AB-AC
ABANTE
Re d’Argo.
Abante (in greco Ἄβας, -άντις, in latino Ăbās, -antis) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Linceo e Ipermnestra. Egli fu un eroe eponimo del popolo degli Abanti, inoltre fu il dodicesimo re di Argo; sembra abbia per un certo tempo dominato sull'Eubea. Fu il leggendario fondatore della città di Abe in Focide. Marito di Aglea, fu il padre dei gemelli Acrisio e Preto, di Idomenea e di Lirco, figlio bastardo. Secondo la mitologia ebbe in dono da Danao, di cui era nipote, uno scudo sacro a Era che aveva il potere di ridurre all'obbedienza qualsiasi popolo in rivolta alla sola vista.
ABDERA
Antica città della Tracia, presso la costa settentrionale del mar Egeo e poco a Est della foce del fiume Mesta. La leggenda ne attribuisce la fondazione ad Ercole. Fu celebre per la scuola filosofica che vi fondò Leusippo, (atomismo) intorno alla metà del V s.a.C., e fece parte del regno di Macedonia. Decadde durante1a dominazione romana, e fu abbandonata in seguito all’impaludamento della zona. Nacquero ad Abdera i filosofi Democrito, Protagora, e Anassaraco. Della città restano solo scarse rovine presso il capo Balastra.
ACAIA
Regione greca del nord del Peloponneso, in gran parte montuosa e boscosa, con coltivazione di vite e di olive, nelle zone più basse; il capoluogo è Patrasso famosa nell’antichità perchè ritenuta terra d’origine degli Achei, che i Romani identificarono con i Greci. Vi sorgevano le città di Ege e di Elice, distrutte dal maremoto del 373 a.C. Durante la quarta crociata la regione, detta Principato di Morea fu conquistata dai cavalieri crociati, Guglielmo di Champlitte Goffredo di Vilehardouin. Quando i territori bizantini furono ripartiti (1205) il Principato toccò al Champlitte e quindi al Villehardouin che ebbe il titolo di Principe di Acaia. Nel 1301 Filippo di Savoia sposando una discendente di Goffredo di Villeharduin diede origine al ramo laterale dei Savoia, chimato appunto Savoia-Acaia.
ACAMANTE
E’uno dei tre figli di Antènore (compagno d’arme di Enea): gli altri due: Polibo e Agènore.
ACATE
E’compagno fedele di Enea, dopo la fuga da Troia.
ACCA
Acca Larenzia, Antica divinità romana, madre dei Lari; in suo onore si celebravano le feste “Larentalia” il 23 dicembre. Da alcune fonti, descritta come famosa etera, (lat. lupa) identificata con la nutrice dei gemelli Romolo e Remo e moglie di *Faustolo.
ACHEI
Una delle quattro grandi stirpi greche. detti pure argivi, achivi, dànai. Fin dai primi versi del l’Iliade, Omero chiama tutti i Greci, Achei, tanto da far sorgere il dubbio che la nazione ellenica portasse questo nome. Delle quattro grandi stirpi che si ritiene abbiano dato origine al popolo greco, l’Achea è certo la più antica, comprendendo le popolazioni che abitavano il Peloponneso prima dell’invasione detta dorica che molti studiosi fanno risalire al XII s.a.C. La critica moderna anzi tende a identificare gli Achei con i Dori, o almeno con quelle popolazioni che avrebbero assunto il nome di Dori nelle colonie dell’Asia Minore. Tale denominazione si sarebbe poi estesa anche alle popolazioni di stirpe achea della madrepatria e avrebbe finito per sostituire quasi ovunque il nome originario. Tale ipotesi sarebbe confermata anche da molte leggende. Secondo Platone ad esempio, alla fine della guerra troiana un capo di nome Dorie, avrebbe ricondotto in patria cioè nel Peloponneso gli Achei, che da allora, in suo onore, avrebbero mutato il loro nome in quello di Dori. In età storica si chiamavano Achei gli abitanti dell’Achaia, regione a Nord del Peloponneso, (Achaia Egialeia) e a Nord del golfo Maliaco, (Acaia Ftiotide) e della Itiotide, nella Grecia centrale. Gli Achei, non ebbero però molto peso nelle vicende storiche della Grecia, essendo sempre rimasti estranei alle contese fra le varie città gre che e non avendo partecipato alle lotte contro i Persiani. Alla fine del V s.a. C., caddero sotto l’egemonia spartana, poi sotto quella di Tebe, finchè nel 146 a.C., l’Acaia divenne, assieme alla Macedonia, una provincia romana.
Lega Achea; federazione di città achèe, costituita circa il 280 a.C., prima avversa, poi alleata della Macedonia, coll’aiuto della quale vinse Cleomene III di Sparta e successivamente la Lega etolica. Volgendo al termine la lotta tra i Romani e Filippo V di Macedonia (198) si schierò in favore di Roma e giunse ad estendere la sua autorità su tutto il Peloponneso. Il prevalere in essa del partito antiromano, portò alla conquista da parte di Roma (146 a.C.) con cui la Lega ebbe termine.
ACHEMENIDI
Nome greco della grande dinastia dei re persiani, (Ciro il Grande, Cambise, Dario, Serse I ecc.) in quanto proveniente dal nome di un capostipite: Achèmene.
ACHERONTE
Nella mitologia greca, uno dei quattro fiumi infernali, (Cocito - Flegetonte - Stige) le anime potevano attraversare solo se il corpo era stato sepolto, e come tale Omero lo ricorda nell’Odissea; le anime dei morti dovevano oltrepassarlo a nuoto o per mezzo di un’imbarcazione per poter giungere ai campi Elisi, o traghettati da Caronte. Nel mondo latino l’ Acheronte indica il mondo dell’oltretomba e per estensione il regno dei morti. Secondo una leggenda, era figlio di Gea o di Demetra, mutato in fiume da Giove per aver fornito acqua ai Giganti che avevano assalito il Cielo.
ACHELOO
Il
dio del fiume omonimo, che combattè con Ercole per la mano di
Deiamira e ne fu vinto.
- Acheloo è nome antico del fiume Aspropòtamos che sorge dal Pinto
e sbocca nel mare Ionio
ACHILLE
Eroe dell’Iliade, re dei Mirimidoni, (popolazione della Tessaglia) figlio di Peleo (Pelide) e di Teti, una delle divinità marine, (Nereidi), che lo rese invulnerabile, tranne che nel tallone, per l’immersione nel Stige, (maleodorante fiume infernale). Uccise Ettore e altri eroi e campioni troiani durante l’assedio di Troia. Morì colpito al tallone da Paride con le frecce d’Ercole, o, come vuole altra interpretazione, per mano dello stes so dio Apollo. La sua figura impersona l’ideale eroico della virtù guriera. Per amor di gloria partecipa alla spedizione di Troia, pur sapendo che vi morrà. Adirato con Agamennone per avergli tolto la schiava Brisei de, si ritira dalla battaglia. L’amico Patroclo lo sostituisce combattendo con le sue armi, ma viene ucciso da Ettore. Vi ritorna dopo i.rovesci dei Greci e solo per vendicanre l’amico Patroclo. A sua volta uccide l’eroe Troiano Ettore e fa scempio del suo corpo, finchè si lascia commuovere dalle richieste del vecchio re Priamo e gli permette di dargli sepoltura. Poco si sà del suo culto, ma noto è un lamento rituale che le donne di Elide, (Peloponneso) eseguivano annualmente in suo onore, attorno ad un *cenotafio. Omero lo chiama frequentemente Piè Veloce, particolare epiteto la cui ragione è a noi ignota. Una leggenda posteriore ad Omero narra che la madre, per tenerlo lontano dalla guerra lo chiamò Pirra, lo travestì da donna, e lo mandò (o venne trasportato nel sonno) a vivere tra le figlie di Licomede, re di Sciro (Skyros). Scoppiata la guerra di Troia, Ulisse, per reclutare l’indispensabile si presentò alla corte di Licomede fingendo di vendere oggetti donneschi. Ammesso alla presenza delle donne, tra le quali si trovava Achille, che, scorgendo alcune armi tenute nascoste tra la mercanzia, fu attratto da esse, rivelando così la sua vera natura. Colpisce a morte Pentesillea, regina delle Amazzoni, venuta in aiuto dei Troiani, e si innamora di lei morente. L,‘eroe muore, come detto, colpitito da una freccia di Paride e. per il possesso delle sue armi, scoppia una contesa tra Aiace ed Ulisse. La sua ombra reclama il sacrificio di Polissena e appare ad Ulisse negli Inferi(Odissea XI) per dire che preferirebbe essere bifolco sulla terra anzichè re presso i morti.
Una tomba di Achille si mostrava sul promontorio Sigeo (promontorio della Troade). Durante la guerra di Troia, i Greci si accamparono nel le sue vicinanze, si che in età classica vi si mostravano le presunte tombe di Achille, di Patroclo e di altri eroi greci.
la descrizione di Borges. Sull'asse sono indicate le distanze (in metri)
percorse da Achille e dalla tartaruga. (da Wikipedia)
ACI
Nome
di un corso d’acqua della Sicilia di dubbia collocazione, forse
l’odierno fiume Freddo, e del relativo dio fluviale. Pur anche
nome di un pastore amato dalla ninfa Galatea, e perciò ucciso per
gelosia da Polifemo.
(vedi Galatea)
(Vedi Polifemo)
ACONZIO
Aconzio (in greco Ἀκόντιος, -ου, in latino Ăcontĭus, -i) è un personaggio della mitologia greca, generalmente accompagnato a Cidippe.
(Vedi Cidippe)
ACRISIO
Leggendario
re d’Argo, padre di Danae. Dopo essere venuto alle armi con il
fratello Preto, si accorda con lui cedendogli la città di Tirinto e
tenendo per sé la città d’Argo. Poichè gli fu predetto che
sarebbe stato ucciso dal proprio nipote decise di rinchiudere in una
prigione la propria figlia che, tuttavia dà alla luce Perseo, avuto
da Zeus. Fece allora abbandonare, o getta re in mare in una cesta la
figlia con il bambino che, mira colosamente si salvano, dando
all’oracolo il potere di compiersi.
(Vedi Danae)
ACROPOLI
Parte alta delle città antiche, costruita sulla sommità del colle e difesa da mura, entro le quali si rifugiavano i cittadini in caso di guerra. Fu dapprima in Grecia durante la civiltà cretese-micenea, il luogo di residenza del re, come a Tirinto, Micene, e nella stessa Atene. In un secondo tempo, con l’avvento di altre forme di governo più democratiche, l’acropoli continuò ad ospitare la popolazione nei momenti di pericolo, ma invece che dei palazzi vi si costruirono templi delle principali divinità. Ad Atene, per esempio, sull’Acropoli venne eretto il Partenone. In Italia si fondarono città potentemente fortificate, con acropoli circondate da un secondo giro di mura, soprattutto nel Lazio: Alatri, Segni, Ferentino, Palestrina. In qualche caso l’acropoli fu costruita su una collina situata fuori della città, alla quale era pur sempre collegata. Roma fu fondata da Romolo sul Palatino, ma ebbe la sua acropoli, detta dai Latini Arce, sul colle del Campidoglio. Le acropoli italiche per la loro stessa antichità, non possono dirsi derivate da quelle greche, ed ebbero uno sviluppo del tutto indipendente.
AD-AG
ADE
o PLUTONE
Dio
dei morti, tenebroso e senza una figura precisa, era chiamato a
rappresentare una realtà senza forme, qual’era il mondo dei morti.
Fratello di Zeus, era quindi considerato altrettanto importante; Zeus
significa luminoso e Ade tenebroso o invisibile, quindi in antitesi
perfetta. L’interpretazione negativa dell’oltretomba era
controbilanciata da interpretazioni positive, che intendevano
prolungare la realtà dopo la morte, tanto da considerare la vita
dell’altro mondo più reale della vita terrena, perché non
provvisoria, ma definitiva, e senza il pericolo di morte. Prende
anche il nome di Plutone che significa ricco, o dispensatore di
ricchezza e messo in connessione con il mondo dell’agricoltura; sua
dèa Demetra, a cui rapisce la figlia Persefone, (Proserpina) per
sposarla e farla regina degli Inferi, (luogo più in basso) o Averno,
da un piccolo lago vicino a Napoli ove n’era ritenuto l’ingresso.
L’Ade si andò precisando come un luogo di pena per i malvagi o per
i non iniziati ai misteri, e un luogo di benessere per i buoni e per
gli iniziati. Con tali intenzioni si diedero nuovi significati ad
antiche concezioni di diversa provenienza, adottate e collegate per
presentare sistematicamente l’oltretomba, divennero così sezioni
dell’Ade; l’Erebo che era la tenebra dell’occidente, dove muore
il sole; il Tartaro che era inteso come il cielo dell’altra parte
della Terra, ossia il cielo dei morti, visto che questi finivano
sotto terra; i Campi Elisi, dai prati fioriti che. secondo la
concezione originaria si trovavano ad occidente ai confini del mondo,
in certe isole dei Beati, dove regnava ancora Crono, il padre di
Zeus, e dove andavano a finire gli eroi morti.
(Ritorna a PROSERPINA)
(Ritorna a/o Vedi PLUTONE)
ADEONA
Abeona
- Adeona
- Abeona
Abeona e Adeona sono dee della Mitologia romana comprese nel gruppo dei Di Indigetes .
(da adire-tornare)
protettrice del ritorno, in particolare di quello dei figli verso casa dei genitori.
(da abire-andar via)
Abeona è protettrice delle partenze, dei figli che lasciano per la prima volta la casa dei genitori o che muovono i loro primi passi.
Le statue delle due dee accompagnavano la statua della dea Libertas fatta costruire sull'Aventino da Tiberio Gracco, a significare che la Libertas poteva andare e tornare come più desiderava.
ADMETO
Mitico
re di Fere, (Fare) in Tessaglia; prese parte alla spedizione degli
Argonauti e alla caccia del cinghiale calcedonio. Ospitò Apollo, e
fu sposo di Alcesti, che accettò di morire in sua vece, venendo
salvata da Ercole.
(Vedi Apollo)
ADONE
Giovane di bellissime forme, amato dalla dèa Venere, ucciso per gelosia dal dio Marte, (Ares) che gli lancia contro un cinghiale inferocito. Dopo la morte, fu trasformato, (secondo altra versione) dal sangue del l'amato giovinetto dalla dèa nel fiore Anemone. Figlio di Fenice e di Alfesibea ma, secondo altra versione nato dall’amore incestuoso di Mirra con il padre Teante. La sua bellezza fu fonte di ispirazione artistica in ogni tempo e le feste a lui dedicate, (Adonie) cadevano di primavera e in estate.
Nella mitologia e nella poesia è introdotto dal vicino Oriente, forse tramite l’isola di Cipro, dov’erano localizzate le sue vicende.
Nel mondo semitico, il culto e il mito erano collegati con la dèa Ishtar , divenuta Afrodite per i Greci. I momenti importanti del suo mito erano la nascita prodigiosa dalla pianta dove si estraeva la mirra, e la morte immatura sotto le zanne di un mostruoso cinghiale, come sopra detto. Inoltre era strettamente legato alla morte ed al mondo dei morti sin dalla nascita, perché la mirra è una resina che si usava per imbalsamare i cadaveri, ed il mondo dei morti gli apparteneva perché, secondo il giudizio di Zeus, chiamato a derimere la contesa tra Afrodite e Persefone, (regina dei morti) innamorate di lui, quattro mesi egli doveva trascorrere con ognuna e quattro mesi da solo. Ma, in quanto cacciatore, era sotto la protezione di una terza dèa, la cacciatrice Artemide e sarà questa a inviargli il cinghiale inferocito che lo ucciderà, perché gelosa di Afrodite. Con questa morte immatura, andava a raggiungere per sempre Persefone e sulla terra sarebbe rimasto il fiore anemone sbocciato dal suo sangue e dal suo compianto. Ogni anno le donne greche, eseguivano un lamento rituale attorno al suo sepolcro, ornato di fiori, detti giardini di Adone, ossia vasi in cui veniva fatto crescere precocemente il grano, tenendolo nell’ oscurità.
Venere, innamoratasi di Adone, temendo per il suo caro la gelosia degli altri dèi, lo prega di non andare a caccia, che in sua compagnia. Egli disubbidisce ed è ucciso da un cinghiale inferocito, che per alcuni, non era che il dio Marte, così trasformatosi per punire i torti fattigli dalla dèa. Arrivata Venere sul morente giovinetto, piange e si dispera, poi, dopo morto fa crescere dal suo sangue il fiore Anemone. Sparse le chiome, afflitta, incolta e scalza va per le foreste errando. I rovi le tormentano le piante dei piedi e predano l'almo sangue. Ella mettendo acute strida va per lunghe valli e l'assirio suo sposo e garzon chiama.
Testis, qui niveum quondam percussit Adonem, venantem Idalio vertice durus aper: illis formosum vocitasse paludibus, illuc diceris effusa tu, Venus, isse coma.- ...
Adone intanto non sente più com'ella, morto il bacia.
ADRASTEA
Dèa vendicatrice dei delitti.
ADRASTO
Mitico re di Tebe; corso in aiuto di Polinice cacciato dal fratello Eteocle, guidò una prima infelice spedizione di sette eroi contro Tebe. Dieci anni dopo con i figli dei caduti, (gli Epigoni) riuscì ad espugnare la città. Figlia sua è Argia.(vedi ERIFILE)
AEDO
Dal greco (àoidos = cantore). Si chiamavano così i più antichi poeti greci che andavano errando di luogo in luogo, per offrire i loro servigi in occasione di feste, cerimonie e banchetti. Componevano poemi di argomento mitologico o epico e li cantavano accompagnandosi con la cetra. Nell’Odissea sono ricordati due aedi: Femio, nella reggia di Ulisse e Demodoco alla corte dei Feaci.
AEROPAGO
Consiglio creato in Atene, con funzioni politiche e giudiziarie nel periodo in cui venne meno il potere monarchico e si rafforzò il prestigio de i grandi proprietari terrieri (sec.XI -VIII a.C.). Il nome aeropago da quello del colle Ares sull’Acropoli, sede dell’Assemblea. Con le riforme istituzionali di Dracone, (621 - 620 a.C.) e di Solone ,(592 - 591 a.C.) la sua attività fu circoscritta al campo giudiziario penale. L’autorità dell’ae ropago diminuì in seguito alla fondazione dell’Eliea, tribunale costituito da rappresentanti di tutte le classi sociali.
AFAIA
- La dea Afaia - Si racconta che essa era venerata già ai tempi dei Micenei, soprattutto nell'isola di Egina, dove le era consacrato un santuario. In seguito il suo nome venne assimilato a quello di Britomarti e talora a quello di Artemide e a volte ad Atena.
- La ragazza di Afaia - Afaia, una donna che viveva a Creta, venne rapita da un pescatore animato da brutte intenzioni che la portò via lontano fino all'isola di Egina. In tal luogo riuscì in qualche modo a sfuggire al suo rapitore e cercando un luogo sicuro si addentrò in un boschetto, dal quale non ricomparve mai più.
Afaia deriva dal greco e significa “scomparsa”.
AFRODITE
Divinità
greca dell’amore e della bellezza femminile; nata, secondo Omero,
da Dione e da Zeus, ma, secondo altra tradizione, dalla schiuma del
mare. (anadiomene) La sua importanza deriva dalla concezione che i
Greci avevano dell’amore, inteso non solo come sentimento, ma come
forza naturale che unisce gli esseri viventi. La sua potenza. si
estendeva sulle piante, sugli animali, sugli uomini, e sugli dèi;
persino sul grande Zeus. Secondo tale versione era nata appunto dalla
spuma del mare, fecondato dal sangue di Urano. A Cipro venivano
localizzati i principali miti della dèa e tra i più grandi in cui
figurava sono quelli di Pigmalione Adone e di Anchise, i mortali
amati dalla dèa. Tra gli dèi amò Ares, il dio guerriero, ma sposò
Efesto, il dio artigiano, identificato dai romani con il dio Vulcano,
e le feste in suo onore erano dette “Afrodìsie”. Sono da
sottolineare alcuni suoi epiteti: Ciprigna o Ciprie (culto a Cipro);
Ericina (culto in Erice, cittadina sicula in Prov.di Trapani, celebre
per il suo santuario); Dionea (figlia di Dione); Cnidia dal nome
dell’antica città della Caria dell’Asia Minore, assai nota per
il culto e il tempio; Citerèa dal particolare culto templare
nell’isola di Citèra (Cerigo).
(vedi inno ad afrodite )
AGAMENNONE
Eroe dell’Iliade, re d’Argo e di Micene, fratello di Menelao, (Atridi in quanto figli di Atreo) sposò Clitemnestra ed è ucciso dal cugino Egisto, amante della moglie, al suo ritorno in patria dalla guerra di Troia; vendicato poi dal figlio Oreste con l’aiuto della sorella Elettra.
AGANIPPE
Fonte, sacra alle Muse del monte Elicona, scaturita per un colpo di zoccolo del cavallo alato Pegaso; il mito vuole che l’acqua sua infondesse l’estro poetico.
AGENORE
AGESILAO
Re spartano (441 - 361 a.C.) della famiglia degli Euripontidi.
Di grande talento e di geniali virtù militari, lottò per affermare l’ege monia spartana, concepita quale supremazia militare, a danno delle libertà democratiche. Dal 396 al 394 commbattè in Asia Minore contro Artaserse che aveva iniziato una decisa azione contro le città greco- asia tiche. Vittorioso nella battaglia di Sardi nel 395, venne richiamato in patria per affrontare una coalizione di Ateniesi, Argivi, Tebani e Corinzi. Dopo la vittoria di Doronea nel 394 e la pace di Antàlci con la Persia, continuò la sua politica, rinforzando la lega Peloponnesica, e sostituendo ai governi democratici delle polis, nuove oligarchie, ma venne poi sconfitto a Leuttras nel 371, ed a Mantinea nel 362 a. C., dai Tebani. Morì durante il ritorno da un viaggio in Egitto, dove s’era recato a procurare denaro, per la continuazione della guerra.
AGIDE
Capostipite di una delle due dinastie dei re Spartani che regnarono contemporaneamente. Agìde, nome di quattro re: Agìde I mitico re degli Agìadi, figlio di Auristene quinto discendente di Eracle; Agìde II, (427-398) vittorioso sugli Argivi a Mantinea; Agìde III, (338-331) sconfitto da Antipatro, generale dei Macedoni a Megalopoli; Agìde IV, (250-240) abolì i debiti e promise la divisione delle terre secondo le leggi di Licurgo.
AGLAIA
Nella mitologia greca, il nome di una delle tre Grazie (le altre due: Eufrosine e Talia)
AGLAURO
Aglauro (in greco antico: Ἄγλαυρος, Áglauros) o Agraulo (in greco antico: Ἄγραυλος, Ágraulos) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Cecrope e Aglauro (omonima, figlia di Atteo).
Ha avuto due figlie con due dei diversi, Alcippe (con Ares) e Cerice (con Ermes) e ci sono numerose versioni del suo mito.
Il mito
Prendendo per primo il più antico, Euripide, Ione, versi 22–23 e 484–485, la menziona.
Secondo la Biblioteca, Efesto tentò di rapire Atena, ma fallì. Il suo seme cadde sulla terra, riempendo Gea. Gea non voleva il bambino Erittonio, quindi lo diede alla dea Atena. Atena diede il bambino in una scatola a tre donne (Aglauro e le sue due sorelle Erse e Pandroso) avvertendole di non aprirla mai. Aglauro ed Erse aprirono la scatola. La visione del bambino (che aveva una coda di serpente al posto della gambe) fece diventare entrambe pazze e si lanciarono giù dall'Acropoli[1], oppure secondo Igino, nel mare[2].
Un'altra versione del mito è questa, mentre Atena era andata a prendere una montagna di calcare dalla Penisola Calcidica per usarla nell'Acropoli, le sorelle, ancora senza Pandroso, aprirono la scatola. Un corvo, assistendo all'apertura, volò via per dirlo ad Atena, che si infuriò e lasciò cadere la montagna (ora Licabetto). Ancora una volta, Erse e Agraulo impazzirono e si lanciarono da una scogliera.
Un altro mito rappresenta Agraulo in una luce differente. Atene fu coinvolta in una lunga guerra, e un oracolo dichiarò che sarebbe cessata se qualcuno si fosse sacrificato per il bene della sua patria. Agraulo si fece avanti e si butto giù dall'Acropoli. Gli ateniesi, essendole grati per questo, le costruirono un tempio nell'Acropoli, nel quale è successivamente diventato usuale per i giovani ateniesi ricevere il loro primo vestito dell'armatura, per fare un giuramento: avrebbero difeso sempre la loro patria fino alla fine.[3][4][5][6].
Secondo Ovidio, Ermes si innamorò di Erse ma sua sorella gelosa, che lui chiama Agraulo, si mise tra di loro, sbarrando l'entrata di Ermes alla casa e si rifiutò di muoversi. Ermes si arrabbiò per la sua presunzione e la trasformò in una pietra[7].
Uno dei demi attici deriva dal nome di questa eroina, ad Atene venivano celebrati in suo onore sia un festival che dei misteri[8][9].
I mitografi credono che Aglauro abbia un'origine diversa dalle sue sorelle, dovuto in parte al fatto che lei ha il suo tempio di Aglaureion nell'Acropoli[10] e diversamente da sua sorella Pandroso, fu più affezionata ad uomini giovani od a soldati (efebi) che ai bambini e fu particolarmente associata alla festa di Atena chiamata Plinteria[11].
Secondo Porfirio, fu anche adorata a Cipro, dove le venivano offerti sacrifici umani fino ad un tempo abbastanza recente[12].
Aglauro è citata da Dante Alighieri nel XIV Canto del Purgatorio tra gli invidiosi.
(da wikipedia)
AGONE
Presso gli antichi Greci, dapprima luogo di riunione, poi indice di gare atletiche, che si facevano in tale luogo alla presenza del popolo riunito. Legati ad antichissimi riti, erano di varia specie, anche musicali; si tenevano alle solennità religiose ed avevano carattere di culto; a volte si trattava di onoranze funebri, come per esempio i giochi per i funerali di Patroclo, descritti nell’Iliade; a volte di feste periodiche, come le celebri Olimpiadi, che avevano luogo ogni quattro anni. I più importanti agòni greci, oltre alle Olimpiadi erano i giochi Pittici, che si tenevano ogni quattro anni a Delfi in onore di Apollo; gli Istmici dell’Istmo di Corinto, in onore di Posidone e i Nemei dell’Argolide in onore di Zeus, con frequenza biennale.
Agonali; feste romane in onore di Giano il 9 gennaio. Istituite da Numa Pompilio il 17 marzo in onore di Marte; il 21 maggio in onore di Venere; e l’11 dicembre in onore del Sole *Indigete; giochi o gare che si svolgevano in questi giorni nel circo deto agonale, sui cui resti sorge ora a Roma la piazza Navona; di poi in età moderna, certami dialettici, sportivi e culturali fra studenti di una città o di una regione.
AGORA’
La piazza in cui si radunavano tutti i cittadini in assemblea; poi, luogo di mercato e centro economico della città greca. Ebbe anche carattere sacro, in quanto fu luogo di culto del fondatore della città o della divinità protettrice, in onore dei quali si tenevano i giochi agonali.
AI-AL
AIACE
Nome di due eroi della mitologia greca. Aiace, re dei Locresi, (o Locri) figlio di Oileo, è uno dei più noti e illustri guerrieri della spedizione greca contro la città di Troia; è detto.il Minore, per distinguerlo dal suo più celebre omonimo, Gagliardo ed agilissimo, si battè con grande energia, ma, dopo la caduta della città, commise il sacrilegio di usare violenza a Cassandra nel tempio di Atena. La dèa perciò lo punì, facendolo perire nel naufragio della sua nave. Secondo altra versione, durante il saccheggio di Troia, rapisce Cassandra dal tempio di Atena, e incorre nel l’i ra della dèa, che per vendetta, lo fa perire, distruggendo con una tempesta presso il capo Cefereo la flotta greca.
L’altro Aiace, re di Salamina, detto il Telamonio, dal nome del padre, e fratello di Teucro, è il maggior capo greco, dopo Achille, fra quan ti si batterono nella guerra di Troia. Omero lo ritrae gigantesco e dotato di forza grandissima. Lo fa apparire assai orgoglioso, ma in definitiva, semplice e non privo di umanità. Dopo la morte di Achille, volle le sue armi in contesa con Ulisse, ma avendo avuto questi la meglio, per un sor tilegio di Atena, (accecato) impazzì, menando gran strage, non di Atridi, ma di armenti. Rinsavito, non potendo sopravvivere alla vergogna si uccise.
Grido di guerra dei Greci, ripreso dal Pascoli prima, poi dal d’Annunzio, quindi dal Fascismo.
ALFESIBEA
Tale Alfesibea, sorella di Adone e figlia del re di Psofi, sposò Alcmeone, quando esso giunse nella sua città in cerca di purificazione per via di un empio omicidio da lui compiuto.
Il matrimonio
Come dono di nozze l'uomo donò alla sposa la collana e il peplo che erano appartenuti ad Armonia, la sposa di Cadmo.
Dopo il matrimonio Alfesibea venne abbandonata dal marito che la ripudiò e, lasciata l'Arcadia, sposò un'altra donna, Calliroe . Quando Alcmeone morì, ucciso per vendetta dai fratelli della donna, la nuova moglie a sua volta si vendicò facendoli uccidere dai suoi figli, che vennero aiutati dalla stessa Alfesibea.
AIACE
Eroe alla guerra troiana le cui prodezze, non la morte, sono narrate nell’Iliade di Omero. Il più forte dei Greci dopo Achille, è fìglio di Telamonio re di Salamina.
AIO LOCUZIO
Genio o spirito benefico della religione romana (locuzio=parlante). Di fatto l’unica sua manifestazione che ci sia stata tramandata è di natura vocale, in quanto, mentre i Galli stavano avvicinandosi a Roma, sarebbe stata udita la sua voce, che avvertiva i Romani del pericolo.
ALBANO
Capostipite dei re della città laziale di Alba Longa che Enea Silvio fonderà.
ALBA LONGA
Alba Longa, antica città del Lazio presso il lago di Albano, fondata da Ascanio figlio di Enea 450 anni prima della fondazione di Roma; da essa sarebbero derivate Roma ed altre città latine. Distrutta da Tullo Ostilio re di Roma (VII s.a.C). Da essa uscirono Romolo e Remo fondatori di Roma.
ALCAMENE
Scultore secolo V a.C., attico d’origine e di formazione, scolaro di Fidia o secondo altra versione suo rivale. Lavorò al Partenone, del cui fregio gli sono state attribuite varie parti. Di alcune sue opere famose abbiamo delle copie: quali l’Hermes Propileo
e l’Afrodite . Gli si attribuisce anche un originale; il gruppo di Hekate triforme forse dall’originale di Alkamenes nel Museo dell’Acropoli di Atene.
ALCEO
Poeta melico greco, nato a Mitilene nell’isola di Lesbo nel 630 circa a.C. Aristocratico, fortemente impegnato in lotte di casta, combattè contro i tiranni Morsilo e Pìttaco; esule due volte, durante una battaglia contro gli Ateniesi, fu costretto, come dice egli stesso in un carme ad abbandonare lo scudo, massimo disonore per un guerriero. Delle sue poesie in lingua eolica, comprese in dieci libri, nelle edizioni ellenistiche, conosciamo dai papiri o per trasmissione indiretta oltre 200 frammenti.
Alla nota politico-rivoluzionaria si intrecciano i motivi del simposio e dell’amore efebico ; vi si trovano forme di inno e talvolta modi allegorici. Caratteristica dell’arte di Alceo è un’ardente virilità espressa in uno stile fermo, denso, nettissimo. ammirato ed imitato da Orazio
ALCESTE
o ALCESTI
Eroina della mitologia greca, figlia di Pelia, sposa di Admeto, re di Fere in Tessaglia, ch’ella accetta di morire in sua vece ed è salvata da Ercole.
ALCIBIADE
Condottiero ateniese (450 - 404 a.C.). Discendente degli Eupatridi , e degli Alcmeonidi , fu educato nella casa di Pericle; discepo lo di Socrate. Per la non comune bellezza ed intelligenza, come pure per l’ambizione smodata e l’incapacità al dominio di se stesso, Alcibiade può essere preso a modello, quasi perfetto, dei pregi e dei difetti tipici dei Greci antichi. Entrato nella vita pubblica nel 422, accostandosi al popolo e tenendo un deciso atteggiamento antispartano, spinse Atene a rompere la tregua di Nicia e fu il promotore della spedizione contro Siracusa. Richiamato subito in patria con l’accusa di empietà, in quanto ritenuto, forse a torto, l’autore della sacrilega mutilazione delle erme durante la notte pre cedente la partenza della spedizione, non volle sottoporsi al giudizio dei concittadini, e passò dalla parte degli Spartani inducendoli ad inviare in aiuto a Siracusa, una flotta al comando di Filippo. L’infelice esito dell’ impresa siracusana comportò in Atene la creazione di un governo oligarchico (411) addebitando si ai democratici la responsabilità del disastro. A tale governo si ribellarono i marinai della flotta, ancorata a Samo, incitati da Al cibiade che, già caduto in sospetto a Sparta, riuscì a farsi pro clamare capo dei rivoluzionari. Vinse la flotta spartana ad Abido (411) e a Cizico (410) e rientrò in Atene nel 408 pienamente riabilitato. Breve fu tuttavia la sua fortuna in patria, che, poco dopo, ritenuto responsabile della sconfitta navale subita dal suo luogotenente Antioco a Nozio, si ritirò nei suoi possedimenti in Tracia dove venne raggiunto e ucciso da sicari del satrapo Farnabazo, istigato da Sparta.
ALCINOO
Alcinoo, re dei Feaci a Scheria, era figlio di Nausitoo, fratello di Ressenore e discendente di Poseidone. Apollo uccise il fratello che lasciò una figlia, Arete, che si unì in matrimonio con Alcinoo. Da tale unione nacque una figlia di nome Nausicaa. Altri autori indicano come suo padre Feace. Famoso è il suo immenso giardino, pieno di frutti che maturano in ogni stagione magicamente.
Il viaggio di Ulisse
Ulisse giunse naufrago sulle coste dell'isola, Nausicaa lo soccorse e lo invitò alla reggia del padre, il quale, una volta apprese le sue disavventure, gli fornì una nave per riprendere il viaggio.
Il viaggio degli argonauti
Nel viaggio degli Argonauti il paese di Alcinoo è Drepane. Vi giunsero anche Giasone e Medea dove si sposarono e Alcinoo riservò loro una sincera accoglienza.
Durante il viaggio degli argonauti lo ritroviamo come re di grande saggezza e ospitalità. In seguito Giasone e compagni vennero raggiunti dai soldati del padre di Medea con intenti di vendetta, ma Alcinoo ottenne di porre condizioni affinché la donna si consegnasse a loro, condizione poi non verificata grazie all'amicizia della donna con Arete che riuscì a sapere in anticipo la condizione che il re volle porre.
Interpretazione e realtà storica
Il luogo dove regnava Alcinoo si chiamava Scheria, che secondo gli studi maggiormente accreditati doveva trattarsi dell'antica Corcira, ora chiamata Corfù,[4] tale teoria troverebbe conferma grazie a Tucidide, storico dell'epoca, che collocava i Feaci in quell'isola.[5] Altre ipotesi prevedono invece che l'isola fosse l'odierna Ischia o l'Istria.
ALCIONE
Uccello marino, in cui, secondo il mito, fu trasformata la figlia di Eolo inconsolabile per la morte del marito Ceice, perito in un naufragio. Altra versione la vuole mitica figlia di Atlante, trasformata in astro.
ALCMENA
Alcmena (in greco antico: Ἀλκμήνη traslitterato in Alkmènē), è una figura mitologica greca, figlia di Elettrione e di Euridice.
Alcmena fu la sposa di Anfitrione, che partì per vendicare l'assassinio del fratello di Alcmena, per mano dei Tafi.
Zeus approfittò dell'assenza del marito di Alcmena per presentarsi ad essa sotto le spoglie di Anfitrione, e insieme a lei trascorse una notte lunga tre giorni. Alcmena, allora, generò due gemelli: Eracle (figlio di Zeus) e Ificlo (figlio di Anfitrione).
Tiresia, frattanto, raccontò il tradimento di Alcmena ad Anfitrione, il quale decise di uccidere la moglie dandole fuoco. Tuttavia l'intervento provvidenziale di Zeus provocò un acquazzone che spense il rogo, e convinse Anfitrione a perdonare Alcmena. Altre versioni però raccontano che al suo ritorno Anfitrione venne sì a conoscenza dell'involontario tradimento di Alcmena con Zeus, ma non si adirò, anzi si ritenne addirittura onorato dal fatto che Zeus avesse scelto la sua sposa per la sua bellezza e la sua fedeltà, anche perché Alcmena non aveva alcuna colpa, essendo stata ingannata dall'astuzia del re degli dei.
Quando la donna morì, Zeus ordinò che venisse sepolta nelle Isole Fortunate.
Secondo Esiodo, Zeus si invaghì di Alcmena, non solo per la sua virtù, ma anche per la sua fedeltà al marito: infatti per sedurla, Zeus non ebbe altra scelta che trasformarsi nell'uomo che ella amava, il marito Anfitrione
ALCMEONE
Figlio di Erifile che lo uccise, perché pur di non partecipare alla guerra contro Tebe, sapendo di dover morire, si nascose.
ALESSANDRO
MAGNO (Vedi Macedonia)
ALETTO
Nome
di una delle tre Furie, dette anche Eumenidi o Nemesie, figlie di
Acheronte e della Notte.
(vedi Furie)
ALFEO
Dio
fluviale. Figlio
di Oceano e Teti, seduttore della ninfa Aretusa, cangiato dalla dèa
Diana nel fiume omonimo che dai monti della Messenia corre al golfo
di Arcadia.
Il mito vuole che innamoratosi della ninfa Aretusa, questa
lo rifiutasse. La dèa Artemide, per salvarla, la trasforma in una
sorgente, che scompare sotto terra. Ricompare poi in Siracusa ad
Ortigia, l'isoletta di fronte la città e primo nucleo abitativo antico,
mista alle acque di Alfeo che non aveva desistito dall’inseguirla.
arretrò l’onda e diè a lor passi il guado
che anc'oggi il pellegrino varca ed adora,
Fè manifesta quel portento a' Greci la deità...”
ALICARNASSO
Antica città-porto dell’Asia Minore, l’attuale cittadina di Bodrum. Colonizzata dai Greci circa nel 1000 a.C., ebbe una zecca monetale, segno di notevole importanza dal VI s.a.C., al III d.C. Fu patria dello storico Erodono, partecipò alle guerre persiane ed ebbe il suo maggior splendore con Mausolo nel IV secolo (357a.C), cui la moglie Artemisia, dedicò una tomba fastosa chiamata appunto mausoleo. Fu lungamente assediata, conquistata, e incendiata da Alessandro Magno. Passata ai Tolomei d’Egitto e poi ai Romani, lentamente decadde. Difesa da un’imponente cerchia di mura, tuttora in buono stato, ebbe la sua acropoli su un’isola all’imboccatura del porto.
ALTEA
Madre di Meleagro.
AM-AN
AMADRIADI
Le amadriadi (in greco antico: Ἁμαδρυάδες, Hamadryádes; da Hama e Drys, "coesistente con gli alberi")[1] sono figure della mitologia greca che vivono all'interno degli alberi. Esse sono un tipo particolare di Driadi, le quali sono loro volta un tipo particolare di ninfe. Sono in parte associabili alle Querquetulanae, le ninfe romane del querceto. Le amadriadi nascono legate a un certo albero; alcuni credono si tratti dell'albero reale, siano cioè una sua personificazione, mentre le normali driadi sono entità spirituali o divinità degli alberi. Se l'albero è morto, pure l'amadriade associato a esso muore, ed è per questo che gli dei puniscono i mortali che si permettono di danneggiare senza alcun motivo gli alberi. Un sacrilegio involontario fu commesso dalla principessa Driope, che venne per questo trasformata in Amadriade a sua volta.
AMALTEA
Ninfa nutrice di Zeus, che in Tessaglia credevasi figlia del re Emonio, a Creta figlia di Melisseo, altrove figlia di Oceano, e altri ancora la identificarono con la capretta che alattò Giove nell‘isola di Creta.
Un
giorno nascose il piccolo Zeus sulla cima di un albero, perché il
padre di lui Crono lo cercava per divorarlo. La capra perciò venne
assunta in cielo e dalle sue corna stillarono nettare ed ambrosia.
Quando un suo corno si ruppe, per opera di Zeus, divenne la
cornucopia, o corno dell’abbondanza; un corno prodigioso pieno di
frutti d’ogni genere, che non si esauriva mai, da lui donato
riempito dei frutti della terra alle ninfe, che vediamo raffigurato
in mano ad antiche dèe, divenuto simbolo di fertilità e
d’abbondanza.
(ritorna a EMONIO)
(ritorna a MELISSEO)
AMATA
Moglie del re Latino (Eneide)
AMAZZONI
Popolo di donne guerriere, nate da Ares e Afroditte che abitavano la Cappadocia sulle rive del Mar Nero, e avrebbero costituito un grande impero. Ottime cavalcatrici e tiratrici d’arco; combatterono contro Ercole, Achille, Teseo, e Bellerofonte. Escludevano gli uomini dal loro Stato e per avere figli visitavano i popoli vicini, ma allevavano solo le femmine, alle quali bruciavano la mammella destra, perché fossero libere nel maneggio dell’arco. Famose le loro regine: Ippolita e Pantesillea. Combatterono a fianco dei Troiani contro i Greci, guidate dalla regina Pantesilea, uccisa poi da Achille. Ercole sottomise la regina Ippolita e Teseo rapì la regina Antiope, per vendicare la quale, invasero l’Attica e assediarono Atene. Altro loro mito le vuole originarie del Caucaso, e la loro dimora nel l’Asia Minore, nei pressi di Trebisonda, con usanze che i greci consideravano barbare. Per perpetuare la razza si recavano una volta l’anno presso i Gargorei, e dei figli nati da quella unione passeggera, le femmine venivano allevate e ammaestrate alla caccia e alla guerra, mentre i maschi venivano uccisi o rimandati presso i Gargorei.
AMICLE
Città, scrive il Bevan sulla sponda sinistra dell'Eurota. due miglia e mezzo da Sparta in un terreno ameno e fertile.
AMICO
Mitico figlio del dio greco Posidone, e re dei Bebrici (popolazione del l’Asia Minore). Sfidava a pugilato tutti gli stranieri che capitavano nel suo regno e regolarmente dopo vinti li uccideva. Uno dei Dioscuri Polluce, mise fine alla sua crudeltà, vincendolo e uccidendolo a sua volta. Il mito di Amico è una tipica elaborazione greca di un tema assai diffuso nella mitologia e nella favolistica universale: un essere malvagio, a volte mostruoso, sfida i passanti a lottare con lui e li uccide dopo averli vinti. Questo essere, per lo più adombra una personificazione della morte, ed è probabile che le sue origini risalgano a civiltà di cacciatori, dove Amico appare come un Signore del bosco o degli animali selvatici .*
AMINTORE
Padre
di Fenice; compagno di Achille nella guerra di Troia.
(vedi Fenici))
AMORE
Dio dell’amore è Cupido nella mitologia latina, Eros nella greca; figlio di Marte e di Venere. Giovinetto alato armato d’arco, che con le sue frecce accende di passione il cuore dei mortali e degli dèi.
Altra versione lo vuole figlio di Giove e Venere.
- Così Orfeo (traduz. Dionigi Strocchi verso 7*):
-
Uscirono di te tutte le cose,
quante il ciel, quante la terra ne abbraccia
e quante il grembo oceano ascose
Note
- Amore si adirò colle Grazie quando vide che Esse ed Imeneo dominavano; perciò volle affliggerle spingendo Elena a rompere la fedeltà coniugale fuggendo con Paride.
(vedi CUPIDO– Eros – Psiche)
AMORINO
Genietto alato al seguito di Venere.
AMULETO
Gli antichi chiamavano amuleti certe effigie che portavano al collo, credendo superstiziosamente preservassero dalle malie e dai venefici, e che a poco a poco diventarono oggetti di semplice ornamento.
AMULIO
Re di Albalonga, (Albano) usurpò il trono al fratello Numitore e obbligò la figlia Rea Silvia a consacrarsi vestale. Fece esporre lungo le ri ve del Tevere i figli di lei, Romolo e Remo, che in seguito lo uccisero.
ANACARSI
Mitico filosofo della Scozia (VI s.a.C). Avrebbe viaggiato a lungo in Grecia, dove sarebbe stato accolto tra i sette Savi.
ANACREONTE
Poeta greco 570 c.ca - 487 a.C.). Ebbe vita nomade in Tracia, Samo e Atene. In Tessaglia, secondo la leggenda, morì strozzato da un acino d’uva. Rappresentante della melica, (cioè la poesia destinata a essere cantata) ionica; restano di lui oltre 100 frammenti. Sono invece apocrife le celebri "Anacreontiche”; circa 60 leziose elaborazioni di spunti anacreontei, che pubblicate nel 1554, ebbero larga fortuna nel Sei e Settecento. Nel cantare l’amore per lo più efebico, il poeta alterna toni leggiadri, a intonazioni drammatiche; nel simposio ricerca una serena misura, ossessionato dal declino fisico e dalla morte. Anacreonte non ignora il morso della satira che per lo più assolve gli impulsi passionali in una melodia carezzevole e un pò molle. La sua poe sia priva di problematica morale, è lontana dalla volgarità e dalla frivolezza; flessibile e ricca di risorse ritmiche, prelude già al gusto alessandrino.
ANANKE
dea Necessità
Anánke (in greco antico: Ἀνάγκη), nella religione greca antica, è la dea del destino, della necessità inalterabile e del fato.
Il termine ananke deriva da (greco ἀνάγκη), (ionico αναγκαίη, anankaiê), col significato di forza, costrizione o necessità. Omero lo utilizza come sinonimo di necessità ( αναγκαίη πολεμίζειν, "è necessario combattere") o forza (ἐξ ἀνάγκης, "per forza")[1].
Nella letteratura tale parola è utilizzata anche col significato di Fato o Destino, (ανάγκη δαιμόνων, "fato dovuto a demoni o dei"), quindi, per estensione, costrizione o punizione dovuta a un ente superiore[2]. In poesia il termine è spesso utilizzato come per le personificazioni, come usa Simonide: "neanche gli dei combattono contro ananke"[3].
Nell'uso filosofico, il termine significa necessità, necessità logica[4] o leggi della natura[5].
Era adorata raramente al di fuori dei culti misterici. Era invece una divinità primigenia nella cosmogonia orfica.
Secondo Damascio (frammento orfico n. 54) ed Empedocle (frammento orfico epicureo) nacque dall'unione tra la Terra (gê, Gea) e l'Acqua (hydôr, Hydros), avvolta come un serpente col Tempo (Χρόνος, Chronos), oppure avvolta dal serpente (drakonta) che divenne Tempo[6].
Incorporea, per natura identica ad Adrastea (Ἀδράστεια), con le braccia aperte a contenere ("ne raggiunge i limiti", peráton) tutto il mondo (kosmoi).
Secondo invece Apollonio Rodio (le Argonautiche, 12 ff), Ananke fu gererata assieme al Tempo (Chronos) direttamente dal Chaos primordiale[6].
La si riteneva la madre di Adrastea e, secondo Platone, delle Moire[7]. Inizialmente era identificata con Adrastea stessa.
Secondo Callimaco, era anche la madre di Ida ed Amaltea, generate da Melisseo[8].
Per Omero ed Esiodo appare come la forza che regola tutte le cose, dal moto degli astri ai fatti particolari dei singoli uomini.
Nella mitologia romana, venne chiamata Necessitas ("Inevitabilità"), ma rimase sempre un'allegoria poetica priva di un vero culto. Qualche volta è stata identificata con Dike, la Giustizia e come opposto aveva Tyche, la Fortuna. A Corinto condivideva un tempio con Bia, la Violenza.
I poeti sono concordi nel descriverla come un essere inflessibile e duro.
In altre culture
Nell'introduzione di Notre Dame de Paris, Victor Hugo scrisse che il romanzo era basato su una presunta incisione in greco maiuscolo, ritrovata in una torre della cattedrale. La parola incisa è, appunto, Ananke. Nelle illustrazioni di Gustave Doré per la poesia Il Corvo di Edgar Allan Poe, figura l'immagine di una donna su cui è scritto in caratteri maiuscoli ΑΝΑΓΚΗ, come a voler indicare l'inevitabile morte che attende l'uomo (dal tema centrale quale la morte di Leonora, amante del personaggio principale).
(Ritorna a Sirena)
ANASSAGORA
Filosofo greco V s.a.C., nato a Clazomene nella Ionia, passò ben presto ad Atene, introducendovi l’interesse per la filosofia. Quando la potenza di Pericle cominciò a scemere, fu accusato di empietà, poichè le sue teorie non riconoscevano il carattere divino al sole e alla luna; dovette perciò ritornare alla sua Ionia dove morì. Per spiegare il continuo mutamento delle cose, introdusse il concetto dell’infinitamente piccolo e concepì la realtà come “omeomerie”, qualitativamente diverse fra loro, divisibili ciascuna in un infinito numero di parti omogenee. Inizialmente mescolate in modo caotico, sono poi regolate da un ”intelletto” che presiede alla loro composizione e scomposizione, e determina il divenire dei fenomeni.
ANASSIMANDRO
Filosofo e astronomo greco VI s.a.C. Appartenente alla scuola ionica, contemporaneo del fondatore della scuola, Talete, come lui, vissuto a Mileto. Sostituì, secondo l’indirizzo della scuola, alla cosmologia tradizionale, la visione di una natura regolata da leggi costanti, formulando anche una specie di teoria evoluzionistica. Dal principio indeterminato, immortale ed indistruttibile, nascono le coppie dei contrari (caldo-freddo; umido-asciutto), e poi la terra, l’aria, il fuoco, le piante; dai pesci gli altri animali fino all’ uomo.
ANASSIMENE
Filosofo greco,VI s.a.C.). Condiscepolo di Anassimandro nella scuo la filosofica di Mileto,considera l’aria come il principio delle cose, le attribuisce qualità naturali, ma anche etiche e razionali, e ne fa la base costante di ogni mutamento, che avverrebbe sempre mediante gli opposti processi della rarefazione e della condensazione. Attraverso l’aria si genererebbero tutti gli esseri particolari.
ANATEMA
Per i greci era l’offerta votiva ad una divinità.
ANCHISE
Padre di Enea, fratello di Priamo re di Troia. Il suo mito era antichis simo e carico di dimenticati valori sacrali. Benchè mortale fu amato da Afrodite, dalla quale ebbe Enea, ma venne accecato da Zeus, per essersi vantato di questo amore. Salvato e portato a spalla dal figlio Enea alla caduta di Troia, lo segui nelle sue peregrinazioni e morì a Trapani in Sicilia. Secondo una diffusa tradizione, la dèa Afrodite, vide questo bellissimo giovane mentre pascolava i buoi sul monte Ida e se ne innamorò. Si presentò a lui sotto forma di fanciulla mortale; Anchise corrispose al suo amore, senza sapere chi fosse realmente. La religione greca insegna va che i mortali non potevano guardare impunrmente gli dèi, e quando Afrodite si svelò in tutta la sua divina bellezza, rimase accecato, colpito agli occhi dalla pericolosa visione. Dal loro amore nacque Enea, il progenitore della stirpe romana (dei Cesari)
Secondo un’altra versione la dèa Afrodite predisse ad Anchise il felice destino di Enea, ma gli proibì di rivelare che questi era nato dalla loro unione, sotto pena di venir colpito da un fulmine di Zeus.
In un’altra versione ancora, Anchise, avendo rivelato chi fosse la madre di Enea, fu colpito dal fulmine e rimase paralizzato. Per questo, come narra l’Eneide di Virgilio, quando Enea fuggì da Troia in fiamme, dovette caricare il padre sulle proprie spalle.
ANCILE
Nell’antica Roma, lo scudo ricurvo ai due lati, che si diceva, appartenuto al dio Marte, e da questi lasciato cadere dal cielo a provare la protezione divina di Roma. Il re Numa Pompilio lo fece riprodurre in 11 esemplari e insieme con questi lo pose nel tempio di Marte; gli “ancilia” erano affidati ai 12 sacerdoti Salii.
ANDANIA
Antica città greca della Messenia, celebre per i suoi misteri dedicati a Demetra ed a Hagna, divinità sconosciuta altrove, (forse Persefone, la figlia di Demetra) ad Apollo, ad Ermete e a certi dèi senza nome, chiamati generalmente Grandi dèi. Il rituale in Andania, comprendeva anche sacre rappresentazioni, ossia spettacoli teatrali di carattere religioso. Alla fine della seconda guerra messenica, fu abbandonata e restò per molto tempo deserta. Le sue rovine furono scoperte nel 1840 da Mùller presso il villaggio di Helleniko: avanzi di mura e santuari ed una iscrizione riguardante il culto dei misteri eleusini.
ANDROGEO
Figlio di Minosse; fratello di Arianna.
ANDROMACA
Moglie di Ettore e madre di Astianatte. Eroina in uno dei più commoventi episodi dell’Iliade (libro VI): saluto di Andromaca ad Ettore alle porte Scee. Dopo la caduta di Troia, prima tratta schiava e poi moglie di Neottolemo (Pirro,figlio di Achille). (Eneide III) Morto Pirro, diviene la sposa di Eleno, figlio di Priamo, anch’egli già schiavo dei greci. Così il racconto di Enea, durante una sosta in Epiro a Butrolo, dove Eleno s’era meritato la stima del popolo, avendone ottenuto a merito una parte del regno, costruendovi una piccola Troia.
ANDROMEDA
Eroina
greca figlia di Cefeo, re d’Etiopia e della nereide Cassiopea.
Esposta incatenata, in preda ad un mostro marino, è salvata da
Perseo, divenendone la sposa.
(Vedi Perseo)
(vedi o ritorna a CASSIOPEA)
(ritorna a BELO)
ANEMONE
Figlia di Eos (Aurora)
ANFIONE
Antiope fu cacciata dal padre Nitteo, quando questi conobbe della gravidanza della figlia. Ella si rifugiò allora a Sicione, presso lo zio Lico, dove fu trattata da prigioniera. Qui la ragazza diede alla luce due gemelli, Anfione e Zeto, e quando Lico ne venne a conoscenza, ordinò che questi venissero abbandonati sul Monte Citerone. Un pastore trovò i gemelli e li prese con sé.
Antiope fu quindi riportata nella Cadmea, l'antica rocca di Tebe, dove Lico e sua moglie, Dirce, avevano occupato il trono lasciato vacante dalla morte di Nitteo. Anche qui Antiope fu trattata da schiava, ma riuscì a fuggire e a tornare dai suoi figli.
Divenuti adulti, i figli decisero di vendicare la madre e uccisero Lico. Poi attaccarono Dirce ad un toro, che la trascinò via uccidendola. I fratelli divennero i nuovi re di Tebe, ma fondarono anche le mura della città, che fino ad allora aveva solo una rocca, detta Cadmea: Zeto portava le pietre, Anfione le sistemava grazie al suono magico della sua lira. Secondo la leggenda costruì con la musica le mura di Tebe, sia per la capacità di incantare gli animali selvaggi, sia per il potere ordinatore che costringeva i massi a prendere spontaneamente il loro posto nelle mura di una città.
Anfione e Zeto governarono in accordo le due città.
Anfione sposò Niobe, figlia di Tantalo, ma morì di crepacuore quando Apollo e Artemide uccisero i suoi numerosi figli per punire la moglie
ANFIARAO
Re
indovino greco figlio di Oicle e di Ipermnestra; è marito di
Erifile. Eroe venerato soprattutto ad Oropo, tra la Beozia e l’Attica, ove sorgeva un suo santuario, cui accorrevano i malati che l’eroe
guariva apparendo in sogno. E’uno dei Sette eroi partecipanti alla
spedizione guidata da Polinice contro il fratello Eteocle, re di
Tebe. Avendo previsto il disastroso esito della spedizione, cercò
di sottrarvisi, ma la moglie Erifile, rivelò il suo nascondiglio.
Dovette partire per la guerra e sotto le mura di Tebe, mentre stava
per essere trafitto da un colpo di lancia alla spalla, un miracoloso
evento consacrò il suo stato di eroe. Zeus scagliò un fulmine che
aprì una voragine in cui Anfiarao scomparve con il suo carro. In suo
onore si celebravano le feste anfiarae con giochi ginnici e musicali
e premi ai vincitori.
(vedi ERIFILE)
Citò Anfiarao come primo esempio di indovini nella quarta bolgia dell'ottavo cerchio dei fraudolenti nell'Inferno. Egli è condannato a vagare eternamente con la testa ruotata sulle spalle, che lo obbliga a camminare indietro, in contrappasso con il suo potere "preveggente" in vita.Inferno, XX, 32-36.
(ritorna a OROPO
ANFITRIONE
Mitico re della città greca di Tirinto, discendente di Perseo. Avendo ucciso accidentalmente il padre di Alcmena, sua promessa sposa, fu cos tretto a recarsi in esilio a Tebe, presso il re Creonte. Alcmena andò da lui e lo sposò a condizione che vendicasse i suoi fratelli uccisi da Ptelaro, re dei Tafii. L’eroe partì guidando una spedizione punitiva contro Ptelaro dalla quale sarebbe ri tornato vittorioso. Ercole è figlio loro; ma secondo altra versione Zeus, innamorato di Alcmena, assunse le sembianze di An 9fitrione durante la sua assenza, e da questo amore sarebbe nato Ercole.
« Giove, preso d'amore per Alcmena, ha assunto le sembianze del marito di lei, Anfitrione, mentre costui combatte contro i nemici della patria. Gli dà manforte Mercurio, travestito da Sosia; egli si prende gioco, al loro ritorno, del servo e del padrone. Anfitrione fa una scenata alla moglie; e i due rivali si danno l'un l'altro dell'adultero. Blefarone preso come arbitro, non può decidere quale dei due sia Anfitrione. Poi si scopre tutto; Alcmena dà alla luce due gemelli. »
e una di Molière, Amphitryon, del 1667.
ANFITRITE
Dèa e regina del mare, moglie di Nettuno e madre di Tritone.
ANGERONA
Antica divinità romana alla quale era dedicata una festa al 21 dicembre (Angerolania). Poco si sà di lei; gli antichi mettevano il suo nome in rapporto con l’angina, e dicevano che la dèa proteggeva gli uomini da questa malattia. Resta tuttavia una divinità misteriosa, come il gesto in cui era raffigurata, cioè con un dito sulle labbra.
ANGIONE
ANNA
Perenne divinità romana, il cui culto è in rapporto col principio e la fine del l’anno; secondo la tradizione è sorella di Didone, la cui festa ricorreva il 15 marzo.
ANNONE
Dea dell'abbondanza e degli approvvigionamenti, da non confondere con la dea Abbondanza, in quanto Annona presiedeva ad una sola stagione. Veniva rappresentata con delle spighe in mano
ANTEA
Moglie di Preto, re di Tirinto; innamoratasi dell’ospite Bellerofonte e respinta, lo accusò presso il marito di violenza.
ANTELA
Altura presso il passo delle Termopili, sulla quale sorgeva nell’antichità, il tempio di Demetra Anfizionale; luogo in cui vi si tene vano le adunanze dell’*anfizionia delfica.
ANTENORE
Nell’Iliade di Omero Antenore è principe Troiano; risparmiato dai Greci per la sua imparziali tà. Figli suoi son, Polibo, Agènore e Acamante, compagni d'arme di Enea. Secondo tradizioni posteriori, avrebbe venduto la patria ai Greci, consegnando il Palladio aprendo le porte di Tro ia. Esule, avrebbe fondato la città di Padova.
ANTEO
Mitico gigante, figlio di Nettuno (Posidone) e della Terra (Gaia) re di Libia. Lottatore invincibile, sfidava in combattimento come il re greco Amico, quanti capitavano nel suo regno. Nei combattimenti riceveva nuove e potenti energie al contatto con la Terra Madre vincendo su tutti e con i crani dei soccombenti adornava un tempio di Posidone. Ercole, dopo averlo atterrato tre volte, dovette tenerlo sollevato da terra, per privarlo della carica che lo rendeva invincibile, per poi strangolarlo.
ANTIGONE
Leggendaria figlia di Edipo e di Giocasta. Secondo il mito, ripreso dai tragici greci Eschilo e Sofocle e più tardi dal romano Se neca, accompagnò il padre in esilio quando questi accecatosi, abbandonò il trono di Tebe. per sfuggire al destino che lo aveva reso parricida ed incestuoso. Divise con il padre le pene dell’esilio, finchè questi rimase in vita. Ritornata in patria, assistette alla guerra dei Sette contro Tebe, nel corso della quale i suoi due fratelli, Eteocle e Polinice, si uccisero fra loro in duello davanti le porte della città. Ma quando lo zio Creonte, divenuto re di Tebe, proibì di dare sepoltura a Polinice che aveva rivolto le sue armi contro la propria patria Antigone, rispettosa della legge divina che imponeva di onorare i morti con la dovuta sepoltura, sfidò il decreto reale, e a rischio della propria vita, seppellì il fratello. Imprigionata da Creonte, in una grotta sotterranea, si suicidò ed altrettanto fece il fidanzato Emone, figlio del re Creonte.
ANTIMACO
Poeta greco di Colofonie, (V° s.a.c.) autore di un poema epico, "Tebaide" e di un carme elegiaco "Tide", dal nome della donna amata. E' considerato un precursore dei poeti alessandrini.
ANTIOCHIA
Città della Turchia meridionale. Situata a circa 30 km. dal Mediterraneo, in una fertile valle ai piedi dei monti Amanos. Fondata verso il 3oo a.C., da Seleuco I° Nicatore, e dedicata al padre Antioco: fiorì ben presto come centro commerciale, grazie alla fe lice posizione e alla convergenza delle grandi direttrici del traffico dell’Asia Minore, dell’Egitto e della Mesopotamia. Capitale del regno ellenistico dei Seleucidi, mantenne una posizione preminente anche quando Pompeo ridusse la Siria a provincia roma na. Fu splendida di opere d’arte, che in parte ci sono giunte grazie ai lavori di scavo. Presentava il tipico impianto ellenistico a scacchiera, ed era attraversata da una grandiosa arteria larga 30 mt., intieramente fiancheggiata da portici, adorna di templi, di pa lazzi e di statue. Metropoli dell’Oriente, ed una delle più importanti città del mondo antico, agli inizi dell’era volgare contava già circa 500.000 abitanti, con una fiorente comunità ebraica. Eventi naturali e storici, ne provocarono la rapida decadenza. Nel 528 si verificò un terremoto che causò la morte di circa 250.000 persone. Poco dopo nel 540, la conquista da parte dei Persiani ed il conseguente sacco infersero alla città un colpo durissimo. Riconquistata e ricostruita da Giustiniano, la città riprese a prospera re, sinchè nel 628 non cadde in mano agli arabi. Fu un punto di attrito tra cristiani ed il mondo islamico. I bizantini se ne impa dronirono nel 969, ma dovettero cederla un secolo più tardi ai Turchi Selgiuchidi. I Crociati riuscirono a riprenderla nel 1098 e ne fecero la capitale del l’omonimo principato; uno dei più importanti stati crociati. La conquista dei Mamelucchi d’Egitto, cui seguì quella dei Turchi Ottomani, segnò la fine definitiva di Antiochia.
ANTIOCO
Nome di 13 re seleucidi. L’ultimo, Antioco Asiatico venne deposto da Pompeo nel 64 a.C., e ucciso. Con lui.si estinse la dinastia, e la Siria divenne provincia romana. Fra questi re, di gran lunga il più importante è certamente Antioco III il Grande, massimo esponente della dinastia Seleucide Melenate, diplomatico, brillante (223 - 187 a.C.), e valente condottiero, fu uomo ambiziosissimo e per tutta la vita rincorse il sogno di ricostruire l’impero di Alessandro.Magno. Consolidato il regno, scosso da congiure e rivolte, tra il 212 e il 204 a.C., spinse le sue armi all’Oriente con l’intento di sottomettere l’Armenia, la Paria, e la Battriana, raggiungendo infine l’India. Si rivolse quindi ad Occidente, dove, con un’incerta guerra contro l’Egitto, ottenne la Celesiria 198- Ma allorché mirò alla conquista della Grecia, urtò inevitabilmente contro Roma; da quel momento iniziò il suo declino. La cam pagna aveva avuto un brillante inizio, essendo riuscito ad avere l’appoggio di Filippo V e la nomina di stratega dalla Lega Etolica (192), con poteri assoluti. Ma il tiepido appoggio dell’una e l’imprevedibile voltafaccia dell’altro, esposero Antioco alle dure sconfitte delle Termopili (191) e di Magnesia (190), costringendolo ad accettare le ferree condizioni della pace di Apamea (188). Morì l’anno seguente trucidato durante un saccheggio di un tempio di Elimaide.
ANTIOPE
Figlia di Nitteo re di Tebe, sedotta da Giove, ebbe due figli, Zeto e Anfione. Eroina del cielo mitologico dell’antica Tebe, i suoi due figli possono essere considerati i Dioscuri tebani. Esistono diverse varianti del suo mito; una la vuole regina delle Amazzoni, ma la più nota considera Antiope moglie di Licos re di Tebe. Questi la ripudiò e sposò un’altra donna, la crudele Dirce, che prese a tormentare Antiope, costringendola a fuggire dalla città. I figli la vendicarono, legando Dirce tra le corna di un toro selvag gio che fece scempio del suo corpo. La scena è rappresentata in uno dei più noti gruppi dell’antica scultura, il cosidetto Toro Farnese.
ANTOLICO
Figlio di Mercurio, maestro d’Ercole nell’equitazione.
AP-AR
APELLE
Il più grande pittore greco, secondo fonti antiche. Visse nel IV s.a.C., e fu il ritrattista ufficiale di Alessandro Magno; alcune del le sue opere è giunta sino a noi. Una vasta anedottica verso Apelle sottolinea la sua operosità (nulla dies sine linea) e la bonarie tà della sua indole, nonostente il suo atteggiamento aperto alla critica. L’opera sua più famosa fu l’Afrodite Anadiomede che dall’isola di Coo, fu portata a Roma da Augusto ed ebbe larga eco nella letteratura antica. Assai famoso un ritratto di Alessan dro con il fulmine; un Antigono monoftalmo; un Artemide con un corteo di vergini sacrificanti. Le caratteristiche della pittura di Apelle, quali le deduciamo dalle fonti antiche erano; la ricerca luministica, l’importanza data alla linea di contorno, il chiaroscuro in funzione volumetrica, l’interesse per il modello vivente. La notizia che Apelle usò solo quattro colori fon damentali; il bianco, il giallo il rosso e il nero, è poco attendibile, in quanto da tempo era conosciuto l’azzurro e contrasta con un’altra, relativa alla ricchezza coloristica propria, della sua pittura.
APOLLINEO
Di Apollo, di classica bellezza, di forme d’arte equilibrate e composte in opposizione a dionisiache.
APOLLO
(APOLLINE - FEBO)
Dio
del sole, della luce, delle arti, della divinazione, della musica,
della medicina, ispiratore della poesia. presiede alle Muse. Figlio
di Giove e di Latona (figlia di Titano, che Giunone per gelosia
convertì in quaglia). Nacque nell’isola di Delo sotto una palma,
come la sorella Diana. Uccise i Ciclopi e costruì con Nettuno le
nuove mura di Troia per il re Laomedonte (padre di Priamo). Era onorato in vari templi, il più famoso dei quali quello di Delfo.
Spesso
rappresentato con la cetra in mano, (detto il citaredo perché
cantava accompagnandosi con il suo suono) e sopracondotto da quattro
cavalli giranti intorno allo Zodiaco. Sacro gli era il lauro.
Senza
dubbio il più importante dio della religione greca; raffigurato
giovane e bello, quale ideale greco della giovinezza, e il suo legame
con la gioventù, oltre che dall’aspetto, è dato da molti culti,
che avevano giovani per protagonisti.
Fratello di Artemide, guida
sulle vette del Parnaso il carro delle Muse (musagete). Infallibile
arciere provoca con le sue frecce morti violente, risana da malattie
e quale dio degli oracoli, largisce l’arte profetica.
I Greci, sia
come privati, sia come delegati di una città, consulta vano l'
oracolo quando qualche cosa di grave veniva a sconvolgere la loro
vita; i sacerdoti si dicevano ispirati da Apollo, che ordinava
quello che si doveva fare per allontanare la sciagura.
Era questa la
funzione del dio, che sapeva il passato, il presente e l’avvenire
(come gli indovini, di cui era il protettore), doveva guidare il
comporta mento degli uomini che si rivolgevano a lui per avere dei
lumi. Le disgrazie, secondo i Grandi antichi, capitavano per lo più
a chi avesse peccato con l’offesa a qualche dio, magari
inconsapevolmente; e Apollo che sapeva tutto, indicava il dio offeso
e il rimedio per placarlo. Talvolta era egli stesso che puniva
direttamente gli uomini per aver trasgredito agli obblighi della
religione o alle leggi del dio sovrano Zeus.
L’aspetto di punitore
era ricordato in immagini che lo raffigurano armato d’arco e
frecce.
Le punizioni costituivano spesso in malattie, dalle qua li si
guariva dopo aver espiata la colpa, secondo le indicazioni del dio.
Praticamente Apollo guariva le malattie come un medico, ed infatti medico era uno dei suoi tanti titoli, e medico, anzi dio della
medicina era suo figlio Esculapio. Oltre agli indovini, anche i
poeti si dicevano ispirati da Apollo. Indovini, profeti e poeti
dovevano essere la stessa cosa per i Greci antichi, presso i quali,
tanto degli indovini, (come Calcante nell’Iliade) come dei poeti,
(Esiodo, nella sua Teogonia), si poteva dire che conoscesse il
presente, il passato e il futuro. Insomma Apollo era anche poeta,
anzi cantore, come i poeti di allora (aedi), che cantavano le loro
composizioni, e veniva spesso rappresentato in atto di cantare,
accompagnandosi con la lira. Come s’è visto. un suo titolo era
quello di musagete, ossia capo delle Muse.
A volte era individuato
con il Sole; ma un dio sole esisteva già per i Greci ed era il dio
Elio: tuttavia anche Apollo era solare Forse si pensava che Apollo,
il quale rendeva tutto chiaro con i suoi responsi, fosse come il
Sole, che tutto illumina, o forse il Sole che dall’alto vede tutto
quello che succede sulla terra, pareva e poteva sim boleggiare la sua
onniveggenza.
Appena nato manifesta la sua grandezza e le sue divine
qualità: ”mi saranno cari la lira e l’arco, e nei miei oracoli
annuncierò agli uomini l’infallibile volontà di Zeus”, della
cui volontà si dichiarò anche interprete.
Dovette lottare contro
mostri ed esseri violenti.
Per instaurare il suo culto a Delfi,
uccise un drago, (Pitone o Delfine) che infestava la zona, e Pizia o
Pitonessa, si chiamò la sua sacerdotessa in quel luogo.
Fu costretto
a purificarsi da tali uccisioni, (un suo titolo era Febo, ossia il
puro, che gli derivava da Feba, ava materna), trascorrendo un certo
periodo di tempo al servizio di un mortale; Admeto re di Fere.
Era
questi un giusto e per compensarlo Apollo lo salvò due volte dalla
morte; la seconda lo salvò a patto che qualche altro morisse per lui
e fu la di lui moglie Alcesti a sacrificarsi, (di questi si parla in
una tragedia di Euripide).
Celebre tra i suoi miti è l’amore per
la ninfa Dafne, (in greco significa alloro) ed infatti in alloro si
trasformò la ninfa per sfuggire all’inseguimento di Apollo.
L'alloro divenne la pianta sacra al dio, e con l’alloro si
incoronarono i poeti a lui sacri e in seguito,tutti i poeti. Era detto, il divino Timbro, da Timbra città della Troade, ove i Dardani
gli edificarono un tempio, e quivi ebbe il suo nascondiglio.
(Vedi EPIDAURO).
(Vedi Febo).
(Vedi Dafne).
(ritorna ad Admeto)
IL PITONE E LA SIBILLA DELFICA
Apollo
era nato da quattro giorni, quando l’implacabile Giunone gli aizzò
contro un serpente, il terribile Pitone, un mostro, che aveva la sua
tana in una caverna del monte Parnaso; pauroso e orrendo, di
dimensioni enormi, dalle fauci armate di molte file di denti e sempre
spalancate. Insaziabile divoratore di uomini, di donne, di fanciulli
e d’ogni altra sorte di bestiame, era il terrore di tutta la
Focide. Il suo aspetto era tale che agghiacciava di spavento chiunque
lo guardasse, e tale un puzzo gli usciva dallo stoma co e dalle fròge
(estremità carnosa del naso), che faceva appassire e seccare l’erbe,
i fiori, i germogli e le piante. Eppure Apollo non aspettò d’essere
aggredito; andò lui a stanare il mostro dal suo covo, sul monte
Parnaso, gettando dentro alla caverna una torcia fumosa e resinosa,
che lo costrinse ad uscire. Non appena comparve, gli scaricò addosso
una gran tempesta di frecce d’argento e, dopo una breve e
furiosissima lotta, lo stese a terra morto. Lo squoiò, e portò le
sue spoglie in voto in un antichissimo tempio della città di Delfo,
sopra un tripode, davanti cui profetava una Sibilla, detta appunto
Delfica, che da allora in poi, si chiamò Sibilla Pizia o Pitonessa.
Gli abitanti del luogo, in memoria del fatto, e grati d’essere
stati liberati da tanto flagello, dedica rono a lui il Tempio e
istituirono in suo onore i “giochi pitici”, e il Monte Parnaso
divenne la sede prediletta di Apollo.
Non
dimorava ancora, sebbene dio, sull’Olimpo, e per campar la vita,
dovette allogarsi come pastore presso il re Admeto della Tessaglia;
gli conduceva al pascolo le mandrie e gli armenti per le verdi
convalli della Pieria e fu allora che Mercurio gli rubò cin quanta
buoi, e che in seguito, per farsi perdonare, gli regalò la cetra.
Con questo strumento, Apollo fece cose meravigliose; in ventò la
musica, la poesia, la rima, il canto. il ritmo, e tutte le arti
belle.
PAN O PAM
Ma
c’era un altro quaggiù, che suonava divinamente la siringa, Pan il
dio delle greggi, dei pastori e dei Satiri. Un dio mezzo uo mo e
mezzo animale: naso camuso, pelle e viso cotti e abbronzati dal sole,
aguzze orecchie, corna poderose attorcigliate in fron te, barba
caprina, pelose zampe e forcuto lo zoccolo dei piedi. Quando lo
vedevano o si immaginavano di vederlo allo schianto d’un ramo,
all’apparire di un’ombra improvvisa, al rotolar d’un masso giù
per un burrone, i pastori e le pecore fuggivano terro rizzati. Da
allora si disse panico ogni spavento di origine misteriosa. Pur le
Ninfe, che talvolta di notte, al chiaror di luna, si face vano
attrarre dal suono armonioso del suo strumento e accorrevano nelle
radure a lui vicine a danzare, quando lo vedevano ad un tratto sbucar
dal folto degli alberi dove stava appiattato, se la davano a gambe.
Un giorno ne inseguì una, che aveva nome Siringa. Fuggì e fuggì la
Ninfa, finchè non si vide sbarrato il passo dal fiume Ladone.
Disperata ella si buttò dentro, e le vergini Naiadi impietosite, la
convertirono in un ciuffo di canne. Pan, ne colse alcune, le tagliò,
legò sette in fila e in ordine decrescente e soffiò nello strumento
così costruito. Sette suoni diversi uscirono dalle sette canne.
-
Oh…bello! Esclamò Pan,
E
chiamò Siringa il nuovo strumento sonoro.
Ebbe
l’imprudenza di aggiungere: con questo, io vincerò Apollo
Lo
seppe il dio Apollo,che accettò la sfida.
gara avvenne alla Corte del re Mida, di Frigia e arbitro, il re
stesso.
Iniziò
Pan, con una sonata così allegra, orgiastica e indiavolata, che le
gambe degli ascoltatori, da sole, avevano voglia di muoversi e di
mettersi a ballare e saltare; i muri stessi sembrava che vibrassero,
che anche le seggiole, e le panche volessero sgranchirsi e
scuotersi.
Gli
occhi del re Mida luccicavano; ed egli, accompagnandosi col battere
dei piedi e delle mani, plaudiva gioiosamente.
Quando
Pan ebbe finito; bravo Pan, gridò!
-
Io non credo che nessuno, neppure Apollo possa mai eguagliarti,
nonché superarti.
-Sentiamolo!
E
fu la volta di Apollo.
Il
bellissimo dio imbracciò la sua cetra, e la toccò lievissimamente
con le dita. Alta la spaziosa fronte, lo sguardo quasi smarrito
nell’azzurro del cielo, i biondi capelli gli si erano sciolti
ondeggiando; pareva che anche l’aria si sciogliesse, che tutte le
cose si dispianassero sull’onda dolcissima del suono.
Il re Mida, seduto sul trono, con la guancia appoggiata nel palmo della
mano, guardava anche lui fuori delle finestre estasiato e pareva che
sognasse
Lo
stesso Pan, immobile sulle zampe villose, pensava.
IL
RE MIDA
Quando
Apollo cessò, fu un gran silenzio. Fu come quando, ascoltando
un’orchestra, devono trascorre alcuni momenti prima che i cuori e
le anime si riscuotano da una specie d’incanto, e prima che gli
applausi scoppino irrefrenabili. Apollo invitò il re a pronunziare
il suo giudizio.
-
Bello! Divino! rispose. Ma, ricordandosi del primitivo giudizio e non
volendo smentirsi. Però…però…soggiunse. E voleva dir di più,
quando avverte uno strano prurito ai lati della testa. Si porta le
mani al capo, e, inorridito si accorge che le orecchie gli si sono allungate.
Che
altro potè fare in un occasione simile se non come fecero Lucignolo
e Pinocchio, nel “Paese dei balocchi?”
Il
re Mida corse in camera e nascose le orecchie in un gran berettone di
porpora, ne più si lasciava vedere, se non con quel nuovo ornamento
in capo. Che cosa avrà il re Mida? Si chiedevano curiosi e
preoccupati i sudditi. Mha! Gli farà male la testa.
I
suoi pensieri son tanti... Senonchè gli toccò bene, un giorno di
chiamare un barbiere che gli accorciasse i capelli!
-
Bada, veh! – l’ammonì prima – Se tu dici qualcosa, io ti farò
irrimediabilmente lacerare, segare, e squartare!
Come
tremassero le mani del barbiere quel giorno, è facile immaginarlo!
Il disgraziato uscì di là che gli tremavano anche le gambe. Fu
tale anche nei giorni seguenti, il suo terrore, che un pensiero
fisso, ostinato, ossessionante gli si cacciò nel cervello: “Il re
Mida, ha le orecchie d’asino…il re Mida ha le orecchie
d’asino!“…Non ne poteva più, il segreto era troppo terribile
Bisognava che lo dicesse, che lo dividesse con qualcuno!
Se
nò, io muoio! Se no, io scoppio! Bisogna che dica che il re Mida ha
le or …e tacque, sbigottito dal suono stesso delle sue parole. Andò
in un campo, scavò una buca per terra, vi si chinò, tappandola
ermeticamente col viso e con le mani, e fece la rivelazione tremenda.
Il re Mida ha le orecchie d’asino. Poi si rialzò, riempì la buca
e, riconfortato, tornò a casa. Ma quel campo sciaguratamente era
vicino ad un corso d’acqua, vicino al corso d’acqua c’era una
palude, e vicino alla palude, un bosco di canne. Le parole del
barbiere raggiunsero il corso d’acqua, scesero verso la palude e
verso le canne, s’infiltrarono per le radici su su per i fusti fino
alle foglie; tutte le foglie si misero a gridare, stormendo: il re
Mida ha le orecchie d’asino! Il re Mida ha le orecchie d’asino!..La
voce si propalò, la udirono i pescatori, i pastori e i bifolchi,
giunse fino alla città. Tutto il regno lo seppe. Il dio Apollo si
era vendicato.
Su
questa terra, il Satiro Màrsia ardì competere con la cetra di
Apollo mediante un flauto, anzi, con lo stesso flauto inventato dalla
dèa Minerva. Ed ecco come il prezioso strumento era caduto nelle sue
mani.
Un
giorno Minerva se ne andava a spasso, quando inciampò in un osso di
cervo bianchissimo e sottile. Lo raccolse, lo forò, e vi soffiò
dentro. Il dolce suono meravigliosamente le piacque.
Voglio
sbalordire tutto l’Olimpo! - Esclamò raggiante, la diva. E suonò
al cospetto di tutti i celesti, e tutti applaudirono, tranne Venere.
e Giunone.
Perché
ridete? Chiese offesa Minerva.
-
Oh!... Guardati un po’ allo specchio!
Ella
si guardò; mentre sonava, le sue gote si gonfiavano sgraziatamente.
Indispettita, buttò via il flauto. che venne a cader quaggiù e fu
ritrovato dal Satiro Marsia. Costui, come s’è detto, osò
considerarsi pari ad Apollo, e questi lo sfidò.
Erano
presenti le nove Muse.
Il
temerario Marsia, fu vinto, acciuffato dall’irritato nume,
impiccato ad un albero e scorticato.
(Ritorna a Marsia)
APOLLO E DAFNE
Un’altra avventura di Apollo
S’era
egli invaghito di una leggiadra ninfa di nome Dafne e voleva a qualunque costo farla sua sposa.
-
No! No! Ella si opponeva.
-
Sono ninfa della dèa Diana, la dèa della castità, e m’è
vietato.
E
un giorno fuggì.
Apollo
la rincorse e fu un momento in cui sembrava che stesse per afferrarla
quando, la stessa, impetrò la Madre Terra perché la salvasse dalle
brame del dio Apollo. Ed ecco che dai suoi piedi spuntano radici, le
sue braccia e le sue mani si sviluppano in rami e in ramoscelli
fronzuti. Quando Apollo fece per prenderla, non ebbe davanti a sé
che un albero; un bellissimo albero d’alloro. Ne scelse un
virgulto e se ne incoronò la fronte; ciò che da allora, si fece,
per i trionfatori, e per i poeti.
GIACINTO il diletto amico
Apollo aveva Un dilettissimo amico; Giacinto, figlio di Amicle, re di Laconia. Giocavano sempre insieme sulle rive del fiume Eurota, vicino alla città di Sparta. Un giorno che soffiava gran vento, un disco lanciato da Apollo lo colpì ad una tempia. Cadde il fanciullo. Apollo, subito soccorso, gli si inginocchiò accanto; un filo di sangue gli usciva dalla dolorosa ferita. Giacinto era mor to. Angosciato, il dio pianse per lui disperate lacrime, e non potendolo richiamare in vita, lo convertì nel fiore, che da allora por ta il suo nome
IL CARRO DEL SOLE
Ammesso
finalmente all’Olimpo, il dio Apollo ebbe l’incarico da Giove di
guidare per il cielo, il carro del Sole. Si levava egli al mattino,
attaccava i quattro focosi cavalli, e via, per l’azzurro immenso,
dietro all’Aurora, che gl’infiorava di rosea luce la strada E a
sera, calava giù, dall’altra parte del mare. Gli antichi,
credevano davvero che le onde friggessero al tuffarsi del carro
infiammato. D’inverno poi, anche Apollo aveva le sue vacanze. Si
ritirava in certi paesi del settentrione, dove vivevano tranquilli su
vaste campagne, solcate da placidi fiumi e bianche cime, in una
blanda luce, senza mai nè caldo né notte, i popoli iperborei.
E,
in primavera ritornava.
FETONTE
Avvenne
che Apollo ebbe un figliolo, da lui amato, come la pupilla degli
occhi suoi. Si chiamava Fetonte, ed era un giovine ardito e bello.
Amante delle pericolose imprese e desideroso di eguagliare la fama e
la gloria del padre.
Un
giorno, gli si presenta innanzi e… babbo, gli dice, vorrei da te,
una grazia!
-
Quale, figliolo mio?
-
Che tu mi permetta di guidare i tuoi cavalli.
-
Io ne sono capace! Non sarei tuo figlio, se così non fosse.
-
Lasciameli una sola volta e vedrai!
-
I miei cavalli? Rispose spaventato Apollo. Ma sai tu cosa vuol dire
guidare per il cielo i miei cavalli?
-
Lo sai tu che cos’è il Sole?
-
Lo sò, babbo!
-
Ragione di più perché tu mi lasci provare.
Tanto
disse e tanto fece, che alfine Apollo pur trepidante cedette. Ed ecco
Fetonte che monta sul carro, ed ecco… si slancia!
Per
un po’tutto andò bene, ma a un certo punto i cavalli s’accorgono
di non essere guidati dalla solita mano. Allora si imbizzariscono,
s’impennano, scalpitano e recalcitrano. Fan come i pazzi; di qua,
di là, di su e di giù come liberi poledri in gara di corsa per una
prateria sterminata. E Fetonte a urlare, a gridare, a tirar le
briglie, e a menar di sferza! Le cose di quaggiù frattanto, par che
vadano a soqquadro; in men che non si dica, foreste che bruciano,
pascoli che s’incendiano, laghi e stagni che fumano, campi che
s’irrigidiscono, fiumi che s’asciugano, e sorgenti che si
seccano; e uomini e bestie che muoiono!
Si
sveglia in allarme Cibele, antica dèa della terra.
-
Che è? Giove! Oh Giove!
Si
rivolge infuriata al re - capo degli dèi.
-
Ma non vedi? Non vedi? Così curi i mortali? Così tu abbandoni il
creato?
E
sorge anche Giove. Dà un’occhiata; intravede il pericolo, ancora
un’attimo e la palla del mondo o esplode o divampa. Impugna allora
un fulmine e lo scaglia diritto contro Fetonte, colpendolo in pieno
petto e facendolo schizzar fuori dal carro. I cavalli da soli
tornarono alle scuderie e Fetonte invece, venne a precipitar quaggiù,
e precisamente in Italia, nelle acque del Po. Andarono per soccorerlo
l’amico Cicno, la mamma Climene e le Elidi, che erano le sette sue
sorelle. Ma il suo corpo era già scomparso, ed essi piansero e
piansero. Piansero finchè Cicno non fu convertito in Cigno, e in
pioppi le sette donne. Cosicché quando tu vedi sulla sponda dei
fiumi questi alberi gentili svettare la sottile chioma nell’aria e
mollemente ondeggiarla fra il tremolar d’ogni fronda, dolcemente
mormorando ad ogni alito di vento, tu pensa a Fetonte, al suo folle
ardire, al pianto di sua madre e delle sue sette sorelle.
APOLLODORO
- APOLLODORO di Atene Filosofo
- APOLLODORO di Damasco Architetto,
II s.a.C. Collaboratore di Aristarco di Samotracia, lasciò numerose opere, delle quali restano frammenti. Fra queste, una “Storia universale” in quattro libri, in trimetri giambici (Cronaca), che inizia con la presa e la distruzione di Troia; un’opera sul (Catalogo omerico delle navi) in 12 libri; una ”Storia mitologia e religiosa” in 24 libri (Sugli dèi). A compendio di quest’ulti ma opera fu scritto da un anonimo del I o II s.d.C, un trattato mitografico di scarso valore, attribuito lungamente ad Apollodoro
n.60 a.C m.125 a.C.? Tra i più geniali dell’amtichità classica, fu attivo in Roma nella prima metà del II s., come architetto ufficiale civile e militare dell’imperatore Traiano. Passato poi al servizio di Adriano, fu da questi, secondo alcune fonti, esiliato, avendo criticato i progetti architettonici dell’imperatore. Le sue opere sono di impronta nettamente romana, ma rivelano in flussi ellenistico - siriani. La sua più alta realizzazione nel campo civile è il Foro di Traiano, eretto tra il 107 e il 113 che costituì per tutta l’età imperiale il centro civile e commerciale della città. Tra la prima (101 - 102) e la seconda (105 – 107) campagna da cia di Traiano, costruì un ponte sul Danubio, opera arditissima d'ingegneria militare lungo oltre un chilometro, di cui restano tracce a Debrecen in Ungheria. Il ponte e le guerre daciche sono raffigurate nella colonna traiana i cui rilievi, di assoluta originalità, vengono attribuiti allo stesso Apollodoro; artefice inoltre degli archi di Benevento, di Ancona, e sembra abbia lavorato ai porti di Centocelle e di Ostia.
APOLLONIO
- APOLLONIO di Atene
- APOLLONIO Rodio
Architetto
e scultore di scuola neo - attica: vissuto a Roma probabilmente nel
primo secolo avanti Cristo: figlio di Nestore. E’ uno degli
esponenti principali della scuola neo - attica. Si conservano di lui
due opere: il torso virile del Belvedere, (statua in mar mo mancante
della testa e degli arti) e il Pugilatore, opera in bronzo in
perfetto stato di conservazione.
Oltre
ad evidenti affinità stilistiche, l’attribuzione di quest’opera
ad Apollonio di Atene, è documentata dalla sua firma rinvenuta sul
”cesto”, del Pugilatore dall’architetto americano Carpenter nel
1927.
- Margherita Guarducci nel 1959 ha invece negato l'esistenza.
Torso del Belvedere” – Apollonio di Atene I s.a.C. - Vaticano – Roma.
Pugilatore
Museo Nazionale Roma-
Questa statua, datata intorno al quarto secolo avanti Cristo, di fattura e origini greche e di autore ignoto, è uno dei due bronzi (l'altro è il cosiddetto “Principe ellenistico”), rinvenuti nel 1885 su un versante del Quirinale nell'area del convento di San Silvestro e probabilmente appartenenti ai resti delle Terme di Costantino.
Poeta epico ellenistico (n. Alessandria d’Egitto 295 circa – m. 215 ? a.C. Capo della Biblioteca Alessandrina, compose giovanis simo le ”Argonautiche” poema in quattro libri di 5835 esametri, sulla spedizione degli Argonauti e sulla conquista del Vello d’O ro, ma l’insuccesso dell’opera lo costrinse ad esulare a Rodi (donde il soprannome di Rodio). Nell’aspra polemica pro e contro l’epica apertasi al tempo di Tolomeo Evergète, egli sembra erigersi a erede della tradizione omerizzante, incorrendo negli at tacchi dei seguaci di Callimaco, fautori dell’erudita brevità del poemetto. In realtà Apollònio per novità di sentimento e di gusto, non è lontano da Callimaco, ed è più poeta di lui. Attraverso un’elaborazione finissima dei mezzi espressivi, egli conferisce una fisionomia del tutto nuova al greco di Omero riuscendo ad evocare impercettibili moti del conscio e dell’inconscio. Ciò è sopra tutto evidente nel libro III, dov’è cantato l’amore di Medea per Giasone (modello del IV libro dell’Eneide), ma è comunque ris contrabile nella diffusa ricchezza di notazioni psicologiche, che danno alla sua pagina un’incomparabile suggestione. Il poema ebbe scarsa fortuna; in latino venne tradotto da Marrone Atacito, e rielaborato da Valerio Flacco
APOTEOSI
Elevazione a divinità di un mortale. E’ parola dell’età ellenistica, dapprima si addiceva ad uomini che dopo la morte venivano ele vati al grado di eroi: più tardi si adorarono anche esseri viventi. Il più noto esempio è l’apoteosi de gli imperatori romani, a comi nciare da Augusto. La cerimonia consisteva nella deposizione della salma, su di una pira all’uopo eretta; le si dava fuoco, e da questa si staccava un’aquila, a simbolo dell’anima dell’imperatore assunta in cielo. L’aquila era spesso effigiata sui monumenti sepolcrali del mondo antico, a rappresentare l’anima del morto, e la pira era legata all’idea dell’immortalità raggiunta tramite l’incinerazione.
ARA
MASSIMA
Antichissimo altare in Roma presso il Foro Boario, che dicevasi innalzato da Ercole, l’eroe greco divenuto un dio per i Romani. Vi si teneva un culto dedicato ad Ercole, che per molti anni venne affidato alle cure dei membri di due famiglie, i Potizi e i Pinari che se lo tramanda vano di padre in figlio; finchè in seguito passò allo Stato.
Ergo instauramus Polydoro funus
et ingens aggeritur tumulo tellus
stant Manibus arae caeruleis
maestae vittis atraque cupresso.
ARACNE
Nella mitologia greca fanciulla di Lidia; osò sfidare la dèa Atena nell’abilità del tessere e fu perciò da essa mutata in ragno. (Vedi Minerca in Miti e leggende).
ARATO
Poeta greco (n. Soli, Cilicia c.ca 314 a.C. - m. dopo il 240). Legato d’amicizia con numerosi poeti e letterati; tra gli altri nell’iso la di Cos, avrebbe conosciuto Tèocrito, e ad Atene, dove si occupò di matematica e di astronomia Callimaco, quivi si avvici nò alla filosofia stoica e divenne discepolo di Zenone. Dal 276 a.C., fu alla corte del re macedone Antigono Gonata, ove com pose un “Inno a Pan” e, unica superstite, un’opera astronomica in due parti, ”I Fenomeni” in esametri di tono didascalico, ma non priva di poesia. Ebbe vasta eco e fu generalmente lodata dai contemporanei. Tradotta poi in latino da vari insigni autori, fra i quali Cicerone, e dall’Umanesimo in poi, ebbe numerose edizioni, a cominciare da quelle Veneziane del 1499.
ARCADE
Figlio degli amori di Zeus con l’oceanina Callisto, già compagna di Artemide nella caccia. Causa la gelosia feroce di Giunone, Callisto è trasformata prima in orsa, ma salvata da Artemide, da Zeus assunta in cielo a formare la costellazione dell’Orsa Mag giore con il figlio Arcade, che ne divenne il custode.
ARCADIA
Provincia della Grecia meridionale, corrisponde circa all’antica regione storica. Situata nella parte centrale del Peloponneso, si affaccia ad Est, per un breve tratto, al golfo di Nauplia; il capoluogo è Tripolis, cittadina che sorge al margine della fertile pianu ra di Tegea. Il paesaggio è ovunque montuoso o collinare e spesso arido e brullo. A Nord nelle zone più elevate sono diffusi i boschi di abeti; prevalente è la pastorizia.
ARCHEOLOGIA
- GRECA ETRUSCA ROMANA
Scoperte
casuali di tombe e di tesori avvennero fin dall’antichità; si sono
trovate tombe etrusche del IV s.a.C., violate dai Romani, così come
molti sepolcreti egizi erano stati violati e predati in tempi assai
remoti. Architetti e artisti del Rinascimento, come il Brunelleschi,
segnarono e misurarono monumenti antichi. Michelangelo fu
impressionato dalla scoperta del gruppo scultoreo del Laocoonte del
1506, e scavi sistematici si fecero già in quell’epoca nel Foro
Romano e a Villa Adriana, presso Tivoli.
Il ‘600 segnò un periodo di stasi per le scoperte vere e proprie, con un prevalere di interessi antiquari, per l’illustrazione dei miti o dei luoghi delle antiche civiltà. Nel‘700 iniziarono le scoperte di tombe, sculture ed iscrizioni etrusche, per cui fu fondata addirittura l’Accadenia Etrusca di Cortona nel 1727 che promosse alcuni scavi. L’esplorazione delle necropoli etrusche della Toscana e del Lazio settentrionale, si protrasse per tutto il XIX secolo e arricchendo i musei di splendidi vasi che si credettero etruschi fino a quando l’archeologo Eduard Gerhard dimostrò come fossero per la maggior parte greci. Nel 1836 avvenne a Cerveteri la scoperta della tomba Regolini Galassi, una delle poche non violate, con splendida oreficeria, e le scoperte etrusche continuarono con le esplorazioni di abitati, quali Veio e Vulci, e della necropoli di Spina, i cui scavi, ebbero inizio nel 1922. All’inizio del ‘700 avvennero le prime scoperte nel territorio di Ercolano e Pompei, e Winckelmann nel 1764 pubblicò la “Storia delle arti del disegno presso gli antichi”. In Grecia, Lord Elgin si appropriò agli inizi dell’ 800, approfittando dell’ignoranza dei dominatori Turchi, di gran parte della decorazione scultorea del Partenone, poi venduta al Museo Britannico, ma solo dopo che lo scultore italiano Antonio Canova e l’archeologo Visconti affermarono, contro il parere di molti, la loro autenticità quale opera di Fidia. Lo scavo e il recupero delle sculture del tempio di Aphaia in Egina, segnarono la nascita di un nuovo criterio di scavo, rivolto non tanto al recupero di oggetti per arricchire le collezioni, quanto all’esplorazione sistematica del terreno, che sola porta all’effettiva conoscienza dei monumenti e degli abitati antichi e ad una esatta ricostruzione storica. Da allora si susseguirono i grandi scavi dell’800, che ebbero come centro la Grecia antica e le sue colonie. Newton scavò il Mausoleo di Alicarnasso (1857), grandi campagne di scavo austriache e tedesche esplorarono le città dell’Asia Minore; Pergamo, Magnesia, Piene, ecc. La ”Società dei dilettanti”, costituitasi a Londra, esplorò le grandiose rovine di Baalbek nel Libano e Palmira in Siria. Nella Grecia stessa si ebbero scoperte notevoli, come quelle del tempio di Olimpia, con le sue sculture, (1875 - 1880) o quella della “colmata persiana”, dell’Acropoli di Atene (1884 - 1891), nella quale furono ritrovati i capolavori della scultura greca arcaica. Grandi complessi monumentali, come i santuari di Eleusi e di Epidauro, o intere città come Corinto e Megalopoli, furono oggetto di scavi sistematici. A partire dal 1900, l’inglese Evans iniziò scavi sistematici a Cnosso, (isola di Creta) e i suoi ritrovamenti furono di importanza vitale per la conoscenza della civiltà cretese - micenea. Si scavò anche a Corfù, dove si fece archeologo lo stesso imperatore di Germania, e a Delo. Nella seconda metà del XIX secolo, si ebbero per impulso dell’archeologia germanica, la creazione dei grandi “Corpora”, (raccolta sistematica di vasi, sculture, sarcofaghi ecc.), e la pubblicazione dei dati relativi ai reperti rinvenuti, la cui conoscenza fu facilitata dalla fotografia, già usata in archeologia sin dal 1860. Nella prima metà del ‘900 gli Americani hanno compiuto scavi assai interessanti ad Atene e Corinto, mentre la scoperta dell’Heraion presso la foce del Sele (1936) è una tappa fondamentale per lo studio dell’arte greca nelle colonie dell’Italia meridionale. Grande interesse ha suscitato il ritrovamento di un arco greco (IV° s.a.C.,il più antico monumento del genere in Italia) a Velia - Elea, e nel 1968 di dipinti greci (V° s.a.C.), unici esempi di pittura greca classica a Paestum.
Per ciò che riguarda il mondo romano, assai importante fu la riesumazione delle città sepolte dall’eruzione del Vulcano nel 79 d. C., quali, Ercolano nel 1706 e Pompei nel 1748, iniziata dai Borboni, e che divenne sistematica dopo l’unificazione d’Italia in Nazione del 1861. La colonizzazione italiana e francese dell’Africa settentrionale, portò nei primi decenni del secolo XX° alla riesumazione delle grandiose vestigia romane di quella zona: Leptis Magna, Cirene, Cartagine ecc. Importanti scavi si erano avuti nei primi decenni del secolo, nel Foro Romano, ma la sistemazione di tutta la zona dei fori, dei mercati traianei, e delle pendici del Campidoglio, cominciò a Roma dopo il 1928 in piena era fascista. Le navi di Nemi hanno costituito un problema di tecnica archeologica, per il loro recupero nelle acque dell’omonimo lago (1928 – 1929), purtroppo bruciate dai tedeschi in ritirata alla fine della seconda guerra mondiale (1944), sono state ricostruite di nuovo. E le dolorose distruzioni di Palestrina sempre a causa dei bombardamenti indiscriminati degli anglo-americani avanzanti lungo la penisola, hanno reso possibile lo scavo sistematico del santuario della “Fortuna Primi genia” il più importante dell’Italia centrale. Del tutto indipendente dalle altre civiltà mediterranee, si sviluppò in Sardegna la civiltà nuragica, oggetto di studio sin dal XIX° secolo.
ARCIGALLO
Capo
dei sacerdoti di Cibele. In Roma era nominato a vita dallo Stato, ma
doveva risiedere nel tempio, e sovrintendere ai sacrifici che
venivano fatti in onore di Cibele, (detta a Roma, Magna Mater) per il
bene della città, e interpretare la volontà della dèa espressa in
vaticini, in occasione di una sua festa in marzo, o quando veniva
ufficialmente consultata in circostanze particolari. Questi
sacerdoti, e il culto della dèa ebbero grande importanza nel periodo
imperiale.
(ritorna a Cibele)
ARE
Gruppo di scogli tra la Sicilia e la costa dell'Africa. Pericolosissimi perchè, come un'enorme schiena, emergono appena dalla superficie dell'acqua.
ARES
Dio
greco della guerra, corrispondente al romano Marte. Figlio di Zeus e
di Era; amato da Afrodite, (Venere) veniva rappresentato con barba
nelle raffigurazioni antiche, ma imberbe nel IV° e V° secolo. Aveva la
sua sede mitica nella Tracia. Secondo Omero era figlio di Zeus e
Dione (Iliade), dio sinistro, selvaggio e smanioso di stragi. Gli
Arcadi lo rinchiusero in un recipiente di piombo perché non
danneggiasse la loro regione.
(vedi Marte AMAZZONI)
ARETUSA
Una delle Esperidi (ninfe, figlie dell’Oceano e della Notte (personificazione delle onde del mare), Aretusa è ninfa al seguito di Ar temide, che per sfuggire all’amore del dio fluviale Alfeo, si traformò in sorgente con l’aiuto della dèa e scomparve sotto terra riaffiorando in Sicilia nell’isola di Ortigia, (Siracusa) mista alle acque dell’Alfeo che non aveva desistito dall’inseguirla.
La leggenda la vuole trasformata in fonte nell’isola di Ortigia.
ARGEI
Cappelle votive in numero di 24 che si dicevano erette a Roma da Numa Pompilio, nelle quali i pontefici sacrificavano nel mese di marzo. L’antico culto in Roma, aveva un dupplice significato; pure erano chiamati Argei certi fantocci di giunchi, che il 15 marzo le Vestali gettavano dal ponte Subblicio (antichissimo ponte di legno che congiungeva la città con il colle del Gianicolo) nel Tevere Non si conosce bene il significato del rito; gli antichi autori sostenevano trattarsi di un arcaico sacrificio umano in cui, col tempo, si sarebbero sostituiti con dei fantocci. Secondo altri, un rito per ottenere la pioggia. Venivano chiamati argei anche dei modesti recinti sacri (sacella o aediculae) situati nei quadrivi della città di Roma, che ospitavano gli dèi tutelari dei crocicchi e delle vie, assai venerati ai tempi di Augusto.
ARGIA
Figlia di Adrasto e moglie di Polinice; esaltata per la sua tenerezza verso il marito.
ARGIVO
Abitante della città di Argo dell’Argolide; per estensione “greco”.
ARGO
o ARGOS
Città sud orientale nel Peloponneso, la più antica della Grecia, fondata circa nel XVIII s.a.C. Oggi nel dipartimento dell’Argolide. le cui città più importanti sono: Argo, Corinto, Citera, Epidauro, di cui costituisce il centro principale; già capitale del regno di Agamennone, situata nella breve pianura della regione agricola dell’Argolide, di cui costituisce il centro principale, mentre il capoluogo è Nauplia, sul golfo omonimo. Ebbe molta importanza nella storia dell’antica Grecia, tanto che Omero, chiama tutti i Greci combattenti a Troia, Argivi. Fu sempre in contrasto con l’altra grande città del Peloponneso Sparta, e raggiunse il massimo della sua potenza sotto il re Fidone alla metà del VII° s.a.C. A quel tempo la città si estendeva su due colline, Apis e Larissa, fortificate con mura ciclopiche, dove sono state messe in luce abitazioni databili al 2.000 a.C. Si ampliò successivamente nella pianura, ed ebbe notevoli santuari e templi dedicati ad Apollo Pizio, Zeus, Atena ed Era, della quale si hanno testimonianze di culto antichissime, con statuine preistoriche e idoletti micenei. Dell’antica città, sono rimasti resti di templi, un grandioso teatro scavato nella roccia e capace di 20.000 spettatori: l’aeropago nonchè ruderi di successive costruzioni romane, come; un odeon e le terme, e fu anche centro in età classica di una notevole scuola di scultori in bronzo.
- Argo Panoptes
- Argo, figlio di Aristore
- Argo è il cane di Odisseo.
- Argo
- Argo eponimo della città greca di Argo,
- Argo - Astronomia:
- Argo uno degli Argonauti
(Argo "che tutto vede") è un gigante che ha, secondo alcuni miti, un occhio, secondo altri quattro (due davanti e due dietro), e secondo altri ancora ne aveva cento, e dormiva chiudendone cinquanta per volta. Altri miti sostengono che avesse infiniti occhi su tutto il corpo.
viene citato anche come persona molto accorta per antonomasia: "è un Argo" oppure "ha più occhi di Argo".
Il gigante è ricordato per aver liberato l'Arcadia da un toro mostruoso e da un satiro che rapiva le mandrie. Al gigante spetta anche l'uccisione di Echidna. La maggior parte del mito su Argo è comunque legata alla vicenda di Zeus ed Io. Il gigante venne posto a guardia della ninfa Io, uno degli amori di Zeus tramutata dal dio in una giovenca per nascondere a Era, sua moglie, la vera identità della ninfa. La dea, sospettosa di un possibile tradimento del marito, riuscì ad ottenere l'animale in dono. Zeus, infatti, acconsentì alla richiesta per fugare ogni sospetto di tradimento, ed Era pose la fanciulla sotto la sorveglianza di Argo, che legò l'animale ad un ulivo che cresceva in un bosco sacro a Micene. Il gigante, grazie ai suoi infiniti occhi, riusciva a non dormire mai, chiudendone, per riposare, solo due per volta.
Zeus, dispiaciutosi per Io, incaricò Ermes di liberarla. Quest'ultimo, camuffatosi da pastore, si avvicinò ad Argo suonando una melodia. Il gigante, affascinato dal suono, invitò Ermes a sedersi con sé. Il dio, accompagnandosi col suono, iniziò a narrare la storia di Pan e Siringa, fino a che non riuscì a far chiudere tutti i cento occhi. Ermes uccise il gigante addormentato tagliandogli la testa con la spada, liberando Io. Era prese gli occhi dalla testa di Argo e li pose sulle piume del pavone, l'animale a lei sacro
Allevato come cane da caccia dall'eroe prima di partire per Troia, nel poema di Omero compare in un passo, ad Itaca, soltanto nella terza e ultima parte: ormai vecchio, disteso «su cumuli di letame di muli e buoi addossato dinanzi all'ingresso», tormentato dalle zecche; ugualmente, riconosce subito il padrone Odisseo dopo averlo lungamente atteso nonostante la prolungata assenza, e agita la coda, abbassa le orecchie, non avendo la forza di avvicinarsi a lui. Argo allora viene « preso dalla nera morte per sempre, dopo essere riuscito a rivedere alla fine Odisseo dopo vent'anni », e Odisseo si asciuga di nascosto una lacrima, senza che Eumeo se ne accorga.
era la mitica nave che portò Giasone e gli Argonauti alla conquista del vello d'oro.
figlio di Zeus e Niobe, figlia di Foroneo
una costellazione dell’emisfero australe, comprendente la stella di prima grandezza Canopo.
Nella mitologia greca, Argo era uno degli Argonauti, costruttore della mitica nave Argo, figlio di Arestore.
ARGONAUTI
(Naviganti di Argo)
Ciascno degli eroi che accompagnarono Giasone per mare sulla nave Argo, alla conquista del ”Vello d’Oro “ nella Colchide . Tale impresa era narrata in uno dei più famosi miti greci, che riguardava in origine forse, il solo Giasone (eroe di Jolko, città sul le coste della Tessaglia), ma trovò il favore di tutte le città della Grecia che offrirono i propri eroi. Divennero cinnquantacinque, tutti i più bei nomi della mitologia greca, tra cui Ercole, i Dioscuri, l’ateniese Teseo con l’inseparabile Piritoo, Peleo il futuro padre di Achille, Telamone, (padre di Aiace) Meleagro famoso eroe dell’ Etolia, Orfeo il celeberrimo cantore mitico e Tifi il pilota. L’impresa di Giasone finì col divenire l’impresa collettiva dei Greci, quasi come la guerra di Troia. Il vello d’oro che dovevano conquistare, era la pelle di un prodigioso montone d’oro, di cui si parlava in un altro mito, quello dei figli di Ino. Il vello era in possesso di Eeta, re della Colchide, lontana regione orientale sulle coste del mar Nero, difficile da raggiungere, Proprio per questo motivo lo zio di Giasone, Pelia, che aveva usurpato il trono del nipote, pose come condizione la conquista di quel vello d’oro, per restituirgli il regno. Con l’aiuto di Atena fu costruita una nave, la prima che avesse mai solcato i mari, chiamata Argo, dal nome del costruttore. Gli Argonauti si imbarcarono, e con la protezione della dèa Era, salparono verso Oriente. Ebbero molte avventure e si capisce perché l’avventura finale, ossia la conquista del vello d’oro era un compito di Giasone, mentre il viaggio per mare costituiva l’impresa collettiva, e con le sue difficoltà gloriosamente superate, giustificava la presenza di così tanti eroi greci. Lottarono con popolazioni selvagge, uccisero mostri, giganti, assassini, che infestavano le regioni in cui capitavano. Ognuno ebbe la sua parte di gloria. Non tutte le avventure furono tanto terribili; una dolce storia ad esempio è quella di Peleo e Teti. Giunti in Colchide, Giasone fu sottoposto ad una serie di difficili prove da parte di Eeta; erano le condizioni per ottenere il vello d’oro. Egli superò le prove con l’aiuto di Medea, la figlia del re che s’era innamorata di lui. Finalmente ripartirono con la preda e Giasone portò con sé anche Medea. Il viaggio di ritorno fu contrassegnato pure da numerose avventure; ma alla fine Giasone potè riavere Jolco.
Note:
Le avventure degli Argonauti furono raccontate in un poema epico di
Apollonio Rodio, initolato ”Argonautiche”. Molti furono i motivi
della grande risonanza della mitica impresa di Giasone nel mondo
greco; trattavasi del primo viaggio in mare, o addirittura dell’invenzione della nave; questo era molto importante per un popolo marinaro.
Le
prove superate da Giasone, per riavere il regno, ricordavano le
iniziazioni, che gli adolescenti un tempo dovevano superare per
diventare adulti; e il vello d’oro poteva rappresentare il sole
che, lucente come oro, viene da Oriente, come la Colchide, ma per
giungere fino a noi, deve superare tante difficoltà, come quelle che
dovettero vincere gli argonauti.
ARIANNA
Figlia
di Minosse, re di Creta; nel mito si narrava com’ella innamoratasi
di Teseo, gli offrì il filo per uscire dal labirinto del Minotauro,
ov’era entrato per ucciderlo. e da cui era impossibile uscire
indenne. Sposata da Teseo e fuggita con lui, fu poi da questi
abbandonata nell’isola di Nesso, dove si fece sacerdotessa e sposò
il dio Bacco (Dioniso). Secondo altra versione il dio Bacco
impietositosi, la raccolse in lacrime a Nesso, la consolò e la fece
sua sposa. Il suo mito venne trattato nei secoli da molti artisti.
(Vedi o ritorna a BACCO)
Gli antichi chiamavan “Corona di Arianna”, una costellazione nella quale individuavano un diadema donato ad Arianna da Dioniso.
ARIONE
- Arione di Metimna
- Arione o Areione è una figura della mitologia greca. Cavallo dalla nera criniera
- Arione, re di Mileto,
(noto anche come Arione di Lesbo) è stato un citarista dell'antica Grecia che, secondo Erodoto, inventò il ditirambo, il canto in onore di Dioniso.[1] È solitamente considerato una figura mitologica in quanto è principalmente noto per la leggenda secondo la quale venne salvato da un delfino.
Arione era il prediletto di Periandro, tiranno di Corinto. Egli convinse il re a lasciarlo andare di città in città per mostrare a tutti la sua arte. Erodoto narra che Arione arrivò fino in Sicilia, dove si arricchì grazie alla sua arte.[1] Nel suo viaggio di ritorno da Taranto, i marinai avevano complottato di uccidere e derubare Arione delle ricchezze che portava con sé. Mentre si trovava in alto mare, ad Arione fu data la possibilità di scegliere fra un suicidio con una degna sepoltura a terra o di essere gettato in mare. Egli allora chiese di poter cantare per l'ultima volta, prima di suicidarsi (nella versione di Igino, Arione sognò la notte il dio Apollo che gli disse di cantare con la sua ghirlanda e le sue vesti di scena e di confidarsi a quelli che sarebbero venuti in suo aiuto).[2]
Suonando la sua cetra, Arione cantò quindi una lode ad Apollo e la sua canzone attirò vari delfini attorno alla nave. Appena finito di cantare, Arione si gettò in mare dove uno dei delfini lo caricò sul dorso e lo portò in salvo presso il santuario di Poseidone a Capo Tenaro. Giunto a terra, desideroso di ripartire subito, Arione dimenticò di spingere in mare il delfino, che morì in quel luogo. Egli si diresse verso Corinto dove narrò le sue vicende a Periandro e questi ordinò che il delfino fosse sepolto e gli fosse innalzato un monumento funebre.[2]
Poco tempo dopo giunse a Corinto la nave sulla quale Arione era stato trasportato. Periandro comandò che i marinai della nave fossero portati al suo cospetto e chiese loro informazioni riguardo ad Arione; essi dissero che era morto ed era stato da loro sepolto (nella versione di Erodoto i marinari affermano invece che Arione si trovava vivo e vegeto in Italia[1]). A costoro il re rispose: «Domani giurerete davanti al monumento del delfino!» e ordinò che fossero tenuti in prigione. Poi chiese ad Arione di nascondersi il giorno seguente dentro il sepolcro del delfino, abbigliato nello stesso modo con cui si era gettato in mare. Quando il re li fece condurre lì e li fece giurare che Arione era morto, Arione uscì dal sepolcro, ed essi, non sapendo grazie a quale Dio si fosse salvato, ammutolirono. Il re decretò che fossero crocifissi presso la tomba del delfino.
Sia nelle Fabulae che nel libro secondo del De Astronomia, Igino racconta che Apollo, a causa della bravura nella citarodia, trasportò fra le stelle sia Arione che il delfino, dove divennero due costellazioni: la costellazione della Lira, la quale d'altro canto viene ricondotta anche ad Orfeo, e la costellazione del Delfino.[3][4]
secondo Pseudo-Apollodoro sarebbe nato dall'unione di Poseidone con Demetra, quest'ultima sotto forma di Furia. Invece, secondo il racconto di Pausania, Demetra, stanca e scoraggiata dopo tanto errare alla ricerca di sua figlia Persefone, rapita dallo zio Ade, non volendo unirsi con un dio o con un titano, si trasformo in giumenta e cominciò a pascolare tra gli armenti del dio Onco, che regnava a Onceo in Arcadia. Essa non riuscì, tuttavia, a trarre in inganno Poseidone, che si trasformò a sua volta in stallone e la violentò. Dalla loro unione nacque una figlia, di cui non era lecito pronunciare il nome (la dea misterica Despena), e un cavallo, Arione. Il furore di Demetra fu tale che in Arcadia fu onorata come Demetra la Furia[1].
Secondo Pausania il cavallo Arione appartenne dapprima a Onco, poi passò a Eracle, al quale servì nella spedizione contro la città di Elide e nella lotta contro Cicno. Eracle donò Arione ad Adrasto dicendo che, dopo tutto, preferiva combattere a piedi. Grazie alla velocità di Arione, Adrasto fu l'unico dei sette re che assediarono Tebe a salvarsi con la fuga. Dopo la disfatta dell'esercito argivo, infatti, Arione condusse Adrasto rapidamente lontano dal campo di battaglia e lo depose al sicuro in Attica, vicino a Colono.
Il mitico cavallo Areione sarebbe nato dall'unione del dio del mare Poseidone con Demetra, la dea dei raccolti. Areione era il più veloce di tutti i cavalli, capace di correre attraverso i mari senza quasi bagnarsi. Era così famoso, che fu dato in dono a Ercole.
(da safari ltd.it)
che accolse Esione dopo che aveva lasciato Telamone, e adottò il figlio Trambulo.
(Vedi Esione)
ARISTARCO
- ARISTARCO di Samo
- ARISTARCO di Samotracia
- ARISTARCO di Atene
- ARISTARCO (Tessalonica ... – I secolo)
Astronomo greco vissuto nel III°s.a.C. Famoso per il suo metodo di determinare il rapporto fra le distanze: Terra - Sole e Terra – Luna. Tale metodo è in linea di principio corretto, anche se il valore (19), trovato da lui è assai diverso da quello odierno (388). Cercò anche di stabilire il rapporto tra il diametro del Sole e quello della Terra; del Sole gli risultò 6-7 volte maggiore di quello terrestre, mentre in seguito gli studi astronomici hanno stabilito che è 109 volte maggiore.
Grammatico greco (n.217?- m.145? a.C.). Fu il più autorevole filologo dell’antichità. Diresse la biblioteca di Alessandria e fondò una celebre scuola di grammatica antagonista a quella di Pergamo, fondata da Cratere di Mallo. Studioso di Omero, lasciò due edizioni critiche dei suoi poemi, che furono determinanti nell’eliminare dal testo i residui della trasmissione orale. Fu anche studioso di Alceo, Erodoto, Esiodo, Pindaro ed altri.
(in greco antico: Ἀρίσταρχος, Arístarchos; Atene, metà del V secolo a.C. – Atene, tra il 411 il 409 a.C.) è stato un politico e militare ateniese.
Assieme a Frinico, Antifonte e Pisandro, Aristarco è nominato come uno dei principali capi della Boulé dei Quattrocento, nel 411 a.C.; era, infatti, uno dei più accaniti anti-democratici.[1]
All'inizio della contro-rivoluzione, Aristarco lasciò la sala delle riunioni con Teramene e guidò la giovane cavalleria oligarchica al Pireo.[2] Quando il suo partito cadde, Aristarco sfruttò la sua carica di stratego per andarsene coi più barbari degli arcieri stranieri nella città di confine di Enoe, che poi fu assediata dai Beoti e dai Corinzi; lì si accordò cogli Spartani, consegnando la città al nemico.[3]
In seguito fu catturato dagli Ateniesi, che lo processarono e condannarono a morte assieme ad Alessicle; ciò avvenne tra il 411 e il 406 a.C.,[4] ma più probabilmente prima della restaurazione della democrazia (avvenuta nel 409 a.C.).
fu seguace di Paolo di Tarso che accompagnò a Roma condividendo la prigionia. Considerato il primo vescovo di Tessalonica.
Aristarco, un "greco di Tessalonica" (Atti 27:2), è stato uno dei primi cristiani di cui si hanno notizie in alcuni passi del Nuovo Testamento. Citato tre volte negli Atti degli Apostoli: la prima quando a Efeso insieme a Caio, un altro macedone, Aristarco fu coinvolto in un tumulto, sequestrato dalla folla e portato in un teatro (Atti 19,25-32); la seconda è citato come rappresentante di Tessalonica assieme a Secondo quando tornò con Paolo dalla Grecia verso l'Asia, nella colletta per Gerusalemme (Atti 20,1-4); l'ultima, prigioniero insieme a Paolo in viaggio verso Roma: a Cesarea si imbarcò con Paolo su una nave di Edremit (Adramyttium) diretto a Myra in Licia (Atti 27,1-2).
Viene ricordato due volte da Paolo stesso nelle Lettere: Aristarco è descritto come Paolo "prigioniero" (Colossesi 4:10) e "compagno operaio" (Filemone 1:24).
Culto
Dal Martirologio Romano alla data del 4 agosto: Commemorazione di sant'Aristarco di Salonicco, che fu discepolo di san Paolo Apostolo, suo fedele compagno di viaggi e compagno di prigionia a Roma.
Nella Chiesa ortodossa orientale Aristarco è identificato come uno dei Settanta apostoli e vescovo di Apamea. Egli è commemorato come santo e martire il 4 gennaio, 14 aprile e 27 settembre.
Sant'Aristarco di Tessalonica
Vescovo, Discepolo di San Paolo
(da wikipedia)
ARISTEO
Mitico pastore della Tessaglia, figlio della ninfa Cirene. Innamorato di Euridice, sposa di Orfeo, la insegue ed è perciò causa della sua stessa morte. Le ninfe lo puniscono facendo morire le sue api e solo per intercessione della madre e con i consigli di Proteo, può riaverle.
- (Virgilio Georgiche IV)
-
(V 556)
...Se ne giva Aristéo gli umidi regni,
E le materne case, e in quelle grotte
I chiusi laghi, ed i sonanti boschi
Muto ammirando, e attonito a l’immenso
Fragor de le acque i sotterranei fiumi
Qua e là scorrenti contemplar godea;...
ARISTIDE
Uomo politico Ateniese (n.Atene c/ca 540–m.470 c/ca a.C.) Figlio di Lisimaco divenne in breve il più autorevole rappresentante del partito conservatore. Di specchiata onestà, il popolo ateniese gli conferì il soprannome di ”giusto" fu arconte nell’anno 489- 488 a.C. e avversò il programma navale di Temistocle nel timore che con la creazione della marina da guerra si rafforzassero le classi proletarie (marinai e operai addetti alla costruzione delle navi), a svantaggio dei proprietari terrieri. La contesa tra i due uomini si risolse con l’invio in esilio di Aristide. Amnistiato all’inizio della seconda guerra persiana, guidò nel 479 gli opliti alla battaglia di Platea, e, dopo la vit toria rientrò nella vita pubblica. Per la sua probità fu incaricato di fissa re la somma dell’annuo tributo che ciascuno degli alleati doveva versare al tesoro della Lega di Delo Fu sepolto a spese della città sul *Falero.
ARISTOFANE
Poeta,commediografo greco (n.Atene 444 c/ca- m.385 c/ca a.C.). Esordì giova nissimo e sin dalle prime commedie attaccò il demagogo Cleone, rivelandosi cautamente conservatore, nostalgico di un passato eroico, di un’arte morale e moralistica, di un pensiero svincolato da cavilli sofistici; ma non vennero mai meno in lui la viva curiosità per le ricerche musicali e poetiche, l’appuntita vivacità dei dialoghi e l’abbandono alle lusinghe del sogno e del canto. Le sue commedie superstiti sono undici: gli Arcanesi (425), I Cavalieri (424), Le Vespe o I Calabroni (422), La Pace (421), Le Nuvole (seconda stesura (419 - 418), La Prima Era (423), Gli Uccelli (414), Lisistrata (411), Le donne alle Tesmoforie o Le donne alla festa di Demetra (411), Le rane (405) Le donne a parlamento (392), Pluto (388). Tutte si muovono nel solco di una tradizione strutturale ben definita, all’alternanza di parti dialogate e parti cantate. Gli intrecci sono di elementare semplicità; nella prima parte si enuncia e si attua attraverso contrasti un disegno del protagonista (per lo più un campagnolo attempato e di buon senso), il cui successo è celebrato nella seconda parte, con cerimonie o banchetti conditi di scene comiche, per l’intervento e la bastonatura degli intrusi. Nella parte consacrata alle beffe la ”parabasi”, in cui il coro esce dalla finzione scenica. Aristofane concentra i suoi pungenti attacchi ai politici, ai filosofi e ai poeti del tempo.
Gli interventi della legge censoria che vietò la satira personale, si fanno sentire sugli ultimi lavori: nel Pluto, manca la parabasi e il coro è ridotto a cantare interludi. Genio della deformazione, Aristofane riflette la vita del tempo in uno specchio che esaspera i tratti dei personaggi e svela l’aspetto grottesco della situazione; concede molto alla buffoneria esteriore della farsa popolare, ma non smarrisce il mordente di una vigorosa teatralità, né la deformazione si risolve in un compiaciuto gioco d’intelligenza, ma si espande in una esplosiva esuberanza d’intuizioni. Il linguaggio, lontano da affettazioni cittadine o da eccessiva rudezza agreste e la metrica ricca, abile efficientissima, concorrono a dare all’opera di Aristofane il prestigio della grande poesia. Nelle ”Nuvole”, un padre sopraffatto dai debiti, che ha contratto per le intemperanze del figlio, spera di aver ragione dei creditori, grazie agli insegnamenti che impartiscono nel ”Pensatoio”, dove Socrate, sospeso in un canestrello a mezz’aria e i discepoli, persi in cavillose futilità incarnano una sofistica, fumosa e astratta, incapace di intendere il linguaggio filosofico, il protagonista manda da Socrate il figlio, che assiste al contrasto fra il Discorso Giusto e il Discorso Ingiusto e, imparata sin troppo bene la lezione picchia il padre, minaccia di picchiare la madre, finchè il padre esasperato appicca il fuoco al ”Pensatoio”.
Note
vive della commedia
Di
là dalla tendenziosa e divertita caricatura di Socrate, sono, da un
lato la poesia dell’intimità, in certi mirabili ”interni” e in
certi toni patetci, dall’altro gli effetti teatrali nella
spettacolosa rappresentazione dei medi tabondi filosofi e
nell’incendio finale, come pure nell’intuizione scenica delle
forme cangianti e veleggianti delle "Nuvole", che
compongono il coro; sostenute e squisite le parti liriche. Fiabesca e
allusiva è la commedia “Gli Uccelli”, dove due ateniesi nauseati
della loro città vanno a fondare a mezz’aria una città degli
alati. Uomini ansiosi di libertà, falliti seccatori e scrocconi,
tentano di entrare nella terra promessa, dove si affacciano a parlamentare gli dei; Prometeo, che si ripara comicamente sotto un
ombrello; Posidone, che difende il prestigio di Zeus; Ercole, avido
solo di bocconcini, e Traballo, un dio barbaro che farfuglia una sua
lingua incomprensibile. La vicenda è suggellata dalle nozze del
geniale ideatore e sovrano della strana città con Basilea. La
commedia si ispira al contrasto fra il dissennato mondo degli
effimeri e la sovrana libertà del le creature dell’aria e della
vita cosmica. Per quanto non priva di risorse teatrali, essa è
dominata dalla limpida dolcezza delle musiche, appena velata di
malinconia. Nelle “Rane” Dioniso, dio della tragedia, scende
nell’Ade per riportare alla vita un grande poeta scomparso. Il
viaggio del pavido dio, travestito da Eracle, e d’un servo. si
svolge fra comiche peripezie, paure, bastonature. Dalle acque e dal
fango degli Inferi, salgono i cori delle rane e degli iniziati, ai
riti misterici.
Finalmente
ha lungo un dibattito fra Euripide ed Eschilo: ciascuno dei due poeti
attacca l’opera dell’altro, sul piano etico ed estetico,
difendendo la propria poesia. Su una bilancia simbolica, i versi di
Eschilo pesano più di quelli di Euripide. Dioniso finisce per
riconoscere vincente Eschilo, che risponde meglio alla figura del
vate educatore perseguita da Aristòfane, il quale indipendentemente
dall’assunto moralistico, che non può essere condiviso, dà prova
di una straordinaria intelligenza critica, animando l’analisi di citazioni e imitazioni parodiche. Non meno vivace è la vena comica
nella prima parte della commedia, più aperta al grottesco
(indimenticabile è la scenetta del morto che recato su una lettiga
dai becchini, si rizza a parlare, rifiuta di portare, senza lauto
compenso, il bagaglio dei pellegrini e ricade giù, sdegnoso di
contrattare. La fortuna di Aristofane fu viva in ogni tempo anche se
non mancarono gravi fraintendimenti della sua personalità e della
sua arte (talvolta le fu contrapposto Meandri); talvolta fu giudicato
un “pagliaccio”.
Molte
furono le imitazioni delle sue opere, e le derivazioni da Aristofane
nel teatro di tutti i paesi. In Italia le traduzioni migliori sono
quelle di Ettore Romagnoli.
ARISTOTELE
Filosofo
greco (n.Stagira,384 – m.Calcide 322 a.C.) Figlio di Nicòmaco,
medico del re di Macedonia Aminta II, si recò diciottenne ad Atene
per continuare gli studi e frequentò l’Accademia platonica per
circa vent’anni (dal 364 al 347). Alla morte di Platone si
allontanò da Atene e fu presso Ermia, tiranno di Atarmio, quindi ad
Asso nella Misia, dove esisteva una comunità filosofico politica di
ispirazione platonica, poi a Mitilene e quindi di nuovo in
Macedonia, dove, il re Filippo gli affidò l’educazione del figlio
Alessandro. Tornò in Atene, celebre per sapienza e saggezza; aprì
una scuola nei pressi del tempio di Apollo Licio; un
ginnasio-palestra, dotato come al solito di un giardino e di un
luogo per la passeggiata (peripatos), Peripatetica fu perciò detta
la scuola, ché il Maestro teneva passeggiando almeno una parte dei
suoi corsi. Alla morte di Alessandro (323) il partito nazionalista lo
accusò di empietà; egli abbandonò il liceo nelle mani di
Teofrasto, e si ritirò a Calcide dove si spense l’anno dopo
sessantaduenne. Dei suoi lavori ci sono rimasti circa una cinquantina
di opere e di trattati scientifici, detti acromatici, perché
esposti a voce, e non sempre tuttavia in forma e composizione
originaria, alcuni frammenti, spesso in forma dialogica degli scritti
rivolti al gran pubblico (le cosiddette opere esoteriche);
Eutidemo
«Sulla filosofia protreptica». Possiamo individuare quattro
gruppi di scritti Aristotelici secondo una partizione del sistema alla
quale accenna egli stesso.
Scritti
di logica noti
con il titolo non aristotelico di Organon, che comprendono:
sull’interpretazione, Categorie, Analitici, Topici, Elenchi
sofistici, i 14 libri della Metafisica ( anche questo titolo non di
Aristotele che chiamava questa scienza filosofia prima o teologica.
Scritti di filosofia della natura; sull’anima, sul cielo, sulle
Meteore. Otto libri di “Lezioni di fisica”e altri trattati sulla
storia, la vita e le parti degli animali. Scritti di filosofia
pratica : Etica Nicomachea, Etica Politica, la “Costituzione degli
Ateniesi” Scritti di poetica. Poetica e Retorica.
Dottrina
Dopo
aver ascoltato Platone per vent’anni, Aristotele si distacca dal
pensiero del maestro. L’esigenza fondamentale in lui è di
eliminare quel duplicato della realtà, che sono le idee, facendo di
esse non solo l’essenza delle cose, ma anche il principio che ne
determina la vita e lo sviluppo.Mentre crolla in tal modo la
costruzione platonica del mondo iperuranio, si delinea la possibilità
di conoscere scientificamente il mondo naturale ed organico, che
obbedisce a sicure leggi. Ma si struttura anche quella metafisica e
aristotelica della materia e della forma, come potenza e atto, che
vede la realtà ordinata secondo i gradi di una intriseca perfezione
indirizzata ad un fine ultimo, che è nello stesso tempo causa
motrice e motore immobile di tutto il processo.
DIO.
La
metafisica di Aristotele ha quale fondamento l’idea di un Dio che
nella sua essenza è ragione. Ma Dio è anche indirettamente causa
della particolare strutturazione dell‘universo, cioè del suo
assetto fisico. Si ordinano infatti, secondo il criterio della maggiore vicinanza a Dio, i cieli fatti di etere, poi il fuoco, l’aria
e l’acqua. Nel punto più basso di questo ultimo cosmo, conchiuso e
finito con al centro della sfera, gravita la Terra. I cieli l’avvolgono e perifericamente a tutto vi è Dio che perpetua, con
l’attrazione che vi esercita, il movimento.
Queste
dottrine fisiche aristoteliche, costituiscono la base di quel sistema
astronomico detto tolemaico, che sarà distrutto solo nel
Rinascimento dalla concezione epicentrica di Copernico Le quattro
essenze sublunari (terra, acqua, aria, fuoco), compongo no mescolate,
i corpi terreni, i quali si distinguono in: organici, inorganici,
viventi, animati, intelligenti. Gli animali hanno senso e appetito e
in più una capacità di movimento, che li differenzia dai
vegetali. Tra gli animali, l’uomo è dotato di ragione, oltre che di
sensibilità e di memoria. La ragione è la capacità di ricevere le
idee, cioè le essenze delle cose, da parte di una intelligenza
attiva che sola è in grado di fornirgliele in occasione delle
attestazioni dei sensi (nihil-est-in-intellecta,
quod-prius-non-fuerit in sensu. Quando però quel nesso particolare
di materia e di forma, che costituisce l’individuo si rompe con la
morte e l’anima non ha possibilità di sopravvivenza autonoma,
l’intelligenza attiva, che è propria di Dio, non ha più modo di
esercitare la sua funzione, e si ritrae. Egli, come esclude la
possibilità di sopravvivenza dell’anima individuale, così nega
un’autentica intelligenza attiva all’uomo. L’intelligenza non
ha solo funzione conoscitiva, glien’è attribuita anche un’altra; quella di controllare gli affetti, tenendoli lontani da quelle
oscillazioni in eccesso e in difetto, proprio di ciò che non è
razionale. Quì è il fondamento dell’etica aristotelica, che ha
una base rigorosamente razionale. Anche se il fine dell’agire si
presenta come la ricerca della felicità, la felicità dell’uomo è
quella che le deriva dalla soddisfazione di ciò ch’egli ha di
peculiare, cioè la ragione. Questo però non implica che la felicità
derivante dalla soddisfazione degli appetiti naturali, debba essere
fuggita. Aristotele non condivide il rigorismo etico di Platone,
che respinge tutto ciò che in etica sia mescolato di sensibile. La
operosità della ragione nel campo dell’etica, dà origine a tre
virtù, da Aristotele definite: prudenza – sapienza - intelligenza.
In quanto moderatrice degli affetti, la ragione realizza la virtù
del giusto mezzo (etica) equidistante dagli eccessi: la forza d’animo
(media tra temerarietà e paura); la temperanza (lontana e sia dal
l’ingordigia sia dall’astinenza); la liberalità (che non è
prodigalità nè avarizia). Di queste virtù del giusto mezzo,
quella che tutte le riassume è la “giustizia”, con cui a
ciascuno è attribuito quello che le compete. Avendo come suo fine la
giustizia, lo Stato è il luogo proprio dove possa realizzarsi quella
felicità a cui legittimamente aspira la natura umana, mediante
l’esercisio della virtù.
Aristotele
non indulge nella descrizione dello Stato ideale, ma esamina gli
stati reali e i loro statuti.
Lo
Stato è propriamente l’esercizio del comando.Questo può essere
indifferentemente esercitato da uno solo, da i migliori, da tutto il
popolo, senza che nessuna delle corrispondenti forme di Stato
(monarchia, aristocrazia, repubblica), possa pretendere d’esserne
l’unica e ottima. E viceversa ciascuna di queste forme, quando perde
di vista il fine specifico del bene della comunità e a questa
sostituisce l’utile particolare, decade in una forma degenerativa
(tirannia – oligarchia - demagogia).
Appare
connaturata alle teorie politiche di Aristotele quella tendenza
sistematica, che già si era manifestata nel campo dell’etica, con
l’elencazione delle virtù, e che si sarebbe espressa anche a
proposito della retorica, con la distinzione dei generi dell’eloquenza (dimostrativa – deliberativa - giudiziaria) o, a proposito
dell’arte, con la classificazione di varie forme di poesia, o nell’ambito degli studi naturalistici condotti da Aristotele. Egli appare
in tal modo, il genio sistematico del pensiero greco. Non si
intenderebbe a pieno questo aspetto del suo pensiero e la funzione da
secoli da esso esercitata, qualora non lo si cogliesse nelle sue
radici, nella logica, cioè nello strumento con il quale si opera
nell’analisi del suo pensiero che fornisce teorie metafisiche, fisiche, etiche politiche, ed estetiche. In tal modo la logica acquista
carattere di pregiudizialità e diventa il fondamento di tutte le
altre dottrine. Questo carattere formale spiega altresì l’universale
accettazione cui andò incontro la logica, la quale era utilizzabile,
come di fatto è accaduto, anche per esperienze intellettuali diverse
da quella aristotelica. Aristotele parte da una indagine del discorso, le cui parole definiscono le sostanze o proprietà delle
sostanze Fornisce così una tabella di dieci.categorie:
- –—sostanza
- -quantità
- -qualità
- -relazione
- -il dove
- -il quando
- -la situazione
- -lo stato
- -l’agire
- -il patire
(p.es.; l’uomo)
(p.es.; due cubiti)
(p.es.; bianco);
(p.es.; maggiore)
(p.es.; in Atene)
(p.es; ieri)
(p.es.; siede, giace)
(p.es.; è armato)
(p.es.; taglia)
(p.es.; è tagliato).
Queste categorie, oltre a costituire i dieci modi d’essere, costituiscono i dieci predicati essenziali del giudizio, che consiste appunto nell’attribuzione o negazione di un predicato a una sostanza. Il giudizio può essere affermativo o negativo, vero o falso, universale o particolare. I giudizi sono legati fra di loro in due modi: vi è una forma di ragionamento che va dal particolare all’universale. Questo ragionamento si fonda principalmente sull’esperienza e mira a generalizzarne i risultati. Il suo grado di indubitabilità non è mai assoluto, e solo gradualmente crescente in relazione alla larghezza in cui si fonda. Esiste un’altra forma di collegamento, per cui dall’universale si passa al particolare: il sillogismo. Esso è il metodo dimostrativo per eccellenza e consiste nella concatenazione di due giudizi attraverso un termine medio. Per esempio “gli uomini sono mortali; Socrate è un uomo, quindi Socrate è mortale”. Il concetto di uomo, mentre è proclamato identico a quello di mortale, diviene predicato di Socrate, il che permette di concludere circa la mortalità di Socrate stesso. La conclusione di un sillogismo può diventare premessa di uno successivo. La catena dei sillogismi è però collegata a degli assiomi cioè a principi immediatamente certi e indimostrabili, sul cui fondamento di verità si basa il pensiero. Il sillogismo può talvolta partire da premesse che non sono probabili, e diventare così, pura tecnica dell’inganno. Ma anche l’inganno sufistico presuppone il riconoscimento di principi logici universali, cui il pensiero sempre ubbidisce nel suo procedere: il principio di identità e di non contraddizione, per una cosa, non può essere contemporaneamente se stessa e il suo contrario. Il principio di identità nella consapevole formulazione di Aristotele è stato il principio logico supremo cui si è ispirata per due millenni tutta quanta la civiltà occidentale: non solo la filosofia, ma anche la matematica e la scienza. Essa ripresentava in termini logici la concezione parmenidea dell’essere immortale. Per questa concezione, il divenire era una irrazionale apparenza. Il pensiero moderno è stato invece, nella sua essenza l’affermazione del divenire. Ha qui la sua ragione d’essere quella opposizione ad Aristotele che caratterizza il pensierio moderno, dal Cinquecento in poi.
Posizione
storica e fortuna.
Nel
periodo ellenistico greco-romano, il pensiero e la scuola di
Aristotele non ebbero grande fortuna, né nella prima età cristiana;
se si eccettua il lavoro dei commentari, e Alessandro Temistio Semplicio, che mostrò molto interesse per Aristotele. Nella Scolastica le opere di Aristotele divennero invece testi ufficiali in
seguito alle traduzioni arabe promosse da Califfi illuminati e alle
traduzioni latine dall’arabo prima, e dal greco poi, che da Toledo
e dalla Corte di Sicilia si diffusero in tutto il mondo.
cristiano. Sono di questo periodo anche i grandi commenti ebrei e
arabi di Avicenna e di Maimonide.
Nell’ Umanesimo
e nel Rinascimento sono importanti la filologia aristotelica e la
disputa tra averroismi (commentatori arabi di Aristotele) e
alessandrini (commentatori greci) specialmente nelle università
italiane di Padova e di Bologna. L’aristotelismo è al centro
della polemica, circa la nuova visione del mondo e della scienza
(Galilei). Nell’epoca moderna cadrà il sistema fisico e
astronomico di Aristotele, ma la filosofia e la scienza nelle loro
parti e nella totalità, nel fondamento e nel compito ad esse asse
gnato, sono creazioni aristoteliche e costituiscono ancor oggi il
contenuto del nostro patrimonio filosofico e culturale. Greco
d’ascendenza (Stagia era colonia jonica), Aristotele vede crollare
la città stato (polìs), e assiste alla ellenizzazione del mondo
mediterraneo, ma, come precettore egli ha certamente trasmesso ad
Alessandro l’essenza della civiltà della polìs, l’idea che
tutti gli uomini possono diventare cittadini di un Solo Stato, in
quanto essi hanno una sola e medesima natura e che l’impero d’altra
parte, deve essere espressione non di una casta o di un popolo, ma di
una civiltà. Come fondatore del “Liceo” ha dimostrato di fatto,
e in modo definitivo che la ricerca specializzata (fisica, storica,
naturalistica), cioè il lavoro dello scienziato deve radicarsi
nell’universalità dell’idea e della filosofia, cioè nella
visione che l’uomo ha di sé e del mondo in cui vive. Ogni filosofo
è uomo del proprio tempo, ma Aristotele sa di esserlo, e quindi
presenta consapevolmente il suo sistema all’interno di una
evoluzione culturale. Per questi motivi fondamentali oggi possiamo
dire che Aristotele è il mediatore tra la cultura del mondo greco
classico e il pensiero medioevale e moderno.
- Una sentenza di Aristotile
- "Quod consuetum est, velut innatum est".
(Ciò che è consueto è come istintivo);
principio filosofico a riscontro d'uso molto frequente.
ARMODIO
e ARISTOGITONE
Cittadini ateniesi, legati tra loro da profonda amicizia e dal comune amore per la libertà, cospirarono contro i figli di Pisistrato ed uccisero nel 514 a.C., Ipparco durante le feste Panatenee. L’altro figlio Ippia, sfuggito all’attentato li fece giustiziare, ma nel 510 alla cacciata del tiranno, la Polis democratica li considerò eroi, e in loro onore fece erigere statue che furono le prime innalzate a mortali.
ARMONIA
Figlia di Ares e di Afrodite, moglie di Cadmo, madre di Ino e Semele. E’dèa dell’amore, della concordia e la personificazione dell’ordine morale e sociale. Secondo alcuni, anche madre delle nove Muse.
- Foscolo: L'armonia dell'Universo sembra essere stata esposta e invigorita, anzichè inven tata da Pitagora; essa attribuisce ogni perfezione ed imperfezione, qualunque virtù o vizio. La felicità e le miserie che si riscontrano negli uomini, ad un maggior o minor grado di amonia. Laonde, per rispetto alle belle arti, come la musica dipende dall'armonia dei suoni, così la scultura dall'amonia delle forme, così nella pittura dall'armonia delle linee e dei colori. Nella stessa guisa, il più o meno di felicità goduta da ciascheduno, sta in ragione dell'armonia che regna nelle sue passioni; e noi siamo infelici per effetto di discordia o dissonanza fra' nostri sentimenti.
ARPIE
Figlie di Nettuno e della Terra; il loro nome significa ”rapitrici”. Mostri della mitologia greca, con testa e volto di donna e corpo d’uccello (avvoltoio), artigli ai piedi e alle mani, voraci e fetide, personificavano la fame. I venti Zete e Calai le cacciarono fino alle isole Stròfadi sulle coste della Morea (Peloponneso). I loro nomi Ateneo, Ocipete, Celeno. E quando taluno scompariva in mare, dicevasi ch’era stato rapito dalle Arpie; talvolta iden tificate con le tempeste marine. Combatterono contro di esse anche gli Argonauti (i primi marinai della tradizione greca). Secondo altro mito, due Arpie furono cacciate dai *Boreadi (figli del vento Borea del nord - tramontana), nelle isole Stròfadi, dove poi le trovò Enea Generalmente considerate in numero di tre, secondo la tradizione più diffusa erano consi derate figlie di Taumante e di Elettra e loro era il compito del trasporto delle anime nell’ al di là.
- dall’Ariosto nell’Orlando Furioso (XXXIII).
-
Se per mangiare o ber quello infelice
venìa cacciato dal bisogno grande,
tosto apparia l'infernal schiera ultrice,
le mostruose arpie brutte e nefande,
che col griffo e con l'ugna predatrice
spargeano i vasi, e rapian le vivande;
e quel che non capia lor ventre ingordo,
vi rimanea contaminato e lordo.
ARTE
CLASSICA
L’arte greca si sviluppò a partire dal primo millennio a.C., in un ambito geografico di grande estensione; in un primo tempo solo nella Grecia continentale, in alcune isole dell’Egeo, e sulla costa dell’Asia Minore. In seguito, a causa della fondazione di numerose colonie, nonché all’intensificarsi dei rapporti commerciali, i confini di tale civiltà si ampliarono notevolmente, raggiungendo da un lato le coste del mar Nero e dall’altro la Sicilia, l’Italia meridionale e la Francia del Sud. Infine, quando l’impero di Alessandro Magno raggiunse le regioni interne del l’Asia, i cànoni dell’arte greca si estesero fino a quei paesi, innestandosi ai filoni delle culture tradizionali e dando origine a quegli ulteriori sviluppi noti con la denominazione di civiltà ellenistica. Intorno all’anno mille si assistè alla fine della civiltà cretese-micenea e da questo momento e per la durata di circa tre secoli, la critica archeologica parla di un periodo di “formazione” dell’arte greca. Fra il 650 e il 450 a. C., si sviluppano le correnti dell’ “arcaismo” e dello stile detto “severo”. Piena fioritura raggiungono tutte le manifestazioni artistiche nel periodo detto ”classico” (450–350 c/ca). Infine dalla morte di Alessandro alla conquista romana dell’ Egitto (31 a.C.), nel mondo ellenizzato si vengono a formare diverse correnti che vanno sotto il nome di ellenismo.
Il valore e il significato di tali divisioni cronologiche, basate su avvenimenti storici o su elementi desunti da analisi tecniche o stilistiche dei vari monumenti, sono convenzionali e rispondono a precise finalità pratiche. E’opportuno tuttavia evitare di considerare tali limiti di tempo come schemi inderogabili, e questo perchè i vari problemi affrontati dai Greci nel campo dell’architettura, della scultura e pittura, trovano nel corso dei secoli, soluzioni di volta in volta adeguate alle necessità del momento storico e della società civile o religiosa, cui sono destinati i monumenti d’arte, ma fondamentalmente si nota una costante fedeltà a quei principi di armonia, equilibrio e bellezza che caratterizzano l’arte greca sin dalle origini. Il periodo formativo dell’arte greca ha inizio dall’epoca detta, da alcuni studiosi ”Medio Evo Ellenico”, che segna con il crollo del mondo miceneo, il sorge re di nuove strutture politiche e sociali determinate dall’incontro di popolazioni achee, continuatrici del mondo “feudale” miceneo con i Dori immigrati che conservano le antiche tradizioni delle tribù, in base alle quali essi erano socialmente organizzati. Alcuni centri della Grecia continentale (Olimpia, Corinto, Sparta, Thermos), e dell’Asia Minore (Samos), conservano resti di antichi edifici templari, altari con recinto o ambienti di forme che già preludono a quelle del tempo arcaico. Nel campo delle arti figurative, l’elemento più importante che si fissa a partire da questo momento è il tipo iconografico delle divinità e degli eroi; le figurette di avorio, di bronzo e di argilla, che provengono dai santuari, sono i soli esemplari dell’arte plastica di questo periodo e presentano, in forme geometricamente semplificate e stilizzate, soggetti religiosi e mitologici che saranno rielaborati susseguentemente, con poche varianti iconografiche. L’espressione più significativa ed a noi meglio nota di questa “fase di formazione” dell’arte Greca è la decorazione della ceramica. All’eccletico naturalismo dell’arte cretese e micenea, dalle linee disposte in circoli e spirali, subentra un tipo di derivazione ”geometrica” che predilige le linee rette, le figure fili formi gli ornamenti costituiti da motivi (meandri-triangoli ecc.) continui, che presuppongono uno studio ed una divisione preliminare dello spazio da decorare, una pianificazione del modo di disporre gli elementi ornamentali. Infatti all’arte geometrica apparentemente primitiva e priva di interesse, la critica moderna ascrive enorme importanza, perchè è proprio in questa maniera logica coerente, ordinata di disporre le figure in una rappresentazione, e intendere l’unità organica delle parti del corpo umano, che si manifesta sin da ora il senso di razionalità e di equilibrio dell’arte greca.Altra componente significativa alla formazione dell’arte greca è la corrente “orientalizzante ” che è particolarmente sensibile dalla fine del secolo VIII° alla metà del VII°s.a.C. L’arte, chiamata “arcaica”, che si estende cronologicamente tra il 650 (periodo in cui si pone l’inizio della grande sta tuaria nell’ambito dello stile chiamato dedalico), ed il 480 a.C.,(data della vittoria navale di Salamina, con la quale gli Ateniesi liberarono definitiva mente la Grecia dal pericolo Persiano), ha due presupposti fondamentali: lo stabilizzarsi dei grandi santuari e l’inten sificarsi con la colonizzazione dei contatti e degli incontri, sia sul piano economico che su quello artistico. Nei centri religiosi della Grecia continentale, delle isole e del l’Asia Minore, si nota un intensificarsi di costruzioni templari; i grandi edifici d’ordine dorico e ionico (in Grecia e nel vicino oriente), si differenziano ora nelle loro peculiari caratteristiche architettoniche, e nelle decorazioni scultoree di pietra o di terracotta. Fra i templi dorici più importanti sono quelli di Apollo in Corinto, l’Heraion in Olimpia, il grande tempio di Corfù, quello di Apollo a Delfi, sull’Acropoli di Atene vari edifici sacri dedicati a divinità ed Eroi dell’Attica; notevole Hekatonpedon (primi anni del secolo sesto, costruito in ono re di Atena; le costruzioni erette nelle colonie della Magna Grecia e Sicilia (templi di Siracusa, Selinunte, Posidonia), che presentano caratteristiche architettoniche a volte, diver se da quelle della madrepatria. Infatti influssi ionici su impianti dorici si riscontrano nel tempio di Assos (Triade), ove, oltre alla decorazione a fregio dorica appare pure il fregio continuo di stile ionico. Contemporeanamente al definirsi dei canoni dell’ordine dorico, sorge nell’Asia Minore e nelle isole orientali l’ordine ionico, di netto stampo orientale, che ha origine da una commistione di elementi di varia tradizione e cultura. Un provvedimento antistorico della critica archeologica del secolo XIX° divideva la scultura in tre grandi scuole: ionica-dorica–attica, escludendo quasi la reciprocità di rapporti ed influssi, quando invece è riscontrabile la sorprendente concomitanza di problemi e il sostanziale parallelismo nel risolvere determinate premesse. Tipica espressione della più antica scultura sono le statue cosidette xoaniche, perché richiamano i caratteri dei simulacri di legno databili ancora al VII°secolo. Il tipo di figura femminile, con o senza attributi od oggetti (raffigurante divinità offerenti o semplicemente concepita come “agalma”, che si perpetua per tutto l’arcaismo è il tipo della “kare” (fanciulla), che corrisponde a quello maschile di ”korous” (ragazzo), assai diffuso nella scultura di genere sacro e funerario. Il nome di Apollo dato spesso alle statue virili arcaiche, non corrisponde, nella maggior parte dei casi, alla denominazione, essendo la scultura, da intendersi piuttosto come raffigurazione generica. Gli esemplari più significativi della seconda metà del settimo secolo portano l’arcaismo alle sue fasi più evolute. Alla scultura a tutto tondo fa riscontro la decorazione ad alto rilievo (metope), e quella creata con fini architettoni ci (sculture frontali).Dalla fine del secolo VI° al primo ventennio del secolo V°, avviene il passaggio dalla fase dell’arcaismo maturo al tardo arcaico, nel quale si colgono già elementi in seguito sviluppatisi nel successivo “stile severo” Senza dubbio, alle grandi scuole di architetti e scultori, l’arcaismo deve aver avuto anche grandi scuole pittoriche, un riflesso delle quali si osserva nelle numerose “scuole” attestate dai prodotti copiosamente resi da tut te le zone archeologiche. Le fonti letterarie antiche pongono a Corinto una grande scuola di pittura e nominano Kleantes, Ekphantos, ed altri maestri. In effetti la ceramica proto-corinzia largamente esportata in ambiente etrusco ed anche in Oriente, rappresenta figurazioni mitologiche e scene di vario genere talmente complesse e piene di vivacità e di problemi compositivi, da postulare prototipi di grande pittura. Le isole dell’Egeo e della Laconia, sono altri centri di profusione della ceramica interessanti. Tuttavia a partire dalle strutture politiche delle città-stato, dopo le guerre persiane, si vede la gra duale affermazione di Atene al di sopra degli altri centri greci. Il monumento che compendia in sè molte delle caratte ristiche dello “stile severo”, è il tempio di Zeus in Olimpia, sorto immediatamente dopo il 470. L’architetto Lybon mostra di conoscere e di applicare abilmente quegli accorgimenti di correzioni prospettiche (variazione di diametro e di distanza delle colonne, curvatura del basamento del tempio), che, già avvertibili nei templi arcaici, saranno le basi su cui poggerà l’armonia e la euritmia della sistemazione periclea dell’Acropoli, Le scuole di scultura sviluppano sempre maggiormente la tecnica del bronzo. Ottimi esempi sono, l’Auriga, offerto nel santuario di Delfi da Ge lone di Siracusa (475 circa); il grande bronzo raffigurante forse Posidone, ripescato in mare presso il Capo Artemisio; ed infine copie in marmo, riprese da originali famosi di quest’epoca, opere di maestri i cui nomi sono tramandati: Calamide, Hagelados, Kanachos, Onatas, Pitagora. I tipi di divinità (Afrodite, Cassandra, Apollo, Atalanta), sono caratterizzati da una grandiosa sem plicità di piani, da una espressione serena e severa dei volti, da proporzioni geometricamente perfette. Il maggiore scultore dell’epoca è Mirone, lo studio precipuo del quale è rivolto al problema di documentare il movimento istantaneo in cui esso coglie la figura per conferire vivacità e vitalità alle membra.
Nel campo della pittura sorge ora in Attica la scuola che annovererà alcuni dei suoi maggiori elementi nel corso del secolo; in questo primo periodo per opera specie di Mikon, Panainos e Polignoto, si fissano importanti principi di composizione e di spazialità. Gli architetti Ictino, Callicrate, Mnesicles ed altri elaborano nelle loro opere elementi già fissati precedentemente nell’am bito degli ordini architettonici, e inoltre introducono innovazioni e varianti
Il Partenone, eretto da Ictino e da Callicrate, sotto la sorveglianza di Fidia fra il 447 e il 435 circa, era dorico, con otto colonne in facciata e cella (chiusa da alte mura e divisa internamente in navate), in fondo alla quale si innalzava il simulacro crisoelefantino di Atena, opera di Fidia; il doppio fre gio dorico all’esterno, ionico lungo le pareti della cella e la presenza di colonne ioniche nell’ambiente posteriore del tempio, sono indizi di nuove elaborazioni di elementi tradizionali. Problemi complessi si pongono di fronte a Mesicles, architetto dell’ingresso monumentale dell’ Acropoli (Propilei), e all’artefice dell’Eretteo, problemi di dislivello del terreno, risolti con l’impiego di ordini dorico e ionico ad un tempo e con la giustapposizione di diversi edifici. Inoltre, anche la plastica trova in Fidia la sua massima espressione; dalla Parthenos allo Zeus di Olimpia,alle varie raffigurazioni di Apollo, ed altri dèi. La scuola fidiaca,la cui attività perdura fin al IV°s.a. C., comprende maestri come Alkamedes, Cresida, Callimaco.
La scuola argiva contemporanea ha il suo massimo rappresentante il Policleto, teorico e scultore. Nel suo Dorifero (l’opera chiamata ”canone” dagli antichi) si compendiano i problemi di statica e di dinamismo emotivo che sono alla base dell’indagine scultorea dei Greci. Le sbiadite copie marmoree del “canone”, dell’Amazzone, del Diadumeno e delle altre sue opere, servono a chiarire i mo tivi fondamentali della sua arte, con la quale si giunse ad un equilibrio attraverso l’impostazione ”chiastica” ch'egli dà alle figure e al netto stacco dei piani. Dato assai importante in quanto si cominciano a porre le premesse con le quali, nel secolo successivo, si baseranno gli studi tipologici ed il ritratto.
L’attività edilizia, assai ridotta in Grecia, a causa del generale impoverimento delle pòleis, si sviluppa maggiormente nei Paesi orientali con i grandi tem pli di Priene, Efeso, Sardi, Mileto, che presentano una notevole tendenza al monumentale e sono decorati da elementi architettonici e fregi scultorei assai raffinati.
Il IV°secolo è essenzialmente il secolo dei grandi scultori.Il primo in ordine di tempo è Timoteos, che decora l’Asklepieons di Epidauro ancora nella corrente fidiaca; egli mostra nei panneggi e nel movimento che imprime alle figure una ricerca di nuove vie espressive. Di Skopa, Prasssitele e Lisippo ; gli scrittori dell’antichità unificano le opere e le copie romane, numerose, anche se non tutte di buona qualità, testimonia la fama e la fortuna che essi ebbero. Del più anziano dei tre, Skopa, ci sono giunti frammenti originali di frontoni di Tegea e i fregi del Mausoleo di Alicarnasso; le sculture di Prassitele (Afrodite di Cnido, di Apollo Sau roctono, Eros, Satiri ecc.,raffigurano gli dèi in aspetto gioviale, sorridente e sereno ; i piani dei corpi sono modulati e sfuggenti, la visione della divinità e della vita sono assolutamente diverse dalla concezione severa e classica e si avvicina già al gusto dell’e lenismo. Cronologicamente anteriori a Lisippo, Leochares e Briaxis sono attivi, specie in Asia Minore. La personalità artistica di Lisippo si inquadra perfettamente nel l’ambiente culturale che si forma alla corte di Alessandro. La sua predilezione per il bronzo gli permette di curare particolarmente le sue opere, raffigurando i personaggi in uno spazio ampio e profondo, in una quarta dimensione fino a questo momento poco nota in scultura Il suo Apoxiomenos, l’Erakles, l’Ares, sono esempi del suo modo di rapresentare le divinità. Inoltre ai suoi studi tipologici si fa risalire tutto un gruppo di ritratti realistici.
Nel campo della pittura il secondo periodo classico vede formarsi diverse scuole: la tebana e l’attica (appartenenti in realtà ad un’unica scuola tebano-atti ca). Le pitture su tavole, come tutte le grandi pitture dell’antichità, erano eseguite a tempera o a encausto. Il maggior artista, Apelle, fu il ritrattista ufficiale di Alessandro ed è noto anche per gli effetti di luce e per l’indagi ne prospettica. Della scuola tebano-attica i pittori più notevoli sono: Nicomaco e Filosseno di Eretria, al quale le fonti attribuivano l’invenzione della pittura a macchia di colore. Alla morte di Alessandro, si assistè al crollo totale della pòlis, come organismo statale e religioso. Di qui tutta una com plessa problematica artistica che prende nome di ellenismo. Sempre più sensibili si avvertono gli influssi extra ellenici, che vengono a sovrapporsi alla cultura dei regni sorti in Oriente e in Occidente, in sostituzione del l’impero macedone. I centri vitali, Pergamo e Alessandria, le città della Siria, si sviluppano mantenendo nella loro pianta quelle caratteristiche di disposizione geometrica degli edifici, che nel secolo V° era stata teorizzata e messa in atto da Ippodamo da Mileto. L’architettura civile fiorisce con forme nuove, e così quella funeraria, inoltre si stabilizza un tipo di teatro e di scena che res terà poi praticamente invariato fino al l’età romana (rielaborazione dei teatri di Atene, di Epidauro ed altri, costruiti come questi, in età classica. Edificio caratteristico dell’ellenismo è la stoà (porticato). Le scuole di pittura e di scultura localizzate nei centri principali, prendono le mosse dai problemi artistici del secolo IV°, e continuano poi ad elaborare premesse, il cui sviluppo dif ferenzierà inconfondibilmente. La conquista romana del regno dei Tolomei di Egitto, segnò la fine dell’ellenismo. e di tutta la civiltà propriamente chiamata greca. Dopo questa data, quando cioè anche l’ultimo dei regni di Alessandro Magno entra nell’orbita romana, la critica archeologica inizia a parlare d’arte romana, comprendendo sotto questo termine (esatto e giustificato sul piano storico), tutte quelle manifestazioni d’arte che il mondo romano viene d’ora in poi elaborando. In un certo senso sarà quindi opportuno tener presente nello studio dell’evoluzione dell’arte romana la componente greca, il cui influsso è visibile in ogni manifestazione culturale del mondo romano. Con la spartizione dell’impero romano tra Arcadio e Onorio, dopo la morte di Teodosio (395), la Grecia divenne provincia dell’impero d’Oriente, cui seguì un periodo di decadenza, e la rapida e fortunata diffusione del cristianesimo. Il tipo di architettura architettato per le numerose chiese che sorgono in questo periodo è ancora la basilica ellenistica, nelle varie versioni, a tre navate senza transetto, o con transetto sporgente, oppure absidato, formante pianta triloba. Il mosaico, come la pittura monumentale a fresco, comunemente noti come arte bizantina, sono in realtà un’altra manifestazione del genio artistico greco, la più alta di tutto il Medio-Evo, che da essa prende luce. Bisanzio la irradiò nel suo vasto impero e oltre. Durante i secoli II°-VIII°le costruzioni di carattere religioso decadono, ma nei secoli IX°-XII°, l’arte bizantina raggiun se il suo apogeo, e il fervore religioso dà vita al maggiore centro conventuale greco, il Monte Athos.
Religione
Alla religione greca si attribuiscono due principali componenti ; una mediterranea, locale. prodotta da una civiltà agricola, dominata dal culto di una grande divinità femminile (la Terra Madre). L’altra, indoeuropea di origine nordica sorta in una civiltà di nomadi pasto ridominata dal culto di un essere superiore maschile (il Cielo-Padre ). In epoca storica la grande deità femminile è legata ai miti cosmogonici e l’essere supremo maschile celeste è diventato il dio Zeus, sovrano degli dèi. La forma della religione storica greca è quella di un politeismo (che nei suoi elementi essenziali sembra configurarsi almeno dal II°millennio a.C.),in cui né Cielo-Padre, nè Terra - Madre, potrebbero monopolizzare la realtà; questa è invece rappresentata e organizzata in una molte plicità di figure divine, raccolte e riunite in un consesso (pantheon) che dà universalità al sistema. Il consesso divino finì per esse re ristretto al numero canonico di dodici. Non tutte le tradizoni concordavano sul nome degli dei compresi nel cànone; la tradizio ne ionica (risalente almeno al IV s.a.C.), elencava i seguenti: Zeus il sovrano, Era la sua sposa. Posidone, che, qual dio del mare poteva essere collocato negli abissi marini, Apollo, Elio, Artemide, Ares, Afrodite, Atena, Ermete, Efesto (identificato dai romani col dio Vulcano), Estia. Le oscillazioni della tradizione al riguardo, si spiegano con la mancanza di una sistemazione teologica. In Grecia non vi furono mai libri tipicamente sacri, nè una classe sociale che elaborasse un ordinamento sistematico delle nozioni religiose. La rivelazione delle figure divine era lasciata per lo più ai poeti, ai quali si attribuiva sempre autorità in materia, tanto che le prime critiche filosofiche alle credenze religiose, si esercitarono proprio contro i poeti che le avevano ”inventate” e diffuse.
La fonte più abbondante è rappresentata da Omero nei suoi poemi “Iliade” ed “Odissea”. Parlano anche diffusamente delle credenze religiose anche Esiodo, gli storici, i tragici, e i filosofi. I dodici dèi organizzavano tutte le forme della realtà intesa come un cosmo, un ordine, regolato dalle immutabili leggi divine. Ma al cosmo si opponeva dialetticamente un caos, un disordine, rappresentato da alcune figure divine.Tale era Ade (fratello di Zeus, ma un anti Zeus), sovrano di quell’oltre tomba che si presentava come non realtà, in quanto antitesi di questa vita “reale”. Tale era Dioniso la cui essenza si manifestava in un “divenire” contrapposto “all’essere”; cosmo è staticità e stabilità nella misura in cui mutabilità e dinamicità sono fattori del caos.Tali erano le divinità minori (satiri, ninfe, ecc.) che abitavano lo spazio ritenuto caotico (boschi, selve, montagne, ecc.),rispetto all’ordinato mondo degli uomini. La qualificazione negativa del caotico poteva anche mutarsi in positiva, quando venivano messi in crisi i valori ”cosmici”. Ciò accadeva normalmente in azioni rituali, che in determinate occasioni, miravano ad una temporanea sospensione dell’ordine, per poterlo poi restaurare solennemente e quindi ribadirlo e affermarlo nei suoi elementi essenziali. La funzione rituale offrì talvolta le proprie forme anche per la realizzazione di permanenti rovesciamenti di valori, che diedero vita ad espressioni religiose del tutto nuove; in tali casi la crisi era dovuta in parte a cause storiche contingenti (rivolgimenti politici ecc.) e in parte a motivi inerenti alla stessa condizione umana. L’uomo trovava nel sistema politeistico una garanzia alla sua presenza in un mondo ordinato nel quale a ciascuno spettava il suo, e chi superava i propri limiti incorreva nel peccato di "hybris" superbia, tracotanza, prepotenza ; il peccato per antonomasia presso i Greci). Il sistema che dava da una lato la certezza di vivere civilmente; dall’altro condannava alla infelice condizione di “mortali” nettamente distinta dalla felice condizione degli dèi “immortali”. Per evadere da questo sistema si doveva rinunciare ad esso ed a tutti i vantaggi che offriva, per rifugiarsi all’antisistema mediante il culto delle divinità ”caotiche” ; Persefone, per esempio, sposa di Ade, è regina dell’anti-mondo (l’oltretomba), come pure Dioniso signore della“trasformazione”, attorno al quale si accentrò la maggior parte delle esperienze mistiche greche. I misteri di Eleusi. dedicati a Demetra e Persefone, promettevano agli iniziati una felicità terrena e una beata sopravvivenza alla morte. Altri misteri sorsero sul modello degli eleusini, e prosperarono soprattutto in epoca ellenistico-romana.
Movimenti mistici, tra cui l’importante movimento orfico (da Orfeo), proclamavano nel nome di Dioniso il liberatore, la divinità e l’immortalità dell’uomo superando programmaticamente tutte le barriere della concezione politeistica e istituendo norme di vita tendenti al raggiungimento di una particolare santità. Son queste le più note espressioni del misticismo greco, ma in realtà. numerosi culti locali, in santuari che in qualche modo venivano opposti alla pòlis, quasi oasi mistiche nel vigente ordine poltico-sociale, offrivano ai devoti pellegrini una specie di rinnegamento del sistema a vantaggio della adorazione esclusiva di una divinità che si presentasse come una potenza assoluta adatta a risolvere ogni situazione critica. Un’altra via per sfuggire in parte alle ristrettezze, erano offerte dalla concezione del l’eroe, una tipica elaborazione greca di un retaggio pre-politeistico costituito essenzialmen te nel culto degli antenati e dalla nozionomitica di un eroe culturale. L’eroe greco si presentava come un personaggio mitico, d’origine umana (almeno in parte) che, grazie alle sue imprese, finiva per trovare proprio attraverspo la morte, ossia il marchio stesso della condizione umana, una condizione chiaramente sovrumana qualificata da nuovi poteri (divinatori, guaritori, salvifici, ecc,), ai quali si faceva ricorso mediante un regolare culto.
Sia nel mito che nel culto (per lo più di carattere funerario), l’eroe era ben distinto dalla divinità. E ciò non toglie che per alcuni di essi, tra cui Eracle, l’eroe per antonomasia, sia stata concepita una sorte divina, immaginando un accoglimento nel consesso divino - (apoteosi). Nella sua forma esteriore il culto dell’eroe si adatta nel suo significato più profondo e dà concretezza al tentativo di trovare una via per il superamento del sistema stesso, con la rottura, sia pure eccezionale, della barriera tra uomo e dio. Del resto, senza giungere all’apoteosi, la semplice eroesizzazione come superamento della condizione umana, era una possibilità offerta anche a personaggi storici, il cui comportamento in vita parve ricalcare quello degli eroi mitici; guerrieri, agonisti, poeti, ecc; costoro, una volta morti, ebbero un regolare culto eroico.
Anche in Grecia, come nelle altre civiltà arcaiche, l’uomo era religiosamente impegnato soprattutto nell’esplicazione del culto. Questo, si svolgeva su diversi piani, riducibili essenzialmente, ma non rigidamente all’individuale, al gentilizio, al civico. Al piano individuale, oltre che le esperienze mistiche sopra accennate, vanno ascritti i riti vari concernenti la singola persona (riti di nascita di adolescenza, nuziali, funerari ecc.). Sul piano più propriamente gentilizio si svolgevano i culti domestici, degli eroi antenati, dei morti familiari,ecc.; un complesso anteriore al costituirsi della città - stato e variamente adattato al culto della pòlis. Sul piano civi co il culto era indirizzato a realizzare da un punto di vista religioso, l’esistenza e la coesione dello stato. Qui si manifestava in piena funzionalità il sistema politeistico, facendo della città un piccolo mondo (microcosmo), modellato sul macrocosmo retto dagli dèi. La forma più usuale del culto era il sacrificio (offerte primiziali), pasto sacrificale, in cui una parte della vittima era destinata agli dèi e il resto consumato dai partecipanti alla cerimonia sacrificale e olocausto, in cui la vittima veniva interamente bruciata.
Ognuno poteva sacrificare, era la particolare posizione nella famiglia o nella società che gli conferiva il diritto - dovere di compiere il rito sacrificale. Il sacerdote era per lo più un tecnico dell’azione rituale, un custode del luogo sacro, dove tale azione veniva compiuta. Non vi era una gerarchia sacerdotale, e la distinzione tra i vari sacerdoti era puramente funzionale; anche le donne erano ammesse al sacerdozio, che poteva essere elettivo o ereditario. Certi sacerdoti avevano la funzione di indovini, sia sul piano pubblico che privato.
La
divinazione era una tecnica sacra necessaria per conoscere ciò che
doveva essere fatto nelle più svariate circostanze, per adeguarsi
all’ordine degli dèi. Una crisi occasionale poteva richiedere la
conoscenza della divinità a cui si doveva far ricorso ; ma anche
abitualmente nell’esercizio del culto normale, si doveva sapere se
tutto era ben accetto agli dèi interessati, per espiare con riti
sussidiari eventuali mancanze. Varie erano le specie di indovini, che
andavano dal girovago guaritore - purificatore, sino agli indovini di
Stato, o ai sacerdoti addetti al culto oracolare di un
santuario.Varia era l’importanza e la funzione dei santuari; vi erano quelli a cui si ricorreva soprattutto per le guarigioni, ed altri
invece, che rispondevano a questo nuovo ordine politico (alleanze,
cambiamenti istituzionali, fondazioni di città, ecc.), a questi si
inviavano deputazioni ufficiali da parte delle città interessate Tra
questi ultimi vanno ricordati, per la loro azione panellenica il
santuario di Dodona e quello di Delfi. Quest’ultimo esercitò con i
suoi responsi un grandissimo influsso nella costituzione di una
religione comune a tutta la nazione.
Il
cristianesimo fu portato in Grecia dall’Apostolo Paolo e,
presto sviluppatosi, gradualmente occupò tutta la Grecia.
LINGUA
La
decifrazione delle tavolette micenee in “Lineare B” (Michael
Ventris 1952), ha esteso la documentazione scritta del greco fino al
1400 a.C. Lasciando da parte le tavolette micenee, nell’età in cui
appaiono i primi testi epigrafici (VII°s.a.C.); praticamente ogni
città Greca aveva il suo dialetto. Le differenze non erano tali da
impedirne l’intercomprensione, ma neppure così insignificanti da
considerare per quest’età e per i secoli a venire di unicità
della lingua. I dialetti possono così essere suddivisi in:
- - Ionico – attico;
- – Arcadico
- – Eolico
- – Dorico
(di gran lungo il meglio conosciuto stanti i numerosi testi epigrafici e letterari), parlato in Attica, Eubea, nelle Cicladi tranne che in Melo, Tera, Cos e Rodi, sulla costa dell’Asia Minore da Alicarnasso a Smirne, nelle colonie ioniche, nella Penisola Calcidica, nelle regioni degli stretti, nella Magna Grecia, ecc.
cipriota conosciuto assai imperfettamente per mezzo di epigrafi e di qualche glossario.
comprendente l’eolico d’Asia (dialetto di Lesbo), il tessalico e il beotico.
parlato a Corinto, nell’Argolide, in Laconia, Messenia, e fuori della Grecia continentale in alcune delle Cicladi (Melo Tera. Cos, Rodi), a Creta, sulle coste dell’Asia Minore, a Cirene sulla costa africana, a Corcirea nel Mar Ionio e in Italia a Sibari, Crotone, Metaponto, Siracusa, Megara, Iblea. Selinunte, Gela, Agrigento, nella Focide, Locride, Arconania e nell’Epiro. Con il superamento della frammentazione politica ad opera di Filippo il Macedone e del figlio Alessandro, si ebbe quella della frammen tazione dialettale. La formazione di una lingua comune (koinè), priva di caratteristiche locali, si impose in modo particolare quando con Alerssandro e i suoi successori, la civiltà greca valicò i confini tradizionali, trovando i suoi centri più celebrati in Antiochia, Alessandria, Pergamo, eccetera. Tale lingua comune basata essenzialmente sull’attico, non ripetendone le caratteristiche specifiche, ebbe larga diffusione. La situazione della linguistica greca moderna è la seguente: accanto a una lingua parlata esiste una lingua letteraria, la così detta “kathareùousa” che, pur accettando la sparizione di molte delle categorie grammaticali proprie della lingua antica (futuro,perfetto, ecc,), è, nel complesso, nettamente arcaicizzante e pertanto lontana dalla lingua parlata. Per lo straniero, la vicinanza della lingua moderna all’antica, è sottolineata dall’ortografia che non si è evoluta con l’evolversi del fonetismo.
Letteratura classica
Nella letteratura greca si possono distinguere i seguenti periodi: delle origini o miceneo dal principio del secondo millennio ai se coli X°-IX°a,C., periodo ionico arcaico,(secoli IX°-VIII°a.C.); periodo jonico recente (dal principio del secolo VII° al principio del secolo V° a.C.); periodo attico (dal principio del V°alla fine del IV°s.a.C.); periodo alessandrino (dal principio del secolo III alla prima metà del I°s.a.C): periodo greco-romano (dalla seconda metà del I s.a.C.,al 529 d,C.). Il periodo ionico e il periodo attico costituiscono la cosiddetta età classica; il periodo alessandrino e quello greco-romano costituiscono l’età ellenistica.
Il 529 (chiusura della scuola neoplatonica di Atene), segna la fine della letteratura greca antica, e l’inizio di quella bizantina.
I documenti dell’età micenea finora decifrati, rivestono un’importanza molto scarsa e nulla sappiamo dei mitici cantori Orfeo e Museo. La storia della letteratura greca si apre per noi con l’Iliade e l’Odissea che la tradizione antica attribuisce quasi esclusiva mente ad Omero. Nelle creazioni del mito, l’uomo greco dell’età arcaica, scopre lo spettacolo del cosmo, poi il valore imprescin dibile dell’io, infine il conflitto tra l’io e il cosmo, si che vediamo maturarsi nel suo spirito tre momenti distinti ma coerenti, cias cuno dei quali trovò espressione in diverse forme d’arte; l’epica nei secoli IX°-VIII°, la lirica nei secoli VII°-VI° e il teatro nel secolo V°. Nell’Iliade, in Achille giovinetto, l’ala della morte si libra di continuo, insinuando in ogni gesto dell’eroe, anche nel più crudele, una punta di disperata malinconia; tuttavia Achille accetta il suo destino con rassegnata fermezza, perché, pur essendo un mortale, ha scelto liberamente di essere un dio.
Nell’Odissea invece, Ulisse guadagna il suo Olimpo a prezzo di un esilio ventennale, che lo porta a sperimentare dolorosamente tutto quanto un uomo può soffrire nell’acquisizione di una coscienza sempre più profonda. Quando Ulisse è disperato o prossimo ad essere ghermito dalla morte, sempre viene a consolarlo o a salvarlo il sorriso della dèa Atena.
Il riconoscimento del dolore come tributo che la stirpe umana deve pagare inesorabilmente per assimilare la propria vita a quella degli dèi, nell’ordine perfetto del cosmo, apre nello spirito dell’uomo greco dell’età arcaica, il conflitto tra il bene e il male. Di qui l’insorgere dell’idea di giustizia che informa le “Opere” di Esiodo, elette assieme con i poemi omerici a fondamento di tutta l’etica pre-socratica, variamente sviluppata in senso eroico e politico nelle elegie di Callino, di Tirteo, e di Solone, in senso squisitamente morale in Teògnide e in Focilide. Nel consenso e nel contrasto con l’ordine cosmico, l’uomo greco dell’età arcaica attinge coscienza del valore dei suoi gesti e scopre in sé un impulso nuovo. a penetrarlo avidamente nel tentativo di comprendere il mondo, di ridurlo ai propri sentimenti, insomma di interiorizzarlo. Con i grandi poeti lirici del V°e VI°secolo a.C., i rapporti tra uomo e cosmo si trasferirono per intiero nello spirito dell’uomo. Archiloco nel secolo VII°. si sorprende ancora fulminato dalla potenza arcana di Dioniso, e Saffo disperata, nel secolo VI° può ancora confidarsi con femmineo candore all’immortale Afrodite. Ma l’impeto appassionato di Archiloco, come il canto arioso di Alcmane, o l’impeto rabbioso di Alceo o la malinconia di Mimnermo o il languore di Saffo, non bastano più a guadagnare all’uomo l’Olimpo. La deità è oramai trasferita nei sentimenti del poeta. Di qui traggono anche origine l’indagine naturalistica dei primi filosofi ionici; Talete, Anassimene, Anassimandro, volta alla ricerca d’un ”principio” unico del cosmo, e gli interessi storici, geografici, ed etnografici dei più antichi logografi. Nell’imponente processo che tra la fine del VI°,al principio del V°s.a.C., porta lo spirito dell’uomo greco dall’età arcaica ad una nuova e più profonda maturazione, la poesia di Pindaro rappresenta lo splendido fallimento dell’aristocratico tentativo di richiamare l’uomo ai valori della religiosità arcaica. Ma già un dio, Dioniso, è pronto a liberare nuove forze spirituali dall’abisso degli istinti, nell’esplosione della musica, del canto e della danza. La coscienza sempre più profonda del dolore e della morte, fa sì che.al principio del V°s., la debolezza dell’uomo fronteggi apertamente, anche se rispettosamente, nella tragedia, la potenza degli dèi. Nell’impari lotta, la sconfitta dell’uomo è scontata in partenza e, soltanto il riso aperto della commedia, può invertire le sorti. Contemplando sulla scena la rappresentazione delle gesta più nobili e dei più ignobili delitti, l’uomo libera i suoi istinti nella dolcezza del pianto e nella misura dell’arte e in virtù della ”catarsi”guadagna nuovamente una vita di esemplare eroismo.
In Eschilo non manca pure un’insegnamento etico e religioso, mentre in Sofocle resta la fede nella giustizia divina, ma il rapporto tra l’uomo e il dio è interpretato in modo completamente diverso. Al pessimismo sofocleo, fa riscontro quello di Erodoto, sospeso tra il candore della favola e l’angosciata contemplazione di città e di imperi divenuti potenti a prezzo di sangue e sogni smisurati, e poi d’improvviso annichiliti, quasi ad opera di un’insensata invidia celeste. Finalmente, verso la fine del secolo V° l’uomo greco si abbandona ad un’incondizionata spregiudicatezza speculativa, che, preparata da robusti pensatori come Eraclito e Anassagora, con i sofisti, lo spinge a sottoporre a critica serrata tutti i valori tradizionali, proclamando i supremi diritti della ragione, anche di fronte all’infinita potenza degli dèi. L’orgoglio dell’uomo nuovo, protagonista del suo pensiero e innalzato dalla sofistica a sola misura di tutte le cose, si impenna già nella dialettica degli infelici personaggi di Euripide di continuo oscillante tra le seduzioni di un esasperato razionalismo e richiami alla religiosità tradizionale onnipotenza degli dèi, Euripide immerge l’uomo in una dimensione sentimentale nuova. Come Euripide, figlio della sofistica fu Tucidite, per il quale soltanto l’intelligenza umana, e non la volontà degli dèi, guida le azioni degli uomini, dirette unicamente all’utile. Tutta la storia quindi si risolve nella politica, e questa, non di rado impone al singolo scelte morali crudeli ma pienamente legittime. L’opera disincantata di Tucidite, è il frutto più alto e appassionato dell’illuminismo sofistico. Ma, al principio del secolo IV°, bandita la condotta esemplare degli dèi e degli eroi del mito, come unica misura del suo comportamento morale, l’uomo si sente chiamato ad eleggerne un’altra, operando una nuova scelta; se il bene non risiede più negli dèi, allora deve necessariamente risiedere nello spirito dell’uomo. Con la scelta fatale del carcere, Socrate, seppellisce per sempre l’etica greca arcaica e getta il primo fondamento di quella morale, che vige in occidente anc’or oggi, sia pur arricchita, perfezionata e sistemata dall’’esperienza ascetica cristiana, per il tramite inevitabile dello stoicismo e dell’epicureismo. La morale arcaica affermava semplicemente che è meglio per l’uomo fare il bene che il male e che bisogna ricambiare male con male; Socrate invece proclama che è meglio per l’uomo ricevere il male piuttosto che farlo, perché il male è della carne e di questa terra e solo il bene è veramente celeste. Alla rivoluzionaria affermazione socratica, Platone e Aristotele forniscono nel secolo IV° gli strumenti concettuali. Nei suoi dialoghi manifesta eredità del metodo dialettico della sofistica e delle forme proprie del teatro, Platone condanna l’uomo o a rinunziare al divino o ad accettare un’incondizionata mutilazione di tutto ciò che è più umano, il corpo e le passioni considerati come le radici d’ogni male e male in se stessi. Di qui il dualismo irriducibile, di spirito e materia, temperato da Aristotele con la scoperta della perfettibilità umana e con l’indicazione di una via di progresso verso la virtù. L’identificazionwe di questa, con la felicità, sarà l’impegno delle scuole fondate nel III°s.da Epicureo e da Zenone, con le quali la filosofia cessa d’essere speculazione fisica e metafisica. Nel secolo IV°e più ancora nell’età ellenistica, la stessa democrazia, perduta la spinta iniziale imperialistica, si esaurisce negli sterili contrasti delle fazioni che favoriscono il dilagare della potenza macedone. Nel divampare di queste lotte, alla fine del secolo V°, era fiorito ad Atene un genere nuovo, l’oratoria, nata dall’esigenza dell’affermazione personale.e raffinata dall’amore per la parola insegnato dai sofisti. A questo genere, ben presto distintosi in politico, giudiziario ed epidittico, sono legati i nomi di Lisia, e di Isocrate, ma soprattutto quello di Demostene. Divenuto il pensiero attività esclusiva dei filosofi, i poeti del secolo VI°, tragici e comici, si volgono alla ricerca di forme più consone allo spirito dell’uomo nuovo. Di qui il tramonto definitivo di ogni spirito dionisiaco, anche se è ancora mitico il contenuto. Dal teatro sparisce il coro, e i diversi generi – tragedia – commedia e dramma satiresco – sono prossimi a confondersi.
I
poeti della “commedia di mezzo” non miramo più a far ridere, ma
al massimo, di far sorridere. Perdutosi per sempre il senso arcaico
della gioia, si smorza anche la drammaticità del dolore, onde i
tragici del secolo IV° appaiono tesi alla ricerca di effetti
patetici, di leggiadrie descrittive, di abili bizzarrie. Il sogno
imperiale di Alessandro Magno nasce dalla lettura di Omero filtrata
dall’insegnamento di Aristotele, è dunque un portato culturale, e
l’età alessandrina o ellenismo è essenzialmente un’età di
cultura, piuttosto che di un genuino slancio creativo. La conquista
di Alessandro fà della civiltà Greca patrimonio comune di tutto il
mondo antico. All’inizio del III° secolo, la Grecia rivive ad
Alessandria, ad Antiochia, a Pergamo, a Pella e le grandi opere del
passato sono amorevolmente ricostruite, studiate ed imitate dai dotti
nelle grandi biblioteche istituite dai diadochi più illuminati.
L’uomo greco è ormai aperto agli scambi più larghi con i popoli
che appena un secolo prima considerava “barbari”. Anche l’uomo
ellenistico è individualista; ma il suo individualismo non si
esplica più nella politica, che è tutta nelle mani dei sovrani, e
neppure nella partecipazione attiva alle manifestazioni del l’arte,
riservate alle aristocratiche mediazioni dei dotti. I suoi più vivi
interessi vanno verso la norma che deve regolare la sua vita etica e
sociale, di cui epicureismo e stoicismo forniscono una casistica
sempre più ricca.
Al
principio del secolo III°.la giovane Alessandria si sostituisce ad
Atene. Alla corte. dei Tolomei convergono i più celebri poeti;
Teocrito, Callimaco, Apollonio Rodio, oltre che drammatici e
scienziati famosi. La poesia si impone per la prima volta un’estetica
codificata attraverso la polemica tra Apollonio Rodio e Callimaco.
Gli antichi generi rivivono in imitazioni artificiose la cui validità
si affida tutto sulla brevità, alla preziosità studiata della
forza-alla dotta rarità del contenuto. Di qui la predilezione per
l’epigramma, la riesumazione di generi popolari dimenticati, come
il mimo, soprattutto ad opera di Teocrito, e in generale la ricerca
di forme che non esigono robustezza e lunga continuità
d’ìspirazione. mentre si prestano al virtuosismo. La poesia
epigrammatica che si compendia nelle antologie ”Palatina” e
“Paludea”, conta poeti autentici in Asclepiade, Leonida,
Meleagro, Filodemo,e assai pià tardi Paolo Silenziario, ma è votata
all’aridità delle sue stesse premesse estetiche. L’epica muore
precoce mente; fallito il tentativo di rinverdirne le fortune,
operato da Apollonio Rodio, essa ritrova solo assai tardi con Nonno,
un guiz zo di vitalità. Già all’inizio dell’era volgare, la
poesia appare completamente sopraffatta dalla prosa. La conquista
romana tra il II° e il I°s.a.C., aveva riacceso gli interessi per
la storia, e Polibio aveva tentato di ripetere il miracolo tuciditeo.
Più tardi, in pie na età imperiale, in Plutardo e in Luciano si
ritrovano gli esponenti più significativi della nuova cultura,
proiettata in senso assolu tamente moralistico, destinata ad
appiattirsi sempre più nelle vuote esercitazioni dei nuovi sofisti.
Romanzieri come Longo, Sofis ta, pensatori come Epitteto,
Marc’Aurelio e Giuliano l’Apostata, meritano certo un ricordo, ma
come frutti tardivi d’una tradizio ne gloriosa e oramai moritura.
L’incontro della religione orientale predicata da Gesù e da Paolo,
con la lingua comune della civil tàn, fu un fatto di enorme portata
storica, che valse ad assicurare l’ecumenicità al cristianesimo e
in pari tempo, al greco,una lunga continuità di strumento
espressivo.
MUSICA ANTICA.
Nella vita pubblica e privata dell’antica Grecia, la musica aveva un
ruolo importante, tanto che nella“polis”lo studio del canto,
della cetra e della danza, era stabilito per legge, e faceva parte
dell’educazione di ogni cittadino. I grandi poeti e i grandi
tragici erano essi stessi autori delle musiche che accompagnavano le
composizioni letterarie Le grandi linee che orientano lo sviluppo
della musica, sono quelle delle scuole di Pitagora e di Aristosseno ;
la prima, rivolta soprattutto verso interessi speculativi portati nel
campo dell’acustica, ricerca e sistemazione dei rapportri
matematici fra i suoni ; la seconda, interessata all’aspetto
“meccani co”dell’esperienza musicale, e cioè alle questioni
pratiche connesse con la produzione della musica. Scarsi sono i
documenti musicali, tra i quali figurano alcuni inni ad Apollo, a
Calliope e ad altre divinità. Un frammento corale attribuito ad
Euripide, la prima strofa della prima “Ode Pitica” di Pindaro.
Più numerosi sono invece i trattati sulla musica di Aristosseno,
Alippio ecc., che, in aggiunta alle pagine di Aristotele, di Platone,
e di Plutarco, hanno consentito di ricostruire abbastanza
compiutamente il quadro della straordinaria ricchezza di interessi
musicali manifestata dall’antica civiltà greca.
ARTEMIDE
DIANA
Dèa greca, nella quale si possono riconoscere i tratti di un’antica divinità del mondo Mediterraneo; dèa sovrana, signora delle selve e degli animali selvatici. Tale signoria le è rimasta anche quando i Greci l’hanno annoverata tra le divinità olimpiche sottoposte alla sovranità di Zeus (Olimpia prole), era donna mortale che guidava le vergini oceanine nei balli e si dilettava della caccia nella parrasia pendice. (colli dell'Arcadia) E diventata allora figlia di Zeus e di Latona (progenie celeste) e, ossia sorella di Apollo. Questi rapporti di parentela non erano fantastiche invenzioni, ma avevano un loro preciso significato. Perciò per comprendere Artèmide, bisogna metterla in rapporto con Apollo, come avevano fatto i Greci. Entrambi armati d’arco cidonio (fabbricato a Cidone città deoll'isola di Creta, reputati ottimi) e frecce, punivano i peccatori o i trasgressori dell’ordine; mentre Apollo sembrava piuttosto vegliare sugli ordinamenti della città, la competenza di Artemide era limitata alle selve. Per esempio in un celebre mito si diceva che Artèmide aveva punito con la morte il cacciatore Orione, perché uccideva troppi animali, più di quanti avrebbe potuto mangiare. Entrambi proteggevano gli indovini; Apollo i profeti, o addirittura i poeti, mentre per Artemide si trattava piuttosto di maghi o stregoni(anzi di solito maghe e streghe). Così come il profeta è luminoso perché protetto da un dio, il mago è tenebroso perché segreta è la sua magia avvolta dalle tenebre notturne; così l’uno era identificato con il sole e l’altra con la luna. Artèmide era una regina della notte oltre che delle selve. Per gli antichi selva e notte si equivalevano sotto un certo aspetto; per loro la selva stava alla città come la notte stà al giorno. E selva e notte ricordavano agli antichi anche il tenebroso mondo dei morti (l’eliso soglio - trono dei Campi Elisi), sì che Artèmide, prendeva talvolta l’aspetto di una divinità infera. E il mondo poi l'adorò nelle tre forme di dèa reggitrice dell'inferno (moglie di Plutone), adorata col nome di Proserpina; di protettrice della caccia e dei monti; Artemide, di guidatrice del carro lunare in cielo; Selene. Era d’altra parte anche protettrice delle nascite, senza che ci fosse contraddizione : chi nasce, si dice che”viene alla luce”e quindi viene dalle tenebre o, come credevano gli antichi, dal regno di Artèmide.
- L'Ariosto, O. Furioso XVIII 184:
-
O
santa Dea, che dagli antiqui nostri
debitamente sei detta triforme;
ch'in cielo, in terra e nell'inferno mostri
l'alta bellezza tua sotto più forme,
e ne le selve, di fiere e di mostri
vai cacciatrice seguitando l'orme...
Era anche venerata in parecchi culti in cui si passava dall’adolescenza all’età adulta; questo passaggio era un po’sentito come una nascita, quasi una seconda nascita, però qui non si trattava di venire alla luce ma di entrare a far parte della vita pubblica, ossia di entrare nella città, come se prima si fasse vissuto nella selva, e qui tornano città e selva in un rapporto simile a quello di luce e tenebra. Un’ultimpo raffronto: men tre Apollo si dilettava di poesia, divertimento il più nobile nella vita cittadina, lei, la vergine Artèmide si dilettava di caccia; il diver timento per eccellenza della vita silvestre. L’immagine più comune della dèa, era quella di una bella cacciatrice, a capo di uno stu olo di ninfe boscherecce con accanto una cerva, l’animale a lei caro. I Romani identificarono la dèa Artemide con la loro Diana.
ARUSPICI
Sacerdoti, indovini etruschi. La loro arte chiamata aruspicina, era raccolta in alcuni libri antichissimi, andati perduti, in cui si trattava, tra l’altro, del modo di interpretare le visceri delle vittime sacrificate (extispicium), e il modo di interpretare ed espiare la caduta di un fulmine. L’aruspicina si diffuse anche nell’antica Roma, dov’era richiesta l’opera degli aruspici soprattutto per l’esame delle viscere degli animali sacrificati.
ARVALI
Più propriamente, fratelli Arvali, erano i componenti di un sodalizio sacerdotale dell’antica Roma. Il loro nome deriva da arva (campi) ed al culto dei campi erano sostanzialmente ispirate le loro prestazioni religiose. In numero di dodici, come i mitici fondatori del sacerdozio, i figli di Acca Larenzia. Ogni anno verso la fine di maggio compivano cerimonie della durata di tre giorni, parte in Roma e parte in un bosco sacro a circa sette o otto Km. dalla città, sulla via Campana. Usavano registrare la cronaca delle cerimonie in atti incisi sulla pietra Alcuni sono stati rinvenuti durante scavi archeologici, e da essi si rileva che facevano offerte alla dèa Diana, sacrificavano, eseguivano giochi rituali, bancheggiavano, con processioni e danze. E’rimasto anche un loro canto di danza, in un latino molto antico, quasi incomprensibile, dove vi sono invocazioni a Marte, ai Lari e a certi misteriosi Semèni.
AS-BA
ASCANIO
(IULO)
Figlio di Enea. Venuto col padre in Italia, fondò Albalonga; mitico progenitore della gente Giulia cui appartennero Cesare ed Augusto.
ASCLEDIADE
Poeta greco di età alessandrina. Nato a Samo e vissuto verso la fine del IV°s.a.C. Più anziano di Teocrito, fu venerato da lui come maestro. I quarantacinque epigrammi conservati nell’antologia Palatina, lo rivelano il genio dell’epigramma ellenistico. Nei suoi versi, accenti di disperazione e di ansia febbrile, si intrecciano con effetti, ora di nitida evidenza, ora di sconcertante densità. Una nota dominante della vita intesa come godimento e la consapevolezza della vanità del piacere. “Beviamo, tra poco dormiremo una lunga notte”.
ASCLEPIO
- Esculapio
Divinità
greca donatrice di salute. I fedeli si recavano nella città di
Epidauro nel Peloponneso sul golfo Sarònico(centro prima del dio
Maleatas)in pellegrinaggio al santuario, per ottenere la guarigione
dalle loro malattie. L’attività del santuario si prolungò anche
in età romana fino al III°s.d.C. Importante tempio *periptero,
dorico, esastile, sul frontone occidentale del quale è raffigura ta
l’Amazzonomachia, cioè la lotta fra le Amazzoni e i Centauri. Eroe
greco, celebrato come medico e a volte, specialmente in epoche più
recenti, considerato il dio della medicina. Era onorato nei celebri
templi di Epidauro, come detto (forse il luogo originario del
culto), di Atene e di Cos. Quivi si recavano i malati dormendo sulla
terra nuda (incubazione), e appariva loro in sogno, indicando il
rimedio per guarire. Era considerato figlio di Apollo o di Ermete e
della ninfa Coronide e il suo attributo costante era il serpente.Il
suo culto si diffuse presto ovunque; i suoi santuari erano chiamati
Asclepiei, ed erano generalmente ubicati su alture e in luoghi
salubri. Avevano al centro una fonte, considerata luogo sacro, ed
erano contornati da porticati, dove si riparavano gli infermi ed i
pellegrini. I sacerdoti erano per lo più medici che curavano con
metodi empirici, ma anche con interventi chirurgici.
(vedi ESCULAPIO)
ASIA MINORE
o ANATOLIA
La più occidentale delle penisole asiatiche, fra il Mar Nero, il mar di Marmora, l’Egeo, il Mediterraneo Orientale e l’acrocoro (altopiano cinto da montagne) armeno. E’un vasto altipiano (800-1200 mt.) limitato dai Monti Eusini e le catene del Tauro e dell’Antitauro, bagnato dai fiuimi Kizi Irmak, Yesil Irmak e Sangario. Ha clima continentale e mediterraneo sulle coste. I porti sono: Smirne sull’Egeo, Samsum e Trebisonda sul Mar Nero. Zona di colonizzazione greca,VI°s.a.C.: nel 333 a.C., conquistata da Alessandro Magno, e dal 133 a.C., provincia romana Dal-XV°secolo appartiene alla Turchia di cui oggi è la parte essenziale, c/ca 740.000 Kmq.
ASPLEDONE
Da Strabone Libro IX: alcuni chiamano Aspledone, tolta la lettera - Spledone - e dappoi mutato il nome, chiamarono la città e il territorio Eudielo, che cioè, gode di bel crepuscolo. Omero nel Catalogo la nomina, semplicemente come una delle città che spedirono guerrieri a Troia.
ASSARACO
Discendente
di Dàrdano.
Nella mitologia greca, Assarco o Assaraco era il nome di uno dei figli di Troo o Tros e Calliroe
Tros, il leggendario fondatore di Troia, ebbe un figlio, Assaraco (o Assarco), che prese il suo posto sul trono di Troia, al comando di tutti i Dardani. Per via della sua discendenza, i Romani vennero chiamati anche domus Assaraci.
Fu re di Troia, ed ebbe come moglie Ieromnene, che diede vita a Capi o Capys, padre di Anchise, il quale generò Enea.
Assarco ebbe due fratelli: Ilo il giovane e Ganimede dalla famosa bellezza, nonché una sorella, Cleopatra la giovane.
Tuttavia, secondo un'altra tradizione, Ganimede non era fratello di Assarco, bensì suo figlio, che egli avrebbe generato con Ieromnene.
(da wikipedia)
ASTARTE
Astarte (in greco antico: Αστάρτη, Astártē) fu una dea venerata nell'area semitica nord-occidentale. Un'altra translitterazione è ‘Ashtart; nella lingua ebraica biblica il nome è עשתרת (traslitterato Ashtoreth), in ugaritico ‘ṯtrt (anche ‘Aṯtart o ‘Athtart, traslitterato Atirat), e in accadico As-tar-tu.
Astarte era la Grande Madre fenicia e cananea, sposa di Adone, legata alla fertilità, alla fecondità ed alla guerra e connessa con l'Ištar babilonese. I maggiori centri di culto furono Sidone, Tiro e Biblo. Era venerata anche a Malta, a Tharros in Sardegna, ed Erice in Sicilia, dove venne identificata con Venere Ericina. Sempre in Sicilia, il nome Mistretta, un paese sui Nebrodi, deriva dal fenicio AM-ASHTART, ossia città di Astarte.
Astarte entrò a far parte dalla XVIII dinastia egizia anche del pantheon egizio, dove venne identificata con Iside, Sekhmet ed Hathor. In epoca ellenistica fu accomunata alla dea greca Afrodite (Venere per i Romani), come Urania e Cipride (da Cipro, uno dei maggiori centri di culto di Astarte) e alla dea siriaca Atargartis (Syria per i Romani).
Suoi simboli erano il leone, il cavallo, la sfinge e la colomba. Nelle raffigurazioni compare spesso nuda ed in quelle egiziane con ampie corna ricurve, sull'esempio di Hathor. Il nome Astarte o Ashtoret compare spesso nell'Antico Testamento. La differenza di pronuncia nell'ebraico biblico (‘Aštōret invece di ‘Ašteret) deriverebbe dalla sostituzione delle vocali del nome della divinità fenicia con quelle del termine bōshet ("vergogna").[senza fonte] A volte, come in Giudici 10, 6, si incontra la forma plurale ‘Aštērōt, termine indicante probabilmente divinità femminili di origine straniera, come i "Ba‘alim" per Baal.
ASTIANATTE
Figlio di Ettore e di Andromaca, che Ulisse uccise gettandolo dalle mura di Troia.Il nome Astianatte significa letteralmente "signore della rocca".
ASTREA
- ASTREA Epiteto di Dike,
- -Astrea - La costellazione della Vergine,
- Astronomia: Astrea pianetino
dèa della giustizia; figlia di Temi e di Zeus, al cui fianco ella siede. Anche dèa del castigo e, come tale, divinità degli inferi.
"Bilancia
d’Astrea" stà per la Giustizia
(vedi DIKE)
così detta, secondo i miti, che pongono che essa, figlia di Astreo, avendo per amor di giustizia parteggiato per Giove contro il padre nella guerra dei Titani, fosse assunta in cielo e locata presso lo Zodiaco.
scoperto da K. Hencke nel 1845, il quinto osservato in ordine di tempo. Largo 120 km, compie il periodo di rotazione assiale in 16 h 50 m.
– Questa costellazione sorge da marzo a luglio fra le otto e le
nove della sera
Confronto tra le dimensioni di Astrea (a sinistra) e di Cerere.
ASTREO
(dal greco Αστραιος, "stellato") è un titano, figlio di Crio ed Euribia, padre
di Borea.
Da lui e dalla moglie Eos (l'aurora) nacquero i quattro venti: Zefiro, il vento dell'ovest, Borea il vento del nord, Noto il vento del sud, Euro il vento dell'est; più Apeliote, anch'esso vento dell'est e le stelle tra le quali la più celebre era Eosforo. Viene nominato nelle Dionisiache di Nonno di Panopoli come dio delle profezie e degli oroscopi, dal quale si reca Demetra per conoscere il destino della figlia Persefone.
ATALANTA
Eroina greca, il cui mito svolgeva in due versioni; il noto tema della fanciulla che ha in odio le nozze, ma finisce per essere con quistata contro la sua volontà. La versione più nota racconta che Atalanta, costretta al matrimonio dal padre, il re Scheneo, acconsentì, a patto che divenisse suo marito colui che l’avesse vinta in una gara di corsa che aveva per posta la sua mano, o la morte. Ella era invincibile nella corsa e parecchi pretendenti sconfitti furono uccisi, finchè l’eroe Ippòmene riuscì a vincerla con uno stratagemma: lasciò cadere uno dopo l’altro, tre pomi d’oro, che Atalanta raccolse, perdendo tempo durante la gara.
L’altra versione rilevava ancor meglio la ferinità di Atalanta, facendone una fanciulla semiselvaggia, allevata da un’orsa; divenuta una famosa cacciatrice, rifiutava tutti i pretendenti tra i quali l’eroe Meleagro, il cui amore per lei fu l’origine della sua disgrazia; infine è conquistata da Melanine, altro mitico cacciatore.
ATAMANTE
Re, viveva in Orcomeno, città della Beozia; figlio di Eolo, Atamante
aveva avuto dalla prima moglie la dèa delle nubi Nefele, due bei
bambini: Frisso ed Elle. Ma Ino, la sua seconda moglie, da cui aveva
avuto altri due figli, Melicerta e Learco, odiava i due figliastri a
morte e in ogni modo cercava di farli morire. Allora la dèa Nefele
mandò dal cielo un ariete dalla lana d’oro, perché li salvasse e
li portasse a volo lontano. Durante il viaggio Elle fu colta dalle
vertigini e precipitò in quel mar che dal suo nome fu detto
Ellesponto.Frisso invece,arrivò sano e salvo nei paesi della
Còlchide, tra le montagne del Caucaso e sacrificò l’ariete a
Giove, mentre Atamante fu reso pazzo da Era.
Secondo le metamorfosi di Ovidio, Era, gelosa di Semele, figlia di Cadmo (fondatore di Tebe), giacché amata da Zeus, dopo averne causato la morte (l'aveva infatti indotta a supplicare Zeus di mostrarsi in tutta la sua gloria) infierì contro un altro tebano, Atamante, marito della sorella di Semele, Ino, facendolo impazzire. Ermes gli aveva infatti affidato Dioniso per sottrarlo alla gelosia della regina dell'Olimpo, che lo aveva però ritrovato. Egli, nella sua pazzia credette di vedere una leonessa e dei leoncini (secondo altri, dei cervi) invece di sua moglie e dei suoi due figli, così cominciò a dar loro la caccia, afferrò il figlio Learco e lo sfracellò contro uno scoglio; successivamente scagliò Melicerte, il secondo figlio, in mare. La madre, per cercare di salvare almeno Melicerte si tuffò e annegò insieme a suo figlio. Afrodite, madre di Armonia e quindi nonna di Ino, impietositasi pregò Poseidone di collocare i due tra gli dei marini, dando a Ino il nome di Leucotòe (chiamata Matùta a Roma) ed a Melicerte quello di Palèmone (Portùnno, a Roma). Atamante venne invece mutato in fiume.
- Dante Alighieri segue fedelmente la versione ovidiana nel trentesimo canto dell'Inferno nella Divina Commedia:
-
« Nel tempo che Iunone era corrucciata
per Semelè contra 'l sangue tebano,
come mostrò una e altra fiata,
Atamante divenne tanto insano,
che veggendo la moglie con due figli
andar carcata da ciascuna mano,
gridò: "Tendiam le reti, sì ch'io pigli
la leonessa e ' leoncini al varco »
ATE
Ate (in greco antico: Ἄτη, «rovina, inganno, dissennatezza») è una figura minore della mitologia greca. Descrizione Frequentemente induce al peccato di ὕβρις (hýbris), la tracotanza che nasce dalla mancanza di senso della misura. Ate non tocca il suolo: cammina leggera sul capo dei mortali e degli stessi dei, inducendoli in errore. La seguono, senza riuscire mai a raggiungerla, le Litai, le rugose Preghiere, che si prendono cura di coloro cui Ate ha nuociuto nel suo cammino. Quando qualcuno si rivela sordo alle Preghiere, queste si rivolgono al padre Zeus perché faccia perseguitare da Ate chi le ha respinte. Due sono i miti principali sulle sue origini, differenti l'uno dall'altro : Il primo è quello raccontanto da Omero, secondo il quale è la figlia di Zeus. A lei Agamennone attribuisce la responsabilità degli eventi che portarono alla disputa con Achille. Lo stesso Agamennone narra che Zeus, quando suo figlio Eracle stava per nascere da Alcmena, si vantò con gli dei Olimpi che il suo prossimo discendente avrebbe regnato su tutti i vicini; sollecitato da Era, il dio ne fece giuramento, non sospettando che sulla sua testa si era in quel momento posata Ate. Era fece in modo che Euristeo, figlio di Stenelo, nascesse prima di Eracle, e questi fu dunque costretto a servire per molti anni il fratellastro. Quando Zeus scoprì l'accaduto, prese Ate per le trecce e la scagliò sulla terra, giurando che non avrebbe mai più rivisto l'Olimpo. Stando allo Pseudo-Apollodoro, Ate atterrò su una collina in Frigia, in una località che assunse il nome della dea. Nello stesso luogo Zeus scaraventò anche il Palladio, e Ilo vi fondò Troia; Il secondo mito è quello di Esiodo, secondo il quale Ate è figlia di Eris, dea della Discordia, e strettamente imparentata a un'altra delle sue figlie, Ingiustizia. Questa seconda versione del mito è meno articolata della prima. Ate ed Eris sono talora confuse. Secondo alcuni non fu Eris, ma Ate, infuriata per non essere stata invitata alle nozze di Peleo e Teti, a lasciar scivolare durante il banchetto una mela d'oro recante la scritta "alla più bella". La mela della discordia generò una disputa fra Era, Atena e Afrodite, poi risolta in favore di quest'ultima con il giudizio di Paride, ponendo le premesse per la guerra di Troia. Secondo Nonno, Ate fu indotta da Era a convincere il giovane Ampelo, amato da Dioniso, a cavalcare un toro per impressionare il dio; Ampelo fu disarcionato e si ruppe il collo.!
ATENA
Dèa
greca che si fa derivare da un’arcaica divinità della civiltà
cretese-micenea, posta a protezione dei palazzi fortezza, caratteristici dell’epoca. Era allora rappresentata da un manichino porta -
armi, il cosiddetto Palladio, che continuò ad essere il suo simbolo, anche in tempi storici. Al palazzo - fortezza miceneo, corrispose
nel tempo la città stato greca (polis), e la dèa,che divenne la
protettrice delle polis, fu detta poliate. per le sue capacità
guerriere, con le quali difendeva la fortezza dagli assalti nemici.
Raggiunse le più elevate capacità civiche e divenne maestra di ogni
arte in cui si contrapponesse l’intelligenza alla forza bruta. I
Greci la dissero figlia di Metis (Mente). Chi nasceva da Metis,
sarebbe stato infinitamente saggio, tanto da mettere in pericolo la
sovranità di Zeus, fondata più sulla forza dei fulmini che sulla
saggezza, ed è per questo che Zeus volle essere il padre di chi
sarebbe nato da Metis. Come il dio raggiunse il suo scopo era narrato
in differenti storie. Una diceva che Zeus divorò Metis, in cinta,
incorporando così la saggezza a completare il suo stato di re del
mondo. Quando fu il momento della nascita, Zeus la mise alla luce
dalla sua testa e ne balzò fuori già grande una bellissima
fanciulla in armi. Efesto, il dio fabbro l’aveva aiutata a venir
fuori, e voleva sposarla, ma lei rifiutò. Non avrebbe avuto marito,
sarebbe stata la vergine (in greco parthenons) per eccellenza. In
molti miti si parla di Atena come protettrice di eroi; aiutò Perseo,
Teseo, Ulisse, e tanti altri, ma fu soprattutto protettrice di
Atene, la città che portava e porta il suo nome. Chiamata anche
Pàllade, poi identificata con la Minerva latina, nata, come detto,
dalla testa di Zeus, era dèa della saggezza, delle arti,
dell’ingegnoso operare (maestra degli ingegni). Protettrice di
Ulisse nell’Odissea, aveva culto particolare in Attica, di cui
s’era meritata il possesso, in gara con Posidone, mediante il dono
dell’olivo. Protetttice della vita delle città, era venerata nel
Partenone sull’Acropoli di Atene, ed era rappresentata con l’egida
e la testa di Medusa sul petto (o sullo scudo-egida).
(Vedi Minerva).
ATENE
Capitale della Grecia a 5 Km.dal suo porto, il Pireo, sull’ Egeo, col quale è praticamente unita; capoluogo del dipartimento Attica-Beozia. Capitale dell’antica Attica (Attikés), fu per molti secoli il centro culturale e artistico dell’antica civiltà ellenica e dell’antico mondo civile. Le sue rovine: l’Acropoli, i templi della Nike Apteros, di Teseo, di Dioniso, le necropoli del Cerami con l’arco di Adriano, l’Asclepio, ecc., costituiscono uno dei più complessi monumentali che ci siano giunti dal mondo antico. In Atene si celebravano alcune solennità le ”dipolie ”nel mese di luglio, col sacrificio di buoi; dette “bufònie”. Fondata dai Pelasgi, fu poi dominio degli Ioni. In origine governata da re, poi dall’aristocrazia. Solone la dotò di uno statuto nel 594 a.C, che le permise un rapido sviluppo commerciale. Dopo la tirannia di Pisistrato (541-527), avvento definitivo (508) della democrazia. Fiorì specialmente dopo le guerre persiane (500-449), e sotto Pericle nel 446 a capo della Lega delio - attica. Vinta da Sparta nella guerra del Peloponneso (431-404), perdette l’egemonia della Grecia e con questa soggiacque ai Macedoni (338), e più tardi ai Romani (146). A seguito della quarta crociata si venne costituendo in Grecia il Principato latino di Atene, dai De La Roche (1205), comprendente oltre l’Attica, la Beozia, la Focide, la Nauplia e l’Argolide; dal 1308 di Gualtieri di Bienne, duca d’Atene, dal 1311 degli Aragonesi, e dal 1461 ai Turchi. Nel 1833 di nuovo capitale del Regno di Grecia, liberatasi dall’egemonia Turca. Dal 27.4.1941 al 13 ottobre 1944 occupata militarmente,dalle truppe tedesche.(seconda guerra mondiale),
Nell’età Omerica, per decidere di questioni finanziarie o politiche, dove non occorresse consultare l’Assemblea popolare, si riuniva quella dei nobili, detta “bulè”, costituita da 50 buleuti eletti a sorte tra le 10 tribù costituenti l’assetto unitario del territorio.
Il suo antico porto naturale è il Pireo sorto nel V°s.a.C., in sostituzione del Falero, troppo aperto ed indifeso. I lavori per la sua sistemazione furono posteriori alle guerre persiane e risalgono al 470 circa, mentre ancora più tarde furono le ”lunghe mura”, fortificazioni lunghe nove chilometri che lo collegano ad Atene. Alla fine della guerra Peloponnesica (403), Lisandro ne impose la distruzione, ma Conone ricostruì le strutture portuali, le fortificò e da allora fino al 322 il Pireo ebbe il suo periodo di maggior splendore. Presidiato da Alessandro Magno e dai suoi successori, in epoca romana divenne il porto dei conquistatori, ma non si riprese più dopo la distruzione ad opera di Silla dell’ 86 a.C.
Atene derivò il suo nome dalla dèa Atena, la cui gigantesca statua criselefantino , opera di Fidia, custodita nel Partenone, rappresentò in tempi storici il simbolo della grandezza e della civiltà ateniese. Secondo il mito, le origini e il primo sviluppo della città, sarebbero dovute a Cecrope, che vi si sarebbe stabilito, proveniente dall’Egitto con i suoi compagni. Atene ben presto si impose alle “polis ”vicine soggiogandole, ed è questo certamente il substrato storico delle mitiche lotte di Teseo, l’eroe nazionale dell’Attica. Il passaggio dalla monarchia ad un governo oligarchico avvenne lentamente, in seguito all’affermazione sui piccoli proprietari e sui pescatori, dei grandi proprietari terrieri, gli Eupatridi, favoriti anche dalle leggi arcaiche, che rendevano il debitore, schiavo del creditore. Le istituzioni poltiche dell’oligarchia furono: l’arcontato (magistrato supremo), e l’aeropago (in greco antico: Άρειος Πάγος, "collina di Ares"). Già nell’ottavo secolo tuttavia sussisteva in Atene, che si stava sviluppando quale città marinara e commerciale, un’assemblea popolare, l’Ecclesia, che testimonia l’evoluzione delle strutture sociali in senso democratico. Tale evoluzione si compì attraverso le riforme di Dracone (621), di Solone (594), e di Clistene (508). Tra gli sforzi riformatori di Solone e la definitiva costituzione democratica di Clistene si inserì la lunga tirannide di Pisistrato (560-527), che assicurò ad Atene un periodo di pace e di proserità, favorendo il commercio marittimo con la Tracia e l’Ellesponto. Vent’anni dopo le riforme di Clistene la democrazia ateniese dovette affronta re la dura prova delle guerre persiane, dalla quale uscì rafforzata, avendo realizzato, grazie alla vittoria e il patriottismo che avevano sostenuto i cittadini nello sforzo gigantesco, una maggiore coesione tra le classi sociali.
L’urto tra la Grecia e la Persia, che rappresentò anche il confronto tra le due civiltà e due mondi diversi, l’Europa e l’Asia, trovò un motivo occasionale nell’insurrezione delle sue città greche d’Asia, promossa da Aristagora, tiranno di Mileto. Intervennero soltanto Atene ed Eretria, con l’invio di alcune navi. La rivolta fu domata nel 494 dal nuovo re di Persia, Dario, al quale l’intervento di Atene parve come un ostacolo da rimuoversi necessariamente per la realizzazione dei piani di espansione persiana in Occidente. Nel 491 dopo una sfortunata spedizione in Tracia, Dario organizzò un attacco diretto su Atene per via mare. La flotta Persiana conquistò le Cicladi, ed Eretria fu presa e distrutta. Ma il 13 settembre del 490 a.C.,a Maratona 10.000 opliadi greci al comando di Milziade, prima dell’arrivo dei rinforzi inviati da Sparta, affrontarono 50.000 Persiani sbarcati dall’ Eubea, costringendoli prima a ritirarsi, poi, reimbarcarsi ed infine, ad abbandonare l’impresa. La grande vittoria di Maratona segnò l’affermarsi di Atene quale potenza militare nella vita politica della Grecia. Il decennio seguente fu teatro di contrasti tra i grandi proprietari terrieri, di cui si era fatto portavoce Aristide, e le aspirazioni delle classi popolari, che avevano trovato il loro capo in Temistocle. Ad opera di costui fu allestita una grande flotta, alla quale si deve, al momento della ripresa delle ostilità greco-persiane (480), la vittoria navale di Salamina sulla flotta di Serse. L’esercito persiano frattanto, attraverso l’Ellesponto, su un ponte di navi, era piombato dalla Tessaglia alle Termopili e quindi su Atene che fu sgomberata e presa dal nemico. Dopo la disfatta navale, ancora una volta i Persiani si rivelarono incapaci di risollevarsi al primo rovescio militare. Nel 479 le truppe di Serse furono sconfitte a Platea e a Micale da Atene e Sparta confederate. L’anno seguente fu liberata Cipro, ed occupate Sesto e Bisanzio negli stretti. Atene, la vera vincitrice delle guerre persiane, rapidamente risorta dalle rovine causate dal passaggio dell’esercito nemico, assunse una posizione egemone, e fu a capo della lega delio-attica, che riuniva in sè le flotte della maggior parte delle città greche costiere ed insulari, in una specie di armata supernazionale.
Nella vita politica della città, ostracizzato Temistocle (417), sostenente l’intervento di Atene in favore del movimento democratico antispartano del Peloponneso, si affermò il conservatore Cimone che vinse nel 468 all’ Eurimedonte la flotta persiana e si sforzò di legare Atene a Sparta. Il fallimento della sua politica portò all’affermazione dei democratici, e all’ascesa di Pericle. L’età di Pericle fu il periodo di maggior splendore di Atene che raggiunse il punto più alto sia nella sua missione di civiltà e di cultura, sia nella realizzazione e perfezione del sistema politico - democratico. L’epitaffio dei caduti per la Patria, che Tucidite attribuì a Pericle, nelle sue “Storie”, celebrò con splendida eloquenza le istituzioni e i costumi; capisaldi della potenza e della prosperità ateniese. La libertà politica è la conseguenza della libertà privata dei cittadini. i rapporti tra la potenza legale dello Stato e il diritto naturale del cittadino, in quanto uomo, sono in armonico equilibrio. La discussione sulle decisioni comuni è aperta anche al più umile dei cittadini. Nessuna città offre le attrattive di Atene; l’Acropoli bianca di marmi, innalzati i splendidi monumenti del Partenone, dell’Eretteo, dei Propilei; al Pireo affluisce il commercio marittimo da ogni dove. Le grandi feste periodiche e il teatro richiamano, educandole, tutte le genti dell’ Ellade. Ma l’età di Pericle fissa solo un momento, anche se splendido, della storia di Atene. Difficoltà e problemi sempre ricorrenti, sono il sale stesso della democrazia. Tra queste difficoltà, non da poco, sono i rapporti con Sparta, rimasti pressoché insoluti. Malgrado la pace trentennale del 445, conclusa da Pericle, nel 431, ebbe inizio quella dolorosa serie di lotte che va sotto il nome di guerra del Peloponneso e che si concluse nel 404 con il tramonto della potenza ateniese. Ad Atene uscita sconfitta, venne imposto il governo oligarchico (dei "Trenta"), ma l’anno dopo, Trasibulo reinstaurò la democrazia. Nel 377, dopo la guerra di Atene e di Tebe, alleate contro Sparta, Atene ricostruì una seconda lega delia. Seguirono altre lotte contro Sparta, la cui flotta fu vinta dall’ateniese Cabria nel 376 e poi contro Tebe. Dopo la battaglia di Mantinea (362) che pose fine all’effimera supremazia tebana, le tendenze particolaristiche delle ”polis” greche, ebbero il sopravvento. Numerose città si staccarono dalla lega delia; Atene diminuiva in potenza e ricchezza, mentre la guerra sacra dei Focesi contro Tebe (356-346), offriva al sovrano di Macedonia, Filippo II° l’occasione per intervenire negli affari della Grecia, ed mporre la nuova forza macedone. Contro il pericolo barbarico, l’orientamento pacifista e filomacedone sostenuto da Isocrate, si levò in Atene la voce del suo più grande oratore: Demostene. Ma, nel 338, con la battaglia di Cheronea, le falangi macedoni riportarono una definitiva vittoria su Tebani e Ateniesi. Da quel momento la storia di Atene è strettamente congiunta con la storia dell’impero macedone, anche quale centro di cultura,
Atene decadde lasciando il posto ad altre città ellenistiche, in particolar modo ad Alessandria, e mantenendo il suo ruolo di città guida esclusivamente nel campo degli studi filosofici, con l’Accademia, il Liceo, la scuola stoica, e la scuola epicurea. L’ultima scuola del mondo pagano, la neoplatonica, ”Scuola di Atene”, fu chiusa nel 529 d.C., in seguito ad un editto di Giustiniano. Anche se dal tempo delle guerre persiane, alla fine della guerra del Peloponneso, ebbe un’autentica egemonia politico - militare, il significato della sua gloria nei secoli non è però di ordine politico, bensì artistico e culturale. Il primato spirituale di Atene nel secolo V° e nella prima metà del secolo IV° ,è dovuto non tanto alle circostanze ed alla situazione politico - sociale, quanto alla prodigiosa contemporanea fioritura di altissimi ingegni.La tragedia; con Eschilo, Sofocle ed Euripide; la commedia con Aristofane e più tardi con Menandro; la filoso fia con Socrate, Platone, Aristotele; la storia con Tucidite; l’architettura e le arti figurative con: Fidia, Ictino, Prassitele, Lisippo , hanno segnato per sempre dello spirito ateniese la cultura greca. e quindi la cultura dell’occidente che da quella ha derivato tanta parte di sé.
ATENEO
Erudito greco del II°- III°s.d.C., nato a Naucrati (Egitto), autore de “I Sofisti a banchetto”; un’enciclopedia di tutto lo scibile, ricchissima di citazioni, che è per noi, insostituibile miniera di notizie e di testi.
ATHOS
Monte nella Macedonia.
ATLANTE
Uno
dei Titani, fratello di Prometeo che, ribellatosi a Giove, fu
condannato da questi a sorreggere la volta del cielo sulle sue
spalle; il suo nome significa “infaticabile”. Secondo tradizioni
più recenti, è re di Mauritania trasformato in monte da Perseo.
Localizzato ad Occidente, all’estremità N.O dell’Africa, dove
sorge il sistema di montagne Atlante e dove si apre l’Oceano, da
lui chiamato Atlantico, sì che le prime raccolte di carte
geografiche, avevano l’ immagine sua impressa sulla copertina.
Padre di Elettra, amata da Giove, da cui ebbe Dardano figlio
(vedi ELETTRA)
Nella raccolta sistematica di carte geografiche, la più antica era annessa all’opera geografica di Claudio Tolomeo; ma il nome Atlante deriva dal l’opera cartografica di Gherardo Kramer Mercatore, geografo fiammingo, riformatore della cartografia scientifica (1512-1594), sul cui frontespizio era raffigurato appunto Atlante in atto di reggere il mondo.
(ritorna a Le Esperidi)
ATLANTIDE
leggendaria e misteriosa.
Così un’antica tradizione: migliaia e migliaia di anni prima della nascita di Cristo, quando nella valle del Nilo non era fiorita ancora quella stupenda civiltà egizia che si suole considerare la più antica del mondo, in quell’ Oceano Atlantico che oggi stendesi tra l’Europa e l’America un immenso deserto di onde, sorgeva una grande isola, un’isola tanto vasta da potersi forse più propriamente considerare un vero continente. La popolavano genti forti e guerriere e accucciate nel verde delle vaste pianure, aggrappate ai fianchi degli assolati colli, specchiate nell’azzurro del mare, che ne lambiva le mura ciclopiche, vi sorgevano città ricche di grandiosi palazzi, di fastosi templi, di superbe reggie. Ma un giorno s’erano visti i monti oscillare, i campi fendersi, le onde ergersi e salire come draghi avventati verso il cielo di piombo. Una voragine immensa s’era spalancata, e campi, e uomini e cose, s’erano inabissati per sempre; così Platone nei dialoghi ”Timeo e Crizia” accenna appunto a quella grande isola scomparsa, l’Atlantide, che sarebbe sorta di fronte a quello stretto ove gli antichi ponevano le leggendarie colonne d’Ercole; Abila e Calpe, estremo limite del mondo. Più vasta dell’Asia e della Libia insieme (ci riferiamo naturalmente a quella parte dell’Asia allora conosciuta), sarebbe stata sede di una civiltà molto evoluta, e i popoli che l’abitavano avrebbero anche tentato di invadere l’Europa e l’Asia, ma ne sarebbero stati ricacciati dai Greci, a capo dei quali s’erano posti gli Ateniesi. Non è improbabile che Platone non fosse molto lontano dal vero (egli si sarebbe soltanto limitato ad amplificare), e che intendesse alludere ad un’isola posta alle foci del Guadalquivir, e che potesse identificarsi con l’antico emporio di Tartesso , con la leggendaria isola dei Feaci, di cui Omero canta le meraviglie. Meno attendibile la credenza dei moderni teosofi; secondo costoro, una razza antichissima, fuggendo da un continente più antico ancora, il Lemuria, che si era lentamente inabissato, era venuta a popolare l’Atlantide e vi aveva sviluppato una civiltà tutta particolare. Gli uomini di questa razza possedevano la virtù magica della chiaroveggenza, sapevano cioè prevedere gli avvenimenti futuri, e avevano trovato il modo di dominare le forze misteriose della natura. Erano, in una parola, degli autentici stregoni o, se più vi piace dei maghi. Un bel giorno s’erano accorti che il continente da essi abitato era destinato a inabissarsi e lo avevano abbandonato, trasferendosi sulle terre degli altri continenti.
ATREO
Mitico re di Micene, Eroe della mitologia greca, figlio di Pelope, è padre di Agamennone e di Menelao. Poiché suo fratello Tieste aveva causato la morte del figlio Plistene, si vendicò facendogli mangiare le carni dei suoi due figli. Ciò fu l’origine di tutte le luttuose vicende che, come maledizione divina, funestarono i suoi discendenti; gli Atridi, Agamennone, Menelao, Oreste, ecc.
ATRIDI
I
discendenti di Atreo; soprattutto i figli Menelao (l'Atride minor) e
Agamennone.
(ritorna a Egisto)
ATROPO
Una
delle tre Parche (colei che taglia lo strame della vita; detta la
crudele. Le altre due: Cloto e Lachesi
(Vedi Parche).
ATTEONE
Figlio
di Aristeo e Autonome, mitico valente cacciatore; per aver sorpreso
Artemide al bagno, o per altra sua colpa è mutato dalla dèa in
cervo, quindi sbranato dai propri cani.
(vedi DIANA)
ATTICA
Regione dell’antica Grecia, corrispondente in gran parte all’antica regione greca, tra il golfo di Egina e il mar Egeo. Promontorio montuoso (monti: Parnaso - Imetto), terminante a Sud-Est col Capo Sounion. Oggi è Dipartimento (Attica-Beozia) di 6697 kmq.,con capitale Atene, collegata al Peloponneso, mediante l’istmo di Corinto. La popolazione è per la maggiorparte concentrata in Atene e scarse di importanza sono le altre località quali: Glyfada - Laurìon presso il Capo Sounion – Chalan drion (ora sobborgo di Atene) – Amarousion - Mégara (nell’interno) – Eleusi, celebre per il suo grandioso complesso archeologico.
ATTICISMO
Forma grammaticale o stilistica del dialetto attico; eleganza di stile propria degli attici. E’ corrente letteraria che nell’età ellenistica (dalla metà del secolo IV°a.C.), si pone come esempio di stile e di lingua agli scrittori attici, contrapposto all’asia nismo. Il periodo attico è il secondo della letteratura greca, in cui la vita culturale si accentua in Atene (480-323 a C.).
ATTIS
Attis è il paredro di Cibele, il servitore autoeviratosi, che guida il carro della dea.
Il centro principale del suo culto era Pessinunte, nella Frigia, da cui attraverso la Lidia passò approssimativamente nel VII° secolo a.C. nelle colonie greche dell'Asia Minore e successivamente nel continente, da cui fu esportato a Roma nel 204 a.C.
Secondo la tradizione frigia, conservata in Pausania (Perieghesis, VII, 17, 10-12) ed in Arnobio (Adversus Nationes, V, 5-7), il demone (essere che si pone come intermediario fra il mondo divino ed il mondo umano) Agdistis, caratterizzato da intersessualità, sarebbe nato dallo sperma di Zeus caduto sulla pietra, mentre il dio cercava di accoppiarsi con la Grande Madre sul monte Agdos.[1]
Gli dei dell'Olimpo spaventati dalla potenziale forza del figlio di Zeus, in cui si sommavano le caratteristiche del maschile e femminile, lo evirarono, lasciandolo solo con i caratteri sessuali esterni femminili; il sangue sgorgato all'esportazione del membro virile del ragazzo, generò un albero di mandorlo (o di melograno).
La figlia del fiume Sakarya (Sangarios), Nana, colse un frutto dall'albero e rimase incinta.
Tempo dopo nacque il figlio che venne chiamato Attis, in quanto fu allattato da una capra (in frigio attagos), dopo essere stato cacciato sulle montagne per ordine di Sakarya.[2][3][4][5][6][7]
Attis crebbe e fu mandato a Pessinunte per sposare la figlia del re Mida. Durante la celebrazione del matrimonio, Agdistis, innamorato del giovane, fece impazzire tutti gli invitati e lo stesso Attis, che, sotto un pino, si amputò il pene. Dal suo sangue nacquero le viole mammole. Cibele, madre degli dei, ottenne che il giovane si salvasse e diventasse il cocchiere del suo carro.
Culto nella Roma antica.
Già durante il I° secolo a.C. le vicende del giovane erano ben note ai Romani come dimostra la reinterpretazione catulliana del mito nel carmen LXIII del Liber Catullianus. In epoca imperiale il ruolo di Attis, la cui morte e resurrezione simboleggiava il ciclo vegetativo della primavera, si accentuò gradualmente, dando al culto una connotazione misterica e soteriologica.[8]
Ad Attis erano dedicate un ciclo di festività che si tenevano tra il 15 e il 28 marzo, che celebravano la morte e la rinascita del dio. Tra queste vi erano il Sanguem, celebrato dai Galli e l'Hilaria. Tracce di questi culti, che presero il nome di Attideia, sono presenti anche in colonie greco-romane (per esempio quella di Egnazia in Puglia).
Dal suo mito l'imperatore Flavio Claudio Giuliano inizierà a scrivere uno dei suoi più famosi testi l'Inno alla madre degli dei, in cui loda Cibele e indaga sul significato filosofico di Attis e della dea.
Secondo lo storico ed etnografo Antonio Basile[9], il rito del sangue del dio Attis sopravvive tuttora[10] in una manifestazione dei riti della settimana santa a Nocera Terinese in Calabria dove i vattienti compiono il "rito devozionale" della flagellazione consistente nel percuotersi cosce e gambe con tredici pezzi di vetro collocati su un pezzo di sughero denominato "cardo"[11]. Nella pubblicazione Folklore della Calabria Basile asseriva che:
- «"[..] non è meraviglia che sopravviva ancora in un vecchio paese della Calabria il rito antichissimo del sangue: originario per la morte di Adone e per la sua resurrezione e per la morte e la resurrezione di Attis esso rimane in Nocera Terinese, ma adottato alla commemorazione della morte e della resurrezione del Cristo, come sopravvivenza o meglio reviviscenza"»[12][13]
Il dio Attis è associato dagli studiosi a tutte divinità legate agli antichi riti di propiziazione della fecondità della terra, trovando corrispondenza in Adone[14][15] e in Sandan di Tarso di Cilicia[16][17]
(da wikipedia)
(Vedi Pelope)
("Ritorna a Saffo")
AUGIA
Mitico re di Elide, figlio di Elio. Un mito racconta che Ercole pulì le sue numerose stalle (vana fatica), deviandovi le acque dell’Alfeo e del Peneo; non avendo ricevuta la pattuita mercede, lo combattè e lo uccise. (vedi ERCOLE)
AURIGA
Guidatore di cocchio da corsa, presso gli antichi.
AURORA
Figlia
del Titano Iperione, è ministra degli dèi solari. Su un carro
tirato da quattro cavalli, percorreva ogni mattina le vie celesti per
portare la luce ai mortali. Dèa, dalle dita rosee, sorella di Elio
(Sole), e di Selene (Luna), sposa il vecchio Titone, Avendo chiesto
per lui agli dèi l’immortalità e ottenutala, ma non la
giovinezza, gli dèi impietositisi del decrepito Titone lo
tramutarono in cicala.
(Vedi ELIO)
(Vedi EOS)
Astronomia: l’Aurora Polare (Boreale o Australe);è fenomeno luminoso frequente soprattutto nelle regioni polari (60°-70° di altitudine): grande arco luminoso, variamente frangiato e colorato, che si stende sino a 300 km.,d’altezza, dovuto alla forte ionizzazione degli strati superiori dell’atmosfera.
- (Così il Foscolo “ Le Grazie “Inno I° Venere (da verso 277) .
-
"Come quando esce un’ Erinne
"A gioir dalle terre arse dal verno
"Maligna, e lava le sue membra a ‘ fonti
"Dell’Islanda esecrati, ove più tristi
"Fuman sulfuree l’acque; e a groenlandi
"Laghi lambiti di cerulee vampe,
"Le tede alluma, e al ciel sereno aspira;
"Finge perfida pria roseo splendore ,
"E lei deluse appellano col vago
"Nome di boreale alba le genti;
"Quella scorre, le nuvole in Chimere
"Orrende, e in imminenti armi converte
"Fiammeggianti, e calar senti per l’aura
"Dal muto nembo l’aquile agitate,
"Che veggion nel lor regno angui e sedenti
"Leoni e ulular l’ombre de’ lupi,
"Innondati di sangue erano al guardo
"Della città i pianeti, e van raggiando
"Timidamenteper l’aereo caos ;
"Tutta d’incendio la celeste volta
"S’infiamma, e sotto quell’infausta luce
"Rosseggia immensa l’iperborea terra...
(a verso 238)
AUSPICIO
Segno della volontà degli dèi; era così interpretato presso i Romani antichi, al quale subordinavano ogni azione impegnativa. Il nome significava originariamente ”osservazione degli uccelli” (aves–uccelli e spicio–guardo), perché dal volo degli uccelli si regolavano soprattutto per stabilire la volontà divina (come per esempio Romolo quando fondò Roma).Oltre che dal volo degli uccelli si desumevano auspici anche da fenomeni atmosferici (tuoni, fulmini, lampi), dai polli, che si osservavano prima di una battaglia e che, se mangiavano becchime, il segno era favorevole al combattimento; dagli animali che si trovavano a passare in un delimitato spazio; da eventi che apparivano prodigiosi, ed infine da piccoli incidenti quali l’inciampo o lo starnutire. Per essere validi gli auspici si dovevano verificare nello stesso giorno, e nello stesso luogo. Gli auspici maggiori spettavano ai magistrati, che rimanevano in silenzio sotto una tenda aperta da due lati in attesa che si verificassero i segni che intendevano interpretare.
AVERNO
Sito dell'oltretomba ove scorre il fiume Acheronte.
- Il Foscolo avverte in una nota nei « Dei Sepolcri » v.44), che Templi Acherontei è derivazione di Lucrezio III, 85;
-
Namham saepe homines patriam carosque parentes
prodiderunt vitare, Acherusia Templa petentes. - Ed aggiunge che chiamavano "Templa" anche i cieli.
Terenzio, ed Eunuco (atto III)-, ed altri ancora.
Ne aveva già parlato nella "Chioma di Berenice, verso 63".
NOTE