, Sini, che acchiappava i viandanti e li legava a due alberi incurvati, poi lasciava andare i tronchi e i discgraziati restavano squartati.
Allora Teseo lo catturò, legò lui ai due alberi e lo fece in due pezzi.
Ed eccone un terzo, Scirone, che, nella Megaride, dall’alto di una roccia gettava i passeggeri in pasto ad una mostruosa tartaruga di mare.
Allora Teseo lo agguantò e senza misericordia gli fece fare la stessa fine.
(ritorna a Egeo)
PROCUSTE
Più in là, accanto al fiume Cefiso, c’era Procuste, che obbligava i suoi ospiti a dormire in un letto di ferro, e, se eran troppo corti li allungava con una fune e se troppo lunghi li accorciava con una sega, fino a ridurli alla giusta misura.
Allora Teseo gli inflisse lo stesso supplizio, e tirò via!
MEDEA
Teseo arriva finalmente ad Atene e si presenta in incognito alla Corte del re Egeo; e quale persona vede per prima?
Medea la perfida maga che era divennuta la moglie del re!
– Che viene a fare qui costui pensò subito Medea, temendo d’essere riconosciuta. E diceva a suo marito: per certo codesto straniero è venuto per spiare, per investigare, per tramare a nostro danno!
- Bisogrerebbe avvelenarlo!
- E avveleniamolo, finì per consentire il re.
Lo invitarono ad un banchetto e fu il padre stesso che inconsapevole gli versò la mortifera bevanda.
Ma Teseo se ne accorge in tempo e sguaina la spada.
– Chi ti diede quella spada? Gridò il re o dove la trovasti?
– Sotto un masso di Trezene, rispose fieramente Teseo.
– Ed è la spada di mio padre…io son figlio di Etra, da te abbandonata!
– Figlio mio!...Figliol mio!
E lì si baciarono e si abbracciarono. Medea fu scacciata dal regno ed il padre e il figlio governarono insieme.
Ma Atene era in lutto; due anni prima erano state celebrate delle feste in onore di Minerva, protettrice di quella città e ai giochi indetti in quell’occasione avevano concorso i migliori campioni della Grecia, tra gli altri anche Androgeo, figlio di Minosse re di Creta, il quale aveva vinto tutti nelle gare di corsa, di lotta, di lancio. e i giovani Ateniesi invidiosi l’avevano ucciso.
Allora Minosse era sorto in armi alla vendetta; aveva allestito un esercito, dichiarata la guerra, e stretta Atene in assedio.
Siccome egli era figlio di una ninfa, Europa, e di Giove, aveva invocato dal suo divo padre,i più terribili flagelli contro il nemico.
Seguirono incendi, carestie, pestilenze.
Gli Ateniesi ridotti allo stremo, s’erano dovuti rivolgere all’oracolo di Delo.
- Arrendersi a discrezione, e in massa; - questa era stata la risposta della pitonessa: sette fanciulli e sette fanciulle dovevano essere pasto ogni anno e per nove anni per il mio Minotauro! Tali i duri patti imposti da Minosse per placare la sua vendetta!
(ritorna a Egeo)
IL MINOTAURO
Bisogna sapere che un giorno Minosse aveva avuto dal dio Nettuno un toro perché lo sacrificasse; ivece egli se l’era conserva to. Allora l’indignatissimo dio del mare aveva fatto generare da quella bestia un mostro, un uomo gigantesco dalla testa taurina, chiamato appunto il Minotauro. Era spaventevole per forma, per forza e per ferocia, e non si cibava che di tenere membra uma ne. Minosse aveva dovuto far scavare per lui un sotterraneo inestricabile, un labirinto dal quale il mostro non potesse uscire più a compiere le sue tremendi stragi. Costruzione portentosa di un grande architetto. ch’era anche mirabile artefice e inventore, in gegnere egregio e ardimentoso meccanico; un certo Dedalo che aveva allora alla sua Corte.
Atene era dunque tutta in lutto. In due anni già quattordici fanciulli e quattordici fanciulle erano stati mandati a Creta in pasto al mostro insaziabile. E già la terza nave era pronta con il triste carico,,.quando…arrivò Teseo.
Padre, egli disse, io voglio andar con questi sventurati.
Perché? Rispose spaventato il re Egeo.
– Debbo uccidere il Minotauro!
- No! Tu non andrai!
Ma non ci fu verso di smuoverlo.
Se tornerò con la vela bianca, disse a suo padre, vorrà dire che ho vinto, se vedrai invece la vela nera …
Il vecchio re aveva gli occhi gonfi di lagrime. Ma Teseo partì.
A Creta già li aspettavano; nella stessa notte le porte di bronzo del labirinto si sarebbero aperte per accogliere le nuove quat tor dici vittime.
Ed ecco, nel colmo della notte, Teseo si sente chiamato per nome; era Arianna la vaga figlia di Minosse.
Ho io un mezzo, mormora la fanciulla, perché tu riesca!
So già quel che vuoi fare.
– Ascolta! Ho un gomitolo di filo. E’ di Dedalo, Tu lo dipanerai addentrndoti nel sotterraneo, Ti servirà per ritrovar la strada al ritorno. Accettalo… e Teseo…l accettò.
- Ascolta ancora! Aggiunse timidamente Arianna.
- Sentii molto parlar di te…Qualora tu fosti il re degli Ateniesi…
– Ebbene?
Vorrei essere con te la regina di Atene!
– Sarai la mia sposa; giurò Teseo.
Cìò detto, entrò nel labirinto, Arianna l’aveva accompagnato fin sulla soglia. Teneva l’un capo del filo in mano, e sussultava ad ogni scossa e tremava. Ad un tratto ebbe un brivido; il filo oscillava violentemente, s’intese laggiù come un cupo rimbombo; poi il filo si piegò inerte. Poco dopo un ombra apparve sullo sbocco del sotterraneo. Era lui .. Teseo, tutto sporco di sangue.
Che cos’è accaduto?.. chiese trepida Arianna.
L’ho ammazzato, rispose l’eroe.
– Fuggiamo, prima che Minosse se n’accorga!
E via tutti quanti, salvati sulla nave ancorata. Salparono in tutta fretta, ma, durante la navigazione una tempesta li sbattè sulla cos ta dell’uisola di Nesso.Teseo porta in terra la fanciulla e torna con gli altri sulla nave per racconciarla. ma le onde furiose strap pano gli ormeggi trasportando la nave al largo, lontano.
Erano oramai vicini alla Grecia, Dall’alto di una roccia il re Egeo, tutti i giorni guardava il mare pieno d’ansia. Vede finalmente arrivare la nave di Teseo, che per dimenticanza non aveva ammainato la vela nera in segno di lutto per la perdita di Arianna e il povero re, credendo nella sciagura, teme che il suo figliolo sia morto nella spedizione.
Disperato per il gran dolore si getta in quel mare che dal suo nome si chiama ancor’oggi Egeo.
Teseo sbarca, ed è acclamato re!
Ma deve correre subito con Ercole contro le bellicose Amazzoni della Cappadocia; deve sostenere un’altra guerra contro i Lapiti della Tessaglia e una terza guerra in Tracia contro i Centauri.
Egli non pensò più ad Arianna, rimasta abbandonata a Nesso.
Intanto Minosse aveva fatto rinchiudere Dedalo col figlio Icaro nel labirinto da lui stesso scavato. Ma l’ingegnoso inventore non vi stette molto. Fabbricò per il figlio e per sè stesso delle ali composte di cera, e di penne, e fuggi con lui in volo.
Egli se la cavò atterrando felicemente a Cuma in Italia, mentre il figlio Icaro avendo voluto elevarsi troppo vicino al Sole, ne ebbe le ali liquefatte, e miseramente piombò in mare.
(Vedi Icaro)
TESSAGLIA
(Thessalia))
Regione storica della Grecia centrale, che si affaccia al Mar Egeo a Est ed è limitata dalla Macedonia a Nord, dall’Epiro a Ovest e dalla Euritania e dalla Ftiotide a Sud; divisa in quattro provincie: Larisa, Trikala, Karditsa, Magnesia. Vari i gruppi montuosi, tra i quali l’Olimpo (2917 mt). e il Pelion. La regione completamente racchiusa tra le montagne, possiede le più vaste pianure della Grecia peninsulare.
TESTORE
- Tèstore
- Testore
è un personaggio della mitologia greca, veggente e sacerdote troiano, figlio di Idmone l'Argonauta e padre di Calcante, Teonoe e Leucippe.
Un giorno la figlia Teonoe fu rapita dai pirati Carii. Testore si lanciò al suo inseguimento, ma naufragò sulle coste carie e fu imprigionato da Icaro.
La figlia più piccola, tale Leucippe, una volta cresciuta si recò a Delfi dalla Pizia che le suggerì di andare da Icaro. La ragazza si travestì da sacerdote maschio e Teonoe, che nel frattempo era entrata nelle grazie del suo signore Icaro, divenendone concubina, si innamorò del nuovo arrivato. Leucippa si negò, non volendo farsi scoprire, e per questo Teonoe commissionò la sua uccisione a un prigioniero a caso.
La scelta cadde su Testore stesso.
Introdottosi nella camera di Leucippa, prima di alzare la spada, si presentò a lei raccontandole la sua storia. In tal modo i due scoprirono di essere l'uno il padre e l'altra la figlia. Decisero quindi, di comune accordo, di andare a uccidere la concubina di Icaro, ma, una volta nella sua camera, Teonoe riconobbe il padre.
Icaro, ricolmandoli di doni, li rimandò in patria.
è un personaggio della mitologia greca, presente nel sedicesimo libro dell'Iliade di Omero.
Le origini
Testore era un giovane troiano, figlio di tal Enope. Quando gli Achei dichiararono guerra a Troia, egli combatté per la difesa della sua città.
La morte
Durante una battaglia Patroclo, uno dei più forti capi achei, uccise il fante troiano Pronoo e poi mosse contro Testore, che sul suo cocchio aveva assistito alla scena. Temendo il peggio, Testore si nascose prontamente dentro il carro, sperando che il nemico non l'avesse visto; ma Patroclo, cui nulla era sfuggito, balzò sul mezzo e spinse una lancia nella mascella del giovane troiano, la cui bocca rimase confitta con l'arma, come un pesce preso all'amo; il colpo fu così violento da fargli saltare tutti i denti, finiti poi in gola; quindi Testore fu scaraventato violentemente al suolo, dove morì.
- (Omero, Iliade, traduzione di Annibal Caro)
- " Poi d'Enòpo il figliuol Tèstore assalse impetuosamente. Iva costui sovra elegante cocchio, la persona curvo ed in atto di raccor le briglie, che smarrito nel cor s'avea lasciato dalle mani fuggir. Gli si fe' sopra l'eroe coll'asta, e tal gli spinse un colpo su la destra mascella, che la siepe sprofondògli dei denti. A questo modo infilzato nell'asta sollevollo dalla conca del cocchio, e il trasse a terra. Quale il buon pescator sovra sporgente scoglio seduto colla lenza, armata di fulgid'amo, fuor dell'onda estragge enorme pesce; a cotal guisa il Greco fuor del cocchio tirò colla lucente asta il confitto boccheggiante, e poscia lo scrollò dalla picca, e lungi al suolo lo gittò sanguinoso e senza vita. "
TETI
o TETIDE
Titonessa figlia di Urano e di Gea, dèa del mare, è una delle cinquanta Nereidi, sposa al mortale Peleo è madre di Achille.
TEUCRO
Eroe eponimo dei teucri (troiani), figlio dello Scamandro (o Xanto), e suocero di Dardano. Eroe Greco, fratello maggiore di Aiace figlio del re di Salamina Telamone; scacciato dal padre per non aver vendicato la morte del fratello. Fondò una città dello stesso nome a Cipro. Altra versione lo vuole figlio di Esione, figlia di Laomedonte re di Troia. Fu data per seconda moglie a Telamone, perciò l'abborrita rivale della madre di Aiace, da Ercole, in premio di aver primo scalato le mura di Troia nella guerra contro Laomedonte.
(Vedi Telamone)
(ritorna a Baticia )
- Teucro
- Teucro
- Teucro
- Teucro
figura della mitologia greca, figlio del dio fluviale Scamandro
Nella mitologia greca Teucro (in greco Τευκρος, "Teukros") è il primo re mitico della Troade.
Figlio della ninfa Idea e del re della Beozia Scamandro, discendente dell'omonimo dio fluviale, Teucro regnò sulla Troade prima della fondazione di Troia.
Accolse alla sua corte Dardano, che fuggiva da Samotracia in seguito alla morte del figlio Iasione. Dardano ne sposerà la figlia Batea e regnerà sulla regione che assumerà il nome di Dardania.
Teucro per associazione sta a significare anche Troiano in senso lato.
Teucro è un personaggio della mitologia greca. Era figlio di Telamone e di Esione, figlia di Laomedonte, e fratellastro di Aiace il grande. Si distinse nella Guerra di Troia in qualità di infallibile arciere.
Nella battaglia che seguì il duello tra Ettore e suo fratello Aiace, egli realizzò un vero massacro di nemici, che abbatté uno dopo l'altro grazie alle sue frecce: Orsiloco, Ormeno, Ofeleste, Daitore, Cromio, Licofonte, Amopaone e infine il valoroso Melanippo. Furioso per non essere ancora riuscito a colpire Ettore con la sua freccia, ne scoccò un'altra nella sua direzione, ma Apollo deviò il dardo che andò a colpire un fratellastro del principe troiano, Gorgitione, figlio di Priamo e Castianira.
Teucro difese coraggiosamente anche l'accampamento greco dal feroce assalto dei nemici; quando vide il formidabile Glauco arrampicarsi sulle mura, gli scagliò contro una freccia che lo ferì ad un braccio: il capo licio arretrò, sparendo tra le file dei suoi alleati.
Il cugino Sarpedonte allora con una furia incredibile afferrò un parapetto che impediva l'accesso all'accampamento, distruggendolo e aprendo un varco ai suoi compagni. Tuttavia nulla poté l'abile arciere stavolta contro un simile nemico.
Più tardi, Poseidone, uscito dal mare e assunto l'aspetto di Calcante, passò in rassegna i capi achei più forti per incitarli alla battaglia in difesa delle loro navi. Scoppiata nuovamente la mischia, Teucro scagliò la sua lancia uccidendo Imbrio, genero di Priamo, vendicato immediatamente da Ettore, che uccise l'avversario Anfimaco con un colpo d'asta e lo spogliò delle armi. L'eroe figlio di Telamone si rifece in seguito di questa perdita uccidendo poi Protoone e Perifete, altri temibili guerrieri.
Per i giochi funebri in onore di Patroclo perse la gara di tiro con l'arco contro Merione, perché non aveva promesso sacrifici ad Apollo, come invece aveva fatto il suo avversario. Fu tra i guerrieri che si nascosero nel cavallo di legno. Al ritorno a Salamina fu cacciato dal padre che lo accusò di non aver saputo proteggere Aiace da se stesso e di non essere riuscito a vendicarlo uccidendo Ulisse. Con alcuni fedeli amici si recò a Cipro, dove, aiutato da Belo, si stabilì nell'isola e fondò una città cui diede il nome di Salamina in ricordo della patria. Sposò Eunea, figlia del re di Cipro. Secondo un'altra versione tentò invano di tornare a Salamina e poi si recò in Spagna, dove morì.
Le sue vicende erano raccontate nel Teucer del tragediografo latino Marco Pacuvio.
Arciere Greco, detto anche Teucro,
figura W-IV del frontale occidentale del Tempio di Afaia,
ca. 505-500 a.C., Monaco, Glyptothek.
astrologo di Babilonia
Tèucro Babilonese (gr. Τεῦκρος, lat. Teucer). - Astrologo greco del sec. 1º d. C., considerato quale interprete delle norme oracolari astrologiche di Ermete Trismegisto. Ha esercitato una forte influenza sugli astrologi arabi e medievali in genere con la sua descrizione dei decani e delle costellazioni relative.
(da Treccani)
storico di Cizico
Nella mitologia greca, Cizico dal greco Κύζιχος era uno degli eroi del mito, figlio di Oineo (già compagno di Eracle) e di Enete, a sua volta figlia del nobile trace Eussoro e dunque sorella dell'eroe Acamante, che da vecchio avrebbe partecipato alla guerra di Troia. Sua moglie Clite era invece la sorella di Arisbe, prima moglie di Priamo, e di Adrasto e Anfio, futuri re di due città della Troade: anch'essi sarebbero in seguito intervenuti in difesa dei troiani.
(da wikipedia per altre informazioni su Cizico
TEVERE
o Lidio
Il fiume è detto lidio perchè scorre attraverso il paese degli etruschi, che si diceva provenissero dalla Lidia, regione dell'Asia Minore.
TH - TO
THOT
- Thot egizio
- Thot presso i Greci
- Thot presso i Fenici
- Thot nei tempi moderni
- Curiosità
Thot (scritto anche Toth o Thoth) è una divinità egizia appartenente alla religione dell'antico Egitto, dio della Luna, della sapienza, della scrittura, della magia, della misura del tempo, della matematica e della geometria. È rappresentato sotto forma di ibis, uccello che vola sulle rive del Nilo, o sotto forma (meno frequente) di babbuino.
Originario del 3º distretto del Basso Egitto, capitale Damanhur (Hermopolis Parva), comparve già nel periodo predinastico.
Però la città dove venne maggiormente adorato fu Ermopoli ("Città degli Otto"), capitale del 15º distretto dell'Alto Egitto, dove venne rappresentato in sembianza di ibis, di cinocefalo ed anche di toro.
Nella teogonia di Ermopoli Thot assunse un ruolo di grande rilevanza e fu considerato una delle divinità creatrici del mondo. Come divinità lunare venne associato con il sole morto in quanto la luna stessa (Iah) compare raramente nella teologia egizia. Come i cicli della luna regolavano molti dei rituali religiosi ed eventi civili della società egiziana, così Thot fu considerato anche il primo regolatore di tali attività.
Il dio Thot raffigurato come un babbuino (Museo del Louvre)
Paredra di Thot fu Seshat che con lui divideva il compito di scrivere nomi ed imprese dei defunti sulle foglie dell'albero ished; secondo altre tradizioni sposa di Thot fu anche la dea-rana Heket e la sua compagna Seshat.
In quanto inventore della scrittura e patrono degli scribi fu tale ruolo che ebbe anche nei confronti del dio Ra di cui era segretario e visir.
Nella Duat, il mondo degli inferi, aiutava Osiride che giudicava le anime dei morti nella psicostasia.
È stato a volte identificato con il dio greco Ermes o Hermes Trismegistus.
In un dialogo platonico, il Fedro, Thot viene nominato (come Theuth), in un breve apologo proposto da Socrate per contestare l'importanza della scrittura, di cui il dio egizio sarebbe stato l'inventore, a favore dell'oralità — che all'epoca di Socrate era ancora molto sviluppata — la quale sola permetterebbe all'uomo di "possedere" nella propria memoria quello che la fredda scrittura fissa su supporti materiali.
Il mitografo Filone chiama Taaut un dio, figlio di Crono, corrispondente al dio Thot degli Egizi. Secondo altre fonti la divinità è invece collegabile a Giano[1].
La Praeparatio evangelica riferisce che il mitografo fenicio Sanchuniathon attesta la presenza del dio Taaut presso i fenici[2], ideatore della scrittura come il dio Toth[3][4]. L'autore lo identifica con Ermes[5], lo pone come successore di Misor al trono d'Egitto e riferisce che gli Egizi lo chiamarono Thoyth e gli alessandrini Thoth[1].
Un'ipotesi sull'origine dei Tarocchi fa riferimento al Libro di Thot, nel quale sarebbero contenute delle conoscenze antiche originariamente trasmesse all'uomo da questa divinità. Esiste anche uno specifico mazzo di tarocchi creato da Aleister Crowley e Lady Frieda Harris.
Thot compare anche nella saga letteraria "The Kane Chronicles": nel primo romanzo La piramide rossa ha un ruolo di rilievo mentre nel secondo compare brevemente, infine nel terzo avrà un ruolo di rilievo come nel primo.
Thot appare nel capitolo Starduster Crusaders del manga e anime Le bizzarre avventure di JoJo, come stand appartenente a Boingo, a servizio di DIO.
Secondo quanto riportato dallo scrittore ed editore Christoph Friedrich Nicolai nel testo Beschreibung einer Reise durch Deutschland und die Schweiz im Jahre (Descrizione di un viaggio in Germania e Svizzera) durante una visita nel 1781 allo scultore tedesco Franz Xaver Messerschmidt quest'ultimo «aveva, appeso vicino alla finestra, un mezzo foglio col disegno di una vecchia statua egiziana senza braccia, che egli guardava sempre con grande ammirazione e riverenza. Questo disegno era legato a certe sue idee stravaganti, che giungevano in lui a eccessi da far meraviglia». Inoltre, lo scultore, come anche riportato da Rudolf e Margot Wittkower nel loro testo Nati sotto Saturno, presentò a Nicolai «un'intricatissima teoria sulle proporzioni umane, il cui segreto era contenuto nell'Hermes Egiziano»[6], il quale secondo i coniugi Wittkower era quello rappresentato dalla figura egiziana del disegno che, a quanto da essi presentato, Nicolai identificava come una rappresentazione di Ermete Trismegisto
(da wikipedia)
TIBERINO
Tiberino è una figura della mitologia romana, era una divinità della natura, legata al fiume Tevere. Secondo la mitologia romana era fratello di Fonto, dio delle sorgenti, e figlio di Giano e di Giuturna, signora delle acque.
La sua festa annuale (le Tiberinalia) veniva celebrata l'8 dicembre[1], anniversario della fondazione del tempio del dio sull'Isola Tiberina ed era un rito di purificazione e propiziatorio.
Orazio, ricordando uno straripamento del fiume dopo la morte di Cesare, chiama Tiberino sposo di Ilia o Rea Silvia, che egli avrebbe accolto nelle sue acque, cacciata da Amulio.
Il culto di Tiberino, tradizionalmente fondato da Romolo, ebbe notevole importanza nella topografia sacrale di Roma. Sacra era l'isola Tiberina, sede di un santuario del dio infero Veiove e poi del santuario di Esculapio.
Nel libro VIII° dell'Eneide il dio Tiberino, in forma di vecchio avvolto da un velo verde grigio e coronato di canne, appare in sogno ad Enea e gli suggerisce di risalire la corrente del fiume fino al Palatino, ove sorge il Pallanteo di Evandro.
È una delle più antiche divinità italiche.
TIBERIO
GIULIO CESARE
Imperatore romano (n. Roma 42 a.C. - m. Miseno 37 d.C.) Discendente della nobile famiglia Claudia, prima della sua assun zione al trono si chiamava Tiberio, Claudio Nerone. Entrò ancor giovanissimo nella vita pubblica, e in seguito del matrimonio della madre Livia con Augusto, divenne membro della famiglia imperiale. Apprezzandone molto le qualità personali, Augusto, oltre che figliastro, lo volle genero e a questo scopo gli fece ripudiare la moglie Vipsania Agrippina per dargli la propria figlia Giulia. Fu brillante comandante delle truppe in Pannonia, in Germania, in Dalmazia, riportando successi e un trionfo.
Sebbene insignito della – tribunia potestas - nel 7 a.C., si ritirò repentinamente a Rodi per motivi familiari col nipote di Augusto, Gaio Cesare, che appariva il probabile successore al trono, e perché scosso dall’indegno comportamento della moglie Giulia.
Tornato a Roma nel 4 d.C., in seguito alla morte di Gaio Cesare, e adottato da Augusto, gli successe nel 14 d.C., dando avvio a un lungo e molto discusso principato. Con lui ebbe origine la dinastia di Giulio - Claudia.
Tiberio non tentò nuove espansioni territoriali, accontentandosi di consolidare i confini orientali e danubiani. Conservatore nella politica interna, favorì l’aristocrazia restaurando in molte funzioni dello Stato il potere senatorio, a scapito dello stersso principato, per il quale conservò però il co mando militare e l’amministrazione finanziaria, e a svantaggio soprattutto del popolo, dei ceti italici e dell’esercito.
Nel 26 d.C., alla morte di Germanico, fatto avvelenare dal prefetto del pretorio Sciano, si ritirò a Capri in una villa isolata. nauseato dagli intri ghi di corte e governò l’impero attraverso il potente Seiano, quando ebbe notizia di una congiura da lui ordita per impadronirsi del trono (31 d.C.),)e continuò a governare servendosi della polizia; morì in Campagna durante un viaggio a Roma che voleva rivedere sentendosi prossimo alla fine.
TIBRONE
Stratega spartano
Prima campagna in Asia
Nel 400 a.C. fu inviato come armosta , con un esercito di circa 5000 uomini, in aiuto agli Ioni contro Tissaferne, che voleva sottometterli. Al suo arrivo in Asia Tibrone ottenne dei rinforzi, il più importante dei quali fu la divisione dei Greci di Cirene, e riuscì a catturare diverse città. Ma nel frattempo permise alle sue truppe di saccheggiare il paese dei suoi alleati e fu quindi sostituito da Dercillida e costretto a tornare a Sparta, dove fu processato e multato.
Sembra che non fosse in grado di pagare la sanzione e quindi andò in esilio.
Seconda campagna in Asia
Nel 392 a.C. gli Spartani lo inviarono nuovamente in Asia contro Struta; Tibrone, però, fu di nuovo incurante delle sue responsabilità e della disciplina, mentre si diede ai piaceri conviviali.
Un giorno, di conseguenza, Struta mandò volutamente alcuni cavalieri persiani a commettere depredazioni nella zona di Tibrone; questi balzò avanti in modo disordinato per fronteggiarli, ma Struta improvvisamente si avvicinò con un esercito numericamente superiore, grazie al quale sconfisse e uccise Tibrone.[1]
(da Wikipedia)
TIBULLO
Albio
Poeta latino del I s.a.C. Della sua vita si sa pochissimo; nato probabilmente a Gabi nel Lazio intorno al 60, pare sia morto nel 19 a.C. Amico di Orazio, che lo presenta malinconico, solitario, nonostante le doti che la natura e la sorte lo avevano colmato; ebbe in realtà rovesci di fortuna e non poche contrarietà. Cantò il giovane Marato e le due donne da lui teneramente amate, una Delia e una Nemesia. Nel “Corpus Tibullianum” (suddiviso prima in tre e poi in quattro libri di componimenti elegiaci), sono confluite le banali poesie di un certo Lindamo, identificato con Ovidio o con il fratello di questi; un panegirico in esametri di Messala Corvino (l’uomo politico che protesse Tiberio e del cui circolo il poeta fece parte), e le vibranti elegie della poetessa Sulpicia. A Tiberio si possono attribuire con certezza solo i primi due libri (16 componimenti in tutto). Pur risentendo di molti influssi, da Lucrezio a Catullo a Virgilio, egli trova una sua originalità nel l’effusione di un sentimento amoroso sincero e langui do, in ambienti di mollezza agreste, ove il sogno di evasione dalla funesta attività militare, dalla caotica metropoli, si realizza in una mitica semplicità di vita nell’intimità dell’idillio familiare. La malinconia resta il diaframma attraverso il quale vede le persone e le cose della sua vita e un tono malinconico permea i suoi versi, identificandosi con la dolcezza un po’ fragile del suo canto.
TIDEO
Tideo è un eroe della mitologia greca, nato dall'unione di Oineo, re di Calidone, con sua figlia Gorga (oppure di Peribea figlia di Ipponoo, sua seconda moglie[1]). È uno dei protagonisti della spedizione dei Sette contro Tebe.
Tideo fu obbligato a lasciare Calidone dopo aver ucciso un parente, sulla cui identità le fonti non concordano. Recatosi ad Argo presso Adrasto per essere purificato dell'omicidio, ebbe un diverbio con Polinice figlio di Edipo e pretendente al trono di Tebe, anch'egli ospite dal generoso re. Questo litigio era stato profetizzato ad Adrasto e, per obbedire all'oracolo, egli diede in moglie ad entrambi i litiganti una delle sue figlie; a Tideo toccò Deipile, da cui ebbe il celebre eroe Diomede (il Tidìde, come viene frequentemente nominato nell'Iliade).
Sempre per adempiere l'oracolo, Adrasto si adoperò per rimettere i due generi sui loro troni; ma nella spedizione per la sottomissione di Tebe Tideo, pur uccidendo in duello Melanippo, che era stato posto a guardia di una delle porte di Tebe,[2] fu da questo ferito a morte. Atena, che teneva particolarmente all'eroe e lo proteggeva nelle sue battaglie, gli apparve per somministrargli una bevanda che lo avrebbe reso immortale; ma il suo nemico Anfiarao ricorse all'astuzia di decapitare il morto Melanippo e gettare la sua testa a Tideo, che la tagliò in due per divorarne il cervello. Inorridita Atena cambiò idea e abbandonò Tideo che morì per le ferite.[3]
Diomede vendicò la morte del padre partecipando alla vittoriosa spedizione degli Epigoni. Più tardi egli prese parte alla guerra di Troia, dove tra l'altro affrontò Enea, che dopo la caduta della città fuggì in Italia. Come narra Virgilio, Enea giunge a Cuma presso la Sibilla, la quale lo accompagna vivo nell'Ade per portarlo dal padre Anchise; è in questa occasione che Enea vede il padre di colui che per poco non l'aveva ucciso in battaglia (Tideo è in compagnia di Adrasto e Partenopeo, nella zona riservata agli eroi).
Iconografia
È stato recentemente ipotizzato che una delle due statue bronzee conosciute come Bronzi di Riace, custodite presso il Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria, raffiguri Tideo.
(da wikipedia)
TIDIDE
Diomede, figlio di Tideo, il celebre eroe Diomede, (il Tidìde, come viene frequentemente nominato nell'Iliade)
TIESTE
Eroe greco, padre di Egisto, figlio di Pelòpe, e fratello gemello di Atrèo. Re di Micene è costretto all’abbandono per l’odio ver so il fratello Atreo (cause sulle quali la tradizione non è concorde). Ritorna in patria dopo molti anni e Atrèo fingendo di riconci gliarsi con lui, lo invita a banchetto e gli imbandisce le carni dei suoi stessi figli. Tieste maledisce la stirpe di Atrèo e la maledizio ne si compie, in parte per colpa dell’unico suo figlio superstite Egisto. La vicenda è determinata (secondo il racconto di Eschilo nell’Agamennone), come già accennato, dall’odio verso il fratello gemello Atrèo. Tieste divenuto re di Micene, per un inganno di Atrèo, suo gemello, mangiò senza saperlo, i propri figli. L’orrore per l’accaduto lo costrinse a lasciare la città, che cadde in mano ad Atrèo. Un figlio di Tieste, Egisto, vendicherà l’oltraggio subito dal padre, uccidendo Atrèo e poi il figlio di lui, divenuto re di Micene. Omero sembra ignorare queste vicende atroci della famiglia dei Pelopedi, anzi, secondo l’Iliade il trono di Micene passa senza scosse da Atrèo a Tieste.
TIFI
Eroe greco, pilota degli Argonauti.
TIFONE
o TIFEO
Essere mostruoso e terribile, metà uomo e metà animale, nato per portare a terrmine le vendette parafamiliari fra gli dèi. La sua nascita, secondo le fonti più bizzarre, non fu dovuta a un amplesso amoroso dell’antenato spodestato da Zeus (Saturno o Crono), ma il frutto del onanismo su due uova. Il demone che nacque si guadagnò presto il titolo regale di dio dei venti impetuosi.
TIMETE
Uno degli anziani di Troia che per primo esorta i Troiani di far entrare il cavallo di legno e di porlo in cima alla rocca.(Capi ed altri non sono di questo avviso; ma di gettarlo in mare o arso).
TIMOTEO
Scultore greco nato probabilmente ad Epidauro, attivo nel IV s.a.C. La sua opera è legata al tempio di Asclepio, ad Epidauro e al Mausoleo di Alicarnasso, cui collaborò con fregi e sculture frontali. Sebbene la sua opera sia non del tutto ancora nota, si colloca nella corrente posfidiaca manierale di cui mostra di aver assimiliato il callicratismo e il culto per il chiaroscuro.
TINDARO
o TINDARIDI
Tindaro (o Tindareo) (in greco antico: Τυνδάρεος, Tyndáreos) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Ebalo (o di Periere[1]) e di Gorgofone[2] (o della ninfa Batea[3]), e padre dei cosiddetti Tìndaridi. Mitologia Era il re di Sparta insieme al fratello Icario. Destituiti dal fratellastro Ippocoonte[4], Tindaro raggiunse Calidone e fu ospitato dal re Testio. Testio aveva due figlie: Altea che sposò Oineo e Leda che, per quanto amata da Zeus, sposò Tindaro e dal quale ebbe quattro figli, definiti con il patronimico di Tìndaridi: Castore e Polluce, Elena e Clitennestra. Secondo il mito, solo Clitennestra era in realtà figlia di Tindaro, mentre Zeus, che aveva sedotto Leda sotto le spoglie di un maestoso cigno, era il vero padre di Elena, Castore e Polluce. Tuttavia, anche Elena è definita "Elena Tindaride", cioè figlia di Tindaro. Organizzò poi con Eracle un attacco vittorioso contro Sparta per riconquistare il trono[5]. Elena era una magnifica fanciulla e in breve la corte fu assalita dai pretendenti. Spaventato dal numero, Tindaro fece giurare a tutti, su suggerimento di Ulisse, anch'egli in un primo momento fra i pretendenti alla mano della ragazza, che chiunque fosse stato il fortunato sposo, tutti loro avrebbero dovuto correre in suo aiuto in caso di necessità. Elena sposò Menelao. Quando Paride rapì Elena e la portò a Troia, dando inizio alla guerra, Tindaro fece appello al suo giuramento e chiese agli ex pretendenti il loro aiuto.
TIRANNIDI
Deità primordiali, figlie di Urano e Gea
(Vedi Dione)
TIRESIA
Padre di Manto, eroe indovino della mitologia tebana. Varie versioni narravano come avesse acquistato il dono della profezia. La più nota racconta che sul monte Cilene, vide due serpenti accoppiarsi; egli li separò (o uccise la femmina, e per questo fatto divenne una donna); dopo sette anni riacquistò il sesso perduto.Vedendo ancora nello stesso luogo due serpenti accoppiarsi e, comportandosi come la prima volta, per la sua duplice esperienza fu interrogato da Zeus ed Era che erano in disaccordo sul piacere erotico dell’uomo e della donna. La sua risposta che attribuiva maggior erotismo alla donna, scontentò Era che lo rese cieco, e piacque a Zeus che lo rese indovino. Altra versione lo vuole indovino di Tebe in Beozia e cieco per l’ira di Era, ma compen sato da Giove con il dono della profezia; predisse la sorte ad Edipo e Creonte; ed è consultato da Ulisse nell’oltretoma. Vedi episodio dell’Odissea; al caso, riportarlo!
Il Foscolo sulla mitologia.
Il mito pur nella sua forma fissa, è capace di sempre nuove interpretazioni, e di raccoglire in se tutte le correnti del pensiero moderno. Così nelle Grazie sono sviluppate per via di miti, concezio ni di una filosofia tutta nuova: come quella della verità che acceca chi la vuol vedere tutta; sim boleggiata nella favola di Tiresia, punito di cecità per aver voluto dare un'estensione e una signi ficazione tutta nuova ai pochi versi di Callimaco
TIRII
Abitanti di Tiro.
TIRINTO
Antica città dell’Argolide, particolarmente splendida in epoca micenea. La monumentale acropoli riportata alla luce con gli scavi di Schliemann, fu circondata attorno al XV s.a.C., da una prima cinta di mura ciclopiche che raggiunse proporzioni colossali (perimetro m.700, altezza. 8 m. e profondità massima 18 m), at traverso successivi ampliamenti. In queste mura, costituite da massi che a volte raggiungono i 3 m., si aprono profonde gallerie a sesto acuto fiancheggiate da casematte. Oltre la cinta delle mura, seguendo il corso della strada che passava per l’ingresso trincipale si accedeva a due propilei monumentali, a un grande cortile porticato e infine al grande – megaron (mt.11.80 x 9.80), con il tetto sostenuto da quattro colonne, che circondavano un focolare centrale. L’edificio era inoltre ornato da un pavimento dipinto e affreschi con scene di caccia e di guerra. Il megaron attorno al quale sorse un modesto abitato, fu adibito nei secoli successivi a tempio di Era, fino al 468 a.C., anno in cui presu mibilmente fu distrutta da Argo.
TIRO
Città della Fenicia da cui proveniva Didone, moglie di Sicheo, ucciso dal di lei fratello Pigmalione.
TIRTEO
Poeta greco, vissuto a Sparta nella seconda metà del VII s.a.C., tipico rappresentante dell’elegia guerresca. Secondo la leggen da sarebbe stato un maestro di scuola zoppo, mandato per dileggio dagli Ateniesi agli Spartani come comandante militare. Spartana fu certo la sua concezione dell’eroismo guerresco, che annulla l’individuo nella collettività. Tutta la sua poesia (le ele gie intitolate “Esortazioni e buongoverno”, e gli anapestici “Canti di Marcia”), è percorsa da motivi di valore e dell’onore militare, del coraggio e del sprezzo della vita, per cui; ”esser morto è bello per un prode che per primo è caduto per la sua patria”. La rappresentazione delle battaglie ha talora notevole forza e l’autenticità del sentimento riscatta la sua poesia da un retorico moralismo.
TISIFONE
Una delle tre Erinni ( le altre due: Megera e Aletto).
(Vedi Erinni)
TITANI
Figli di Urano (Cielo) e Gea (Terra); il loro nome significa forse ”Signori”. (personificazione delle forze cieche della natura). Ribellatisi a Crono (Saturno), loro fratello, lo imprigionarono, ma Zeus (Giove), suo figlio, lo liberò e lo rimise sul trono, preci pitandoli nel Tartaro. Stirpe antica (precosmica) degli dèi, che dominavano prima dell’avvento di Zeus sotto la guida di Crono; erano sei maschi e sei femmine che si accoppiarono tra foro, dando origine ai grandi dèi olimpici (figli appunto di Crono e di Rea), sia a un gran numero di divinità minori. Erano esseri primordiali, violenti e caotici. L’antitesi era miticamente espressa nel racconto della titanomachia (guerra dei Titani), contro gli dèi; la lotta fu decisa (secondo la Teogonia di Esiodo), dall’intervento degli Ecatonchiri (esseri simili ai Titani), che presero le parti degli dèi. Sconfitti, furono precipitati come sopra detto da Zeus nel Tartaro. Ma Titani, vennero chiamati anche i Giganti, ugualmente figli di Urano e Gea, e titanomachia fu sinonimo di Gigantomachia. Ai dodici Titani vanno aggiunti i Ciclopi ; Bronte, Arge, Sterpe e i Centimani: Cotto, Briareo e Gie. Per i mitologi la vittoria di Zeus contro i Titani é la vittoria dell’ordine olimpico sui remoti cataclismi tellurici.
TITANO
Ciascuno dei figli del Cielo (Urano) e della Terra (Gea).
TITIRO
Mitico nome di pastore.
TITO LIVIO
Tito Livio, il cui cognomen è sconosciuto (Patavium, 59 a.C. – Patavium, 17 d.C.), è stato uno storico romano, autore di una monumentale storia di Roma, gli Ab Urbe Condita libri CXLII, dalla sua fondazione (tradizionalmente datata 21 aprile 753 a.C.) fino alla morte di Druso, figliastro di Augusto nel 9 a.C..
Secondo San Gerolamo, il quale a sua volta fa riferimento a Svetonio, nacque nel 59 a.C.[1] a Padova.[2] Quintiliano ha tramandato la notizia che Asinio Pollione rilevava in Livio una certa patavinitas (padovanità o peculiarità padovana), da intendersi come patina linguistica rivelatrice della sua origine provinciale,[3] mentre Marziale ricorda l'accentuato moralismo della sua terra,[4] tipico come le sue tendenze politiche conservatrici.[5] Lo stesso Livio, citando Antenore, mitico fondatore di Padova, all'inizio della sua monumentale opera, conferma indirettamente le proprie origini patavine.[6]
I Livi erano di origine plebea, ma la famiglia poteva fregiarsi di antenati illustri in linea materna: nella Vita di Tiberio Svetonio ricorda che la famiglia « era stata onorata da otto consolati, due censure, tre trionfi, da una dittatura e dal magistero della cavalleria ».[7] Verosimilmente, fu educato nella città natale, istruito prima da un grammatico, con il quale apprese a scrivere in un buon latino e imparò altresì il greco, e in seguito da un retore, che lo avvicinò « all'eloquenza politica e giudiziaria ».[8] Uno degli avvenimenti più importanti della sua vita fu il trasferimento a Roma per completare gli studi; fu qui che entrò in stretti rapporti con Augusto, il quale, secondo Tacito,[9] lo chiamava "pompeiano" per il suo filo-repubblicanesimo; questo fatto non compromise la loro amicizia, tanto che godette sempre della stima e dell'ospitalità dell'imperatore, e per suo consiglio il nipote e futuro imperatore Claudio compose un'opera storica.[10]
Non ebbe tuttavia incarichi pubblici, ma si dedicò alla redazione degli Ab Urbe condita libri per celebrare Roma e il suo imperatore, e si impose ben presto come uno dei più grandi storici del suo tempo. Fu anche autore di scritti di carattere filosofico e retorico andati perduti.[11] Ebbe un figlio, che egli esortò a leggere Demostene e Cicerone,[12] autore di un'opera di carattere geografico, e una figlia, che sposò il retore Lucio Magio.[13]
Non si sa quando sia tornato a Padova, dove morì nel 17 d.C., secondo Gerolamo: « Livius historiographus Patavi moritur ».[14]
(da wikipedia)
TITONE
o TIFEO
Gigante, amato marito dell’Aurora, la quale chiese agli dèi l’immortalità ma non la giovinezza; gli dèi impietositisi tramutarono il decrepito Titone in Cicala.
TOLOMEI
- TOLOMEO I° SOTERO
- TOLOMEO II° FILADELFO
- TOLOMEO III° EVERGETE
- TOMEO IV° FILOPATORE
- TOLOMEO V° EPIFANE
- TOLOMEO VI° FILOMETORE
- TOLOMEO EUPATORE
- TOLOMEO VII° EVERGETE II°
- TOLOMEO VIII° SOTERO II°
- TOLOMEO IX° ALESSANDRO I°
- TOMEO X° ALESSANDRO II°
- TOLOMEO XI° AULETE (o sonatore di flauto)
- TOLOMEO XII°
- TOLOMEO XIII°
- TOLOMEO XIV° CESARIONE
- TOLOMEO FILODELFO
- TOLOMEO RE DELLA MAURITANIA
- TOLOMEO CLAUDIO
Altro dei compagni di Alessandro il Grande, e fondatore di una nuova monarchia in Egitto. Nato verso il 360 a.C., a Eordea, provincia della Migdonia, appartenente alla Macedonia, Lo si reputa figlio a Filippo e quindi fratello ad Alessandro, ma egli non riconobbe altro padre che Lago, marito di sua madre, quindi i suoi discendenti furono detti Lagidi. Educato con Alessandro, sposò la causa, da quando Filippo ripudiò Olimpia, madre di Alessandro, e quando questi salì al trono (337 a.C.), se lo tenne compagno in tutte le sue spedizioni, e a lui dovette la vita nella presa della città di Oassidrachi. Morto l’eroe macedone nel 334 a. C., Tolomeo propose di dividere l’impero fra i vari generali; invece venne decretato che Arrideo, figlio naturale di Filippo, fosse riconosciuto re, a patto che prendesse il nome di Filippo, ancora caro ai Macedoni, e dividesse il suo potere con Ercole, figlio di Alessandro e Barsina e dal principe che nascerebbe da Rossano, altra sposa del Conquistatore. La tutela dei re venne affidata a Perdicca, e nella divisione delle provincie, Tolomeo ottenne l’Egitto con la Libia e alcune parti dell’Arabia e della Siria confinanti con l’Egitto. Per cattivatsi l’amore dei suoi popoli, tenne la più savia condotta. Perdicca, che aveva tentato di spogliarlo del governo, e riuscì male in ogni sua impresa, venne assassinato dalle sue truppe (322 a.C.), che Tolomeo seppe guadagnarsele, e approfittando della discordia di Cirene, la sottomise, e di poi, si impadronì della Giudea e della Fenicia e mentre Di canore suo luogotenente molestava la Siria, volse l’animo ad abbellire i suoi Stati, e a fertilizzarli. L’ambizione di Antigono lo trasse in una Lega con Seleuco, Cassandro e Lisimaco, e n’ebbe qualche vantaggio, ma Demetrio figlio di Antigono, gli tolse al cune città della Fenicia e della Siria, e sostenne varie lotte contro di lui, ma la fortuna non gli fu sempre amica, e, quando Anti gono prese il titolo di re, anche Tolomeo fece altrettanto, mentre che fino allora non aveva che il titolo di governatore. Alla fine le pretese di Antigono, provocò le armi di Seleuco, Cassamdro, Lisimaco e Tolomeo nel 302, e la battaglia campale d’Ipso, nella Frigia decise le sorti dei successori di Alessandro Magno, Antigono cadde sul campo. Demetrio si rifugiò a Efeso cogli avanzi dell’esercito disfatto, ma nella divisione delle provincie conquistate i vincitori vennero in discordia: Seleuco si alleò con Demetrio, e Tolomeo con Lisimaco, e riconquistò parte dell’isola di Cipro, già da lui occupata perecedentemente con frodo, la maggior parte del la Frigia e la provincia che già possedeva nella Siria. La pace conclusa con Demetrio fu di breve durata per l’indo le irrequieta di lui, che si gettò presto alle armi, ma ad onta di alcuni vantaggi, perdette successivamente tutti i suoi possessi sulle coste della Fenicia e dell’Asia Minore. Allora Tolomeo non prese più parte alle lotte che agitavano l’Asia e l’Europa; condusse a termine gli splendidi edifici e i templi da lui cominciati in Alessandria; scelse a successore Tolomeo Filadelfo, che ebbe da Be renice nel 285 a.C.; lo innalzò al trono per assisterlo con i suoi consigli; accolse con molto favore i dotti e i filosofi che da ogni contrada accorsero in Egitto, e il museo da lui fondato diede origine alla famosa scuola di Alessandria. Morì a 77 anni nel 283.
Nato nell'isola di Coo verso il 309 a.C., aveva 24 anni quando fu assunto al trono, e regnò dal 2 novwembre 285 al 24 orrobre 247 a.C. Se non ebbe la virtù guerriera del padre, fu la fortuna dell'Egitto, che sotto di lui godette di costante prosperità. Mecenate delle lettere e delle scienze, arricchì la biblioteca d'Alessandria di una immensa quantità di monumenti letterari da lui acquistati o fatti trascrivere nelle più remote contrade. Si vuole, che nei suoi tempi, si facesse la prima versione dei libri santi in lingua greca, la quale era divenuta famigliare agli ebrei, che in gran numero vi si erano stabiliti. Fra i molti poeti, filosofi e dotti beneficati alla sua Corte, si vedevano Strabone di Lampsaco, Teocrito di Siracusa, Callimaco, Licofrone di Calcide, e il fanoso critico Zoilo. Per dare maggior impulso al commercio Tolomeo fece ristorare il canale che sotto gli antichi re univa il golfo Arabico col Mediterraneo; impiegò le sue navi in viaggi di scoperte e nell' allargare le relazioni con altri popoli, e arricchì di fiorenti colonie le coste occidentali del golfo Arabico e del Mar Rosso. Costrì varie città tra cui Berenice, Arsino ed altre, denomiinate, la prima col nome di sua madre, e l'altra, da quello di sua sorella, che fece sua sposa; e di rimando la pubblica riconoscenza ne fondò altre col nome di Tolomaide e di Filadelfia. Le congiure che si fecero anche sotto un sì buon re, non sortrirono alcun effetto.
Il benefico figlio e successore di lui, aveva 36 anni quando salì al trono nel 247 a.C,, e regnò sino al 222. Ebbe a sostenere una grossa guerra contro Seleuco, re di Siria; sperava di poter salvare sua sorella Berenice. ma essa era già perita, vittima dell'ambizione di Seleuco; almeno la vendicò perchè in breve soggiogò la Cilicia, la Jonia, la Pamfilia, la Mesopotamia, la Babilonia, la Susiana e la Media, e, se alcune turbolenze non l'avessero obbligato a rientrare nel suo regno, avrebbe compiuto la rovina del suo nemico. Costui volle riitentare la prova delle armi, e fu vinto di nuovo. Allora Seleuco strinse un'allenza col suo fratello Anntioco Ierace che dapprima aveva combatturo contro di lui con gli Egiziani per cui Tolomeo accettò una tregua di dieci anni; ma appena l'ambizione pose in lotta i due fratelli, egli ordinò delle spedizioni militari nella Siria e nella Mesopotamia. In quella che assicurava all'Egitto i benefici della pace, serbava alla sua Corte lo splendore del regno paterno, colla protezione alle lettere e alle scienze, rafforzò gli stabilimenti commerciali e militari sul Mar Rosso; e, per mantenere l'influenza dei suoi predecessori sulla Grecia, protesse la Lega Achea e accolse Cleomene, re di Sparta, quando la sorte l'ebbe abbandonato.
Figlio e successore del precedente, occupò il trono per diciassette anni dal 222 al 205 a.C. Il ministro Sosibio, per serbare su di lui l'ascendente che aveva avuto col padre, l'allontanò dagli affari e lo immerse nelle dissolutezze, All'ambizione del ministro sa crificò suo fratello Maga e sua madre Berenice. e, quando Cleomene re di Sparta si diede la morte per le frustrate speranze del suo appoggio, insultò perfino il cadavere di lui. e fece uccidere la madre e i figli di lui ai quali aveva concessa ospitalità. Antioco il Grande, colse l'opportunità per vendicare le usurpazioni dei Tolomei a danno dei suoi predecessori; prese le armi, e dei due luogotenenti di Filopatore, uno passò al nenmico e l'altrro fu sconfitto. Si tentò di nuovo la prova delle armi, e fu vinto. Nel 216 Tolomeo consentì a malapena di porsi alla testa delle sue truppe; ma all'appressarsi del pericolo si ritirò; eppure la vittoria lo favorì e potè recuperare le città perdute della Palestina, Fenicia e Celesira. S'immerse di nuovo nelle voluttà, perseguitò gli ebrei e fece morire la moglie Arsinoe per compiacere ad altra donna; morì nel 205 av.C.
Figlio e successore di Filopatore, aveva cinque anni alla morte del padre, e regnò 25 anni, dal 205 al 181, sotto l'indegna tutela del ministro Agatocle che corruppe il principe per mezzo della sorella Agatoclea. L'odio pubblico provocò una rivoluzione che soffocò nel sangue i due complici., e Tlepolemo, che ne era a capo fu chiamato al governo, ed ebbe a lottare col vecchio Sosibio, che lo soppiantò. Antioco il Grande da queste discordie trasse ardimento ad occupargli varie piazze importanti; e, meditando di assalire i Romani, fece la pace con Aristomene, nuovo ministro di Tolomeo; ma ribellioni e congiure turbarono l'Egitto sot to un re negligente, corrotto e crudele, che fu poi avvelenato dai Grandi della Corte, in età di 28 anni.
Figlio e successore di Epifane, aveva cinque anni quando salì al trono, e regnò dal 141 al 146 av.Cr. Educato da Cleopatra di Siria, sua madre, passò felici i primi anni; ma assunto il governo dello Stato, vide le sue possessioni floride d'Egitto invase da Antioco Epifane re di Siria, che fece prigione e lo trattò con cortesia. Intanto gli Egiziani scelsero a re, Tolomeo Evergete, fratello di lui, che, appena libero, per non eccitare la guerra civile, divise il regno con l'altro nel 170 av.Cr., nel dodicesimo anno di regno di Filometore e primo di Evergete. I Tolomei, che difficilmente avrebbero resistito ad Antioco, accettarono la mediazione dei Romani, i quali fecero restituire l'isola di Cipro agli Egiziani, che cedettero al re di Siria le loro provincie asiatiche. Al che i due fratelli si azzuffarono; Evergete fu espulso dall'Egitto e nel 164 av. Cr., si recò a Roma per implorare la protezione del Senato e Filometore regnò solo. Roma appoggiò Evergete, cui assicurò il possesso dell'isola di Cipro e disdisse a Filometore l'alleanza con la Repubblica, ma questi guerreggiò con buon successo, perdonò a Evergete cui affidò la Cirenaica e varie città di Cipro e assicurò all'Egitto una lunga pace che lo ristorò dei tanti mali sofferti. Protesse poi Alessandro Bala che aspirava al trono di Si ria contro Demetrio I°; ma Alessandro fu vinto e Filometore morì pochi giorni dopo per le ferite riportate.
Gli successe:
Nel 145 av.Cr., sotto la tutela della madre Cleopatra, ma morì l'anno stesso della salita al trono.
Regnava in Cirene, quando, conosciuta la morte di Filometore suo fratello, chiese la tutela di Eupatore, già affidata a Cleopatra, vedova del Re. Si stabilì che Evergete sposerebbe la regina-madre e assumerebbe la tutela del principe. Accettò la proposta; ma ben presto egli si liberò del giovane pupillo, che fece assassinare e ripudiò la moglie, per sposare la figlia di lei, a nome Cleopatra. Ma i suoi atti crudeli e violenti eccitarono una rivoluzione, per cui fuggì a Cipro con la giovine consorte. E quando seppe che la costei madre era stata posta alla testa degli affari, fece scannare il figlio avuto da lei, per tema lo recasse al trono; indi riconquistò il regno con le armi, e la pace non fu più turbata sino alla sua morte, avvenuta il 117 av.Cr.
Abbominevole tiranno che si fece perdonare i delitti con la protezione accordata alle scienze e alle lettere.
Figlio a Evergete II° e a Cleopatra, salì al trono a dispetto della madre che preferiva Alessandro, suo secondo figlio. Prese parte ai tumulti della Siria, e in quella che la madre sostenne Antioco Gripo, il figlio soccorse Antioco Ciziceno, e più tardi vinse il fratello Alessandro in Giudea, che gli era stato surrogato sul trono, mentr'egli s'era ritirato in Cipro. Ma, dopo la morte di Cleopa tra e l'espulsione di Alessandro, Tolomeo Sotero fece riprendere all'Egitto il ruolo che le spettava in Oriente,e regmò per 35 anni e sei mesi, dal 117 all'81 a.C.
Secondo figlio ad Evergete II° e a Cleopatra, che gli fece dare l'isola di Cipro col titolo di re (114 a.C.). Sette anni dopo divenne re d'Egitto; ma la madre e il figlio non vissero in concordia, ed Alessandro si ritirò in Cipro. Cleopatra tentò di farlo assassinare. ma egli la prevenne con un parricidio e rimasto solo possessore del trono, non lo potè serbare a lungo perchè l'indignazione pubblica l'astrinse a fuggire da Alessandria, e fu ucciso in una battaglia navale nel diciannovesimo anno di suo regno.
Figlio di Alessandro I°, trovavasi nell'isola di Coo coi suoi figli, e coi suoi tesori quando fu ucciso suo padre nell'89 a.C. Mitridate, essendosi impadronito di quest'isola nel 87, condusse con se il giovane Alessandro che nel 84 passò sotto le insegna di Silla mettendosi sotto la sua protezione. Silla volle far valere i diritti del suo protetto, ultimo discendente maschio dei Tolomei.che dichiarato re per volere del Senato romano, partì alla volta di Alessandria dove sposò la regina BereniceCleopatra sua matrigna che tosto dopo fece assassinare. Il poplolo e i soldati indignati per tanta crudeltà lo trucidarono nel ginnasio di Alessandria dopo un regno di 19 giorni.
Figlio naturale di Sotero II°, così denominato stante la sua passione per tale strumento. I Romani riguardavano il regno d'Egitto come devoluto alla Repubblica per un testamento reale o supposto di Alessandro II°, ma, nel 50 a.C., il Semato romano arbitro delle sorti del mondo, nominò Aulete re d'Egitto, mentre spogliava del regno di Cipro i fratello di lui. Gli Alessandrini sdegnati di lui che avesse mendicato gli appoggi romani, gli si ribellarono contro e l'obbigarono a rifugiarsi in Roma per cercare soccorsi Creduto morto, i suoi sudditi collocarono sul trono le sue figlie maggiori, Cleopatra Trifenia e Berenice., Ma la prima morì do po un anno e la seconda dopo due, dal 58 al 55 a.C. Gabinio, governatore della Giudea, e luogotenente di Pompeo, si assunse il dovere di ricondurre sul trono Aulete con la forza delle armi (55 a.C.). Questi, per ricompensare il servizio di Gabinio, che ave va agito senza l'autorizzazione del Senato, fece perire sua figlia Berenice e le più ricche persone d'Alessandria, onde raccogliere un vistoso tesoro. Tolomeo regnò ancora tre anni: circa dall'81 al 52 a.C. complessivamente.
Primogenito di Aulete, aveva quindici anni quando succedette al padre, mentre sua sorella, la famosa Cleopatra, chiamata al governo con lui, ne aveva diciassette. Scoppiata la guerra civile tra Cesare e Pompeo, questi credette di potersi appoggiare ai giovani regnanti, il cui padre doveva il trono al suo luogotenente Gabinio. Cleopatra corrispose con importanti servigi alla fiducia del generale; ma i tutori del giovane fratello di lei ingelositi che esercitasse l'autorità di regina, le eccitarono una sedizione per cui si ritrasse in Siria in cerca di un asiilo e di un esercito. Intanto si combatteva la battaglia in Farsaglia, a cui tenne dietro la morte di Pompeo, vilmente assassinato per ordine del giovane Tolomeo, e l'arrivo di Cesare, che, già preso dai vezzi di Cleopatra, che furtivamente l'aveva visitato, volle regolare da arbitro i litigi di lei col fratello, eccitando così l'ìindignazione degli Egiziani, che lo assediarono nei quartieri di Alessandria, sostenuti da un esercito capitanato da un certo Acchilla. Cesare, avuti alcuni rinforzi ed ottenuti slcuni vantaggi sui nemici, aprì negoziati e credette di ottenere una pace onorevolr restituendo loro il principe Tolomeo che teneva prigioniero. ma questo principe non appena libero combattè i Romani con tutte le sue forze, per terra e per mare, e Cesare in una lotta disuguale avrebbe potuto soccombere se Mitridate da Pergamo, figlio del gran Mitridate, con ragguardevoli foraze non fosse accorso in suo aiuto. Tolomeo allora tremò pel trono e per la vita, e perdette l'uno e l'altro annegando nel Nilo, dopo una battaglia navale perduta, mentre cercava la salvezza nella fuga. Morì nel quinto anno di suo regno (52 al 48 a.C.)
Secondo figlio d'Aulete, e fratello del precedente, aveva dodici anni quando Cesare lo associò a Cleopatra come sposo e come re, ebbe il vano titolo e tutto il potere rimase a quella. Nel 46 a.C., si recarono entrambi a Roma, bene accolti come alleati della Repubblica e nel 8° anno del regno di Cleopatra Tolomeo morì, non senza sospetto del veleno fattogli propinare da Cleopatra.
Figlio naturale di Cesare e Cleopatra, nacque nel 47 a.C. Ebbe il titolo di re dei re; dopo la disfatta e la morte di Antonio, fu condotto a Rodi dal suo precettore e ricondotto di poi in Egitto, fu dal perfido consegnato ad Augusto che lo fece morire l'anno 30 a.C. All'età di diciotto anni.
Figlio di Antonio e Cleopatra, fu dichiarato da suo padre, re della Siria della Fenicia, della Cilicia e di tutte le regioni fra l'Eufrate e l'Ellesponto, ma non esercitò mai la sovranità in quegli Stati, perchè ben presto fu travolto dalle sventure di Antonio. Non ebbe tuttavuia la sorte di Cesarione. Dopo aver servito col fratello Alessandro e con Cleopatra al trionfo di Augusto andò a vivere presso Giuba, re della Nimidia suo cognato, il quale, avendo ottenuto in cambio del suo regno la Mauritania, si dice che i due principi l'abbiano seguitato, ma la storia non fa più menzione di loro.
Nato da Giuba II° e da Cleopatra Selene, figlia di Marc'Antonio. Salì al trono verso il 23 d.C.., sotto l'impero di Tiberio; fu devotissimo ai Romani, ai quali somministrò soccorsi contro Tacfarinata, e, in premio, ottenne dal Senato gli ornamenti trionfali. Essendosi recato a Roma al tempo di Caligola col suo splendido abbigliamento e con le ricchezze, destò la gelosia e la cupidigia di quel tiranno che lo fece assassinare, e le due Mauritanie nel 40 d.C., divennero provincia romana senza resistenza.
Il principe dei geografi, astronomi e matematici antichi. Era nativo di Tolemaide d'Egitto; il suo sistema astronimico dominò per tutto il medio-evo. Non si hanno notizie precise della sua vita, sappiamo solo che fiorì nel secondo secolo dell'era volgare. Corresse il catalogo delle stelle fisse d'Ipparco; nella sua opera sull'astronomia, intorno alla quale ci restano i commentari di Teone e Pappo, che venne tradotta in arabo nel nono secolo, vi si conteneva l'esposizione del suo sistema, che prevalse incontrastato fino all'apparire del sistema copernicano, al decimosesto secolo; in esso la terra era considerata al centro dell'universo. La sua geografia in otto libri, ch'è pervenuta a noi intera, fu universalmente stimata fino alle nuove scoperte marittime compiutesi nel secolo decimoquinto. Le opere di Tolomeo, o a lui attribuite, che pervennero a noi sono le seguenti: "Almagesto", pubblicata primamente a Basilea nel 1538 da Simone Grineo; "Tetrabiblon" o Quadripartitum de Apotelesmatibus et Judiciis astrarum, al quale va unita un'altra operetta intitolata "Fructus librareum suorum", detta pure Centiloquium, perchè contiene cento aforismi; catalogo di re assiri, persiani, greci, e romani; ("De apparentiis et significationibus inerrantium"), lista annuale dei fenomeni siderali; "De Alanemmate e Planisfpherium", versioni di traduzioni arabe; ("De Planetarum hypothesibus"), compendio delle ipotesi con tenute nell'Amageta intorno alle cause dei moti celesti; sulla teoria della scala musicale; ("De indicandi facultate et animi principatu"). Andarono poi perduti un "Libro sulla misurazione", in cui si dimostrava che tre soltanto erano le dimensioni dello spazio; un "Libro sulle funi"; gli "Elementi"; due "Libri d'ipotesi"; tre "Libri di meccanica"; il "Trattato di ottica); la "Descrizione del globo"; il "Periplo" o viaggio di circumnavigazione.
Note : "La Geografia" venne tradotta in italiano da G.Ruscelli nel 1598.
TOLOPHON
Demo della Grecia nella nomarchia della Focide, capoluogo Vetrinizza.
TOMIRI
Regina dei Massajeti. Lottò contro Ciro che voleva invadere i suoi domini e le aveva offerto di sposarla. Ella rifiutò e cominciò la guerra. Ciro fece prigioniero Spargapise, figlio di Tomiri, il quale si uccise. In altra battaglia Ciro fu vinto ed ucciso sul campo. Tomiri, rinvenutone il cadavere, ne spiccò il capo e lo immerse in un vaso pieno di sangue.
- Dante ricorda questo fatto nel suo Purgatorio al canto XII° nei versi:
- "Mostrava la ruina e il crudo scempio Che fè Tomiri quando disse a Ciro: Sangue sitisti, ed io di sangue t'empio"
TOREUTICA
E' l'arte di fare statue, componendole con riunire i vari pezzzi di metallo (fusi o cesellati) di pietra o di legno. Gli antichi con tal nome designavano la scultura in generale, o l'arte di lavorare in rilievo l'argento, il bronzo, il legno, ed anche quella di ottenere oggetti in rilievo mediante la fusione.
TORICO
Antica città dell’Attica a Nord del promontorio Sunio, Appartenne più tardi alla tribù di Acamantide e fiorì per tutto il periodo della storia Ateniese. Durante la guerra del Peloponneso fu fortificata con opere circondanti una piccola pianura, che termina nel porto della città (porto Mandri). Le sue rovine si trovano alle falde del Sunio, e lungo il piano sottoposto, e consistono negli avanzi di un teatro, e di un colonnato quadrangolare, di ordine dorico.
TOOSA
madre di Polifemo,
(Vedi Polifemo)
Toosa era la dea delle correnti marine, figlia di Forco e Ceto.
TORMA
Una porzione dell'ala della cavalleria romana composta da 30 cavalli divisi in tre decurie comandate dai rispettivi decani. In processo di tempo la torma ebbe 32 cavalli ed un comandante chiamato decurione. Anche gli eserciti greci ebbero al tempo degli imperatori d'Oriente la cavalleria suddivisa in torme, e chiamarono il comandante di ciscuna di esse in voce greco-latina, tomarca.
TRA - TRE
TRABEA
La trabea era il vestito che i cittadini romani indossavano quando montavano a cavallo, oppure in certe altre circostanze. Plinio e Virgilio si accordano nel dire che la trabea è la veste la quale distingue il re; ed Ovidio nei suoi "Fasti" ci dipinge Romolo implo rante l'aiuto divino in favore dei romani, con indosso la trabea. Lo storico Floro, poi, narra che Tarquinio Prisco fu il primo ad introdurre in Roma l'uso della trabea. Lo stesso autore dice che quando i Galli vittoriosi entrarono in Roma, trovarono i senatori assisi sui loro scanni ed aventi indosso splendide trabee. Dionigi di Alicarnasso, è d'avviso che la trabea fosse un distintivo da cavalieri, ed in Tito Livio si legge che i consoli, alla testa dei loro eserciti marciavano contro il nemico vestiti di trabea. Molti altri esempi ci inducono a ritenere la trabea essere un vestito essenzialmente militare. Quanto alla sua forma, essa si avvicinava ad un tempo alla toga ed al paludamentum. Da un passo del grammatico Servio ( Ad Aeneidem, 7 - 612), si ricava che tre erano le spe cie di trabee. La prima intieramente purpurea, spettava agli dèi; la seconda. dello stesso colore, ma listata di bianco, l'indossava no i re; la terza di un rosso speciale, detta soccura, la portavano gli àuguri.
TRABEAZIONE
Membro originale primario di architettura, che sta sopra la colonna e con questa compisce l'Ordine. La trabeaziome consta di tre parti: l'architrave, il fregio e la cornice. Il primo appoggia direttamente sul capitello delle colonne e serve a collegarle assieme. Sopra l'architrave, trovasi il fregio, così chiamato, perchè spesso decorato d'ornamenti; la cornice corona il tutto. L'altezza totale della trabeazione e delle singole tre parti in cui si divide, varia secondo gli Ordini, come in ciscun Ordine varia la membratura e la composizione di queste tre parti; in tutte però essa ha l'altezza di un quarto di quella della rispettiva colonna, compresa la base e il capitello; per cui dovendosi applicare ad un edificio un dato ordine, basterà dividere l'altezza di esso ordine in 19 parti, se le colonne hano un piedestallo; e di queste 19 parti, 3 formano la trabeazione, 4 il piedestallo, e le altre rimanenti 12 parti la colonna con base e capitello. Se invece l'Ordine da adoperarsi è senza capitello, allora bisognerà dividere l'altezza totale in cinque parti, e quattro di queste formeranno la colonna, l'altra il cornicione.
TRABOCCO
Era questo il nome che si dava ad una macchina militare dei primi tempi della milizia italiana.Serviva per scagliare pietre di gran mole dalle città assediate.
TRACHIS
Antica città della Malide in Tessaglia. Sorgeva ai piedi dell'Oeto ed a ovest delle Termopoli, di cui dominava il passi. Secondo la mitologia eravi morto Ercole. Nel suo territorio gli spartani avevano eretto Heraclea.
TRACIA
(Tràkè in greco,Trakija in bulgaro,Trakya in turco)
Regione storica dell’Europa meridionale corrispondente al settore orientale della penisola Balcanica divisa in Turchia, Grecia e Bulgaria. Delimitata al Nord dal gruppo montuoso del Rodàpe centrale e orientale, a Nord Est dai Monti Strangia, o Yildiz, e si affaccia ad Est al Mar Nero, a Sud Est al Mar di Marmora e a Sud all’Egeo. A Ovest il confine è segnato dal basso corso del fiume Néstos (in bulgaro Mesta). Le principali città della Tracia turca, che è costituita dall’estremità sud orientale della regione balcanica e rappresenta il lembo di territorio europeo rimasto alla Turchia sono: Istambul, Kirklaredi, ai piedi dei Monti Strangia, Tekirdag,sul Mar di Marmora, ed Edirne, l’antica Adrianopoli fondata nel 125 d.C., dall’imperatore Adriano e posta presso la spnda sinistra del fiume Marica qui al confine con la Grecia; importantissimo baluardo in antico del mondo romano e bizantino contro le invasioni barbariche e turche. Nella Tracia greca che corrisponde all’estremità nord orientale della Grecia continentale, le città principali sono: Alessandropoli, Istambul e Plovdiv. La tracia bulgara corrisponde in gran parte dal bacino imbrifero del fiume Arda, affluente di destra del Marica e la città principale è Garzali sul fiume Arda. La Tracia antica (Torake), che si estende va a Nord fino al Danubio, era abitata da genti Illiriche quando i Greci vi fondarono le colonie di Bisanzio, Aldera. Enos, Tomi e Apollonia. La provincia romana istituita nel 46 d.C., si estendeva al Nord fino ai Balcani, mentre la parte compresa tra questa catena e il Danubio faceva parte della Moesia Inferiore. In seguito la parte settentrionale fu conquistata dai Bulgari e quella meri dionale rimase ai Bizantini fino al 1361, quando se ne impadronirono i Turchi Ottomani che nel 1453 e poi padroni di tutta la Tra cia tenendola nelle loro mani fino al 1878. Dopo la liberazione della Bulgaria, il termine Tracia assunse gradualmente il valore at tuale. La regione fu divisa nel 1913 fra la Bulgaria e la Turchia, dopo la prima guerra mondiale la Bulgaria dovette cederne parte alla Grecia.
TRACIA o TARACIA
Antica regione dell' Europa orientale, nella parte centrale e NE della penisola Balcanica. Erano celebi ler sue razze di cavalli dei quali abbondava. Se ne traevano anche oro e gemme. Le apparteneva la penisola del Chersoneso tracico, l'attuale Calcidica che spingevasi nell' Egeo. Monti principali erano la catena del Emo, e i fiumi più notevoli l'Ebro e il Nestus. Gli abitanti in origine di razza pelasgica, vennero surrogati da un popolo ventuto dal nord alleato ai Geti e ai Misi. Non ebbero unità politica, erano divisi in tribù e freuebti guerre fra di loro. Delle città delle coste, alcune erano di origine greca come Abdera, Maraneam, Aenus, Car dia, Sestus, Callipolis, Lysimachia, Perinthus, Selymbria, Byzantiun, Salymdessus, Apollonia. Mesembria; altre, quelle dell'inter no, d'origine romana, quali: Philippopolis, Hadrianopolis, Trajanopolos.
TRACIO
Nome antico dello stretto fra l'Asia e l'Europa che metteva in comunicazione la Propontide col Ponto Eusino; corrisponde all'attuale Bosforo.
TRAGEDIA
Opera drammatica, rappresentante un'azione eroica atta a risvegliare nell'animo degli spettatori sentimenti di terrore e di pietà.
- TRAGEDIA GRECA
- Deus ex machina".
- Un dio (sceso) dalla macchina. Locuzione relativa all'antico teatro, nel quale, al culmine dell'azione, interveniva la divinità fatta scendere dal cielo per mezzo di meccanismi complicati, a sciogliere tutti i nodi del dramma, a introdurre cioè la soluzione finale. Quindi così si chiama il soprannaturale nei poiemi epici.
- La frase trae origine dalla tragedia greca: in tale ambito, quando era necessario far intervenire una o più divinità sulla scena, l'attore che interpretava il dio era posizionato su una rudimentale gru in legno, mossa da un sistema di funi e argani,[3] chiamata appunto mechanè. L'attore veniva calato sulla scena dall'alto, simulando dunque l'intervento di una divinità che scende dal cielo.[1]
- La frase si suole applicare alle persone che in affari arruffati, in situazioni quasi disperate, sanno all'improvviso trovare una soluzione salutare.
- TRAGEDIA ROMANA
- I primi germi della letteratura drammatica greca, si attribuiscono ai Dori della Sicilia o bassa Italia, o del Peloponneso, presso i quali era tenuta in grande onore la lirica corale, ma essi non si svolsero e fiorirono e fruttificarono se non impiantati nel felice suolo dell'Attica. Secondo concordi attestazioni, convalidate dall'investigazione storica e critica, il dramma greco, (tragedia e commedia) ebbe le sue radici nel culto agreste di Dioniso, (Bacco) verso la seconda metà del settimo secolo avanti Cristo.Testimonianza di questa derivazione era l'ara Dionisiaca che adornava l'orchestra del teatro, Ce ne riprova l'etimo logia dei vocaboli "tragedia e commedia". Il primo nome deriverebbe dal capro immolato al dio, o dato in premio al vincitore de l'agone, oppure, secondo altri, dall'abbigliamento di pelli caprine proprio degli attori: Il secondo da "villaggio" o meglio da -bri gata allegra -, e quindi il canto di essa. Secondp la tradizione Tespi sarebbe stato l'inventore della tragedia, Susarione della com media. A Tespi, nativo di Icaria, demo dell'Attica, celebre per le sue viti, e fiorito verso il 536 a.C., si attribuisce. oltre all'allinno vazione della maschera, l'introduzione di un primo attore, che rese così possibile il dialogo, una naggiore varietà nella scelta del materiale mitico, che non venne più ristretto a quello dionisiaco. Dei suoi drammi, di quattro dei quali Suida ci tramandò i titoli a noi, pervennero solo due frammenti. Scolaro di Tespo fu Cherito di cui nulla possediamo, come nulla ci rimane del suo contem poraneo Pratina di Fliunte: perfezionatore del dramma satirico. Ma il vero e più grande precursore di Eschilo fu l'ateniese Frinice il quale non solo variò la forma dell'azione dividendo il coro in più sezioni per ottenere maggiore contrasto e movimento,ma osò perfino trasportare sulla scena fatti contemporanei, come nella - Presa di Mileto - per la quale avendo rinnovato troppo vivamen te una sventura patriottica, venne multato, secondo Erodoto, di mille dramme, e nelle - Fenicie -, è pure fama che Frinicio intro ducesse per primo sulla scena parti femminili. Il vero fondatore della tragedia greca fu Eschilo, figlio di Euforione nato ad Eleusi nel 525 a.C., e morto a Gela in Sicilia nel 456. Coetaneo dei poeti lirici, Simonide e Pindaro, e del suo emulo ed amico Sofocle, fu il primo e il più robusto dei tragici greci. Scrisse circa 70 tragedie e 5 o 20 drammi satirici, ottenendo il premio tredici volte. Delle sue tragedie pervenuteci, soltanto sette: I Persiani - I Sette a Tebe - Le Supplici - Il Prometeo legato - Orestiate - la Trilogia composta, dell'Agamennone - dalle Coefore - e delle - Eumenidi, che svolge i trgici fatti degli Atridi. Eschilo, secondo quanto scrive Ateneo, chiamava le sue tragedie - Briciole dei grandi banchetti omerici - ed in verità esse sono animate da un grande sof fio epico: Aristofane nelle - Rane - fa dire allo stesso poeta, che per lui la tragedia torreggiò, nutrita di forti pensieri, e retta da un profondo senso religioso ed etico: Quintiliano trova in lui di caratteristico, la magniloquenza. Perfezionatore della tragedia fu Sofocle, nato a Colono, demo dell'Attica, non si sa bene se nel 497, o nel 496 o 495 a..C., e morto nel 406.Temperò l'austerità sublime di Eschilo senza cadere nel realismo pessimistico e sofistico di Euripide; la dolcezza è la sua qualità peculiare; parecchi epigrammi dell'Antologia celebrano il miele tutto attico della nuova ape. Scrisse più di cento drammi, un trattato sul coro ed altre cose minori. A noi non pervennero di lui che qualche frammento elegiaco e sette trahedie: l'Aiace, l'Elettra, l'Edipo re, l'Antigone le Trachinie, (donne tessaliche di Trachis) il Filottele, e l'Edipo coloneo; dei drammi perduti ci restano circa mille frammenti. L'ultimo dei grandi tragici greci fu Euripide, nato a Salamina il giorno della famosa battaglia (5 ottobre 480 a.C.) e morto nel 406 pochi mesi prima del suo contemporaneo e amico Sofocle. Dell'arte euripidea è tipica la tendenza realistica e pessimistica. Scrisse settantacinque drammi; a noi pervennero più di mille frammenti: il Ciclòpe, l'unico esempio superstite del l'antico dramma satirico, e le seguenti tragedie; l'Alceste, la Medea, gli Eraclidi, l' Ippolito, le Supplici, l'Andromaca, l' Eucuba, le Troiane, l' Elena, l' Ione, l' Ercole furente, l' Elettra, l' Oreste, le Fenicie, l' Ifigenia in Aulide, l'Ifigenia Tauride, le Baccanti ed il Reso (lavoro gio vanile ritenuto da alcuni critici opera di un alessandrino). Dei tragici greci posteriori, che furono più di mille, e arrivano sino al quarto secolo, non ci rimane alcun dramma per intiero; le loro reliquie si trovano raccolte nei - Tragicorum graecorun fragmenta - del Nanck (Lipsia.1856) e del Wagner (Parigi 1868).
Apparizione di un personaggio divino ex machina
in una rappresentazione della Medea di Euripide
al teatro greco di Siracusa
- in Roma, anticamente, non si usavano che farse o pantomime. La tragedia sorse assai tardi con Li vio Andronico, tarentino, e fu di imitazione greca; i suoi componimenti andarono perduti. A lui successero Nevio ed Ennio, dei quali si hanno scarsi frammenti; e anch'essi attinsero alle fonti greche più o meno liberamente. come Ennio per la sua Medea e per l'Ecuba, derivazioni euripidee. Vengono poi Pacuvio, che scrisse una ventina di componimenti drammatici, tra cui l'Oreste schiavo, e poi Accio, il fondatore della tragedia pretestata. Gli argomenti, i personaggi e le azioni da lui composte, furono intera mente romani: scrisse il Bruto, il Decio, il Marcello, il Prometeo liberato; di esse si hanno solo acune reliquie. Asinio Pollione ed Ovidio con la sua Medea tentarono di innalzare a maggior dignità letteraria la tragedia romana, ma con successo sembr, non mol to felice. Il tragediografo latino pià illustre fu Seneca, del quale ci rimangono nove componimenti, imitazioni, più o meno libere degli esemplari greci; sono scritte in uno stile turgido e freddo, con gran pompa e frequenza di declamazioni.
TRAIANO
Marco Ulpio Crinito
Imperatore romano (n.Italica,53 - m.Selinunte 117 d.C.). Di origine spagnola fu il primo romano delle provincie ad assurgere al trono imperiale dopo aver percorso con onore la carriera militare in Germania ed in Oriente ed essere stato console nel 91 e go vernatore della Germania, fu adottato all’età di 42 anni dall’imperatore Nerva che gli concesse la dignità di Cesare e lo volle suo successore nel 98. Il suo governo giovò molto allo Stato e segnò un nuovo inizio della fase storica dell’impero, Dedicò le prime cure alla politica interna, diminuendo la pressione fiscale, rispettando le prorogative del Senato, frenando l’indisciplina dei pretoriani, aiutando con provvidenze varie i fanciulli e gli agricoltori poveri. Restituì ai Romani le loro antiche dignità ai comizi le lro attribuzioni, al Senato la livertà delle deliberazioni. Fece costruire strade utilissime e meravigliose come quella che dal Ponte Eusino conduceva alle Gallie. Fu partigiano della severità dei costumi e della più stretta economia. Favorì inoltre i commerci e i trasporti con la costruzione di strade per gli eserciti e canali, ponti, porti e collegamenti postali per una politica di potenziamen to economico. La politica che condusse ai confini fu attiva e decisa. Domò i bellicosi Daci, (nell’odierna Transilvania) con due successive guerre, (101-102, 105 - 107) che furono poi eternate nei bassorilievi della famosa colonna traiana; costruì in Dobrugia un –limes- (un poderoso muro di pietra), il cosidetto Vallo Traiano; fece muovere guerre contro ai Parti, Arabi, Daci, forse troppe, ma ad ogni modo tutte gloriose. Prima di lui erasi gueerreggiato se non per mantenere i confini posti da Augusto e per ordinare in provincie i popoli inclusi in esse. Conquistò le vie di accesso all’Arabia ed estese i confini verso Oriente trasforman do in provincie romane l’Armenia, l’Assiria, la Mesopotamia, fino al Golfo Persico. L’impero Romano raggiunse sotto di lui la sua massima estensione. La morte lo colse in Cilicia presso Selinunte nell'anno 117 di Cristo, mentre, da una campagna contro i Parti, era intento ad elaborare piani grandiosi; fu una delle personalità più ricche e dotate che giunsero al trono. Le sue ceneri chiuse in un'urna d'oro, furono portate a Roma con molta pompa, sopra un carro trionfale e vennero sepolte nella città (insolito in quei tempi, sotto la colonna di trionfo a lui innalzata e che tuttodì si ammira benissimo conservata). Non furono dimenticate per tutto il Medio Evo la forza, la rettitudine, la clemenza, la giustizia, che erano state celebrate da Plinio nel “Panegirico” e che a Traiano avevano meritato l’appellativo di “Ottimo”.
(Vedi “Le conquiste di Roma dalla Repubblica a Traiano.")
TRALLES
Antica città della Caria; presso il Meandro.Era celebre per le sue ricchezze derivate dalla fertilità della terra e dell'attività del commercio. Se ne vedono estese rovine a Giuzel - Hissar.
TRANSPADANA
GALLIA
Chiamavasi così all'epoca romana quella parte della Gallia cisalpina che stava a Nord del Po.
TRANSTEVERINO
DISTRETTO
Una delle quattordici regioni in cui Augusto aveva diviso l'antica Roma. senza appartenere peraltro alla Urbs propriamente detta. Fu cinta in parte da mura da Anco Marzio, che, gittato il primo ponte sul Tevere, lo voleva difendere dagli Etruschi che abitavano l'altra sponda.
Questo distretto era diviso in tre parti; il Gianicolo dov'era stato sepolto Numa, avo di Anco: il Vaticano, con le relative pianure e l'Isola Tiberina. Quest'Isola rimase formata dall'enorme avanzo di materiale levato dal campo di Tarquinio il Superbo. In quest'Isola vi fu consacrato un tempio ad Esculapio, per esservisi questo Nume rifugiato in forma di serpente, Un tempio a Giove, un'altro a Fauno e, a quanto si crede un'altro anche a Ercole. Anche sul Gianicolo, che da Giano aveva preso il nome,pare ci fosse una rocca dedicata a lui, e tra il fiume dove vole verso levante e il mare, c'è appunto un non piccolo piano che fu appunto la primitiva Regione Trasteverina, già abitata in antico, prima di Augusto dalla classe più povera; pescatori, cenciaioli e simili. Aveva porto, templi ed edilizi pubblici, aveva vari giardini fra i quali, si crede, quello di Cesare, che lasciò al popolo romano, il bosco di Fusina, (dove si rifugiò uno dei Franchi inefuito, i prati Muci e quello di Codela, dove si facevano naumachiie, E appunto in questa regione Trasteverina che si facevano i giuochi pescatori (ludi pescatrii), dove si formava un lago di circa 600 metri, dove rimase molto tempo, ed è ricordato da Stazio, il monte Vaticano, tristo per la sua malaria per il suolo sterile e per il cattivo vino, sorge a Nord Ovest del Gianicolo, e n'è separato da una valle, ed è detta forse per antitesi, Valle d' Inferno. Il suo nome, lo fanno derivare i più, dagli oracoli Vaticina, il Niebuhr da l'etrusco, volendo che là ci fosse una città etrusca.Nel distretto del Vaticano, c'erano gli orti di Domiziano, dove venne eretta la Mole Adriana che fu tomba a lui, e a parecchi imperatori fino a Commodo, e forse, fino a Caracalla; e gli orti di Agrippina,che furon poi di Caligola, e poi ancora di Nerone, sotto il qual nome rimasero famosi.. Dov'è oggi la chiesa di S.Pietro, detta in antico Apud Naumachium, vi fu anticamente un teatro di Apollo. Oggi, l'antico distretto del Tevere si divide in Ripa, Trastevere e Borgo.
TRASEA
Publio Clodio Tràsea Peto (in latino Publius Clodius Thrasea Paetus; Patavium, I secolo – Roma, 66) è stato un oratore, filosofo e scrittore romano di dignità senatoria.
Nato a Padiva e vissuto sotto gli imperatori Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone. Protestò energicamente contro gli eccessi di Nerone. Scoperta la congiura di Pisone e avvenuta la morte di Seneca, Nerone fece trarre in giudizio Trasea che fu condannato a morte; si fece svenare nel 66.
TRASIBULO
- Trasibulo, figlio di Lico
- TRASIBULO Tiranno di Siracusa
- Trasibulo di Mileto
Democratico ateniese, comandava la frontiera a Samo verso il 411 a.C., quando in Atene, venne istituita la oligarchia dei Quattrocento, egli fece giurare all'armata di serbarsi fedele all'antica costituzione popolare; vennero infatti deposti i generali ed eletti altri in loro luogo, tra i quali Trasibulo e Trasillo; richiamato poi dall'esilio Alcibiade. poco dopo Trasibulo fu l'autore principale della vittoria sui Peloponnesiaci presso il Chersoneso; l'anno dopo in unione ad Alcibiade distrusse la flotta presso Cizico; sottomise poi le città della Tracia che si erano ribellate ad Atene. Caduta questa, venne bandito dai Trenta tiranni e si ritirò a Tebe, da cui mosse poi nel 402, alla testa di settanta esuli per rivendicare a libertà gli ateniesi. Si impadronì di Munichia e del Pireo, e strinse d'assedio Atene dove al governo dei Trenta era stato sostituito un Consiglio dei dieci membri eletti da tutte le tribù. Costoro si rivolsero per aiuto agli Spartani, ma Pausania, loro re si accordò invece con Trasibulo. I Trenta e i Dieci vennero banditi e l'autorità restituita al popolo. Una corona d'ulivo venne decretata per Trasibulo, in segno di gratitudine. Questi in seguito indusse gli Ateniesi ad aiutare i Tebani, in guerra contro Sparta. Preposto alla flotta, corse a Tonia, soggiogò Metinne e pose a contribuzione Aspenda in Cilicia; ma, mentre i suoi soldati si abbandonavano al saccheggio,di queste città, sorpreso nottetempo dagli abitanti, venne ucciso nella sua tenda l'anno 390 a.C.
Figlio di Gelone e fratello di Gerone il Vecchio che dominò la cità fino al 466 a.C, A Gerone succedette Trasibulo, tiranneggiando ancor più crudelmente del fratello, così che i Siracusani decisero di liberarsene a qualunque prezzo. Trasibulo, esperimentò i mezzi pacifici inutilmente, per salvarsi il potere minacciato, assoldò un esercito di 15.000 mercenari e si ridusse in quella parte della città detta Acradina e nell'isola fortificata, da cui con frequenti uscite molestava i Siracusani che si erano fortificati nel quartiere detto Itice. Questi però, avendo avuto rinforzi da diverse città greche, costrinsero Trasibulo a venire a trattative di pace. le quali vennero accettate a condizione ch'egli abbandonasse la città. Il tiranno si sottomise, e, dopo un anno di regno nel 466 a.C. se ne andò esule a Locri.
(in greco antico: Θρασύβουλος, Thrasybulos; Mileto, VII secolo a.C. – ...) è stato un tiranno di Mileto.
Biografia
Combatté per undici anni la guerra contro i Lidii, dapprima guidati dal re Sadiatte, che l'aveva iniziata, e poi contro dal figlio di questi, Aliatte II. Durante il dodicesimo anno, la guerra fu interrotta e Trasibulo si alleò con Aliatte: stando al racconto di Erodoto, Aliatte si convinse della potenza dei Milesii e della necessità di interrompere le ostilità quando un suo emissario, che aveva inviato a Mileto a seguito di un oracolo ricevuto dalla Pizia, gli riferì che i cittadini banchettavano con grandi quantità di cibo, mentre Aliatte era convinto che la città fosse ormai alla fame.
Erodoto riferisce un aneddoto su Trasibulo: ai plenipotenziari inviati da Periandro di Corinto, suo alleato e amico, il tiranno rispose con un'allegoria tranciando le spighe più alte di un campo di grano, a voler sostenere che per governare senza problemi occorre eliminare l'élite della società.[2] A questo episodio alcuni storici romani hanno paragonato quello in cui Tarquinio il Superbo mostrò ad un emissario inviatogli dal figlio Sesto Tarquinio, che gli chiedeva aiuto per conquistare a tradimento la città di Gabii, che bisognava tagliare i papaveri più alti, per indicare che occorreva eliminare i capi della città.
TRASILLO
Tiberio Claudio Trasillo anche noto come Trasillo di Mende (latino: Tiberius Claudius Trasyllus; Mende, ... – 36) è stato un astrologo e grammatico greco antico.
Trasillo era un egiziano di lingua greca originario di Mende, o Mendes, in Egitto. Talvolta le fonti secondarie affermano che provenisse da Alessandria d’Egitto[1], ma in realtà nessuna testimonianza dell'epoca conferma questa informazione. Inoltre, è possibile che Tiberio Claudio Trasillo, l'astrologo dell'imperatore Tiberio di cui parlano gli Annales di Tacito e le Vite dei Cesari di Svetonio, sia una persona diversa dal grammatico di Mende.
Infatti, mentre Trasillo di Mende fu un grammatico alessandrino, editore delle opere di Platone e Democrito, Tiberio Claudio Trasillo è meglio conosciuto come l'astrologo personale di Tiberio. Trasillo incontrò il futuro imperatore, non ancora erede designato di Augusto, sull'isola greca di Rodi, dove si trovava in esilio. Qui, Trasillo gli predisse che sarebbe stato presto richiamato a Roma per essere nominato ufficialmente erede al trono, e successivamente rimase con lui durante gli anni di regno (14 - 37), ottenendo inoltre la cittadinanza romana per sé e per la moglie, Aka II di Commagene (quest'ultima era probabilmente discendente del re Antioco I Theos di Commagene, e quindi principessa).
La nuora di Tiberio, Claudia Livilla, lo consultò ai tempi della sua tresca con il prefetto del Pretorio Lucio Elio Seiano, e Trasillo convinse l'imperatore a lasciare Roma per Capri, supportando clandestinamente Seiano. Fu allora che il genero di Trasillo, Nevio Sutorio Macrone, obbedì all'ordine di liquidare il Prefetto (31 d.C.), anche se non è chiaro se Trasillo ne fosse a conoscenza. Rimase dunque con Tiberio a Capri, consigliandolo nella scelta tra i vari pretendenti alla successione e sostenendo in particolare Caligola, nipote dell'imperatore, con il quale sua figlia Ennia aveva una travagliata relazione.
Mentendo, predisse poi a Tiberio una vita lunga, così da salvare la vita a molti nobili romani sospettati, a torto, di complottare contro l'imperatore: credendo implicitamente a Trasillo, Tiberio confidava nel fatto che sarebbe scampato a qualsiasi complotto, e così non tentò di contrastarli. Trasillo premunì l'imperatore, ma non visse abbastanza per vedere realizzata la sua predizione sulla successione di Caligola (37).
Trasillo è autore di un Pinax andato perduto, ma parafrasato in fonti successive, nel quale prende a prestito nozioni astrologiche trovate in Nechepso/Petosiris ed Ermete Trismegisto, prime fonti pseudoepigrafiche di astrologia. Viene citato da Vettio Valente, Porfirio ed Efestione.
Da Aka II, Trasillo ebbe due figli: un maschio, Tiberio Claudio Balbillo, e una femmina, Ennia, che sposò il Prefetto del Pretorio Nevio Sutorio Macro. Tramite il figlio, divenne nonno di Claudia Capitolina, futura moglie del principe greco Gaio Giulio Archelao Antioco Epifane, erede al trono di Commagene. La coppia ebbe come figli (pronipoti di Trasillo) il principe Gaio Giulio Antioco Epifane Filopappo e la principessa Giulia Balbilla.
Stando all’Encyclopaedia Judaica, Trasillo sostenne che l'esodo degli Israeliti dal paese d'Egitto ebbe luogo nel 1690 a.C.
TREBAZIO
CAIO
Soprannominato TESTA, giureconsulto romano vissuto al tempo di Cicerone. Fu amico di Giulio Cesare, col quale militò nelle Gallie. Fu consigliere di Auguso e lo determinò ad ammettere i Codicilli, Delle sue opere di Diritto Civile, fanno fede le moltepli ci decisioni contenute nelle Pandette (libri del *Digesto.)
* Raccolta delle decisioni dei più celebri consulti romani fatta per odine dell'imperatore Giustiniano.
TREBELLIANO
Annio
Antico capo di pirati nell'Isauria. Si fece proclamare imperatore nel 266, ma su ucciso in un commbattimento contro un generale di Galliano.
TREBELLIO
POLLIONE
Uno degli scrittori della Storia Augusta, fiorito a Roma verso il 300. Aveva composto la Storia degli Imperatore cominciando da Filippo, ma se ne conosce una parte soltanto.
TRENTA-TIRANNI
- Trenta Tiranni
- Trenta Tiranni d'Atene
- Anezio
- Aresia
- Aristotele
- Cherelao
- Caricle
- Cremo
- Cleomede
- Crizia
- Diocle
- Draconti
- Erasistr
- Eratostene
- Eschine
- Euclide
- Eumate
- Fedria
- Fidone
- Ierone
- Ippoloco
- Ippomaco
- Melobio
- Mnesilico
- Mnestide
- Onomacle
- Pisone
- Policare
- Sofocle
- Teogine
- Teognide
- Teramene
Nome dato per imitare i Trenta Tiranni di Atene ad una serie d'usurpatori che pullularono nelle varie Provincie dell'impero Romano sotto Valeriano e Gallieno (253-268) arrogandosi essi il titolo di imperatore. Ne discorre Trebellio nella sua opera "Triginta Tyranni" sforzandosi invano di farli ascendere a tal numeo, mentre che i veri usurpatori furono diciannove : Ciriade, Marciano, Balista, Odenato e Zenobio nell' Impero d.Oriente; Postumo, Lolliano, Vittorino, Vittorio, Mario e Tretico, nelle Provincie Occidentali; Regigliano, e Burrcolo nell' Illiria e paesi Danubiani; Saturnino nel Ponto; Trebelliano nell' Isauria, Oisione inTessaglia; Valente nell'Acaia; Emiliano in Egitto e Celso in Africa. Perirono tutti di morte violenta.
Caduta Atene nel 404 a.C., in potere di Sparta, Teramene e altri capi del potere oligarchico, mutarono d'accordo con i vincitori, la costituzione democratica della città. Il potere sovrano venne conferito a trenta magistrati. Dieci di essi vennero nominati da Teramene, altri dieci dagli E'fori e i rimanenti dal popolo.Senofonte si conservò il loro nome. Il loro goberno vero regno del terrore, non durò che un anno. Innumeri furono le rapine le uccisioni da loro fatte eseguire; così che a salvaguardarsi dalla indignazione popolare, chiesero ed ottennero da Sparta una guarnigione che collocarono nell'Acropoli. Forti di questo presidio, incrudelirono ulteriormente. Molti Ateniesi per sfuggire alla rapacita' e all' ira dei tiranni, esularono , ottenendo ospitalità e buona accoglienza specialmente nella Beozia, sebbene Sparta avesse emanato un editto per cui conferiva ai Trenta il diritto di arrestare i fuoriusciti Ateniesi un qualunque parte della Grecia e vietava a tutti gli Stati Ellenici di intervenire in loro soccorso.Il governo dei Trenta Tiranni venne abbattuto da Trasibulo.
Lista dei Trenta
La lista dei tiranni viene riportata da Senofonte.[7] Di molti di essi conosciamo solo il nome, ma Luciano Canfora ipotizza che tutti loro avessero fatto parte anche della Boulé dei Quattrocento (la certezza, però, non c'è, visto che la lista dei Quattrocento è incompleta). La lista fu pubblicata nel cosiddetto "decreto di Dracontide", promulgato quando era arconte Pitodoro (in carica dal giugno 404 al giugno 403); su questo punto, quindi, Senofonte sbaglia nel dire che i Trenta furono instaurati "subito dopo l'abbattimento delle mura", avvenuto in aprile, mentre il decreto risale certamente ad almeno due mesi dopo.[8]
(politico ateniese, solo omonimo del famoso filosofo)
(omonimo del matematico)
della tribù di Kekropis (omonimo del famoso oratore)
(omonimo del matematico)
(oratore ateniese, solo omonimo del drammaturgo)
TRESA
Piccolo affluente del Tevere. Tributario del lago Trasimeno. fra i tributari del lago è rinomato il Sanguinetto, nella cui pianura e sulle circostanti colline della Gualandra, Annibale inflisse ai Romani, nel 217 a.C., una terribile sconfitta.
TREVIRI
Città alla destra della Mosella. Il suo porto fluviale è Coblenza; ha conservato l'impronta delle sue origini antichissime. Le vie spesso molto strette e tortuose convergono quasi tutte alla piazza del Mercato e da questa alla Porta Nigra, la sola che rimanga delle sette porte della città antica, enorme edificio a due piani, fiancheggiato da due Torri e costruito probabilmente nel primo secolo. Il Dom, la cattedrale più antica d'Europa, fondata in origine da Valentinano I (364 - 75) venne ricostruita nel 552 e restaurata nel 1016 - 47), e contiene nel suo interno parecchi monumenti funebri, la famosa tunica non cucita di Gesù Cristo, e il tesoro che contiene molte antichità dell'epoca Gallo-Romana. Dietro la Basilica (eretta da Costantino) sorgono le imponenti rovine del palazzo imperiale romano. Fuori della città, in mezzo ai vigneti si sviluppa l'anfiteatro romano che poteva contenere 30.000 spettatori. Notiamo infine le vaste gallerie sotterranee, che percorrono la città fino alla Mosella ed erano forse una dipendenza del palazzo imperiale romano. Anche le pile del grande ponte a sette archi sulla Mosella, sembrano di origine romana. Molte antichità dell'epoca romana ed anteriore vennero raccolte in un Museo. La leggenda consacrata da un'iscrizione della Rothes Haus, attribuisce la fondazione di Treviri ad un figlio di Nino. Certo è anteriore e di molto alla conquista romana.Giulio Cesare la conquistò nel 56 a.C.,e subito prese importanza come posto militare prima e come centro commerciale di poi. Sotto Clausio vi si fondò la Colonia Augusta Trevinorum. Molti imperatori vi risiedettere compreso Costantino. Nel IV secolo era qualificata la seconda Roma. Nel 451 Attila la devastò. Nel 465 venne presa e rovinata dai Franchi che poi se la tennero.
TREZENE
Antica città greca dell'Argolide.
Secondo la leggenda la città fu dapprima chiamata Orea, dal nome di re Oro, e in seguito Altepia, dal nome di re Altepio, figlio di Poseidone e di Leda, figlia di Oro.
Poseidone ed Atena si disputarono il suo possesso. Tramite l'intervento di Zeus si rappacificarono e ottennero entrambi la tutela sulla città (sulle monete antiche appaiono simbolicamente un tridente e una testa di Atena).
Altepio fu succeduto da Sarone che costruì un tempio dedicato ad Artemide vicino al mare in una pianura paludosa chiamata Psifea. Dopo la sua morte la città mutò nome in Saronia[1].
Altri re di Trezene furono Ipere e Anta, fratelli che fondarono rispettivamente Iperea e Antea. Ezio, figlio di Ipere, ereditò il regno del padre e dello zio fondando Poseidoniada. Durante il suo regno Trezene e Pitteo, figlio di Pelope, si stabilirono nella regione e divisero il potere con Ezio.
In seguito eliminarono l'antica dinastia e fondarono quella dei Pelopidi. Dopo la morte del fratello, Pitteo unificò le città preesistenti Iperea a Antea dandole il nome di Trezene[2]. Da due figli di Trezene presero nome due demi dell'Attica: Anaflisto e Esfeto.
Etra, figlia di Pitteo, dormì la stessa notte con Egeo e Poseidone concependo Teseo[3]. Egeo lasciò i suoi sandali e la spada sotto una roccia dicendo che quando il figlio fosse divenuto grande abbastanza da muovere la roccia, avrebbe dovuto restituirglieli portandoli ad Atene. Cosa che Teseo, una volta cresciuto, fece[4].
Trezene è anche il luogo dove si svolge il mito di Ippolito, figlio di Teseo, descritto da Euripide nella omonima tragedia: per fuggire dalle attenzioni morbose di Fedra, sua matrigna, Ippolito abbandona la città guidando un carro ma viene ucciso da un toro sorto dal mare. In suo memoria le ragazze dedicavano una ciocca di capelli prima del matrimonio. Lo stesso soggetto è stato ripreso da Seneca e Racine.
Vi fiorirono in particolare i culti di Poseidone, Artemide, Atena e vi è ambientata la vicenda di Aussesia e Damia, raccontata da Pausania il Periegeta[5][6].
Anticamente esisteva anche una sorgente che si diceva scaturita dopo un calcio di Pegaso.
Secondo il mito uno dei suoi re, Sarone, morì annegato inseguendo una cerva nel mare che da lui prese nome Golfo Saronico.
Storia
Circa all'inizio del I millennio a.C. fu occupata dai Dori, mantenendo tuttavia la sua indipendenza.
Fu patria dei poeti arcaici Augia e Orebanzio.
Nel 720 a.C. partecipò assieme ad alcuni coloni Achei alla fondazione di Sibari in Magna Grecia.
Nella seconda parte del VI secolo a.C. entrò a far parte della Lega peloponnesiaca, diventando alleata fedele di Sparta.
Prima della battaglia di Salamina (480 a.C.), le donne e bambini ateniesi furono evacuati a Trezene su istruzione di Temistocle.
Fu attaccata da Atene durante la guerra del Peloponneso (431-404 a.C.).
Aderì alla Lega achea nel 243 a.C., nella quale rimase fino alla conquista romana (146 a.C.).
Fu distrutta dalle invasioni slave.
Nel Medio Evo presso le sue rovine fu costruita una cittadina col nome di Damala (Δαμαλᾶ), sede di una baronia del Principato di Acaia.
Nel 1827 durante la guerra d'indipendenza greca si svolse la terza Assemblea Nazionale nella quale Giovanni Capodistria fu eletto capo di Stato.
Grazie agli scavi condotti all'inizio del XX secolo conosciamo oggi alcuni dei suoi antichi monumenti, tra cui un tempio in antis che risale al VI secolo a.C. e, fuori dalle mura, un tempio dedicato ad Ippolito, l'eroe venerato nella città.
A Trezene nel 1960 venne ritrovata, durante degli scavi, una stele su cui una iscrizione riportava un decreto relativo alla evacuazione della città di Atene all'approssimarsi della invasione persiana del 480 a.C.[7]
Nel 1929 riacquisì il nome antico.
(da wikipedia)
TRI - TU
TRIARIO
Antico legionario romano a piedi scelto tra i più vecchi ed esperimentati cittadini. Ogni legione ne ebbe sempre seicento. erano forniti di grande armatura con due pili, scudo corazza ed elmo. In battaglia costituisvano la terza schiera ed erano l'estrema fiducia della legione; stavano con un ginocchio piegato o seduti sulle calcagna,e quando lo due schiere antistanti degli astati e dei principi non potevano reggere all'urto del nemico, ed erano obligati a retrocedere, essi si alzavano emettendo un feroce grido e lasciando passare loro dietro i fuggitivi, ristoravano la pugna.
TRIBONIANO
Giureconsulto nato a Side in Pamfilia verso l'anno 475, morto nel 535. Fu il confidente favorito dell'imperatore Giustiniano che lo nominò console, questore e prefetto del pretorio e direttore dei lavori legislativi dell 'Impero. Per la rapacità e venalità dimostrata in queste cariche si suscitò contro l'ira del popolo che nel 531 lo fece destituire. Dopo qualche tempo però ricomparve nella vita pubblica, più potente di prima.
TRIBÙ
Per Tribù s'intende un'agglomerazione più o meno numerosa di famiglie facenti parte di uno stesso popolo e viventi stanziali fisse, oppure nomadi, alla dipendenza di un medesimo capo. Se si studiano le origini e le costumanze di tutti i popoli della terra, si trova che, nei tempi più antichi c'è l'orda, la quale poi, scindendosi in varie parti, da luogo alla stirpe; molttiplicate le unioni di stirpe e ridotte a più ampia unità, nascono le tribù che danno origine alla società civile. Gli Israeliti erano divisi in dodici tribù, ciascuna delle quali abitava una parte della Giudea. Nella più antica storia della Grecia, troviamo ricordate le quattro tribù dei Geleonti, degli Opleti, degli Egicorei, e degli Argadei, le quali non avevano punto carattere gentilizio. Esse non rappresentavano che tante unità alle quali erano subordinati certi gruppi di distretti rustici o Demi. Le Tribù furono da Clistene, il grande riformatore, portate al numero di dieci. Ciascuna di queste tribù aveva il suo capo, i suoi santuari e le feste particolari, le quali servivano a riaccostare mirabilmente e amichevolmente i cittadini fra di loro. Come corporazione la tribù aveva altra attribuzione all'infuori di quella di eleggere i capi, di ripartire i pubblici aggravi e di nominare uomini di sua fiducia, che, in occasione di qualche opera pubblica da costruire, fungessero da amministratori. Gli Spartani e i Persiani, al pari degli Ateniesi, erano divisi in varie tribù. Intorno alla tribù romana, molte sono le opinioni degli storici. Pare che tre fossero le tribù, le quali fondarono Roma; la prima, dei Ramni, la seconda, dei Luceri, la terza, dei Tizi; esse erano, secondo il Niebuh, divise in curie, decurie e genti Componevano i Ramni, i Tizii, i Luceri, i Sabini di Tizio Tazio, i latini di Romolo, gli Etruschi. Servio Tullio, con la sua famosa riforma, divise la città di Roma in quattro tribus urbanae; ciò dice Livio con le parole; "Quadrifarium urbe divisa regionibus, collibusque quae habitabantur partes tribus eus appellavit". Del territorio fuori delle mura non dice niente, ma pare che lo dividesse in 26 tribus rrusticae, sebbene il silenzio di Livio inferisca che queste si siano formate dopo Servio Tullio, convertendo in tribù i pagi o villaggi.
TRIBUNATO
Il tribunato fu una delle cariche pubbliche dell'antica Roma. Esso fu di varie specie:
- TRIBUNATO DELLE TRE TRIBÙ
- TRINUNATO CELERUM:
- TRIBUNATO DELLE TRIBU' SERVIE
- TRIBUNATO AERARII
- TRIBUNATO DELLA PLEBE
- (Tito Livio, Ab Urbe Condita Libri, Libro III, 30.)
- « Questa notizia suscitò uno spavento tale che i tribuni permisero l'arruolamento, non senza aver prima ottenuto - siccome per cinque anni erano stati presi in giro riuscendo così di ben poco aiuto alla plebe - la garanzia che in futuro sarebbero stati eletti dieci tribuni. I patrizi furono costretti ad accettare, assicurandosi però con una clausola di non rivedere più, da quel giorno in poi, gli stessi tribuni. Si passò poi sùbito alla nomina dei tribuni, per evitare che quella promessa, come tutte le altre in passato, non venisse mantenuta una volta finita la guerra. A 36 anni di distanza dai primi, furono allora nominati dieci tribuni, due per ciascuna classe, e si stabilì che in futuro l'elezione avrebbe seguito la stessa procedura »
- TRIBUNATO MILITARE CON POTESTA' CONSOLARE
- TRIBUNATO MILITARE
- TRIBUNATO DI REGIONE
- TRIBUNIZIO POTERE
di Romolo. Che ciascuna delle tre Tribù antiche di Roma avesse un tribuno al quale probabilmente erano affidati gli affari civili, religiosi e militari della rispettiva tribù è detto espressamente da molti scrittori antichi, quali Dionisio d'Alicarnasso, Servio, e Pomponio.
Durante il periodo che Roma fu governata dai re, questi avevano una scorta di trecento cavalieri scelti detti celeres ai quali stava a capo un tribuno che, dopo il re, era il personaggio più importante dello Stato. Nell'assenza del re, il tribunus celerum era il personaggio che lo rappresentava, convocava il Senato, le Curie, e faceva votare leggi che prendeva no il nome di tribunizie, per distinguerle da quelle leggi che si facevano sotto la presidenza del re.
Quando Servio Tullio riformò la costituzione politica di Roma e divise la plebe in trenta tribù, a capo di ciascuna di queste pose un tribuno il quale aveva l'obbligo di tenere un registro degli abitanti del suo distretto e delle condizioni di ogni famiglia. Il Tribuno inoltre risquoteva i tributi dei componenti della sua tribù.
Nell'anno 406 di Roma, quando i soldati furono per la prima volta pagati, si istituirono i tribuni dell'erario, i quali, levato il tributo dalle tribù, dovevano appunto pagare l'esercito. Dopo l'istituzione dei questori i quali erano incaricati di dare il soldo alle truppe, ai tribuni aerarii non rimase altro che riscuotere i tributo. Nell' anno 70 a.C.,(684 di Roma, il pretore Aurelio Cotta propose che al Senato fosse tolto il privilegio esclusivo del potere giudiziario e che si desse ad un corpo eletto di cavalieri, di senatori e di tribuni dell'erario. Il potere giudiziario proposto dal Cotta fu accordato al corpo suddetto. Giulio Cesare però escluse da esso il tribuni aerarii.
Fu creata nel 494 a.C., all'incirca 15 anni dopo la fondazione della Repubblica romana nel 509 a.C. I plebei di Roma avevano effettuato una secessione, cioè avevano abbandonato in massa la città, ritirandosi sul Monte Sacro, accettando di rientrare (fu Menenio Agrippa a convincerli grazie ad un apologo sul corpo umano, nel quale evidenziava l'importanza della plebe per Roma, essendo un paese fondato sulla guerra), solo quando i patrizi avessero dato il loro consenso alla creazione di una carica pubblica che avesse il carattere di assoluta inviolabilità e sacralità, caratteristiche sintetizzate dal termine latino sacrosanctitas.
Secessione dei Plebei sul Monte Sacro
incisione di B. Barloccini, 1849
Questo significava che lo Stato si assumeva il dovere di difendere i tribuni da qualsiasi tipo di minaccia fisica, ed inoltre garantiva ai tribuni stessi il diritto di difendere un cittadino plebeo messo sotto accusa da un magistrato patrizio (ius auxiliandi). Secondo la tradizione i primi tribuni della plebe si chiamavano Lucio Albinio e Gaio Licinio Stolone. La sacrosanctitas, cioè l'inviolabilità, faceva sì che chiunque toccasse il tribuno diventasse sacer agli dei inferi, quindi passibile di pena capitale. Il tribuno aveva il diritto di presiedere i concilia plebis (ius agendi cum plebe) e, in epoca più tarda, il diritto di convocare il senato (ius senatus habendi).[2][3] I tribuni della plebe, dal 471 a.C., vennero eletti dai concilia plebis. I Tribuni della plebe non avevano poter alcuno al di fuori delle mura della città, tranne quando, con gli altri Magistrati romani, si recavano sul monte Albano per i sacrifici, comuni ai Latini, a Giove. Questa limitazione fu sfruttata dai consoli del 483 a.C., Marco Fabio Vibulano e Lucio Valerio Potito, per superare l'opposizione di un tribuno della plebe alla leva militare di quell'anno; i due consoli infatti, sfruttando questa limitazione al potere del tribuno, chiamarono la leva fuori dalle mura della città[4]. A partire dal 457 a.C., durante il consolato di Gaio Orazio Pulvillo e di Quinto Minucio Esquilino Augurino il numero dei tribuni fu elevato a dieci, due per ciascuna classe.
Fino al 421 a.C. il tribunato fu l'unica magistratura a cui i plebei potevano accedere e che, naturalmente, era ad essi riservata. Per contro negli ultimi periodi della repubblica questa carica aveva assunto un'importanza ed un potere talmente grandi che alcuni patrizi ricorsero ad espedienti per riuscire a conseguirla. Ad esempio Clodio si fece adottare da un ramo plebeo della sua famiglia e fu così in grado di candidarsi, con successo, alla carica. Non mancarono casi in cui l'inviolabilità della carica di tribuno fu usata come pretesto per compiere violenze e soprusi, come nel caso dello stesso Clodio e in quello di Milone.
Dal 449 a.C. acquisirono un potere ancora più formidabile, lo Ius intercessionis, ovvero il diritto di veto sospensivo contro provvedimenti che danneggiassero i diritti della plebe emessi da un qualsiasi magistrato, compresi altri tribuni della plebe. Polibio aggiunge che, se anche uno solo dei tribuni della plebe avesse opposto il proprio veto, il Senato non solo non avrebbe potuto eseguire alcuna delle sue deliberazioni (senatus consulta), ma neppure tenere sedute ufficiali o riunirsi.[5] I tribuni avevano inoltre il potere di comminare la pena capitale a chiunque ostacolasse o interferisse con lo svolgimento delle loro mansioni, sentenza di morte che veniva solitamente eseguita mediante lancio dalla Rupe Tarpea. Questi sacri poteri dei tribuni furono a più riprese sanciti e confermati in occasione di solenni riunioni plenarie di tutto il popolo plebeo.
Epoca imperiale
Un altro espediente usato dai patrizi per aggirare il divieto di diventare tribuni fu quello di farsi investire del potere di tribuno (tribunicia potestas) anziché essere eletti direttamente, come avvenne nel caso del primo imperatore romano Augusto. Questa prerogativa costituiva una delle due basi costituzionali su cui si fondava l'autorità di Augusto (l'altra era l'imperium proconsulare maius). In questo modo egli era in grado di porre il veto su qualsiasi decreto del Senato, tenendo così questa assemblea sotto il proprio totale controllo. Inoltre poteva esercitare l'intercessione e irrogare la pena capitale oltre a godere dell'immunità personale. Anche la maggior parte degli imperatori successivi assunse la tribunicia potestas durante il proprio regno, sebbene alcuni imperatori ne fossero stati investiti anticipatamente dai rispettivi predecessori, come ad esempio Tiberio, Tito, Traiano e Marco Aurelio. Altri personaggi, come Marco Agrippa e Druso, l'assunsero pur senza divenire in seguito imperatori.
Dionisio e Cicerone affermano che i tribuni venivano eletti nelle assemblee delle Curie. Altri ritennero che l'elzione avvenisse nei comizi delle centurie, con la successiva approvazione delle curie. Pià tardi è certo che i tribuni venissero eletti dall'assemblra della plebe. Essi, non contenti dell'umile parte loro assgnata,fecero subito notevoli conquiste; la facoltà di parlare dinnanzi al popolo radunato senza che nessuno potesse interromperli; il diritto di radunare la plebe in assemblea di tribù, di fare plebisciti, di giudicare, di condannare i patrizi. Nell'anno 264 di Roma (49 a.C.) citarono a difendersi dall'accusa di aver turbato la pace fra patrizi e plebei di aver violato le leggi sacre Gneo Marcio Coriolano davanti all'assemblea della tribù.Coriolano non comparve, e, secondo Dionisio e Plutarco, i tribuni per lui chiesero l'esilio perpetuo. Durnte l'agitazione per le leggi agrarie, non potendo ancora fare proposte di leggi, agitarono le passioni popolari chiedendo si facesse la divisione generali dei beni del demanio e si soccoressero i poveri vendendo o affittando le terre pubbli che. Circa il 277 di Roma (477 a. C.) i tribuni fecero un'altra importante conquista; ebbero cioè il diritto di citare i consoli, appena usciti di carica davanti all'Assemblea della plebe e di costringerli a rendere conto del loro operato. Poco dopo, per opera specialmente di Publio Valerone, gli edili ed i tribuni furono eletti dalle tribù plebee senza bisogno di sacrifici, nè di consultazioni di àuguri (anno di Roma 282; 472 a.C.). Dopo la dittatura di Cincinnato, avendoi nobili commesso nuove violenze, la plebe fece loro un'accanita opposizione, e, com'è naturale la potesta tribunizia accrebbe di posizione. Il tribuno Icilio ottenne che le terre pubbliche dell'Aventino, usurpate dai patrizi, fossero date gratuitamente ai plebei, perchè potessero fabbricarvi le loro case. Icilio, in questa ciercostanza era entrato in Senato per difendere il suo plebiscito, dando principio al diritto che che poi usarono tutti i tribuni di convocare il Senato e di parlare in quell'Assemblea. Dopo Icilio o Sicinio Dentato, ottenuto anch'egli il tribunato, si adoperò a far si che si ponesse mano ad un codice di leggi uguali per tutti, ed ottenne il suo intento. Cacciati i decenviri che avevano cercato di distruggere il tribunato, questo risorse più potemte che mai e le leggi Valerie-Orazie comminarono la pena di morte per chi togliesse al popolo i tribuni. Il tribuno Duilio aggravò questa dispoizione facendo decretare dalla tribù che sarebbe arso vivo chiunque lasciasse la plebe senza tribuno. Trebonio chiuse per sempre ai patrizi le porte del tribunato plebeo. Tre anni dopo il tribuno Canuleio propose che venisse annullata la legge che vietava i due ordini, ed al tempo stesso gli altri tribuni chiesero che anche ai plebei fosse permesso l'adito al consolato. I patrizi si solleverono ferocemente contro queste domande; la plebe occupa armata il Gianicolo e costringe i suoi nemici ad approvare la legge Canuleia. Le agitazioni e le lotte non si arrestarono. Nel 333 di Roma (421 a.C.) quando si portò a quattro il numero dei questori, i tribuni, a malgrado della resistenza, ottero che se ne prendessero due dalla plebe. Espugnata la città di Vejo, i patrizi, secondo il loro costume, fecero tutti gli sforzi perchè la conquista tornasse solo a loro vantaggio, ma i tribuni avanzarono la richiesta che le terre e le case di Vejo si dividessero fra tutti i cittadini romani; e così fu fatto. Nel 621 di Roma (220 a.C.) il tribunato tocca l'apogeo della sua grandezza con Tibe rio Gracco. Egli, eletto tribuno in un'Assemblea popolare richiama in vigore la legge agraria di Licinio Stolone e propone che a nessuno sia concesso di possedere più di 800 jugeri di terre pubbliche. Quando venne il giorno della votazione, i nobili non avendo alcuna arma per opporsi a Tiberio Gracco convinsero il tribuno Marco Ottavio di opporsi col suo veto alla votazione della legge proposta. Tiberio Gracco si sforzò con tutti i mezzi di piegare la volonta del suo collega ma non essendovi riuscito; " Domani egli disse, il popolo deciderà se possa durare in carica un tribuno che fa guerra al popolo che egli deve difendere", Il giorno dopo adunatesi le 35 tribù, la destituzione di Ottavio fu approvata, e la legge agraria passò. Ma l'opposizione della nobiltà non si acquetò; fu ordita una congiura e Tiberio Gracco cadde sotto il pugnale degli assassini. La sua morte fu ssai deplorata e diede luogo a nuove leggi tribunizie, e a nuove conquiste della plebe. Silla ridusse i tribuni a quello che erano avanti la legge Publilia, restrinse il diritto di veto, rapì loro ogni facolà di proporre leggi e di parlare nelle assemblere nazionali. In breve tolse di fatto se non di nome il tribunato e ordinò che dopo di esso non si potesse ricoprire un'altra carica. Pompeo, nel 683 di Roma (71 a.C.) sicuro del voto dei più, rese con legge l'antica dignità al tribunato, senza badare se ciò fosse compatibile con la qualità dei tempi in cui l'antica virtù era del tutto sparita. La potestà tribunizia sotto il goversno degli imperatori fu concessa a questi; essi la potevano esercitare anche fuori di Roma. I tribuni antichi rimasero ma poichè tutti i poteri furono concentrati nelle mani degli imperatori, quell'ufficio non ebbe più alcuna importanza.
Allo scopo di impedire le conseguene della legge Canuleia. il Senato stabilì che, tanto i patrizi quanto i plebei dovessero elegge re priomisquamente tribuni dei soldati con potestà consolare. Nell'anno 444 a.C, in luogo dei consoli si elessero tre tribuni. Negli anni seguenti il popolo ebbe la facoltà di eleggere o gli uni o gli altri. I tribuni consolari avevano gli stessi poteri dei consoli.
I tribuni militari erano una classe di ufficiali dell'esercito romano, ed erano in numero di quattro per ogni legione. In origine spet tava al console il diritto di eleggere i tribuni militari; ma nel 364 a.C., si stabilì che la metà di essi dovevano essere eletti dal popolo nei comizi centuriati, metà dai comandanti delle legioni. Spesso il numero di tribuni in una stessa legione fu di sei. I tribuni militari avevano l'incarico di mantenere fra i soldati la disciplina, la concordia ed imparetire loro le istruzioni utili al combattimento in guerra.
A Roma Augusto nei primi anni del suo impero divise in undici regioni lo spazio racchiuso entro le mura, e in tre quello dei suburbi; poi divise le 14 regioni in 265 vici e prepose ad ogni regione un pretore, o un tribuno o questore. incaricato dell'amministrazione e della polizia.
Questo potere accordato la prima volta dal popolo romano a Cesare Augusto imperatore dal 23 a.C.,gli attribuiva la podestà e la prerogativa dei tribuni e la rendeva inviolabile.Augusto se lo faceva rinnovare ogni anno e i suoi succesori ne seguirono l'esempio valendosene per segnare gli anni del loro regno.
TRIBUNO
Medico, nato in Palestina ed vissuto nel VI° secolo dell'era volgare. Era tanto in grande considerazione da Cosroe, re della Persia, che aveva guarito da una malattia. Il re gli offerse qualunque cosa avesse gli fosse grato di avere, ed egli domandò la liberazione di alcuni prigionieri romani. Cosroe ne liberò tremila
(Vedi Cosroe)
TRICCA
(TRICALA)
Anntica città della Tessaglia, celebre pel suo tempio d'Esculapio.
TRIDENTE
Emblema dato dalla Mitologia alle divinità marine e specialmente a Nettuno, che con esso, secondo i poeti scoteva le onde e suscitava le tempeste.
TRIFIODORO
Grammatico e poeta greco, nato in Egitto e fiorito sembra, nel quinto secolo dell'era volare. Scrisse le seguenti opere : "Dilucidazione delle similitudini Omeriche"- " Le cose di Maratona "; poema - "L'Odissea mancante di una lettera"; così intitolato secondo Eustazio, perchè in tutto il componimento si era evitato l'uso di parole contenenti il sigma, o secomdo Esichio, perchè per ogni singolo libro si era fuggito l'uso di una determinata lettera - " L'espugnazione di Ilio" poema in 691 esaametri, unica opera a noi pervenuta, pubblicata primamente con i poemi di Quinto Smirneo e di Coluto.
TRIFONE
- Trifone Diodato
- Trifone Salvio
Usurpatore del trono di Siria. Morto Alessandro Bala,nel 146 a.C.,fece riconoscere come re Antioco suo figlio, in seguito le fece uccidere e subentrargli nel reame. Antioco Evergete lo scacciò dalla Siria e l'uccise nel 131.
Capo degli schiavi ribelli di Sicilia. Eletto Capo nel 110 a.C., raccolse un esercito di 20.000 uomini e sconfisse completamente il pro-pretore Licinio Nervo; dopo questa vittoria fu acclamato re. Gli fu mandato contro Licinio Lucullo il quale sconfisse gli schiavi e costrinse Trifone a rinchiudersi nella sua sede fortificata. La ribellione cessò con la morte di Trifone nel 103 a.C.
TRIGEMINO
Publio Curiazio Fisto Trigemino
Publio Curiazio Fisto Trigemino fu eletto console nel 453 a.C. insieme al collega Sesto Quintilio Varo.[1]
Mentre si aspetta il ritorno della commissione, formata da Spurio Postumio Albo, Aulo Manlio e Sulpicio Camerino, inviata l'anno prima ad Atene, per trascrivere le leggi di Solone, e quindi poterla studiare e riformare le istituzioni romane, bloccate dal perenne conflitto tra patrizi e plebei, Roma soffrì le conseguenze di una carestia e di una pestilenza, di cui rimase vittima il console Quintilio[2].
Nel 451 a.C. fece parte del primo decemvirato, che elaborò le Leggi delle X° tavole, completate dal successivo decemvirato, che emise le Leggi delle XII° tavole [3].
(da Wikipedia)
Egli pretendeva discendere dai primi Curiazi e perciò prese il cognome di Trigemino.
TRIGONON
Strumento usato dagli antichi greci, a corda e forma triangolare; da questo il suo nome proprio.
TRIMELES
Con questo nome si ritiene che i greci antichi chiamassero un pezzo di musica vocale accompagnato dal flauto. Il pezzo era formato da tre strofe, una delle quali era scritta nel modo dorico, la seconda nel modo frigio, la terza nel modo lidio.
TRINACRIA
Uno dei nomi con cui a cagione della sua forma era chiamata anticamente la Sicilia.
TRINOBANTI
Tribù antica della Btitannia romana. La sua città principale era Londinium
TRIONFO
Solennità che si celebrava dai Romani dopo una vittoria. L'uso di solenni processioni fu sempre comune a tutti i popoli guerrieri,
ma nessuno vi diede tanta importanza come il popolo romano.
Roma concedeva questo onore soltanto a quel generale che avesse riportata una vittoria strepitosa. Il vincitore entrava nella Città Eterna sopra un carro tirato da quattro cavalli, preceduto dai prigionieri e dal bottino di guerra e seguito dalle legioni.
Percorreva la via Sacra e saliva al Campidoglio dove sacrificava un toro a Giove.
Tale trionfo era decretato dal Senato dopo avuta la relazione della vittoria e dopo maturo consiglio tenuto nel tempio di Bellona, fuori Roma, quando concorrevano certe condizioni e cioè, che il gernerale vincitore fosse console, dittatore o pretore, che la vittoria fosse ottenuta per mezzo di lui e con l'aiuto delle sue legioni e i vantaggi conseguiti e i nemici fossero quali la legge li prescriveva, che si trattasse di veri nemici e non di guerra civile, e infine che si fosse combattuta una battaglia decisiva per la quale il territorio di Roma fosse stato ampliato.
Nel secolo V° al Senato subentrarono i Comizi tributi nel decretare il trionfo, nel quale il generale era fregiato di toga purpurea trapunta d'oro, cinto di ghirlanda d'alloro e con lo scettro in pugno.
All'epoca dell'impero il diritto a celebrare il trionfo non spettò che agl'imperatori.
Dalla fondazione di Roma alla sua caduta furono celebrati 350 trionfi.
TRIONFALE
Denominazione architettonica che si dà all' Ordine composito, perchè quasi eslusivamente usato dai Romani per decorare i loro archi trionfali, che il Senato e il popolo decretarono che si erigessero in onore dei generali che ritornavano vittoriosi e che erano ammessi all'Onore del trionfo. Oltre agli archi trionfali usarono i romani dedicare ai trionfatore un ponte i quali arricchivasi colle statue dei vincitori, o coi trofei d'armi scolpiti, e chiamavansi "ponti trionfali".
TRIPOLIS
già TRIPOLITZA
Città della Grecia nel Peloponneso, già capoluogo dell'Arcadia. Giace al centro della pianura di Mantinea. Venne costruita con gli avanzi di tre città antiche; Pallation, Tegea e Mantinea. Oggi, oderna e molto animata.
TRIO
Città dell' Elide, guado dell'Alfeo, come lo chiama Omero nel Catalogo. L'Alfeo nasce nell'Arcadia presso i confini dela Laconia, e dopo aver attraversato l'Elide, si getta nell'Acaia e quindi nel mare (Strabone).
TRIPOLITANA
Nome con cui si designava una provincia romana dell'Africa settentrionale, corrispondente pressapoco all'attuale Tripolitania.
TRITACA
Demo della Grecia gia nella nomarchia dell'Acaia e d'Elide; capoluogo Prostovitza
TRITONE
Dio marino, figlio di Saturno e di Anfitride, regima del mare, soppiantato nell’impero dei mari da Nettuno, cui divenne il trombettiere con doppia natura; uomo nella parte superiore, e pesce nella inferiore. Suo attributo era la conchiglia tortile, che usava come tromba. Si suppose poi l’esistenza di molti tritoni quali divinità minori del mare, placanti le tempeste al suono della buccina ; d'altra versione, mitico essere marino, figlio di Posidone (Nettuno) e di Anfitrite, è trombettiere del padre che con una conca a forma di corno soffiava. E’ quindi sempre rappresentato con la conca portata alla bocca e spesso raffigurato nelle decorazioni pittoriche o scultoree. Oltre a Tritone si concepiva una intera categoria di Tritoni, dèmoni del mare, facenti parte del corteo di Posidone, raffigurati con la parte del corpo inferiore a forma di pesce. Venerato soprattutto in Beozia e nell’Attica, talvolta temuto come agitatore del mare, talaltra quale protettore di una buona pesca e di una favorevole navigazione.
TRITONI
Dèi marini.
TRITTOLEMO
Figlio o nipote di Celeo, re degli Eleusi nell'Attica, fu il primo che insegnasse ai Greci l'arte della terra. I poeti lo dissero allevato ed istruito da Cerere che lo pose su un carro tirato da serpenti alati e lo mando per tutto il mondo ad isegnare all' uomo a lavorare la terra.e seminare il grano. Gli si attribuiscono pure alcune leggi ateniesi che si riassumano in questi tre capi: adorare gli dei, onorare i parenti, non mangiare carne. Nei suoi viaggi Trittolemo giunse in Sicilia, ove ingelosì il re di quell'isola, Linceo che l'avrebbe ucciso senza il soccorso, dice il poeta, (Ovidio), della dea che cambiò Linceo in Lince.
TRIUMVIRATO
TRIUMVIRI
Forma di costituzione di alcune specie di magistratura romana, veri collegi giudicanti composta di tre magistrati, da cui il nome. La storia ricorda sotto il nome di un Primo tiumvirato (primo forse che avese potere politico assoluto quello formato da Pompeo, Crasso e Cesare nell'anno 60 a.C., i quali sotto il nome di Triumviri, reipublicae constituende si divisero le provincie romane e segnarono la fine delle libertà tepubblicane. Morto Crasso sorse la gran lotta fra i due rimasti, lotta finita con la morte di Pompeo fuggitivo in Egitto.
Pugnalato Cesare da Bruto e Cassio, la Repubblica cadde in mano del Secondo triumvirato, composto da Antonio, Lepido e Ottavio. Il Triumvirato divenne per poco un Quadriumvirato per la cncessione di alcune provincie a Sesto Pompeo; la morte di Pompeo e la sconfitta di Lepido riducono presto i triumvirato in un duumvirato fra Marc'Antonio e Ottavio; quattro anni dopo scoppiò la guerra fra i due capi, e la morte di Marc'Antonio ridusse il duumvirato in un principato; la Repubblica allora si diede in mano al nuovo Cesare. La storia recente registrò un'altro triumvirato in Roma, sorto questo in nome della libertà, il Triumvirato della Repubblica Romana nel 1848
TRIVIA
Nome dato dai poeti alla luna, detta così perchè presiedeva ai trivi .
TROFEO
Ricordo di una vittoria guerresca. In origine non era che un tronco d'albero cui si appendevano le spoglie e le armi dei vinti. Si innalzava subito dopo la vittoria sul campo di battaglia. Quest'uso che probabilmente risale alle prime lotte fra uomini, troviano radicato tra i Greci da cui l'ebbero i Romani. Più tardi si fabbricarono trofei di pietra e di metallo. Il primo di questa natura ricor dato dalla storia è d'oro collocato da C. Flaminio nel Campidoglio nell'anno 530. Vennero in seguito le colonne, gli obelischie fli archi monumentali. Il trofeo è una decorazione moltissimo usata in architettura per dare carattere e significato ad un edificio; si usa anche il trofeo isolato, ossia elevato sopra un piedestallo, come sono i così detti trofei di Mario a Roma.
TROFONIO
Figlio di Apolline, secondo la favola. Fu un celebre architetto greco. Fabbricò a Lebadia in Beozia un tempio in onore ad Apollo, nel qquale eravi una caverna detta l'Antro di Trofonio dalla quale credevasi che questo dio desse i suoi oracoli.
TROGITIS
Lago delle Pisidia nell'Asia Minore.
TROGO
Pompeo
Figlio di uno dei segretari di Giulio Cesare, discendente da famiglia gallica, contemporaneo di Tito Livio, scrisse in 44 libri le Historiae Philippicae el totius mundi origines et terrae situs, seguendo le orme degli storici greci: Ctesia e Teopompo. la sua opera prendeva le mosse dagli imperi asiatici dei tempi più remoti e giungeva sino agli Stati dell'Asia, dopo la conquista di Alessandro Magno. Essa è andata perduta e non la si conosce se non per l'estratto che ne fece lo storico Giustino, probabilmente al tempo degli Antonini, Da questo estratto appare che lo stile di Trogo doveva essere semplice e vivace nello stesso tempo. Poi Giustino dice che Trogo usava mettere in forma obliqua le orazioni che facevano i suoi personaggi. censurando Sallustio e Tito Livio, i quali con l'uso della forma diretta, avevano offesa la convenienza dello storico. Trogo fu dettto da Plinio "auctor severissimus".
TROIA
Ilion o Pergama
- Troia, Ilion, Pergama
- Troiani (pianetini)
- Cavallo di Troia
-
"L'aguato del caval che fè la porta
Ond'uscì de' Romani il gentil seme" - Dante. Inf.,c.XXVI, v. 59-60
Antica città capitale della Troade regione dell’Asia Minore nord occidentale, nei pressi dell’Ellesponto, detta anche dai greci Ilio.
La tradizione mitica, tramandata principalmente dai poemi Omerici e dai poeti tragici greci, faceva risalire l’origine della città a Dàrdano, capostipite autoctono e secondo Omero, originario dalla Tracia; secondo altri della dinastia regnante in Troia, il quale fondò una città detta da lui Dardania, di cui furono re successivamente Erittonio, Tros, (da cui Troia), Ilo ( da cui Ilio) e Laomedonte, che la fece cingere da mura inespugnabili, dal dio Apollo e dal dio Posidone.
Senonchè avendo questi negato il compenso pattuito, fu ucciso da Eracle, (Ercole), con tutti i figli, tranne Priamo, che gli succedette sul trono.
Sulla rocca di Troia(Pergamo) sorgeva un tempio, sacro a Minerva, con una statua della dèa.
Troia era detta "priamela citttade" della quale era re Priamo.
CENNI STORICI
Fino alla seconda metà del 18° secolo, la critica storica e filosofica riteneva del tutto favolosa la vicenda, e la città stessa cantata nei poemi omerici, finchè Heinrich Shliemann, in una fortunata campagna di scavi sulla collina di Hissarlik, alla confluenza dello Scamandro col Simoenta, rinvenne tra il 1871 e il 1890 i resti di quella che a lui parve di poter identificare con la città di Troia omerica. Scavi successivi, diretti soprattutto dal tedesco Wilhelm Dorpfeld tra il 1893 e il 1894 e dell’americano William Carl Blegen (1932 - 1938), hanno consentito di chiarire meglio la cronologia dei vari strati o livelli di abitati riportati alla luce; sette, secondo Shliemann; nove, secondo Blegen, corrispondenti ad altrettanti periodi storici della città, compresi tra il 3200 a.C., e il 400 d.C.
Il primo insedianenbto di Troia risale infatti, alla fine dell’età del rame. Era un modesto centro urbano, racchiuso da un robusto muro di pietre, in cui sorgeva un piccolo palazzo reale, un edificio rettangolare con un portico sul lato occidentale.
Le case di questo primo insediamento, erano formate di due ambienti e costruite con materiali crudi, sorretti da un basamento di pietra.
La seconda città, che ricopre un’area più grande di quasi 8000 mq, risale ormai alla prima età del bronzo, attorno al 2500 a.C., ed è molto più antica quindi dei poemi omerici.
Le sue fortificazioni molto più poderose, constano di una parte inferiore, un pò inclinata, di rozze pietre cementate con terra, e di un alzato di mattoni crudi consolidati con travi. Vi sono inoltre due bastioni e due doppie porte, vicino ad una delle quali lo Shliemann mise in luce un tesoro; il cosiddetto tesoro di Priamo, ricco di gioielli d’oro, d’argento e di bronzo.
L’interno della città è dominato dal palazzo, anch’esso a pianta rettangolare come le case, formato da un vestibolo, e d’una sala di abitazione con al centro il focolare.
I vasi, prevalentemente di ceramica, ma si sono rinvenute anche coppe e fiaschette con lamine d’oro, fabbricati già al tornio ed hanno forme assai particolari e caratteristiche: brocche con lungo collo tagliato a becco obliquo, e vasi zoomorfi ecc.
Ricco di forme è anche l’armamento in rame quali lance, coltelli e pugnali, e splendide asce in pietra.
Numerosissime statuette di pietra, raffiguaranti in modo più o meno stilizzato la dèa della fertilità nuda.
Idoletti erano forse anche gli ossi a globuli; prodotto tipico di Troia esportato largamento in Grecia e persino nel la civiltà sicula di Castelluccio.
La città fu distrutta ed incendiata da nemici.
I successivi insediamenti III°- IV°- V°, mostrano una ininterrotta attività e continuità di cultura dal 2300 al 1800 a.C., senza profonde innovazioni, tranne l’apparizione di vasellame dipinto.
Il VI° insediamento 1800 – 1300 a.C., è ormai una città di cospique dimensioni.
Le sue mura, di regolari blocchi di pietra, alte oltre cinque metri, fornite di torri assai sporgenti, e di almeno tre porte, racchiudevano un’area di oltre 15.000 mq. Fra i resti di animali si sono trovate anche ossa equine; quindi le genti della Troade praticavano già l’allevamento del cavallo.
Fra gli utensili si notano oggetti in bronzo, come la falce, ecc.
Fuori della cinta muraria è stato messo alla luce un cimitero in cui i morti inceneriti venivano conservati in ossari.
Distrutta da un terremoto, la città che, secondo gli studiosi sarebbe la città omerica, fu ricostruita su scala minore.
Il VII° insediamento, secondo altri studiosi, sarebbe la vera città cantata da Omero, perché mostra tracce di un incendio, databile a circa il 1200 a.C., in armonia con la data convenzionale del 1184, anno della sua distruzione.
Sembra ormai fuori dubbio che intorno al XIII° - XII° s.a.C., la Troade avesse raggiunto un notevole grado di civiltà e di sviluppo e che Troia egemone della regione, fosse diventata un forte centro militare e commerciale che intesseva rapporti notevoli di scambio con la Grecia, come dimostrano le ceramiche micenee del XIII° s.a.C., ivi importate.
E’probabile che interessi commerciali fossero l’inizio della guerra; comunque una spedizione militare guidata da Agamennone re di Micene, venne compiuta contro la Troade; la regione conquistata, la città assediata, presa e rasa al suolo.
In seguito tra il IX° e il VII° s.a.C., la Troade fu invasa da popolazioni barbare provenienti dalla Tracia, e tra il VII° e il VI° secolo a.C., da popolazioni eoliche e tessaliche.
Nel V° s.a.C.,la regione aveva soltanto importanza religiosa per il santuario di Atena, costruito sull’acropoli.
Aggregata alla satrapia di Frigia persiana, la città ricevette l’indipendenza dai greci nel 478, ma poco dopo, ricadde sotto il dominio persiano.
Nel 334 a.C., Alessandro Magno, recatosi a Troia, celebrò un solenne sacrificio ad Atena Ilia.
Lisimaco la ricostruì e la dotò di una poderosa cinta di mura. Ma queste non la salvarono, durante le guerre civili romane del I° s.a.C., dalla distruzione ad opera di Flavio Fimbria, partigiano di Mario, che volle punire la città schieratasi con Silla.
Questi poi la fece ricostruire, considerata com’era patria di Enea, capostipite della «Gens Julia», e gli imperatori seguenti Augusto, Claudio ecc., le dimostrarono sempre benevolenza, abbellendola di molti monumenti.
Le ultime notizie della città risalgono al IV° s.d.C.
Attorno alla conquista di Troia, fiorirono cicli di leggende, alle quali attinsero poeti e artisti dell’Ellade.
Durante il Medio Evo, le leggende troiane, alimentarono una ricca letteratura di genere cavalleresco in Europa; particlarmente in Francia ed in Italia.
Note - Il regno di Troia si estendeva nella Frigia (Eneide libro II°)
Mausoleo di Glanum, presso Saint-Rémy-de-Provence, eretto tra il 30 a.C. e il 20 a.C. Il rilievo riporta scene della guerra di Troia, ma utilizzando armamenti tipici del periodo augusteo. Si possono notare legionari a cavallo e appiedati indossanti tipici elmi attici e Montefortino, di tipo etrusco-corinzio e beotico abbelliti con creste e cimieri, loricae hamatae e scuta ovali.
Scena di battaglia fra achei e troiani,
kylix attico a figure rosse (490 a.C.),opera del Brygos - Louvre.
circa 1250 a.C.[1] o 1194 - 1184 a.C.[2]
("Ritorna a Ilo")
Astronomia: Pianetini Troiani sono detti i dieci pianetini circolanti tra Marte e Giove.
La tradizione eroica fa cadere la città di Troia, da dieci anni assediata, in mano dei Greci, mediante uno stratagemma. D'accordo con uno dei loro, il falso "Sinon greco da Troia", come lo chiama Dante, che lo dice da Troia, perchè in quella città seminò le sue falsita; finsero i Greci di abbandonare l'assedio e se ne partirono lasciando dinnanzi le mura della città un grosso cavallo di legno entro il quale erano nascosti parecchi dei loro guerrieri. Dei Troiani usciti dalla città stavano discutendo sul da farsi e del cavallo; chi lo voleva trarre entro la città, chi invece temendo una frode, lo voleva abbrucciato, o gettato in mare. Fra questi ultimi, tutto infervorato era Laocoonte, ricordato da Virgilio nell'Eneide. Ma ecco, si avanza Sinon che dice di essere sfuggito ai greci suoi compagni che l'avevano destinato in sacrificio agli dèi, e afferma che il cavallo fu un dono dei Greci a Minerva per averla propizia nel ritorno in patria. Poco dopo Laocoonte cade con i suoi figli divorato da due serpenti che si credette inviati da Minerva per vendicare il colpo di lancia ch'egli aveva scagliato contro il cavallo in segno di sprezzo. Questo fatto conforta nei Troiani il detto di Sinone.; si fa una breccia nelle mura e il cavallo è introdotto in città. Nella notte Sinone apre il ventre del cavallo, ne scendono i soldati che vi erano nascosti; essi aprono le porte ai greci ritornati col favore delle tenebre,e la città sorpresa è data in preda alle fiamme.
Per cui, cioè uscì il fuggiasco Enea, da cui venne di poi la prosapia dei Cesari (Romani).
Questa la tradizione eroica tramandata da Virgilio, raccolta da Stesicoro.
Quella distruzione però di cui non si trova cenno in Omero è posta molto in dubbio da critici storici.
Si opina da molti che Greci e Troiani si accordassero, e a memoria del fatto vi dedicassero un gigantesco cavallo ligneo.
TROIANO
QUINTO ELIO
Allievo di Panezio e parente di L.Emilio Paolo.fu soprannominato lo stoico ed ebbe fama di giureconsulto. Visse all'epoca dei Gracchi, fu tribuno della plebe nel 133 a.C., e nel 123 pretore. Un'altro Tuberone Elio visse al tempo di Cesare, fu dotto giurista e scrisse più opere di diritto pubblico e privato.
TROILO
Troilo e Cressida (The Tragedy of Troilus and Cressida) è una tragedia in cinque atti, databile al 1601, composta dal drammaturgo inglese William Shakespeare. L'opera non si presenta come una tragedia nel senso convenzionale del termine, dal momento che il suo protagonista, Troilo, non muore, ma si conclude comunque in modo molto triste, con la morte del nobile principe troiano Ettore e la distruzione del legame sentimentale tra Troilo e Cressida. Il tono dell'opera oscilla continuamente tra quello di una commedia piccante e quello di un'oscura tragedia, e gli spettatori e i lettori trovano spesso difficile decidere che reazione avere di fronte alle vicende dei personaggi[1]. Tuttavia, varie caratteristiche di questo lavoro (la più evidente delle quali è il continuo interrogarsi su valori fondamentali, come il rispetto della gerarchia, l'onore, l'amore) sono state spesso interpretate come distintive di un'opera "moderna"[2] o addirittura "post-moderna"[3] Trama La tragedia è ambientata nel corso degli eventi della guerra di Troia e ha in pratica due intrecci distinti. In uno Troilo, un principe troiano, corteggia Cressida, fa l'amore con lei e le giura eterno amore poco prima che sia mandata dai Greci in cambio di un prigioniero di guerra. Quando tenta di andarla a trovare nell'accampamento greco, la sorprende in intimità con Diomede e decide che è solo una prostituta. Nonostante questo intreccio sia quello che dà il titolo all'opera, in realtà si risolve in poche scene: la maggior parte della tragedia ruota attorno ad un piano ordito da Nestore ed Odisseo per spingere l'orgoglioso Achille a scendere nuovamente in battaglia tra le file greche. L'opera si chiude con una serie di scontri tra i due schieramenti e la morte dell'eroe troiano Ettore. I dubbi sul titolo L'edizione In Quarto la etichetta come un'opera storica con il titolo di The Famous Historie of Troylus and Cresseid, ma il First folio la cataloga tra le tragedie con il titolo di The Tragedie of Troylus and Cressida. La confusione deriva dal fatto che nell'edizione originale del First Folio le pagine non sono numerate ed il titolo è manifestamente stato inserito a forza nell'indice. Basandosi su questa osservazione, gli studiosi ritengono che si tratti di un'aggiunta fatta al Folio in un momento successivo e che quindi sia stata inserita dove restava dello spazio disponibile Le fonti La storia di Troilo e Cressida è un racconto di origine medievale, non presente nella mitologia greca; Shakespeare tracciò la trama attingendo da varie fonti, in particolare dalla versione che del racconto fece Chaucer (Troilo e Criseide), ma anche dal Troy Book di John Lydgate, e dalla traduzione di William Caxton del Recuyell of the Historyes of Troye[4]. La storia di Achille convinto a scendere in battaglia è tratta dall'Iliade di Omero (forse nella traduzione di George Chapman), e da varie rielaborazioni di epoca medievale e rinascimentale. La storia era piuttosto popolare tra i drammaturghi dei primi anni del XVII° secolo e Shakespeare potrebbe anche essersi ispirato ad alcune opere di autori a lui contemporanei. Anche il lavoro in due atti di Thomas Heywood The Iron Age tratta della guerra di Troia e della storia di Troilo e Cressida, ma non si sa con certezza se sia anteriore o successiva all'opera di Shakespeare. Inoltre Thomas Dekker e Henry Chettle scrissero una rappresentazione chiamata Troilus and Cressida all'incirca nello stesso periodo di Shakespeare, ma ne è sopravvissuto soltanto un frammentario abbozzo di trama.
TROO
Re della città di Dardania che da lui prese il nome. Venne dopo di Erittonio, figlio di dardano. Gli successe il figlio Ilo che costruì la rocca d'Ilio.
Secondo due diverse versioni della leggenda sua moglie fu Calliroe, figlia del dio del fiume Scamandro, oppure Acallaride, figlia di Eumede.
Quando Zeus rapì Ganimede, Troo si addolorò per il destino del figlio: commosso, Zeus inviò da lui Ermes con due cavalli così veloci da poter correre sull'acqua. Ermes rassicurò Troo, dicendogli che Ganimede era diventato immortale e sarebbe stato il coppiere degli dei, un ruolo di assoluto riguardo.
Secondo una variante della leggenda Ganimede è invece figlio di Laomedonte, nipote di Troo.
È da Troo che la stirpe dei Dardanidi prese il nome di Troiani e la loro terra venne chiamata Troade. Nell'Iliade Troo è anche il nome di un guerriero troiano, figlio di Alastore.
TUBERTO
Famiglia patrizia romana a cui appartennero:
- P.Postumio Tuberto,
- A.Postumio Tuberto
console nel 503 a.C., combattè contro i Sabini e li sconfisse presso Tivoli. Ebbe l'onore del Trionfo assieme all'altro console M.Valerio Voluso. Due anni dopo fu nuovamente console e sconfisse gli Aurunci. Fece parte della legazione patrizia inviata a Monte Sacro e fu sepolto in città per le sue virtù civili.
fu "Magister aequitum" nel 433 a.C., e dittatore nel 431. Riportò una splendida vittoria sopra i Volsci e sugli Equi presso il Monte Algido.
TUCCA
Poco, anzi quasi nulla sappiamo della Tucca.
* 'Tucca ( Plauzio ), poeta, amico di Orazio e di Virgilio : gli è del piccol ninnerò di coloro de’ quali Orazio ambirà il suffragio. Tucca fu , per ordine di Augusto, incaricato di rivedere con Varo e con Plozio , le opere di Virgilio, e specialmente l’Eneide che l’autore avea lasciato imperfetta, ma con espressa proibizione di nulla aggiungere.(VI° — Servius ad Virg. En. 2, v. .366; l. 5 , v. 871 ; L 7, v. 464)
(da google book)
TUCIDITE
Celebre storico ateniese nato l'anno 475 a.C., figlio di Oloro e nipote di Milziade.
Fu generale d'armata nella Tracia dove posse deva miniere d'oro.
La fazione di Cleone lo fece esiliare ingiustamente, sotto pretesto che non avesse soccorso in tempo Anfipoli. Durante il suo esilio, che fu di 20 anni, compose la "Storia della guerra peloponnesica", interrotta al ventunesimo anno di guerra per la morte dell'autore, avvenuta nell'anno 414 a.C., e mancante perciò della parte riflettente gli ultimi sei anni di quella guerra.
Tucidite, quantunque ingiustamente esiliato, non bestemmia la patria, ne cessa di innalzare voti per lei.
Il suo racconto procede grave e conciso, mentre Erodoto aveva cercato specialmente di dilettare. Tucidite pensò piuttosto di istruire. Il primo stette col suo tempo, Tucidite, lo dominò.
Erodoto è ameno e naturale; Tucidite grandioso e meditato, non cerca la popolarità, na vuol far pensare. Unicamente l'esagerazione sulle mende della democrazia che, imparentatato coi Pisistrati ritiene meno buona dell'aristocrazia.
Dionigi d'Alicarnasso, che con pedantesca minutezza esaminò l'opera di Tucidite, lo taccia ora d'affettato, ora di duro, ora di freddo e tenebroso fin di puerile; eppure quell'opera fu tenuta come un canone dell'atrticismo e nessuno più osò valersi d'altro dialetto nella storia. Demostene tanto la stimava che la trascrisse più volte tutta intiera di suo pugno.
TUDITANO
- Marco Sempronio Tuditano
- Marco Sempronio Tuditano
- Publio Sempronio Tuditano
- Marco Sempronio Tuditano
- Gaio Sempronio Tuditano
Console romano nel 240 a.C.
Giureconsulto romano coevo di Cosconio e di M.Giunio Bruto. Scrisse un libro diviso in più parti intitolato: Magistratuum liberil quale si deve intendere come un vero e proprio trattato di dirittto costituzionale e amministrativo romano. Il cui nome non è ricordato nei Digesti giustinianei; nessun brano della sua opera si rinviene nei medesimi o altrove.
uno degli ufficiali di Scipione l'Africano durante l'Assedio di Cartagena;
Console romano III° secolo a.C. che combatté contro Annibale.
Partecipò alla battaglia di Canne come tribuno militare e riuscì a salvarsi passando a forza attraverso lo schieramento dei nemici.[4] Nel 215 a.C. venne eletto edile curule.
Nel 213 a.C. ottenne la pretura,[1] ed organizzò come edile i ludi scenici che durarono per la prima volta quattro giorni.[5] Lo stesso, una volta ottenuto il comando della Gallia cisalpina, la cui base operativa era posta ad Ariminum (Rimini),[6] combatté contro i Galli della regione, espugnando la città di Atrinum, facendo più di 7.000 prigionieri e ottenendo un ricco bottino di rame e argento coniato.[7] Il comando gli venne prorogato come propretore l'anno successivo (212 a.C.).[2] Anche nel 211 a.C. gli venne prorogato il comando in Gallia.[3]
Fu console nel 204 a.C. e combatté contro Annibale nella battaglia di Crotone, il cui esito fu incerto.
console romano nel 185 a.C. che combatté in Liguria.
Tribuno della plebe nel 193 a.C., durante il suo mandato propose un plebiscito per estendere anche ai latini ed agli alleati italici le stesse condizioni per il prestito di denaro (Lex Sempronia de Fenore). Nel 189 a.C. fu pretore in Sicilia e nel 185 a.C. fu console con Appio Claudio Pulcro. Il consolato fu caratterizzato dalla guerra in Liguria; Tuditano sconfisse gli Apuani, mentre il collega assoggettò gli Ingauni.
Tuditano cercò di ripresentarsi al consolato nell'anno successivo, ma fu sconfitto; comunque fu eletto pontefice negli anni successivi. Morì nel 174 a.C. durante la grave pestilenza che devastò la città di Roma.
console romano nel 129 a.C. che combatté in Illiria.
Riusciva a battere, inoltre, le popolazioni della zona Alpina dei Carni e dei Taurisci della zona di Nauporto, coadiuvato da Decimo Giunio Bruto Callaico e meritandosi il trionfo.[2] Allo stesso fu dedicata ad Aquileia una statua celebrativa e un elogio.[3][4]
Fu anche storico e studioso di diritto pubblico, anche se della sua opera non rimangono che pochi frammenti.
(da wikipedia)
TULLIA
- Tullia
- Tullia Tulliola
- Tullia Gens
Figlia primogenita di Servio Tullio, re dei Romani. Fu maritata ad Arunte, il più virtuoso figlio di Tarquinio Prisco; mentre la sorella di lei andò sposa a Tarquinio il Superbo. Tullia uccise il marito, Tarquinio la moglie, e si unirono in matrimonio. Impazienti di regnare fecero morire Servio Tullio, e Tullia fece passare i cavalli del suo cocchio sul corpo di lui; così la leggenda.
Figlia di Cicerone, nata a Roma nel 77 a.C.; morta nel 46. Rimasta vedova di Cajo Pisone, sposò Furio Crassipede, dal quale poi divorziò per motivi mai conosciuti. Nel 41 sposò P. Cornelio Dolabella il quale provocò in Roma dfisordini e tumulti, tanto che Cicerone lo dichiarò nemico della patria. Questo terzo marito rese infelicissima Tullia che ne visse separata.
Altre note:
Gli annali del 1485 riportano il ritrovamento di una sepoltura contenente la mummia di Tulliola, figlia amatissima di Cicerone e di sua moglie Terenzia. Tullia chiamata affettuosamente Tulliola era nata nel 76 a.C. Dalle famose lettere latine spedite a Roma da Cicerone durante il periodo del suo esilio nella città di Atene abbiamo la netta visione di un padre molto affettuoso che chiama sua figlia:”Luce della mia vita”e “Più dolce della mia stessa vita”, padre angosciato in un modo morboso per lo stato di salute dei suoi cari lontani e soggetti a disturbi e febbri sconosciute. Poco tempo dopo, alla fine dell’anno 47a.C. al suo ritorno a Roma, dopo la tempesta della guerra civile, Cicerone trovò la casa abbandonata e il suo patrimonio in grave dissesto e ciò lo spinse a divorziare dalla moglie Terenzia, sposando per salvare la sua situazione finanziaria, una ricca giovinetta di nome Publilia, ma non per questo cessò di essere un ottimo padre per suo figlio Marco e la sua adorata Tulliola che nel 45 a.C. un male oscuro portò ad una morte prematura con la grande costernazione del suo amatissimo padre. Questa triste storia ha probabilmente aiutato ad alimentare la leggenda del “fantasma” di Tulliola che sta ancora vagando senza potere trovare la pace per la sua anima tormentata. Dagli annali dell’anno 1485 abbiamo scoperto che nel sepolcro fu rinvenuta la mummia di Tulliola perfettamente intatta dopo tanti secoli e la salma fu anche esposta al Campidoglio mettendo in subbuglio tutta la città di Roma. Le Autorità Ecclesiastiche intimorite dalla scandalosa presenza della mummia che il popolo di Roma stava venerando come una Santa, avevano deciso di farla sparire gettandola di nascosta nel Tevere, ma Tulliola levò il disturbo, perché a causa del contatto con l’aria la salma si era dissolta senza lasciare nessuna traccia del suo passaggio e le ceneri rimaste erano state seppellite in un luogo segreto.
Il popolo di Roma gridò al miracolo convinto che la ragazza si fosse mutata in un fantasma sofferente e vendicativo che non avrebbe dato pace ai residenti del luogo del ritrovamento.
(da: Metal Detector Hobby - L'angoletto della Storia)
Formia, in provincia di Latina, viene aperta al pubblico la tomba di Tulliola, la figlia di Cicerone.
Sotto questo nome vanno intese tutte le famiglie che portarono il nome di Tulli. Pare fossero di origine albana e si trasferissero in Roma quando Tullio Ostilio distrusse la loro città. Un ramo di questa gente dovette essere patrizio perchè un M.Tullio Longo fu console nel 500 a.C. In seguito se ne trovano atri, ma plebei.
TULLIANUM
Prigione di Roma antica costruita sul pendio nord-est del Capitolino. Si componeva di una camera quadrangolare detta Mamertina, da Anco Marzio o Mamerco che l'aveva fatta edificare. Sotto di essa c'era un carcere oscuro detto Tullianum che traeva il nome da Servio Tullio. Esiste ancora.
TULLIO
- Tullio Laurea
- Tullio Ostlio
Poeta greco, di cui sono conservati tre eleganti epigrammi. nell'Anthologia graeca. Liberto di Cicerone de' cui elogi Plinio cita alcuni tratti bella sua Storia Naturale e che si possono ritrovare nella Anthologia latina del Burmann.
Terzo re di Roma nipote di Osto Ostilio, il quale, regnando Romolo, combattè valorosamente contro i Sabini. Sotto di lui avvenne il combattimento degli Orazi e Curiazi. Fecve squartare Mezio Sufezio il quale aveva fatto insorgere i Fidenati e i Vejenti. Distrusse Alaba dalle fondamenta e ne trasportò la popolazione a Roma.regnò dal 673 al 641 a.C. e morì, secondo alcuni colpito d'un fulmine, secondo altri ucciso da Anco Marzio.
TUNICA
Specie di veste talare usata anticamente; dal celtico tunnag, mantello; altrimenti derivata per metogramma cathonett, e questo dall'ebraico chilun o chiton, in arabo tuniel, analogia di vocabolo fra varie lingue, che prova come l'uso di tale indumento fosse generale nei popoli dell'antichità. La tunica era, per così dire, la prima veste esterna, e la si sovrapponeva ad una veste interna (subucula), quale noi oggi intenderemo la camicia. Della sola tunica semplice si coprivano i poveri e così detti tunicati; gli altri, di migliore stato, usavano portare al di sopra della tunica la toga e il pallio. Questi vari capi di vestiario avevano parecchie distinzioni a se conda delle circostanze, dell'età, e lo stato di chi li indossava. Con la parola indumentum si dava alle tuniche un nome generico con la parola amiclus, un nome generico alle toghe, ai palli, al resto. Pare che i Romani usassero della toga soltanto prima della tunica e che poi questa fosse adattata in foggia di corta veste senza maniche, detta colchium. Si introdussero poi le tuniche a lunghe maniche (masnicatae), e scendenti fino alle calcagna; così fatte furono considerate come indizio di mollezza. Nei disegni e nelle opere d'arte che ci rimangono dell'antico, per lo più la tunica si vede corta di maniche, scendente fino al ginocchio e stretta ai fianchi da una cintura. Le donne romane vestivano pressapoco come gli uomini, con qualche piccola diversità nella forma e nella denominazione del vestito. Così la tunica esterna portata dalla donna romana era detta stola, e aveva talvolta le maniche e formava larghe pieghe sul petto. Questa stola era l'abbgliamento distintivo delle matrone, delle donne per bene, come la toga per gli uomini romani. Pertanto per le meretrici, le donne disgiunte dal marito per causa d'adulterio e l'altre in qualche modo diffamate non potevano portare la stola ed avevno soltanto una tunica di lana, senza maniche, corta; l'altra jonica di lino con maniche lunghe. Delle due fu usata più generalmente la dorica. Le tuniche, per lo più, erano bianche, però le si usarono anche colorate e perfino nere.I soldati e gli schiavi le avevano rosse. Da principio quando s'introdusse l'uso di questi indumenti, si facevai lana e rozzi; poi, in progresso di tempo si fecero di lino. Nell'ultimo perido della Repubblica Romana, corrompendosi sempre più i costumi, cominciarono a comparire i veli leggeri e le stoffe di seta insieme coi profumi oriental.
TURNO
Poeta satirico romano, citato da Giovenale, secondo il quale sarebbe stato un libertino nativo da Aurunca. Coi suoi versi aquistò fama grandissima alla corte del Flavii, Marziale, Rutilio e Sidonio, ne fanno grandi elogi. Delle sue opere non abbiamo che pochi frammenti. Turno, d'origine greca, in quanto discendeva da Danae, la figlia di Acrisio, la quale era approdata in Italia fondando la città di Ardea capitale della stirpe umbro-sabellica dei Rutuli e si era poi sposata al loro re Pilumno. Turno nacque a Laurento. Allo stesso modo che nel nome di Latino e di Lavinio ci è dato scorgere, sotto alle alterazioni che vi fa arrecato la leggenda di Eenea la primitiva tradizione italica possiamo riconoscere un accenno all'antica lotta che i latini ebbero a sostenere con gli etruschi i quali la circondavano da ogni parte e avevano già preso la città di Ardea e consigliarono loro la formazione della lega latina per difendere la propria indipendenza e la fondazione di una nuova città la quale fosse in grado di respingere quella crescente ed audace potenza.
TURPILIANO
Fu triunviro della zecca ai tempi di Augusto e la sua effige si è conservata da molte medaglie di quell'epoca. Un'altro Turpiliano C. Petronio, fu console nel 61 a.C., con C.Cesonio Peto , e Nerone lo mandò governatore in Britannia. Per l'amicizia che aveva avuto con Nerone, fu condannato a morte da Galba.
TURPILIO
SILVINO TITO
Governatore di Vacca nel secondo secolo prima dell'era volgare. Nella guerra giugurtina seguì in Africa, seguì il suo amico Quinto Cecilio Metello che gli affidò il governo di Vacca. Gli abitanti della città, volendo scuotere il giogo straniero, invitarono a un convito gli ufficiali romani, e li uccisero tutti a tradimento, fatta eccezione per Turpilio che s'era reso popolare per la sua equità e moderazione. Due giorni dopo, sopravvenuto Metello con le milizie fu fatta aspra e sanguinosa vendetta dello sleale eccidio. Turpilio, sospettato di aver avuto salva la vita quale traditore venne condannato alle verghe e alla decapitazione.
TURRIANO
Esimio statutario volscio, vissuto nel primo periodo dell'epoca etrusca. Gli si attribuisce una statua di Giove, a questo dedicata dal re Tarquinio Prisco.
TURRICIO
lat. Turricium
Antica città della Janigia a 8 miglia da Bitonto, ricordata da alcune iscrizioni scooperte nell'agro di Terizzi. Ad essa cortrisponde la moderna Terlizzi.
TURULIO
Romano degli ultimi tempi della repubblica. Fu questore di Cassio Longino e comandè la squadra di Bitinia. Fu uno dei congiurati che nel giorno dell Idi di Marzo del 44 a.C., pugnalarono Giulio Cesare nel Senato di Roma. ai piedi della statua di Pompeo. Turulio, dopo la battaglia di filippi, si rigugiò presso Antonio che lo accolse con amicizia.Scopppiata la guerra tra Antonio e Ottaviano, Turulio, per fornire la flotta di Antonio, fece tagliare un bosco sacro al dio EsculapioPer questo sacrilegio Ottaviano lo fece uccidere nel bosco stesso in omaggio al Nume offeso.
TUSCI
Nome antico degli Etruschi.
TUSCIA
Antica provincia italiana del secolo IV; comprendeva l'Umbria e l'Etruria.
TUSCULANE
Con questo nome si indica un'opera filosofica di M.Tullio Cicerone, da lui cominciata a scrivere nella seconda metà del 45 a.C., e compita nel 44 poco dopo l'uccisione di Giulio Cesare. La ragione del titolo ci è indicata dallo stesso autore; perchè egli dice di avere in esse Tusculane raccolto le conversazioni filosofiche tenute durante cinque giorni, con alcuni suoi amici, nella città di Tuscolo. Cicerone in quest'opera, tratta di questioni morali intimamente connesse alla vita pratica, e si propone di dimostrare come lo studio della filosofia rinvigorisce l'intelligenza, maturandola e rendendola più acuta, e come inoltre possa rendere felice l'uomo. La ragione principale delle Tusculane è: in qual modo si può rggiungere la felicità. Quali sono gli ostacoli che si oppongono a questo raggiungimento? Nel primo libro quindi l'autore cerca di liberare l'animo dal timore della morte che non vinto turba di freequente la pace della vita; nel secondo dimostra che il dolore può essere superato colla forza della ragione; nel terzo e nel quarto vuol provare che chi subordina le proprie dendenze alla retta ragione può vincere le cure e gli altri turbamenti dell'animo. Avendo così cercato di far conoscere quali ostacoli si oppongono alla felicità umana e in qual modo si rimuovono chiude il suo lavoro nel quinto libro che la virtù basta per se stessa alla vita felice, e ritorna così alla questione fondamentale. Qual'è il massimo bene? Le Tusculane hanno un carattere popolare, non avendo l'autore dato alla sua esposizione svolgimento teoretico e sistematico.Al ragionamento filosofico intreccia assai di frequente i criteri del buon senso e le testimonianze desunte dalla storia, e dal modo di pensare degli uomini. Lo stile corrisponde sempre agli argomenti, la lingua è facile, chiara, elegante, piena di slancio ove si parla di Dio, dell'immortalità dell'anima umana, della bellezza dell'universo, della virtù, e della felicità. A inserire nel testo passi poetici fu indotto dalla consuetudine delle scuole filosofiche suadenti del suo tempo.
TUSCULUM
o TUSCOLO
Antica città del Lazio; sorgeva sui colli Albani a sud-est di Roma. Su in alto a picco ergevasi una cittadella nella quale riparò Tarquinio il Superbo espulso da Roma. Più tardi i ricchi romani vi eressero ville, erano celebri quelle di Lucullo, Catone, Marco Bruto, Lucio Crasso, Mecenate, Cicerone. Nel Medio Evo ebbe frequenti guerre con Roma, finchè ne andò distrutta per ordine di Celestino III°. Al suo posto sorse Frascati. Dalla famiglia dei conti di Tusculum uscirono i Papi Benedetto VII°, Giovanni XIX°, e Benedetto IX°.
NOTE