FA-FI
FABA
Figlia di Gea.
FABULA - FAVOLA
Leggenda, storiella, dramma (tragico o comico) rappresentazione, diceria, oggetto di conversazione. Esempi: fabula palliata (commedia romana d'argomento greco) ; fabula togata (comme dia d'argomento romano) : fabulae poeticae (leggende poetiche). In senso lato, qualsiasi narrazione di fatti inventati; in senso più stretto, distinta quindi dalla leggenda, dal mito, dalla storiella e dal racconto, la favola si definisce un breve componimento letterario, generalmente in versi in cui animali, piante o elementi naturali parlano e agiscono come uomini, pur conservando i tratti caratteristici della loro natura, ed enunciano un precetto morale o di saggezza pratica. Quest'ultimo elemento è essenziale della favola, non meno che la presenza in essa di animali, o altri elementi inanimati, tipizzazioni di vizi e virtù umani. Generalmente è composta da una parte narrativa che dimostra con un esempio il precetto morale e di una parte aggiunta spesso in forma di proverbio in cui tale mo rale è enunciata. Si differenzia tuttavia dall'apologo soprattutto perchè in quest'ultimo, la morale è lo scopo fondamentale, se non unico della narrazione, mentre nella favola quello stesso scopo resta in qualche modo subordinato ad un effetto artistico da raggiungere. Si differenzia inotre dalla fiaba in cui ha in comune l'etimologia latina, soprattutto perchè in questa manca o è molto meno evidente il fine morale o didascalico e i personaggi non sono tipizzazioni di virtù e vizi umani.
- Note - Dal Foscolo (Opera IV, 23);
- ...il Canova dirà, credo, che senza le favole, (disprezzate per moda tedesca in Italia) - la sua Psiche, l' Ebe e le sue Grazie, si starebbero tuttavia incarcerate dentro a' macigni, e attaccate alle rupi di Carrara. Bensì i poeti che l'anno ideate gli diedero (e Fidia lo conferma) anima, ed occhio, e scalpello da farle balzare ad un tratto dai marmi per lasciare incorruttibili immagini di giovinezza e di beltà fra i mortali. Che la bellezza ideale delle belle arti derivi assolutamente dalle immagini dei poeti, che Fidia vantavasi di aver dedotto la sua statua del Giove Olimpio da tre versi di Omero; e la bellezza non è amabile nè adorata senza le Grazie.
FABRIZIO
Gaio Fabricio Luscino[1] (latino: Caius Fabricius Lucinus; ... – ...) figlio di Gaio; Tito Livio narra che fu il primo appartenente alla gens Fabricia a trasferirsi a Roma da Aletrium[2].
Console nel 282 a.C., rifiutò per due volte, nel 282 a.C. dai Sanniti, e nel 280 da Pirro, cospicui doni rivolti a corromperlo[3]. Fu di nuovo console nel 278 a.C.
Indicato come esempio di austerità e di disprezzo della ricchezza dagli antichi scrittori romani («parvoque potentem / Fabricium», Eneide, VI 843-4), la sua figura viene ripresa come modello di virtù da Dante, che lo ricorda nel De Monarchia come «altum... exemplum avaritiae resistendi» (alto esempio di resistenza all'avidità)[4] e, inoltre, nel XX canto del Purgatorio:
-
« Seguentemente intesi:
«O buon Fabrizio, con povertà volesti anzi virtute;
che gran ricchezza posseder con vizio». » - (Divina Commedia, Purgatorio,
Canto XX, versi 25-27)
FAONE
Mitico barcaiolo di Lesbo, reso giovane e bello da un unguento datogli da Afrodite. La leggenda vuole che la grande poetessa greca Saffo, si fosse uccisa per l’amore non corrisposto del pescatore Faone; perciò la sua anima erra ancora nei luoghi ove si svolse la dolorosa tragica vicenda.
(Vedi Saffo)
- Note - Il tema è ripreso dal Leopardi ne ”L’ultimo canto di Saffo“;
- poetessa greca nata ad Ereso VII - VI s.a.C., vissuta a Mitilene, nell’isola di Lesbo, contemporanea di Alceo, e con esso rappresentante della cosiddetta poesia melica (poesia cantata al suono della lira, distinta in monodica o meglio in eolica e in corale o dorica). Visse al centro di un tiaso o corteo di baccanti (insieme di iniziati a un culto orgiastico), di fanciulle, per alcune delle quali esprime nei suoi versi sentimenti d’amore. Dei nove libri, ordinati e raccolti da filologi alessandrini, restano un “Inno” intero (ad Afrodite), un famoso frammento descrivente il turbamento d’amore (tradotto dal Foscolo), frammenti vari di Inni, poemetti mitologici, epitalami; tutte liriche di immediatezza e di limpidezza insuperabili.;br-: (Ritorna a Saffo, Inno ad Afrodite)
FARETRA
Astuccio che serviva a portare le frecce.
FARSALO
o FARSAGLIA
Cittadina della Tessaglia nel tomo di Larissa, esistente forse sin dall’epoca preistorica, come risulta da scavi effettuati nella zona identificabile con la Ftia di cui parla Omero; raggiunse il massimo della sua potenza nel V s.a.C. allorchè esercitò il predominio su l’intera regione e ancora nel secolo seguente per l’appoggio datole da Filippo II°.
(ritorna a FITIA)
FATO
Il “Detto”, la parola pronunciata dalla divinità, l’espressione del suo volere immutabile. Nella concezione dei greci e dei romani (legge eterna), una forza cieca e misteriosa a cui gli stessi dèi soggiacevano (Giove compreso, non poteva ribellarsi), immaginata al di sopra di tutte le vicende umane, alla quale nulla può sfuggire.
FAUNO
o LUPERCO
Nella religione romana dio agreste; deità dei boschi, benevolo (lat. da faveo; essere. favorevole) agli uomini e al bestiame, in quanto proteggeva le greggi dal lupo. Dio silvestre, in privato era invocato con il nome di Silvano, che presiedeva soprattutto alla pastorizia. La sua azione era talvolta temuta come quella di un dèmone pericoloso e tale appariva con l’epiteto di Incubo, in quanto generatore di incubi. Un terzo epiteto, alludeva alle sue proprietà mantiche. In seguito considerato mitico re colonizzatore del Lazio, figlio di Pico e di Carmente; alla morte, adorato come dio dei cam pi, dei boschi e delle greggi; quindi Luperco (scacciatore di lupi). Fu identificato col greco Pan o Pam. I suoi discendenti (fauni), erano geni delle campagne e delle selve, affini ai satiri greci, e rappresentati con corna e piedi caprini. A Fauno erano sacri i Lupercali (feste che si celebravano ogni anno,a mezzo il febbraio, sul Palatino) ove si celebrava il sacrificio, e luperci erano denominati i sacerdoti preposti.
(Vedi INCUBI)
FAUSTOLO
Nella leggenda delle origini di Roma, è il pastore del re Amulio, che avrebbe salvato i gemelli Romolo e Remo, affidandoli alla moglie Acca Larenzia.
FAVOLISTICA
Ricchissima era l'applicazione delle storie e delle favole presso gli antichi greci e latini alla morale. Chi non sa che gli uomini egregi sono malignati in vita e celebrati dopo la morte. Ma Orazio applicò a questa sentenza le tradizioni di Romolo, di Bacco, ne' “Tindaridi”, e di Ercole in; "Romolus et liber pater". Il Foscolo ne' "Dei Sepolcri", volendo comsolare con la stessa sentenza non l'ambizione di un principe poco amato, ma la virtù mal meritata, dovea procacciarsi immagini meno magnifiche e più passionate, per cui si valse della tradizione delle armi d'Achille, le quali, carpite alla virtù d'Aiace dalla fraude d' Ulisse, furono per un naufragio portate dal mare sul tumulo dell'eroe che le meritava.
Così la fantasia del lettore corre ai secoli dimenticat; si compiace dell'entusiasmo poetico che trae il mare e l'inferno alla vendetta dell'ingiustizia e vede la verità che non parla ma opera.
FEBA
Figlia di Giove e di Gaia, sorella di Temi e di Febo. Anche Artemide in quanto identificata con la luna.
FEBEA
Figlia di Gea (la Terra) e madre di Leto (Latona) o Febe. Titanessa, figlia di Urano e Gea
FEBO
(Dal gr. splendente) Appellativo di Apollo, in quanto identificato con il Sole, il cui carro egli guida per il cielo.
(vedi ELIO)
(Vedi Edipo)
(vedi DELFI Oracolo)
(vedi DELFI Oracolo tempio di Apollo)
(Ritorna a Apollo)
FEDONE
- Fedone
- Fedone di Elide
- Ci racconta di lui Diogene Laerzio:
- « Fedone di Elide, degli Eupatridi, fu catturato insieme con la caduta della sua patria e fu costretto a stare in una casa di malaffare. Ma chiudendo la porta riuscì a prendere contatto con Socrate e alla fine, per incitamento di Socrate, Alcibiade, Critone e i loro amici lo riscattarono. Da allora divenne libero e si dedicava alla filosofia.[1] »
- Una conferma che tale fosse la tesi di fondo sostenuta anche da Fedone si trova anche nell'Epistola 82,445 dell'imperatore Giuliano:
- « Fedone riteneva che non ci fosse nulla di incurabile per la filosofia, e che in virtù di essa tutti potessero distaccarsi da tutti i generi di vita, da tutte le abitudini, da tutte le passioni e da tutte le cose di questo genere. Ora, se la filosofia avesse potere soltanto sugli uomini ben nati e ben educati, non ci sarebbe niente di straordinario in essa: ma che essa sappia portare verso la luce uomini che giacevano in siffatto stato [allusione allo stato di abiezione in cui era caduto Fedone], mi pare veramente essere prodigioso »
Il Fedone (in greco Φαίδων Phàidōn) è uno dei più celebri dialoghi di Platone. Ultimo dialogo della prima tetralogia di Trasillo, sembrerebbe un dialogo giovanile del filosofo, anche in considerazione del contesto in cui si svolge (la morte di Socrate). Lo studio stilistico dell'opera, tuttavia, più narrativa che dialogica, motiva alcuni studiosi ad assegnare l'opera al periodo della maturità.[1]
L'accordo sulla datazione (386-385 a.C.) dipenderebbe principalmente da due elementi: il forte condizionamento pitagorico della discussione, che fa pensare a una composizione prossima al primo viaggio siciliano e ai contatti con la comunità pitagorica di Archita da Taranto, ma anche l'assenza di esplicite intenzioni pedagogiche che spinge a ritenere il dialogo precedente alla fondazione dell'Accademia.
Ma già Diogene Laerzio cita un aneddoto (inventato ma significativo) secondo cui, durante la prima lettura del Fedone, l'uditorio composto da concittadini ateniesi, abituati ai dialoghi socratici (Λόγοι Σωκρατικοί, genere letterario sorto dopo la morte di Socrate ad opera dei tanti discepoli) avrebbe abbandonato il luogo della lettura (non riconoscendo il personaggio), finché ad ascoltare fino al termine non sarebbe rimasto che un meteco: Aristotele.
Argomento centrale è l'immortalità dell'anima, in sostegno della quale Platone porta quattro diverse argomentazioni: la palingenesi, la dottrina della reminiscenza (più dettagliatamente esposta nel Menone), la differenza sostanziale fra l'anima e il corpo e la constatazione che l'idea della morte non può risiedere nell'anima, che è partecipe invece dell'idea della vita.
Platone, durante la discussione circa l'immortalità dell'anima attribuisce a Socrate una frase che contraddice le teorie del suo maestro: Socrate, infatti, secondo la maggior parte delle fonti, attribuisce al logos la capacità di raggiungere ogni verità; nel dialogo invece ammette che, la via verso la verità ha dei limiti nel campo dell'immortalità dell'anima, annullando di fatto tutte le sue precedenti concezioni filosofiche:
« Quando voi le avrete analizzate a fondo, solo allora, credo, potrete cogliere il problema nei suoi sviluppi, per quanto sia possibile a un uomo; e quando ve ne sarete resi ben conto, non proseguirete più oltre nella vostra ricerca. »
Celeberrimo è il finale, dove Socrate, morente per avere ingerito un pharmakon (secondo una discussa tradizione la cicuta) e circondato dai suoi allievi piangenti, chiede al suo fidato amico Critone di ricordarsi di offrire un gallo ad Asclepio (dio della medicina), in segno di ringraziamento, sostengono alcuni studiosi, per la liberazione dalla vita. In realtà sembrano esserci interpretazioni più convincenti dal momento che tutto il pensiero socratico mal s'accosta ad un'immagine buddista di Socrate. Georges Dumézil[2] per esempio suggerisce questa: Critone e Socrate erano scampati da una malattia della mente. Entrambi, infatti, avevano carezzato l'idea della fuga. Ma erano presto rinsaviti e non si erano sottratti alle leggi. Questo è il debito che Socrate e Critone (ecco il perché di quel noi nell'invocazione) hanno nei confronti di Asclepio.
(da wikipedia)
(Elide, V secolo a.C. – ...) è stato un filosofo greco antico fondatore ad Elide di una scuola socratica che, alla sua dissoluzione, fu trasferita da Menedemo di Eretria nella sua città natale dove prese il nome di eliaco-eretriaca.
In realtà, secondo le notizie pervenutaci attraverso altre fonti, Fedone venne fatto prigioniero durante la battaglia tra Elide e Sparta e poi acquistato da un ateniese mercante di schiavi[2]. Servendo il pasto nella dimora del suo nuovo padrone, rispose al posto di questi a una domanda di un illustre invitato di nome Socrate. Stupito per lo spirito e per la bellezza di Fedone, Socrate acquistò il giovane dal suo amico e ne fece un suo discepolo. Voce narrante protagonista del Fedone platonico fu anche lui autore di dialoghi tra cui Zopiro e Simone, citati da Seneca, nei quali tratta specialmente temi etici e altri titoli citati da Diogene Laerzio nelle Vite dei filosofi, probabilmente spuri. Nel suo dialogo Zopiro, il filosofo sostiene la tesi che il logos (inteso alla maniera socratica) non trova nessun ostacolo nella natura dell'uomo, ma al contrario è un utile mezzo per dominare anche i caratteri più ribelli (egli stesso aveva sperimentato l'efficacia del logos liberandosi dalla bassezza in cui era caduto restando prigioniero del commerciante di schiavi), e presenta lo stesso protagonista Zopiro come un fisiognomista, cioè come colui che attraverso i tratti fisici è in grado di risalire al carattere di un individuo. Zopiro dall'esame dei tratti del volto di Socrate, uomo notoriamente brutto, sostiene nel dialogo che questi sia un vizioso suscitando così una generale ilarità tra i presenti, ma è poi lo stesso Socrate a prenderne le difese confessando di essere stato preda delle passioni prima di dedicarsi alla filosofia.[3]
Ebbe come allievo Anchipilo.
Secondo il silografo Timone, tuttavia, Fedone fu un erista-dialettico paragonabile, nel pensiero, a Euclide.
(da wikipedia)
FEDRA
Eroina greca figlia di Minosse e di Pasifae. Secondo il mito più noto, elaborato poeticamente da Euripide in due tragedie, la perduta “Ippolito svelato”, e ”Ippolito coronato”. Fedra, sposa di Teseo, re di Atene, s’innamora del figliastro Ippolito, casto e devo to ad Artemide, e , respinta da lui, si uccide accusando il giovane di averla insidiata. Teseo maledice il figlio e chiede a Posidone di compiere la vendetta. Il dio fa apparire un mostro davanti al cocchio di Ippolito lanciato in corsa sulla riva del mare e questi muore travolto dai cavalli imbizzarriti.
FENICI
Antica popolazione semitica abitante fin dagli inizi del III° millennio nella regione che i Greci chiamarono Fenicia, situata sulla sponda orientalre del Mediterraneo a Nord del Monte Carmelo, tra la Palestina e la Siria.
(ritorna a Amintore)
FENICE
Nome di due eroi greci. L’uno figlio di Amintore, compagno di Achille nella guerra di Troia; l’altro, figlio di Agenore, fratello di Cadmo e d’ Europa, eroe eponimo dei Fenici.
FERALIA
I Feralia erano festività dell'antica Roma dedicate ai morti[1]; corrispondevano all'ultimo giorno dei Parentalia e vi avevano luogo cerimonie pubbliche con offerte e sacrifici ai Mani[2] a nome di tutta la città.
Riti e tradizioni
I Feralia erano antiche festività pubbliche romane che si celebravano ogni anno il 21 febbraio, come si ricava da una lettera di Cicerone ad Attico[3]. Quel giorno segnava la fine dei Parentalia, un periodo di nove giorni (13-21 febbraio) in onore dei defunti[4]. Come ricorda Ovidio nel secondo libro dei Fasti, il termine «Feralia» era etimologicamente legato all'usanza di "portare" (in lingua latina: fero) doni ai morti. Nei Feralia infatti i cittadini romani recavano offerte alle tombe dei propri antenati defunti che consistevano nella consegna, sopra un vaso di argilla, di ghirlande di fiori, spighe di grano, un pizzico di sale, pane imbevuto nel vino e viole sciolte; erano permesse anche offerte supplementari, ma i morti erano placati solo con le offerte rituali[1][5]. Queste semplici offerte per i morti erano state introdotte nel Lazio forse da Enea, che aveva versato vino e violette sulla tomba di Anchise[6]. Ovidio narra che una volta in cui i Romani avevano trascurato di celebrare le Feralia perché impegnati in una guerra, gli spiriti dei defunti erano usciti dalle tombe, urlando e vagando per le strade rabbiosamente. Dopo questo episodio, erano stati prescritte cerimonie riparatrici e le orribili manifestazioni errano cessate[5].
Nel giorno delle Feralia, che pure non era considerato nefasto, i templi rimanevano chiusi, i magistrati non potevano indossare la toga pretesta e non venivano celebrati matrimoni[1][7].
(da wikipedia)
("Ritorna a Silenzio")
FESTO
Città dell’isola di Creta, situata nella sezione meridionale, sulle rive del Geropatamòs. Il suo massimo fiorire è contemporaneo alla civiltà cretese - micenea. Distrutta da un incendio dovuto a cause non ancora ben definite, nel secolo XV a.C., si riprese e continuò ad essere una città ricca e popolosa e ad avere rapporti con gli altri centri dell’isola. Edifici, iscrizioni e documenti vari ne attestano la continuità anche nell’età bizantina. Gli scavi hanno portato alla luce i resti di due grandi palazzi, ed abitazioni private databili all’inizio dell’Elladico medio e all’Età ellenistico romana. I grandi palazzi presentano affinità nella pianta e nei materiali con quelli coevi di Cnosso. La città.estesa e circondata da mura più volte restaurate, conserva numerosi documenti di architettura, di pittura parietale e vascolare, di epigrafia e di scultura. Le necropoli che comprendono tombe a camera, tombe circolari e interramento in pythoi (grandi giare decorate da pitture), sono situate tutt’intorno al centro abitato. Particolarmente fiorente la fabbricazione di ceramiche, dalle semplici forme del Minoico primitivo e del Minoico medio, alle splendide ceramiche policrome dette di Jamares, che presentano motivi decorativi raffinati e forme complesse. Sono conservati in gran numero figurine e vasi plastici (ryta) di terracotta dell’età tardo minoica. Le produzioni ellenistiche e romane sono molto meno fini. Per quanto concerne i documenti linguistici di età micenea, non si trovano né tavolette né rubriche con testimonianza di scrittura lineare. Il famoso “disco di Festo” rinvenuto in una casa che fu distrutta contemporaneamente al secondo palazzo (1400 circa), è in geroglifici di discussa collocazione.
FETONTE
In origine semplice epiteto del dio Elio (il Sole); più tardi sostantivato a significare un mitico personaggio greco. Secondo Esiodo era figlio di Aurora e di Cefalo, un mortale rapito da Afrodite che divenne il custode notturno del tempio celeste della dèa. Altra versione lo vuole figlio di Elio e dell’oceanina Climene. Tale il suo mito; pur non avendo esperienza, volle guidare il carro solare del padre, ma si avvicinò troppo alla Terra e Zeus lo fulminò, perché rischiava di incendiarla e di distruggere l’umanità, sì che cadde in Italia, nel fiume Eridano (oggi Po). Il mito contempla anche il doloroso caso delle sue sorelle, le Elidi, che prima avevano aiutato il fratello a rapire il carro del Sole, e poi lo piansero. Furono perciò trasformate in pioppi e le loro lacrime in ambra.
(vedi APOLLO Miti e leggende)
FIDIA
Scultore greco (Atene V s.a.C.); formatosi alla scuola di Hegias o di Hagelades. Le fonti cronografiche antiche e Plinio ne pon gono il massimo splendore intorno al 448, e numerosi autori parlano delle molte opere dello scultore, dei suoi rapporti con Pericle, l’illuminato Signore di Atene, narrano aneddoti sulla vita e sull’attività e sul processo di empietà che dovette subire, accusato di aver raffigurato il proprio sembiante in un’opera (lo scudo della Parthenos) e di aver trafugato dell’oro durante la fusione della statua. Gli studiosi di archeologia concordano con le fonti antiche riguardo la data approssimativa della sua nascita (primi anni del sec.,V a.C.), e riguardo la sua formazione artistica presso le scuole del tardo stile severo. Una serie di sculture originali del maestro, la vasta congerie di copie e repliche dell’età romana, le numerosissime opere delle quali si ha notizia o semplici menzioni nelle opere letterarie antiche, servono da base alla ricostruzione archeologico filologica della sua attività e della distribuzione delle sue sculture lungo il lasso di tempo che lo vide impegnato nelle diverse creazioni artistiche commissionatigli. Fra le prime opere vanno poste una statua crisoelefantina di Atena, elaborata per la città di Pellene (della quale non abbiamo alcuna replica), una statua di Apollo detto Parnopios, cioè protettore contro le cavallette, eretta sull’Acropoli di Atene, una copia della quale si trova nel museo di Kassel in Germania; la statua del poeta Anacreonte, conosciuta oltre che dalla notizia di Pausania, dalla copia di Copenaghen; l’Atena Promachos, enorme e splendente, posta sull’Acropoli presso i Propilei, intorno alla quale gli scrittori antichi riferiscono molte notizie, e che fu raffigurata su monete, fino in età imperiale romana. Tutto questo primo complesso di opere deve essere datato tra il 470 e il 450 a.C. In epoca immediatamente successiva si può porsi un ”Donario“ posto lungo la via sacra di Delfi, e la statua di Atena in bronzo. che Fidia fuse per gli Ateniesi che si recavano a colonizzare Lemno; la famosa “Atena Lemnia” che un archeologo della fine del XIX° secolo Adolf Furtwangler riuscì a restituire nella sua completezza sovrapponendo la testa cosi detta Palagi del Museo Civico di Bologna, ad un torso conservato a Dresda. Probabilmente fra gli anni 450 e il 448 fu incaricato di lavorare allo Zeus crisoelefantino destinato ad essere posto nella cella del tempio di Zeus ad Olimpia. Molti studiosi dubitano tuttavia di questa datazione e pongono questa attività dopo la datazione dei lavori di decorazione del Partenone. L’immensa statua dello Zeus, presentava la divinità seduta su un trono adorno di pitture e di varie decorazioni in metallo prezioso ed avorio. Nell’area del santuario di Olimpia, gli scavi hanno portato in luce un edificio che dovette essere l’officina laboratorio del maestro. Dopo l’anno 448 nel quale la notizia pliniana del massimo splendore dell’arte di Fidia si trova ad incidere con la creazione di una delle sette meraviglie del mondo antico, come dicono le fonti, Fidia venne richiamato in Atene per collaborare all’attuazione dei grandi progetti di Pericle sull’A cropoli e precisamente sul tempio di Atena. Gli architetti incaricati di eseguire il lavoro (Iktinos e Kallikrates), lo ebbero come sorvegliante (episkopos) e collaboratore nelle decorazioni scultoree che completavano l’architettura dell’edificio; i due frontoni, con le raffigurazioni della nascita di Atena e la contesa Atena Poseidone, le metope decorate con scene varie mitologiche; il lungo fregio con la rappresentazione della processione “panatenaica”, alla conclusione della quale si offriva alla dèa il peplo lavorato dalle fanciulle ateniesi, e infine la splendida statua crisoelefantina di Atena posta nella cella. Una serie di documenti epigrafici e storici permette di datare questo importante complesso artistico fra il 448 e il 438. I resti delle opere di Fidia e della sua scuola sono conservati in minima parte “in situ”, e inoltre, in vari musei europei (Atene - Londra ecc.). Della statua di Atena si conoscono copie particolarmente notevoli come quella di Varvakion ad Atene e la cosidetta Lenorman. La statua raffigurante la dèa severa e solenne nella sua armatura completata con lo scudo; era considerata fin dall’antichità come una delle opere più significative di Fidia. Allontanato da Atene in seguito al processo per empietà, lavorò ancora ad altre statue di notevole importanza, come ”l’Amazzone” (repliche al museo Vaticano, al Capitolino, al Museo Nazionale Romano); “l’Afrodite Urania” ed altra “Afrodite” che Plinio vide in Roma nel portico di Ottavia, eccetera. Sulla scia delle opere di Fidia lavorarono artisti minori del V secolo, e l’influsso della sua arte permeò il successivo sviluppo della scultura greca. I caratteri fondamentali dell’arte di Fidia: il plasticismo, l’equilibrio nella scelta dei soggetti, nelle composizioni, nel graduare gli effetti del chiaro scuro; rappresentazione non dettagliata ma perfetta nella sua essenzialità del corpo umano, modulazione di piani e movimento nei panneggi; somma organicità di forma riassumono ed esemplificano alla perfezione gli aneliti artistici dell’arte gre ca nel periodo classico.
FIGALIA
Antica città dell’Arcadia. Dal VII al II s.a.C., fu occupata alternativamente dagli Etoli, dagli Spartani, dai Macedoni; a partire dal II secolo fece parte della lega Achea, ed infine nel II s.d.C., fu compresa nella provincia romana di Acaia. Il luogo dell’antica cit tà è oggi individuabile grazie ai resti delle mura databili dal VI s.a.C., all’età ellenistica. Fuori della cerchia delle mura, gli scavi hanno posto in luce resti di templi e necropoli. La zona archeologica più importante, quella di Bassae, dove ad oltre 1000 mt. di altezza sorge un grande tempio ben conservato. Gli scavi condotti da archeologi greci hanno permesso di recuperare le parti architettoniche e decorative. Il tempio dedicato ad Apollo è dorico, periptero, con sei colonne in facciata. Secondo antiche fonti fu ideato da Ittinos, uno degli architetti del Partenone, presumibilmente costruito fra il 450 e il 425 e completato entro il 420.
FILEMONE
e BAUCI
Secondo i miti greci, due vecchi sposi protagonisti di un’antica favola localizzata in Frigia ed elaborata dal poeta *Ovidio. Avendo essi dato ospitalità a Giove e a Mercurio che viaggiavano in incognito sulla Terra, ottennero di morire contemporaneamente. Giunti a tardissima estrema età morirono insieme, e furono convertiti l’uno in quercia e l’altra in tiglio. Preso come simbolo del l'amore coniugale, e per la gran fede che quelli si erano serbati in tutta la vita.
- Ovidio Met. VIII°
-
....
Bauci, una pia vecchietta, e Filemone, della stessa età,
che in quella capanna erano invecchiati, alleviando la povertà
con l'animo sereno di chi non si vergogna di sopportarla.
Non ha senso chiedersi chi è il padrone o il servitore: la famiglia
è tutta lì, loro due; comandano ed eseguono tutti e due.
(da : https://www.miti3000.it/mito/index.htm)
FILIPPI
Città della Tracia ai confini con la Macedonia a NO di Anfièpoli, posta lungo la via Egnatia, deve il suo nome a Filippo II° di Macedonia e la sua fama alla battaglia che si svolse nel 42 a.C., tra le forze di Ottaviano e Antonio da una parte, e quelle di Bruto e Cassio dall’altra. I congiurati, uccisori di Cesare, furono sconfitti e si suicidarono, ma il vero vincitore dal punto di vista militare fu Antonio, anche se la vittoria politica toccò poi ad Ottaviano. Successivamente la città ebbe lo statuto di colonia romana col nome di “Augusta Julia Philippensis”; evangelizzata da S.Paolo, vi fiorì una delle prime comunità cristiane, alla quale l’Apostolo indirizzò un epistola.
FILODEMO
di Gadara
Poeta epigrammatico e filosofo greco dell’età ellenistica (n.Gadara 110 c/ca – m. Palestrina 28 a,C,). Discepolo di Zenone di Sidone, fu uno dei rappresentanti della filosofia epicurea e uno dei mediatori più fecondi della cultura greca in terra romana; visse quasi sempre tra Roma, Napoli ed Ercolano, raccogliendo attorno a sè un cenacolo epicureo assai famoso di intellettuali e soprattutto di poeti. Scrisse molte opere in prosa di argomento filosofico i cui brani più o meno ampi ci sono stati restituiti dai papiri ercolanensi. Possiamo qui ricordare “Sulle rappresentazioni e i loro contrassegni”, che trattava i temi della conoscenza; ”Sui vizi e sulle virtù corrispondenti”; ”Sulla morte”; ”Sulla pietà” e “Sugli dèi” (le ultime due dedicate alla esposizione della teologia epicurea). Particolarmente celebri le opere “Sulla retorica”; ”Sulla Musica”; “Sulla Poesia”.
FILOLAO
Filosofo greco nato a Crotone e vissuto nel V° s.a.C. I dati della sua biografia sono soggetti alla stessa incertezza e alle stesse difficoltà che rendono difficile ricostruire la storia della scuola pitagorica alla quale appartenne. Di certo si sa che soggiornò a Tebe contribuendo in modo decisivo alla diffusione del pitagorismo in Grecia. Suo discepolo è quel Scimmia che fa da interlocutore di Socrate nel “Fedone Platonico” e che prima di morire tornò in Italia dove sarebbe stato ucciso per ragioni politiche. Filolao sarebbe stato il primo pitagorico a pubblicare uno scritto dal solito titolo “Sulla Natura”, ma si continua a discutere dell’autenticità dei frammenti conservati sotto il suo nome. Il che, aggiunto all’incertezza della tradizione dossografica e alla difficoltà di distinguere ciò che,della filosofica pitagorica va attribuito al suo fondatore e ai suoi immediati discepoli, da ciò che spetta all’ulteriore sviluppo della scuola, rende assai incerta la ricostruzione precisa della filosofia di Filolao. Senza il numero non sarebbe possibile pensare o conoscere alcunché, dice Filolao; principi di tutte le cose sono i limiti (il dispari, illimitato il pari) e il “parimpari” cioè l’unità aritmetica che aggiunta al pari forma il dispari e aggiunta al dispari forma il pari. La perfezione è simbolo della decade (composta dal”parimpari” piu la somma del primo pari, del primo dispari e del primo quadrato); dieci sono infatti le opposizioni fondamentali, dieci i corpi celesti, eccetera. Di Filolao ci sono inoltre stati tramandati frammenti concernenti osservazioni psicologiche e mediche.
FILOMELA
Figlia di Pandione e di Pilia, mitico re di Atene; violata da Teseo marito di sua sorella Progne, quindi privata della lingua, imbandì a Teseo, le membra del di lui figlio Iti; trasformata dagli dèi in usignolo, mentre Progne lo era in rondine e Teseo in Upupa, ma (secondo altra versione in Sparviero).
(ritorna a PILIA
(ritorna a ITI)
FILOSSENO
di Eretria
Pittore greco; ne parla Plinio nella sua “Naturalis Historia“. Discepolo di Nikomachos, dipinse per il re Cassandro (306 - 297 a. C.) un quadro con la scena della battaglia di Alessandro Magno contro Dario, ed altre composizioni minori e continuò a dipingere con la tecnica ”sommaria e sbrigativa“ (compendiaria) del suo maestro. Una copia della sua ”Battaglia di Alessandro”, è stata riconosciuta dagli studiosi nel finissimo mosaico pompeiano (Battaglia d’Isso) della villa del Fauno danzante (a Napoli – Museo Nazionale); gli arditi scorci, il senso dinamico che caratterizza le figure, l’impiego di colori vivaci e di “lumeggiature” a macchia, quasi a sottolineare i contrasti delle tinte, possono offrire una spiegazione del termine “compendiaria” che Plinio attribuisce alla sua arte, e dare un’idea dei caratteri della pittura greca, alla fine del secolo IV a.C.
FILOTTETE
Eroe greco figlio di Teante, amico di Ercole, erede del suo arco dalle frecce infallibili; partecipa alla spedizione di Troia e il suo mito lo vuole uccisore di Paride con le frecce avvelenate. Affetto da una sconcia piaga d’isopportabile fetore dovuto alla ferita cancerogena ad una gamba, prodottagli dal morso di un serpente, è abbandonato nell’isola di Lemno. Avendo poi l’oracolo confermato l’impossibilità di vittoria senza le armi di Ercole, dopo dieci anni fu ricondotto a Troia e guarito da Macaone.
(ritorna a Macaone
FL-FU
FLAMINI
(Da flare - soffiare) Sacerdoti romani addetti al culto di una particolare divinità, cioè al culto di un imperatore divinizzato. Erano quindici, organizzati in forma gerarchica: tre maggiori e dodici minori. I maggiori dovevano essere patrizi ed erano: il Diale, il Marziale e il Quirinale, rispettivamente al servizio di Giove, Marte e Quirino. Il flamine Diale godeva di speciali prerogative, anche nella vita pubblica, ma era sottoposto a molte interdizioni: doveva essere sposato, con moglie e al servizio di Giunone. La coppia doveva rappresentare quella divina, di Giove e Giunone, e l’italica della Primatera, connessa con la vegetazione e particolarmente venerata dai Latini Sabelli * (Sabini) e Oschi *(popolazione italica della Campania). Aveva un tempio in Roma, dove ogni anno, dal 28 aprile al 3 maggio si celebravano i giochi intitolati alla dèa Flora (Ludi Florales).
CENNI STORICI
*Sabini; antico popolo, cha abitava in età storica il territorio tra l’Averno e il Liri (fiume della Campania che costituisce il corso superiore e medio del Garigliano) di cui le principali città sono: Rieti, Norcia, Amiterno, Cure. Secondo la tradizione deriverebbero dagli umbri e in seguito a una primavera sacra, spostatisi ancora al sud, avrebbero dato origine ai sanniti. Nel primo periodo della storia di Roma appaiono assai congiunti ai romani il ratto delle Sabine con cui Romolo provvide di donne gli uomini raccolti con il diritto di asilo; guerra e accordo con Tito Tazio; regno in Roma del sabino Numa Pompilio; nel 449 a.C., appaiono in guerra e vinti dai romani; assoggettati circa il 290, durante le guerre sannitiche, ebbero diritto di cittadinanza (con suffragio dal 268).
*Oschi: popolazione organizzata in tre federazioni (Capua, Nola e Abella Nocera); assoggettata ai romani nella seconda metà del IV secolo. La lingua osca, di cui restano alcune iscrizioni, era parlata oltre che dagli Oschi anche dai Sanniti, Lucani e Bruzi; ap partiene al gruppo Osco–Umbro, delle lingue italiche.
FLEGIAS
(Flegia)
Mitico re dei Lapiti, padre di Issione e di Coronide. Per vendicarsi di Apollo, seduttore di Coronide, incendiò il tempio di Delfi. (Vedi Plutone in Miti e Leggende)
FLORA
Deità italica che presiedeva ai fiori. Venerata in Roma antica e nel Lazio; in suo onore si celebravano le feste floreali dal 28 aprile al 3 maggio. Divinità della Primavera era connessa con la vegetazione e particolarmente venerata dai Latini, Sabelli e Oschi; il suo tempio in Roma. Gli “ldi Floreales”, erano eseguiti da meretrici che, parodiando gli spettacoli consueti, inscenavano cacce ad animali domestici anziché a fiere, e si fingevano finti combattimenti fra gladiatori.
Nicolas Poussin, Il Regno di Flora, 1631, olio su tela, Dresda, Staatliche Kunstsammlungen “Il regno di Flora” - Dipinto di Nicola Poussin, ispirato alla Metamorfosi di Ovidio. Vi sono raffigurati, da sinistra la ninfa Clizia amata da Apollo e mutata in girasole; Narciso invaghito della sua immagine e Flora danzante
FOBO
Fobo, o Phobos, era una figura della mitologia greca. Figlio di Ares, dio della guerra, e di Afrodite, dea della bellezza, era la divinizzazione della paura e fratello di Deimos, il terrore causato dalla guerra. Tuttavia queste personificazioni malvagie avevano anche fratelli e sorelle buone, come Armonia, la sposa di Cadmo. Il suo tempio maggiore si trovava a Sparta e gli Spartani pregavano nel tempio prima di scendere in battaglia.
(vedi DEIMO)
FOCEA
Colonia greca ionica e città dell’Asia Minore presso la foce del fiume Ermo. I suoi abitanti dedussero colonie nel Mediterraneo occidentale; Marsiglia 600 a.C. Si spinsero a navigare l’Atlantico, facendo centro a Tartasso, presso le foci del Beti (Guadalquivir
FOCIDE
(Fokis)
Regione storica della Grecia centrale fra la Tessaglia e la Beozia. Si affaccia a Sud al golfo di Corinto e confina con la Ftiotide a Nord, la Beozia a Est, e la Etolia a Ovest. Il territorio prevalentemente montuoso (in una delle pianure era situata la famosa città di Delfi). I pochi corsi d’acqua sono spesso asciutti, sia per il clima arido, sia per la diffusione di terreni calcarei; il capoluogo e principale centro è la cittadina di Anfissa. Nell’antichità centro religioso importantissimo.
(vedi DELFI)
FORBANTE
Dio esperto della navigazione.
Note - Eneide libro V° Episodio di Palinuro che, vinto dal Sonno, cade in mare: ..."L’umida notte aveva corso già metà del suo itinerario celeste, ed i naviganti distesi sotto i remi, sopra le dure panche, già rilassavano i corpi nella placida quiete; quando il leggero Sonno sceso dagli astri altissimi disperse l’ombra e mosse l’aria nera, cercando te Palinuro incolpevole, portandoti segni ben tristi.
Il dio sedè sulla poppa, somigliava nel volto a Forbante, ti disse:
- Palinuro di Jaso, se la flotta nel vento va avanti da sé e spirano lievi le brezze, è l’ora del sonno. China la testa, ruba gli occhi stanchi al lavoro. Prenderò un poco il tuo posto; io veglierò per te.
– E a lui levando appena gli occhi stanchi parlò Palinuro
– Mi chiedi di non badare al volto del placido mare, e ai flutti tranquilli?
Mi chiedi di confidargli Enea? Il cielo sereno e l’infido vento troppe volte m’hanno tradito.
- Restava fermo al timone, attento al percorso degli astri, ma il dio sulle tempie gli scuote un ramo bagnato nel Lete, carico del sonno potente dello Stige; a lui che invano rilutta, chiude gli occhi smarriti. Appena il sonno improvviso gli sciolse le membra, gli fu sopra e lo buttò a capofitto nel mare con un pezzo divelto di murata e il timone e un grido inutile ai compagni, quindi volando leggero se ne tornò nell’aria.
Ma la flotta procede egualmente; il cammino tranquillo per l’acqua alta; sicura, guidata da Nettuno.
E già s’accostava agli scogli delle Sirene ardui tanto una volta, bianchi di tante ossa; già suonavano rauchi al frequente rumore del mare in lontananza quando Enea scoprì che la nave errava alla deriva e aveva perduto il pilota.
Allora egli stesso diresse lo scafo nell’acqua notturna, mentre commosso dal caso, molto gridava nel pianto;- O troppo fiducioso nel mare e nel cielo sereno giacerai Palinuro, in sabbia ignota nudo".
FORCO
Figlio di Nettuno (Ponto) e di Gea (Terra), padre delle Gorgoni; dopo morto è trasformato in un dio marino. Le sue tre figlie bellissime avevano teste orrende, cinte di serpenti e lo sguardo che pietrificava. (I loro nomi: Megera, Steno, Euriale)
(ritorna a Keto)
(ritorna a Ponto)
FORMIDE
(Siracusa, ... – ...), floruit tra il VI secolo a.C. e il V secolo a.C., noto anche come Phormis, poeta e drammaturgo greco-siceliota.
FORTUNA
Divinità latina che aveva un famoso santuario a Preneste, (Palestrina) dove, per due giorni all’anno, l’11 e 12 aprile, in occasione della sua festa, si chiedevano responsi, oracoli, mediante la con sultazione su tavolette di legno iscritte (sortes), e un bambino estraeva da un’arca dopo averle mescolate. La dèa, detta anche Primigenia, era ritenuta la madre primordiale che aveva dato origine al mondo; ogni trasformazione attuale, ogni evento fortuito, ogni nuova nascita si faceva risalire alla presenza della dèa, quale madre di tutte le forme della realtà. Era considerata dèa distributrice a suo arbitrio del bene e del male, variamente rappresentata come dignitosa matrona, come giovane bendata corrente su di una ruota. Fu venerata in Roma con varie altre forme ed epiteti; i suoi simboli erano il timone della vita, il globo e la ruota, e la cornucopia, simbolo del suo buon governo delle sorti umane, della sua instabilità e dei suoi dubbi. Oltre al Santuario di Palestrina, esistevano in suo onore altri due famosi santuari: uno ad Anzio, del quale abbiamo poca memoria, ed uno a Roma, che si fa risalire al re di Roma, Servio Tullio.
- Note
- La fortuna si figura calva, solamente con un ciuffo di capelli in fronte, la quale non si sente mai stanca di far espiare ai Comneni di aver ereditato da Roma l'impero e i tributi dell'Asia e la religione cristiana, per la quale Costantino mutò il gentilismo. La religione cristiana fu proclamata religione dell'impero coll'editto costantiniano di Milano nel 313.
- Monti: Prometeo, II, 233
- "...al volgere degli anni e della rota di quella calva che scherzando tutte cangia l'opere mortali e mai non posa".
FRIGIA
Regione storica della Turchia sull’altopiano anatolico di cui costituisce la sezione occidentale. Anticamente stava ad indicare una zona assai più vasta dell’attuale ed estendentesi dal fiume Halys (l’attuale Kizi Lirmak) a est, fino al Mar Egeo a Ovest, ma più tardi fu considerata come Frigia l’area racchiusa dalla Bitinia a Nord e la Pisidia a Sud, la Misia, la Lidia, e la Caria a Ovest, la Licaonia a Est. Prevalentemente montuosa, la regione è incisa da alcuni corsi d’acqua tributari dell’Egeo, quali i Gediz e il Bujuk Mensderes (l’antico Meandro). I Frigi, antica popolazione di origine probabilmente europea proveniente dalla Macedonia o dalla Tracia nella seconda metà del II° millennio a.c., giunsero in Asia Minore sovrapponendosi agli Ittiti, e costituendo un regno indi pendente, che da loro prese il nome di Frigia. Benchè il regno avesse inizialmente una notevole estensione, andando dal fiume Halys all’Egeo, non assunse mai un ruolo di particolare importanza nel quadro politico del Mediterraneo orientale ,pur tenendosi in contatto con le fiorenti “poleis greche“ e con i regni mesopotamici. La capitale del regno era Gordio, sulla riva destra del Sangario, e i re prendevano alternativamente il nome della città e quello di Mida. Nel corso dei secoli l’estensione del regno venne,in varie riprese riducendosi al territorio approssimativamente a quello del l’attuale, fino a perdere ogni contatto con il mare. Agli inizi del VII° secolo a.C., fu travolta da un’invasione di Cimieri che posero termine alla sua indipendenza. In seguito fino alla metà del VI° s., fu dominata dai Lidi, e nel 546 a.C. fu soggetta all’impero persiano, finchè nel 333 a.C., fu conquistata da Alessandro Magno. I Frigi ricordati nei poemi omerici per l’attivivà agricola e per l’allevamento del bestiame, erano particolarmente famosi per le lane e per l’assiduo sfruttamento delle miniere d’oro, ciò che dette probabilmente origine alle leggende sulle favolose ricchezze del loro re Mida. Poco si conosce, almeno fino al VI° secolo a.C., della loro civiltà. L’arte frigia di cui restano poche testimonianze in alcuni monumenti sepolcrali, sembra tipicamente ittita, almeno inizialmente, quindi profondamente influenzata dalla cretese e infine da quella greca. La religione pare fosse sostanzialmente la naturalistica e le divinità più venerate furono Cibele e Attis, i cui culti orgiastici si diffusero poi ampiamente in Grecia e in Roma.
(Vedi Pelope)
FRISSO
Personaggio della mitologia greca, figlio del re Beota Atamante, re di Tessaglia, sfuggì con la sorella Elle alle insidie della matrigna Ino, grazie al miracoloso intervento di un ariete (montone dal vello d’oro), inviato dalla loro madre Nefele. L’ariete portò via in volo i due giovinetti, ma durante il tragitto Elle precipitò in un tratto di mare che da lei prese in seguito il nome di Ellesponto (odierno stretto dei Dardanelli). Frisso fu condotto nella Colchide presso il re Eete e qui sacrificò l’ariete a Zeus e ne appese il vello d’oro in un bosco sacro ad Ares, donde fu poi rapito dagli Argonauti.
(vedi ARGONAUTI)
(Ritorna a Elle)
FTIA
Città della Tessaglia patria di Achille (Omero-Iliade)
(vedi FARSALO)
FTIOTIDE
(Fthyotis)
Regione storica della Grecia centro–orientale; bagnata a Est dal mar Egeo, prevalentemente mon tuosa e collinare, arida e scarsamente popolata. Capoluogo la città di Lamia, dominata da una fortezza medioevale. Il suo nome deriva da Ftia, antichissima città dei Mirmidoni capitale del regno di Peleo e di Achille; tra gli altri luoghi della regione legati a ricordi storici sono le Termopili.
FULMINANTE
Il dio Nettuno
(vedi ENOSIGEO)
FURIE
(NEMESIE)
Tre divinità latine “Aletto, Megera,Tisifone, ” corrispondenti alle greche Erinni, dèe terribili del rimorso, che tormentavano i colpevoli. Erano raffigurate brutte e cattive, con serpenti al posto dei capelli e faci nelle mani. Perseguitavano specie i matricidi ed i parricidi.
(vedi EUMENIDI)
(ritorna a Aletto)
(ritorna a MGERA)
NOTE