SINOSSI DI MITOLOGIA

MA - ME

MACAONE

Macaone (in greco antico: Μαχάων, Machàōn) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Asclepio ed Epione, fratello di Podalirio. Celebre medico, imparò le sue arti guaritrici dal padre e dal maestro Chirone. Era tra i pretendenti di Elena.
(vedi Filottete)

MACEDONIA

Regione storica della Penisola Balcanica, limitata dai contrafforti dei Monti Rodopi a Est, dai rilievi del sistema dinarico a Ovest, dallo spartiaque del bacino del Danubio a Nord, e dal Mar Egeo a Sud.
CENNI STORICI
Secondo la tradizione il regno di Macedonia si sarebbe costituito intorno al XIV° s.a.C., con l’arrivo di alcune tribù pelasgiche ittiche, popolazioni pre-elleniche, sulle quali avrebbe predominato quella dei Macedui, che diedero il nome alla regione. Poco si sa comunque della sua storia fino ad Aminta I re, che sul finire del V° s.a.C., accettò la supremazia persiana sul paese. Dopo le battaglie di Salamina e di Platea, la Macedonia si avvicinò al mondo greco, del quale cercò di assimilarne la civiltà e la cultura,e, benché i Macedoni fossero considerati dei barbari dai Greci (almeno fino al IV° s.a.C.), sembra molto probabile che i primi affini etnicamen te e linguisticamente ai secondi, avessero elaborato una propria civiltà e una propria cultura, aperta agli influssi della più avanzata civiltà ellenica. La presenza della Macedonia nella storia greca si fece sentire pesantemente intorno alla metà del IV° secolo, quando Filippo II°, impossessatosi del regno in luogo del giovane nipote Aminta IV°, traformò la Macedonia da piccolo regno periferico, in grande potenza ellenica, e infine con il suo successore Alessandro Magno, essa diffuse la cultura e la civiltà greca in tutto il Mediterraneo orientale fino ai confini dell’India. Dopo la morte di Alessandro, la Macedonia non riuscì a mantenere i confini dell’impero, e. nelle lotte che ne seguirono, ridotta ad essere uno dei piccoli regni ellenistici, passò rapidamente dalle mani di Cassandro a quelle di Pirro re dell’Epiro, di Lisimaco, di Seleuco, di Tolomeo Cerano ecc., finchè nel 276 Antigono Gonata, se ne impossessò definitivamente e la inevitabile decadenza si accentuò con i suoi successori. Filippo V° tentò di riprendere gli antichi ambiziosi disegni di potenza, opponendosi alla nuova soverchiante supremazia romana, ma, dopo la sconfitta di Cinocefale (197) dovette piegarsi all’egemonia di Roma. Dopo la battaglia di Pidna del 168, perdette anche l’indipendenza, divisa in quattro territori autonomi. Ribellatasi ancora a Roma, sotto la guida di Andrisco, che si spacciava per figlio del vinto re Perseo, figlio di Filippo V°, fu domata e ridotta a provincia romana, alla quale furono aggiunti successivamente la Grecia, l’Epiro e la Tessaglia. La battaglia si svolse nei dintorni della città di Cheronea nella Beozia, regione della Grecia centrale. Dall’alba i Greci e i Macedoni si contendevano la vittoria; lunghe lance protese, frecce guizzanti, corazze e scudi scintillavano al sole d’autunno ancora vivido. Fu visto un giovanissimo comandante, bello come un’antico dio, trascinare nell’impeto i suoi soldati, e mettere in fuga i tebani. Era Alessandro, figlio del re di Macedonia Filippo e non aveva che diciottanni! La Grecia perdette in quella battaglia la sua indipendenza; vinta da un popolo che essa riteneva barbaro. La Macedonia, infatti, pur essendo ai confini del mondo ellenico (Elleni gli antichi greci), non aveva seguito il luminoso cammino della civiltà greca. Ma in quella rude, fertile terra nacque nell'anno 356 quel giovinetto, Alessandro, figlio di Filippo, che fu poi detto il “Grande o Magno”.. Nessuno era riuscito mai a domare Bucefalo, il cavallo della Tessaglia boscosa. Alessandro, giovinetto ancora, volle affrontare il focoso animale. Gli fu condotto fremente, scalpitante, la testa nera, la schiuma alla bocca. Il principe gli si accostò, lo prese per il freno, lo volse verso il sole. lo accarezzo come se fosse stato un bimbo capriccioso da ammansire. In un balzo gli fù in groppa e partì al galoppo verso il Sole. Alessandro sognava imprese straordinarie, travolgere eserciti, conquistare terre sconosciute, fondare città meravIgliose, coprirsi di una gloria tanto fulgida da offuscare quella dei più celebrati eroi. L’eco dei successi del padre Filippo, lo rattristava. Temeva che non gli restasse più alcun paese da assoggettare; troppo piccolo era il mondo a lui! Ma Filippo fu assassinato nel 336 a.C., ed Alessandro a vent’anni era re. Alle sue energie incontenibili si schiudevano vie stupende. Sorrisero i Grandi di Atene di quel re fanciullo che s’accompagnava sempre al suo fido e amato cane Peritas. Atene si libererà dal dominio di un barbaro! Sentenziava Demostene, l’insigne oratore. Ma si sbagliava! In meno d'un anno le città elleniche che gli si erano ribellate furono nuovamente soggiogate dal giovanissimo audace.
Viveva in Grecia un famoso filosofo, Diogene, ed avendo sentito Alessandro ch’egli era molto saggio, volle conoscerlo. Lo trovò a Corinto ch’era sdraiato per terra crogiolante al sole.
- Che cosa vuoi dal re? Domanda Alessandro.
- Nulla rispose! Ma... scostati, che mi fai ombra! Alessandro pur rimannendo mortificato nel suo orgoglio, capì la superiorità di quel Grande, ne ammirò la franchezza ed esclamò: - Se non fossi Alessandro, vorrei essere Diogene! La Grecia affidò ad Alessandro il più ambito incarico; il comando supremo delle forze elleniche, le quali si preparavano ad affrontare l’Impero Persiano. Era questo uno Stato vastissimo; tutte le terre asiatiche fin allora conosciute, e anche l’Egitto gli appartenevano. L’esercito e la flotta dei persiani erano possenti, e in passato avevano seriamente minacciato la libertà della Grecia. Alessandro era orgoglioso di assurgere a vendicatore delle antiche offese. Le belle triremi greche presero il mare Egeo, scortando l’armata greco-macedone, guidata da Alessandro. Passato l’Ellesponto, uomini e cavalli sbarcano sulle sponde asiatiche; bisogna far presto che i Persiani sono accampati a pochi chilometri. Si schirerano a qualche distanza dal fiume Granico, al di là del quale, l’esercito nemico è già schierato a battaglia. Al centro gli opliti (fanti armati di spada, corazza, scudo, elmo, schrinieri), che combatteranno in massa; alle due ali i cavalieri, bellissimi sui loro cavalli; infine i peltasti (da pelta, scudo leggero), pronti a scoccare le frecce. I Persiani sono disposti in una sola falange; sul ciglio del pianoro la cavalleria, più in alto i fanti. Le loro armature sono simili a quelle dei Greci, ma meno belle. Alessandro dà il segnale dell’attacco. Bàlzano i cavalieri al suo comando, seguono i peltasti sotto una pioggia di frecce; avanzano gli opliti. I Persiani non riescono ad arginare l’impetro. Le loro fila vengono rotte, e disperse; chi tenta resistenza, cade. L’esercito ripiega in disordine e si dà alla fuga I Greci non dimenticarono mai lo slancio eroico di Alessandro, splendido nella battaglia, ardimentoso e calmo. E i morenti confortati dal suo sorriso, dalla sua parola si addormentano sognando di aver visto un dio. Soltanto chi riuscirà a sciogliere il Nodo di Gordio avrà il dominio dell’Asia diceva la leggenda Frigia, (regione dell’Asia Minore) e Alessandro vi provò. I capi del nodo che teneva avvinto il giogo al timone del carro di Gordio gli sfuggivano, aggrovigliatissimi com’erano. Con uno scatto d’impazienza egli brandì la spada e tagliò il nodo. Se non per diritto, con la forza Alessandro avrebbe avuto il dominio agognato. (Gordio, famosa città antica della Frigia, fondata dal mitico re Gordio, e gordiano è il nodo inestricabile nel carro che si conservava in quella città. L’oracolo prometteva il dominio dell’Asia a chi lo sciogliesse; ed Alessandro Magno lo tagliò con la spada, per sciogliere o eludere l’oracolo.) I Persiani erano fuggiti, ma attesero poi i Greco - Macedoni al varco. Dario III° stesso, loro re, li comandava. Alessandro non si sgomentò. Le sue manovre furono precise. Tuttavia furono ore angosciose quelle che precedettero la battaglia, prospettatasi difficilissima. Nulla tradì la sua trepidazione; diceva ai soldati pronti a gettarsi nella pugna: - Siete i più forti popoli d’Europa e un dio combatte per noi. - Raddoppiate la fiducia in Voi! - Qui è Alessandro; là, Dario. I due eserciti vennero a porsi l’uno contro l’altro, nei pressi di Issia (alla porta Siriaca, dove, dall’Asia Minore si passa in Siria), sostarono. I Persiani erano in attesa. Se Alessandro voleva passare, impegnasse la lotta. Le loro tube perciò tacevano. Il duce Macedone diede il segnale e lo scontro iniziò. I magnifici uomini di Alessandro trascinati dall’impeto del loro capo, ardente di entusiasmo vinsero. Trionfo glorioso, certo uno dei più fulgidi di tutta l’intera campagna. Dario, il superbo re Persiano, fuggì cercando scampo nella Mesopotamia. Sopra un’isola, poco distante dalle sponde del Mediterraneo, si ergeva potentissima Tiro; fortezza marinara dell’antica Fenicia. Altre potentissime mura cingevano l’illustre città - isola, rendendola inespugnabile. Neppure Nabuconodosor, il famoso re di Babilonia, che aveva soggiogato Gerusalemme, non riuscì a conquistarla, pur avendola stretta d’assedio per ben tredici anni. Il suo dio era Ercole, a cui aveva dedicato un bellissimo tempio. Alessandro riteneva necessario per la sicurezza delle terre conquistate e divenute sue, il dominio di una città potente del Mediterraneo, e, fiducioso nella sua buona fortuna, decise di espugnare Tiro. L’impresa fu dura e lunga, ma nulla poteva dissuadere il Macedone quando si era prefisso uno scopo. Gli occorreva una flotta; l’ebbe. Assunse lui stesso il comando di una squadra navale e aprì una breccia nelle mura con appositi ordigni di guerra. Egli procedeva nel fitto della mischia senza mai essere colpito. Tiro, dopo una resistenza eroica e disperata cadde sotto l'ìimpeto dei macedoni guidati dal loro implacabile condottiero. Al divino Ercole, che Alessandro considerava suo progenitore, furono offerti sacrifici grandiosi e nuvole d’incenso. Gerusalemme, la grande città giudaica mandò incontro al giovane conquistatore Macedone i suoi Gran Sacerdoti del Dio unico. Egli li onorò e l’occupazione avvenne senza spargimento di sangue. E anche l’Egitto venne sistematicamente occupato; un’ altra gemma di Dario passata ad Alessandro. - Potentissimo Iddio, gli Egizi s’inchinano al tuo potere! Esclamavano le turbe; Alessandro immobile posava lo sguardo fiero sulla massiccia mole del santuario di Ammone. Il suo nome è legato alle sorti di una bella città che fondò sul Delta del Nilo; Alessandria. Dario nella lontana Mesopotamia aveva ricevuto aiuti dalle satrapie Orientali dell’Impero. Alessandro lo inseguì chilometri e chilometri attraverso regioni sconosciute, foreste fitte, lunghi corsi d’acqua, regioni aride e desolate, villaggi primitivi abitati da strane genti che parlavano lingue ignote e la marcia fattasi più faticosa per la stagione calda. Oltre il fiume Tigri nei pressi di Arsela, l’Armata persiana fu avvistata; una moltitudine di cui si potevano distinguere soldati, d’ogni satrapia del vasto impero. Dario contava sulla potenza dei carri armati di falci e lame trainati da robusti cavalli. Avrebbero seminato la strage, aveva anche quindici elefanti. L’estate oramai declinava, la mattina al primo sole Alessandro cavalcando il suo fedele Bucefalo, passò in rivista le truppe incitandole alla lotta e alla vittoria. Alle falci micidiali i Macedoni opposero giavellotti e frecce massacrando i cavalli e i conducenti. Alessandro lanciò la cavalleria al galoppo, Dario si trovò faccia a faccia con Alessandro, tentò colpirlo, poi, preso dal terrore folle, fuggì a galoppo seguito da tutte le sue forze messe in campo, compresi gli elefanti. Era la rotta completa. Sfarzo,ricchezze enormi, ma Alessandro non si ferma, Raggiunge la Media espugna Ecbatana, e la stessa Persepoli ch'è distrutta. Dario non gli oppone più resistenza, ucciso dal satrapo Besso, riposa nella tomba dei re. L’Impero persiano è disfatto; il dominio macedone è tanto vasto quanto nessuno avrebbe mai vagheggiato, ma Alessandro non è pago ancora. L’India ignota e misteriosa lo attira. E’ primavera, e Alessandro seguito dalle sue truppe ha raggiunto e varcato l’Indo. Una nuova campagna lo attende. Oltre l’Idaspe affuente dell’Indo, il re indiano Poro è deciso ad affrontarlo con la sua armata e i suoi elefanti. Continua la stagione delle pioggie, Nella notte buia, sotto il diluvio Alessandro mosse. Sopravvenne prima dell’alba un temporale violento. Tuttavia le imbarcazioni riuscirono ad attraversare le acque furiosae del fiume e raggiungere l’altra sponda. La pioggia cessò. Le prime luci dell’alba rivelarono al Poro la presenza dell’esercito Macedone. Le file degli Indiani erano fitte e agguerrite, ma il consueto slancio dei Macedoni ne sorprese la massa assalendola di fianco, generò un terribile scompiglio. Il clamore era reso più terribile dal barrito degli elefanti che, inferociti facevano strage degli Iindiani medesimi. La battaglia durò otto ore; Poro combattè da eroe e fu ammirato anche da Alessandro.  Il Macedone aveva montato durante tutta la battaglia il suo fido Bucefalo, Ma il celebre cavallo oramai vecchio, dopo la vittoria, d’improvviso cadde a terra morto. Le truppe erano sfinite dagli strapazzi, ed esauste per il clima. Egli riprese la via del ritorno e, dopo una lunga marcia lungo la Perside rientrò in Susa. Alessandro ritornava; ma nuovi progetti balenavano nella sua mente. Che voleva egli dunque? Tutto il mondo, per il suo Impero; dopo l’India, l’Arabia; insaziabile sempre. Narra la leggenda che Alessandro avesse un occhio azzurro e uno nero. Così il suo destino: la gioia di un sogno sempre più bello, fulgido, ridente, e una pena oscura, perenne: la sete dell’irrangiungibile! Aveva trascorso l’estate nella Media, si era poi recato in Babilonia, di dove aveva deciso di assoggettare l’Arabia, iniziando così un nuovo ciclo di conquiste. Altri mesi passarono. Fu colto da acutissime febbri. Le sue condizioni si aggravarono rapidamente. Lottò contro il male, rimanendo in piedi. finchè, privo di forze, fu adagiato nelle sale del palazzo reale. Volle ancora assistere ai sacrifici propiziatori in un ansia disperata d’aggrapparsi alla vita, che gli sfuggiva prima ch’egli avesse realizzato i suoi disegni. Al tramonto di una luminosa giornata di giungo, si spense. Non aveva ancora trentatre anni. Ma la sua maschia figura si profila ancora allo rizzonte della storia, eretta, impetuosa, su un cavallo bianco verso le ultime mete, verso i confini del mondo! 

Granico LeBrun
  • Alessandro Magno passa il Granico e mette in fuga i persiani
    Autore: Audran Jean (1667/ 1756), incisore; Le Brun Charles (1619/ 1690), inventore
    Cronologia: 1672
    Oggetto: stampa
    Materia e tecnica: acquaforte
    Misure: 1379 mm. x 646 mm. (Parte incisa)
    Notizie storico-critiche: Questa stampa costituisce il foglio n. 1 di una serie di 4.
    Collezione: Fondo Calcografico Antico e Moderno della Fondazione Biblioteca Morcelli-Pinacoteca Repossi
    
  • Busto di A.Magno - Lisippo
  • -“Alessandro Magno “ – Busto (credesi opera di Lisippo)
  • A.Magno entra a Babilonia
  • -“Ingresso di Alessandro in Babilonia” - post 1818 - ante 1828
    Altorilievo in marmo bianco di Carrara con figure intere
    Autore: Thorvaldsen, Berthel (1770-1844)
    Collezione d'arte del museo di Villa Carlotta Tremezzina (Como)
  • A.Magno Isso
  • -“Battaglia di Dario e Alessandro ad Isso“ Mosaico a Pompei - Napoli
  • Sabratha_libya
  • -Ingresso di Alessandro a Babilonia. - 1664.quadro ad olio di Charles Le_Brun - Louvre.
  • MAGIA

    In età classica il termine indicò l’arte divinitoria dei sacerdoti cosidetti ”magi”. Costoro, in epoca ellenistica, quando la Persia aveva perduto la propria indipendenza politica, si sparsero nel mondo greco - romano, offrendo ovunque i loro servigi. Erano accolti favorevolmente presso gli strati meno elevati della popolazione, e anche se talvolta trovavano fortuna presso la corte degli imperatori romani, in genere, furono tenuti in spregio dalle classi colte. Per questa scarsa considerazione gli scrittori cominciarono ad usare il termine magia per designare l’attività di ogni genere di fattucchieri che operavano ai margini della religione ufficiale. Con l’avvento del cristianesimo fu riguardata come una superstizione, o, peggio ancora, come un’attività peccaminosa mediante la quale si cercava di operare contraffacendo i riti religiosi, servendosi dell’aiuto del diavolo. In tal modo la preesistente opposizione intellettuale tra religione ufficiale e magia si trasformava in antitesi teologica, ai cui poli opposti venivano messi Dio e il diavolo. La conseguenza di tale impostazione fu la persecuzione religiosa e temporale dei maghi /magi) e streghe (tra i quali furono conpresi anche gli alchimisti) che produsse nel medio evo un’infinità di processi per magia, che riservavano ai colpevoli la pena del rogo.

    MAGNA GRECIA

    Nome con cui si designavano, almeno dal II° s.a.C.,le colonie greche dell’Italia meridionale, i cui coloni venivano indicati col nome di italioti. Il movimento colonizzatore, salvo qualche caso sporadico, non fu anteriore all’VIII° s.a.C., ma, pur essendo assai di più vaste proporzioni di quello che nei secoli XIV° - XII° a.C., avevano portato coloni greci su tutte le isole dell’Egeo e sulle coste del l’Asia Minore, si differenziò da questo perchè fece capo quasi solamente ad alcune città, soprattutto le ioniche; Calcide, ed Eretria, e le doriche Megaria e Corinto. Tra i primi e più attivi colonizzatori greci dell’Italia meridionale furono i cosidetti Achei. Le più antiche colonie, secondo la tradizione, sarebbero state Metaponto, fondata nel 773 a.C., Siri, Sibari, e forse Crotone, mentre quasi contemporaneamente i Calcidesi dell’Eubea, approdarono sulla costa nord - occidentale della Sicilia, dove fondarono Nasso (secondo la tradizione tuciditea nel 735 a.C.) e quindi movendo di là; Leontini, Catana e Zancle, detta poi Messana (Messina) e, sulla sponda calabra Reggio. Di qui si spinsero poi lungo le coste tirreniche e occuparono l’isola di Pitechusa (Ischia), fondarono sul continente la colonia di Cuma, che poco dopo avrebbe fondato a sua volta Neapoli e, molto più tardi intorno al 523 a.C., avrebbe accolto sotto la sua protezione una colonia di fuggiaschi Sami, in Dicearchia (Pozzuoli), e coloni Lacedemoni fondarono Taranto, destinata a diventare una delle maggiori città della Magna Grecia, mentre i Sibariti fondarono Posidonia (Paestum). Tra le città della Magna Grecia, Taranto e Sibari furono tra le prime verso il VII° - VI° sec. a raggiungere grande prosperità e potenza, ma la seconda cadde intorno al 510 sotto l’egemonia di Crotone, che per l’azione politica dei pitagorici riuscì a costituirsi un vasto dominio che si estese fino al cuore della Sila. Lotte interne portarono al dissolvimento nel V° secolo della potenza coloniale e sulla fine dello stesso secolo dovette costituirsi tra le varie città della Magna Grecia una lega, detta italiota, per la comune difesa contro le popolazioni indigene della penisola, respinte in un primo tempo sulle montagne dell’interno, e poi di nuovo incalzanti verso il mare. Senonchè tanto la lega italiota quanto le spedizioni di soccorso inviate dalla madre patria, furono impotenti a contenere la pressione degli Italici che misero spesso in difficoltà perfino Taranto, la più forte delle città greche dell’Italia Meridionale, oltre che roccaforte della civiltà ellenica in Occidente. Agli inizi del III° s.a.C., con l’affacciarsi della potenza romana nell’estremità meridiona le della penisola, ogni resistenza venne sopraffatta. Nel 277, invano ostacolata da Pirro, chiamato in aiuto dai Tarantini, Roma conquistò Taranto e tutta l’Italia meriidionale cadde sotto il suo dominio contro il quale si tentarono inutilmente riscosse durante la seconda guerra punica, e durante le guerre sociali.

    MAGNESIA

    al Meandro

    Antica città della Caria, (Turchia) presso il fiume Meandro. Sue rovine furono scoperte al principio del XIX° secolo. Fondata, come vuole la leggenda, dai Magneti della Tessaglia e ricostruita nel 400 a.C., dallo stratega spartano Tibrone. Conobbe sotto l’impulso dei diadochi, un grande ed organico sviluppo costruttivo, ed è uno degli esempi più completi della nuova scienza; l’urbanistica, che le condizioni sociali dell’ellenismo rendevano possibili; l’architetto fu Hermogenes di Alabarda. Un complesso comprende il tempio e l’altare di Artemide che si trovano allineati sull’asse di una grande piazza porticata, che si attacca obliquamente all’agorà, con i portici della quale comunica attraverso una porta monumentale. Nel grande spazio dell’agorà si alzava verso Sud, isolato, il piccolo tempio di Zeus, e dalla stessa parte si aprivano le quattro strade dei quattro quartieri privati della città. Notevoli il teatro, con l’edificio della scena costruito con grande ricchezza, lo Stadio, e un ginnasio di età romana, che costituisce ora la rovina più imponente. Le sculture ellenistiche rinvenute nel II° - I° s.a.C. (disperse nei musei di Parigi, Istambul, Berlino), mostrano una stretta relazione con la scuola di Rodi.

    MAIA

    La maggiore delle Pleiadi, figlia di Atlante e amata da Zeus, generò Ermete (Mercurio). Divinità italica, identificata poi con la Maia greca, figlia di Fauno e moglie di Vulcano, dèa del rigoglio primaverile; le era sacro il mese di maggio.

    MANI

    Ombre dei defunti onorate come divinità.

    MANIO

    CURIO DENTATO

    Console romano, vincitore di Pirro e dei Sanniti, si preoccupò di evitare l’impaludamento della pianura reatina; progettò nell’anno 271 a.C., una bonifica e fece scavare un canale che fu chiamato Cavo Cuiano. L’opera non fu completamente risolutiva tanto che nel 54 a.C., sorse una lite fra i ternani e i reatini. I primi, sostenuti da Aulo Pompeo, affermavano che nei periodi di piena l’acque del fiume Velino inondavano la Valnerina; i secondi, difesi da Cicerone volevano che il cavo fosse allargato Note - Nel 1417 per ordine del Papa Gregorio XII°, fu scavato un secondo canale minore, e qualche anno dopo, Paolo II° diede incarico ad Antonio da Sangallo di scavarne un terzo. In seguito a varie altre modifiche il fiume Velino prendendo il nome dall’altipiano delleMarmore precipita in cascata di una bellezza e potenza eccezionali.

    MANTICA

    o Divinazione

    Importante elemento di molte religioni di tipo arcaico, con il quale si prendeva un contatto diretto con le divinità che attraverso veri segni o per bocca di profeti, facevano conoscere all’uomo la propria volontà e la via migliore per adeguarsi ad essi. Gli antichi Romani per ogni sacrificio che eseguivano si sentivano costretti a ricorrere all’aiuto di indovini, per sapere se il sacrificio fosse stato accettato; in caso negativo lo ripetevano. In genere, nelle religioni arcaiche ogni situazione critica richiedeva l’intervento di un indovino (o sacerdote indovino), che spiegava le cause della crisi (il fatto che aveva rotto l’equilibrio preesistente, di solito concretizzato nell’idea di aver offeso la divinità), quale fosse il dio offeso, ed infine i rimedi atti a riacquistare la benevolenza divina. Noto a questo riguardo l’episodio iniziale dell’Iliade; i Greci che assediano Troia muoiono di peste; l’indovino Calcante spiega che il fatto è dovuto causa l’offesa fatta al dio Apollo ed indica i mezzi per espiarla. Nella realtà storica ricordiamo la funzione importantissima che ebbe in Grecia l’oracolo apollineo di Delfi, al quale si rivolgevano per i responsi, città, e privati che venivano così indirizzati ad una prassi etico - religiosa comune a tutta la grecità. Sotto gli imperatori romani si cercò di reprimere la mantica perché portava a degli abusi pericolosi in campo sociale e politico. Pertanto chi consultava indovini sulla sorte dell’imperatore e dello Stato era punibile con la morte.

    MANTO

    Divinità maschile etrusca d’oltretomba - Profetessa tebana figlia di Tiresia. dopo conquistata Tebe dagli Epigoni, andò per ordine di Apollo a fondare un oracolo in Asia Minore.

  • Note - Secondo la tradizione la città di Mantova trasse il suo nome dalla divinità etrusca, confusa poi con la figlia di Tiresia (Dante Inferno XX, 52 segg.)
  • MARATONA

    Località della Grecia centrale, sulla costa orientale dell’Attica, famosa per la battaglia combattuta nel 490 a.C., fra gli Ateniesi comandati da Milziade e i Persiani invasori, guidati dai generali Dati ed Artaserne, inviati da Dario per punire i Greci dell’aiuto accordato alle città dell’Asia Minore ribelli alla dominazione persiana. La tradizione greca ha molto esaltato questa battaglia che vide gli ateniesi quasi da soli respingere l’assalto della più grande potenza dell’epoca, per cui è possibile che molti particolari siano stati deliberatamente inventati. Secondo Teopompo, storico attico del IV° s.a.C., e secondo alcuni studiosi moderni, la battaglia di Maratona non fu altro che una piccola scaramuccia. Secondo la tradizione si trattò invece di una grande battaglia, di decisiva importanza storica in quanto significò al primo scontro diretto, la prevalenza della civiltà greca su quella asiatica. Secondo le fonti greche le perdite sarebbero state di 193 morti (tra essi il polemarco Callimaco e il fratello di Eschilo, Cinegiro), mentre i Persiani avrebbero perso ca 6300 uomini. La tradizione vuole che l’annuncio della vittoria fosse recato ad Atene da il soldato Filippide, che morì subito dopo per lo sforzo fatto nella corsa da Maratona ad Atene. A ricordo di questo episodio nelle competizioni della moderna atletica è stato introdotta la “Maratona”, gara di corsa della stessa distanza (Km. 42,192 mt.), coperta dal soldato Filippide.

    MARPESSO

    Nome di un monte nell'isola di Paro, donde si cavavano marmi bianchissimi.

    MARSIA

    Mitico Sileno, la cui figura fu molto popolare nell’Asia Minore. Inventore del flauto, volle cimentarsi in una gara con il dio Apollo, abilissimo suonatore di cetra. Vinto, fu scuoiato dal dio per punirlo della sua superbia.
    (vedi APOLLO Miti e leggende)

    Sabratha_libya
  • “Apollo e il supplizio di Marsia”
    Autore 	Tiziano Vecellio
    Data 	1570 – 1576
    Tecnica 	Olio su tela
    Dimensioni 	212×207 cm
    Ubicazione 	Museo Arcivescovile, 
    Kroměříž - Repubblica Ceca
  • Marsia appeso
  • Marsia legato nudo ad una corteccia d'albero
    scultura di marmo,
    copia romana del I-II secolo dopo l'età ellenistica,
    Louvre Parigi
  • MARTE

    Dio della guerra. Una nota leggenda lo fa padre di Romolo e Remo. In Roma gli era consacrato il mese di Marzo; al suo culto erano addetti i ”Salii” (sacerdoti), e il ”Flamine Marziale“ (Flamini erano quindici sacerdoti romani, a ciascuno dei quali era assegnato il culto di un dio). Sempre rappresentato carico d’armi, era figlio di Giove e di Latona. E’una delle più antiche ed importanti divinità della loro religione, a cui attribuivano la paternità della fondazione della città di Roma. Insieme con Giove e Quirino costituiva un’arcaica triade divina che garantiva e rappresentava, da un punto di vista religioso, l’intero Stato romano. Marzo, il primo mese dell’anno religioso romano, prendeva nome da lui, e in suo onore, i sacerdoti salii, vi celebravano particolari cerimonie. Le feste di Marzo dedicate a Marte erano le Equiria del giorno 14, i Quinquatria del 19, e il Tubilustrium del 23. Altro mese di Marte era ottobre, in cui avevano luogo i Meditrinalis l’11 e un complesso ed insolito sacrificio di un cavallo, detto Equus October, il giorno 13 (idi). In tale occasione il flamine marziale gustava il vino nuovo pronunciando la strana formula ”Bevo il vino vecchio - nuovo, con il vino vecchio nuovo, curo il male”. Alle idi si sacrificava il cavallo a destra della biga vincitrice di una corsa nel Campo Marzio: la testa dell’animale veniva contesa tra gli abitanti della Via Sacra e quelli della Suburra, per appenderla: i primi alla reggia e i secondi,alla Torre Mamilia. Uno dei templi più importanti era quello extramurano, fuori porta Capena, sulla via Appia, risalente al IV° s a.C., cui si decideva delle cose di guerra, si decretavano i trionfi dei generali vittoriosi, e da quì partivano i governatori delle provincie per le sedi a loro destinate. Antica località sacra al dio, era il Campo Marzio, dove sorgeva l’Ara Martis e dove era custodita una lancia sacra, agitata dai condottieri prima di partire per la guerra, mentre invitavano il dio ad essere favorevole alla spedizione (Mars Vigila!). Sacri a Marte erano considerati 12 scudi (ancilia), che i salii, sacerdoti del dio, usavano nei riti e nelle danze sacre. La divinità di Marte, già comune a molti popoli italici (Latini, Sanniti ecc), e i Mamertini prendevano nome da lui. Era soprattutto un dio tutelare della comunità, ed esercitando tale tutela più segnatamente contro i rischi della guerra, fu ben presto identificato con il dio greco guerriero Ares. Gli Inni cantati dai sacerdoti Salii durante le feste primaverili e ottobrine, in onore di Marte, simili a litanie erano detti “axamenta”.

    MATER MATUTA

    Nella mitologia romana, Mater Matuta era la dea del Mattino o dell'Aurora e quindi protettrice della nascita degli uomini e delle cose. Più tardi fu associata alla dea greca Ino o, appunto, Aurora. Aveva un tempio nel Foro Boario, accanto al Porto fluviale di Roma, consacrato secondo la leggenda da Romolo, distrutto nel 506 a.C. e ricostruito nel 396 a.C. da Marco Furio Camillo, nell'odierna area di Sant'Omobono, realizzato, forse, all'epoca di Servio Tullio (secondo quarto del VI° secolo a.C.). Un altro tempio dedicato alla dea era nella città di Satricum. La sua festa (Matralia) veniva celebrata l'11 giugno, a questo culto erano ammesse solo le donne vergini o sposate una sola volta, il cui marito era ancora vivo, mentre le donne schiave ne erano severamente escluse. Per l'occasione venivano offerti alla dea cibi cotti in vasi di terra. La collezione di Matres Matutae conservata al Museo Provinciale Campano di Capua, in provincia di Caserta, è tra le più importanti collezioni mondiali.

    Sabratha_libya
  • Figura femminile seduta su trono con bambino in fasce in braccio
    La donna è raffigurata nel consueto schema, 
    l'abito è privo di connotazione plastica così 
    come i tratti del volto sono resi in modo essenziale.
     Museo Provinciale Campano di Capua
  • MEDEA

    Maga greca e fattucchiera, la Medea era figlia di Eeta, re della Colchide, aiutò Giasone nella conquista del Vello d’Oro e lo seguì a Iolco e poi a Corinto. Quivi, volendo Giasone abbandonarla per sposare Glauce (Creusa), figlia del re Creonte, uccise la rivale e i figli avuti da Giasone. Fuggita da Corinto, convisse con Egeo, re di Atene, fino al ritorno in patria del figlio di lui Teseo; poi tornò in Colchide.

  • Note - Le fosche sue vicende. ispirarono molti autori tragici, tra cui Euripide (Medea) Apollonio Rodio (Argonautiche), Seneca e Corneille. ed un’opera in musica del Cherubini.
  • Medea
  • . Medea ringiovanisce un ariete. Gruppo di Leagros,
    hydria attica, da Vulci, 500-470 a.C. – London, British Museum B 328
  • Medea
  • -“Medea”- Pittura murale da Ercolano – Museo Nazionale – Napoli
    (da: Le pitture dell'Augusteo di Ercolano di Irene Bragantini)
  • MEDI

    e PERSIANI

    Dalla valle del Tigri, alla valle dell’Indo, dal Mar Caspio, al golfo Persico, e all’Oceano Indiano; più di due milioni e mezzo di chilometri quadrati il loro territorio. Le pianure ad Oriente erano anche nei tempi antichi malsane, paludose o desertiche. Ad Occidente i monti e le valli erano fertili, salubri, popolati, ricchi di boschi, di campi e di pascoli, ricchi d’acque, di vegetazione e miti di clima. Nella parte settentrionale abitavano i Medi, forti, fieri, amanti della loro indipendenza,e nella parte sud - ovest i Persiani. Poi l’immensa regione venne divisa in Persia, Iran, Afganistan, Belucistan.
    I MEDI
    Incominciarono i Medi a segnalarsi, verso la fine dell’VIII° s.a. C., quando il loro Deioce proclamatosi re, diede leggi, tribunali e magistrati; fondò e alzò le mura di Ecbatana le quali, al dire degli antichi scrittori, erano costituite da sette cerchi distanti uno stadio l’uno dall’altro, con merlature diversamente colorate; bianche, nere, rosse, turchine. arancione e dorate, come le sette sfere celesti. Adoravano tra gli altri Nithzra e Vavu; il Sole e il Vento, con altre divinità che personificavano la saggezza, la purezza, la bontà, la salute, la felicità, l’immortalità e soprattutto Ormuzd e Arimane, i sommi dèi del bene e del male. La popolazione era divisa in quattro caste, tra cui primeggiava quella dei Magi, sacerdoti che portavano una fascia attorno ai fianchi, e che, consacrati dopo aver attraversato difficilissime prove, custodivano e interpretavano i libri sacri, predicendo l’avvenire dal corso degli astri e sacrificavano. I re vivevano appartati, mangiavano da soli, si mostravano di rado; guardie alle persone e diecimila guerrieri attorno al palazzo ed al l’harem. Nessuno poteva presentarsi ad essi se non chiamato, e guai a chi avesse osato innanzi a loro abbandonarsi ad atti non ammessi dalla rigidissima etichetta di corte. Deioce stesso puniva di morte chi avesse osato ridere o sputare al suo cospetto. Morto lui dopo 53 anni di regno, gli successe Fraorte; a questi Ciassare, che vinse le orde dei Fimmeri e degli Sciti venuti dal settentrione a devastare il paese fino alla Siria, alla Fenicia, alla Palestina, e alla Mesopotamia. Ciassare invitò tutti i loro capi a banchetto, li fece ubriacare e li sgozzò. Vinse anche gli Assiri e diede una figlia in isposa al re Nabuconodosor, figlio del re di Babilonia, con l’aiuto del quale prese Ninive, ponendo così termine all’antico Impero Assiro. Morendo, Ciassare, lasciò lo scettro ad Astiage che fu spodestato dal Persiano Ciro figlio di Cambise. Anno 550 a.C.
    I PERSIANI
    Ciro abbattè il regno di Lidia, assoggettate le colonie greche dell’Egeo, si spinse nell’Ariana, nella Bactriana, nella Sogdiana, nell’Aracosìa e in altre regioni. Distrusse il Regno di Babilonia, liberando e rimandando in patria gli Ebrei che vi erano stati deportati. Eròdoto lo fa morire in guerra contro Tomiri regina dei Massageti; altri storici, pure in guerra, ma nella Bactrinia,o placidamente nel suo letto. Il suo corpo fu sepolto a Pasargadae presso Persepoli in un grandioso mausoleo. Suo figlio Cambise II° conquistò l’Egitto e meditava di conquistare anche Cartagine e l’Europa; ma cinquantamila dei suoi uomini perirono tra le dune nel deserto e gli altri tormentati dalla fame, furono ridotti a tale stato che molti, si dice, pur di non morire di fame scannarono i compagni per cibarsene. Cambise, divenuto improvvisamente pazzo, misteriosamente morì. Ed ecco il grande Dario d’Istaspe. Batte i Caldei, sbaraglia i merosi usurpatori e pretendenti, ch’erano stati alla morte di Cambise; riordina l’impero e lo divide in satrapie; poi, sgomina le tribù fra il Volga e l’Ural, doma le popolazioni delle sorgenti dell’Indo, alle rive del Mar Rosso; torna in Europa e travolge gli Sciti, fin oltre il Danubio; annette la Tracia e la Macedonia, scaglia i suoi satrapi sulla Grecia, ma i greci li aspettavano a Maratona.

    MEDONTE

    1.) Medonte (in greco Μέδων) è un personaggio mitologico dell'Odissea.

    Nell' opera di Omero Medonte è l'araldo dei Proci. Rimasto fedele alla casa di Ulisse ha svelato a Penelope il complotto di Proci contro Telemaco e per questo fu risparmiato quando il re di Itaca, al ritorno del suo lungo viaggio, mise in pratica la sua vendetta massacrando tutti i Proci e i traditori della sua reggia, incluse le ancelle infedeli. Solo Medonte e l'aedo Femio si salvarono.

    2.) Medonte

    Figlio di Codro ultimo re di Atene.

    MEDUSA

    La più terribile delle tre Gorgoni, figlie di Forco, mostri femminili della mitologia greca, raffigurate con serpi al posto dei capelli. Lo sguardo della Medusa aveva la facoltà di pietrificare, ed era la sola mortale delle tre. Ebbe il capo mozzato da Perseo; Omero parla solo di lei. Dal suo sangue o dal suo corpo balzò fuori il cavallo alato Pegaso, eroe violento, nemico dell’Umanità. La Medusa divenne insegna delle armi di Pallade Atena e la sua testa posta al centro dello scudo, quale riconoscimento alla dèa che aveva aiutato Perseo nella mitica impresa.
    (Vedi Perseo).

  • Note
    - Gli antichi abitanti dell’isola di Serfo (Cicladi) dicevano che la testa di Medusa aveva pietrificato persino gli abitatori.
  • Medusa
  • -“Testa di Medusa”- Scultura di Gian Lorenzo Bernini
    Musei Capitolini - Sale dei conservatori – Roma.
  • MEGALOPOLI

    Antica città dell’Arcadia (Grecia meridionale), sulle rive del fiume Helisson. Fondata da Epaminonda dopo la battaglia di Leuttra (371 a.C.), per dare una capitale alla lega arcadica, costringendo circa quaranta tra borghi e città ad abitarla. Sotto il dominio macedone la città decadde, per risorgere al tempo della lega achea, e poi perdere ogni importanza nel periodo imperiale. Gli scavi condotti nel 1890 – 91, dalla scuola britannica di Atene, hanno permesso di ricostruire la sua struttura urbanistica, divisa in due parti dal fiume Helosson; a Nord la città vera e propria con l’agorà, gli edifici municipali e i santuari, a Sud la città federale, con la Sede del “Concilio dei Diecimila ”, il teatro e lo stadio con gli alloggi per la popolazione occasionale.

    MEGARICA

    Scuola filosofica inclusa con la cinica e la cirenaica, fra le cosidette scuole socratiche minori. Fiorì nel IV° s.a.C. fondata da Euclide di Megara, e continuata, fra gli altri da Eubulide, da Diodoro Crono, da Alessino, ed infine da Stilpone, che fuse teorie megariche e ciniche. Caratteristico di questa scuola è lo sforzo dialettico di tradurre la dottrina socratica del bene nei termini della metafisica parmenidea ed eleatica dell’unico Ente. Se il Bene, in quanto essere è Uno, tutto ciò che non è il Bene, cioè molteplice, è irreale. Ne consegue la negazione del movimento e il ripudio dei dati del senso, la dimostrazione della inconcepibilità del concetto di “possibile” e della impossibilità dei giudizi, in cui il soggetto sia diverso dal predicato. Tutto ciò con la formulazione di argomenti (il “sorite”, il “dominatore” ecc.) divenuti famosissimi nell’antichità e che ripetono lo schema della dialettica di Zenone e di Elea.

    MEGARON

    Termine usato da Omero,che indica l’ambiente principale della casa signorile micenea, a cui si collega, secondo alcuni archeologi, anche il sorgere del tempio greco nella sua forma più semplice. Il mègaron, del cui più antico esemplare conosciuto si fa risalire al III° millennio a.C., era costituito da una grande sala rettangolare al cui centro si ergeva il focolare, circondato da quattro colonne, e a cui si accedeva attraverso un vestibolo aperto e un’antisala; era il centro sociale della casa e in esso si riuniva la famiglia del signore, si accoglievano gli ospiti si tenevano banchetti, festini ed udienze. In età preistorica e storica, raggiunse una notevole diffusione nell’area orientale del Mediterraneo. Numerosi esempi ne sono stati infatti rinvenuti negli strati più antichi di Troia, altri a Micene, altri ancora a Pilo e a Tirinto.

    MEIDIAS

    Pittore, ceramografo attico, attivo alla fine del V° s.a.C. Lavorò per il vasaio Meidias, donde il nome convenzionale che gli è attribuito. Operò con la tecnica delle figure rosse, guadagnandosi per la sua raffinata abilità e sensibilità espressiva, una grande fama nell’antichità. Predilesse scene con divinità, tutte pervase da un’atmosfera erotica, le sue figure sono avvolte in panneggi complicati e sinuosi, che corrispondono alla corrente manierista della scultura post fidiaca. Noto esempio della sua arte è la “Hydra” con il ratto delle Leucippidi.

    Hydria Leucippidi
  • -“Hydra con il ratto delle Lucippidi ed Ercole nel giardino delle Esperidi”
    Pittore di Midia o Pittore di Meidias è il nome convenzionale
    con cui si individua un ceramografo attico attivo in Atene negli anni tra il 420 e il 390 a.C. circa.
    – British Museum – Londra.
  • MEGERA

    Una delle tre Furie o Erinni
    (Vedi FURIE)

    Note - Figurato; donna vecchia, brutta, e maligna.

    MELANINE

    Famoso cacciatore
    (vedi Atalanta)

    MELEAGRIDI

    Sorelle di Meleagro, mutate in uccelli, secondo Sofocle. o, secondo altra versione, in galline da Artemide.

  • Note - Meleagride è il nome greco della gallina faraona.
  • MELEAGRO


    1.) MELEAGRO eroe greco

    Mitico eroe greco, figlio di Eneo re degli Etòli e di Altea, (regina di Calidone, città dell’Etolia) il cui territorio era infestato da un mostruoso cinghiale mandato da Artemide. Meleagro uccise il cinghiale (detto calidonio) ma, sorta una contesa tra Etoli e Cureti per la pelle del cinghiale, uccise in combattimento gli zii materni. La madre Altea, per vendetta lo fece morire lasciando spegnere il tizzo miracoloso a cui la sua vita era legata. Veniva quindi ricordato come grande cacciatore, per l’epica caccia al mostruoso cinghiale infestante le terre della Calidonia. La sua vita era strettamente legata all’esistenza di un tizzone perché quando nacque, gli fu profetato che avrebbe vissuto per tutta la durata di un legno che stava bruciando in un focolare domestico e che la madre tolse dal fuoco per conservarlo gelosamente, finchè un giorno ridiede il tizzone alle fiamme provocando la morte del figlio. E’così che volle vendicare i suoi fratelli uccisi da Meleagro durante la cruenta contesa per il possesso della pelle del cinghiale. Secondo Sofocle, le sorelle (Meleagridi), piangenti la morte del fratello, furono mutate in uccelli. dalla dèa Artemide.

    Meleagro
  • -“Meleagro”- scultura – Città del Vaticano - Musei Vaticani

  • 2.) MELEAGRO Poeta greco

    Poeta greco nato a Gadara (Siria) e vissuto tra il II e il I s.a.C. Autore di 130 epigrammi conservati nella “Antologia Palatina” e il primo editore di epigrammi di poeti classici e bizantini che riunì in una raccolta intitolata “Ghirlanda o Corona”. Amò due donne Ediodora, di cui pianse accorato la morte e Zenofila. Poeta d’amore; si spense a Coo.

    MELEATAS

    Ad * Epidauro sorgeva un tempio risalente al VII° s.a.C., dedicato a Meleatas; dal IV° s.a.C. vi si aggiunse il culto di Asclepio, il cui santuario divenne meta di pellegrinaggi fino al III° s.d.C.
    (Vedi Asclepio)

  • * Epidauro: antica città e porto della Grecia, (Argolide) con un famoso tempio dedicato ad Esculapio e teatro greco.
  • MELIADI

    o Melie

    (Vedi Ninfe)
    Le ninfe Meliadi (o Melie del frassino) erano considerate più miti che attive nel presente. Nate come Afrodite, da gocce del sangue di Urano (evirato da Crono) avevano dato origine agli uomini dell’età del bronzo, dediti alla guerra.

    MELICERTA

    Figlia di Atamante e della sua seconda moglie Ino.
    (Vedi ATAMANTE)

    MELISSEO

    (Vedi AMALTEA)

    MELPOMENE

    (Vedi MUSE)

    MEMNONE

    Figlio di Era (Aurora) e di Titone, principe degli Etiopi, alleato dello zio Priamo nella guerra di Troia; fu ucciso da Achille. Note - Colossi di Mnemone furono chiamate dai Greci due statue colossali di Amenon III° presso Medinet Habu, di cui una al sorgere del sole emetteva un suono (forse determinato dal cambiamento di temperatura).

    MENADI

    (Folli) Erano dette nell’antica Grecia le donne che, prese dal sacro furore, praticavano il culto di Dioniso, dal quale erano invasate. Rappresentate in lunghe vesti mentre danzano con atteggiamenti sfrenati agitando il tirso (bastone sormontato da una pigna). Al culmine della danza orgiastica, tra il frastuono di cembali e flauti, giungevano anche a dilaniare piccoli animali, solitamente cerbiatti; forse per tale motivo si fa risalire loro l’uccisione di Orfeo.
    (Vedi Orfeo).

    Menade
  • Autore 	Skopas
    Data 	copia da un originale del 330 a.C. circa
    Materiale 	marmo
    Altezza 	45 cm
    Ubicazione 	Staatliche Kunstsammlungen, Dresda
  • Menade Piranesi
  • Villa di Cicerone, via dei Sepolcri, pittura murale: menade danzante - prospetto
    incisione acquaforte
    Didascalie:
    sotto la figura al centro: Una delle danzatrici o ministre delle feste Bacchiche
    dipinte su degli antichi intonachi trovati nelle ruine di Pompej e conservati
     nel Museo del Re delle due Sicilie. 
    Ha un ramo di cedri nella destra e un fusto d'un candelabro portatile nella manca,
     preso da alcuni per uno scettro. La sua tonaca è candida azzurro, 
    il manto col lembo rosso, e rosso è il nastro, che le cinge i biondi capelli 
    ravvolti in un velo giallo. L'arnese che sostiene e di color d'oro in basso a sinistra:
    Tomasso Piroli delin. in basso al centro: Presso il Cav. Francesco Piranesi
     in basso a destra: Girolamo Carattoni sculp. 1787
    Realizzazione: s.l., 1787
    Stampatore: Francesco Piranesi
    Disegnatore: Tommaso Piroli
    Incisore: Girolamo Carattoni
    In: Piranesi F., Topografia delle fabbriche 
    scoperte nella Città di Pompei, s.l., circa 1836, Tav. 4
    
  • Menadi Kylix
  • -“Menadi”- Particolare di “kylix”
    Pittore KY, Komast cup, Louvre E742.
    Komos, coro o menadi invasate, scene orgiastiche da una kylix Attica
    a figure nere nello stile detto Coppa dei Comasti, 
    ca. 575 a.C., Louvre (Inv. E 742)
  • MENANDRO

    Poeta comico greco (Atene 343 circa - 291 a.C.). Massimo esponente della cosidetta commedia nuova, cioè della commedia di intreccio, priva di coro e basata su peripezie di personaggi borghesi tipizzati, che tenne le scene ateniesi dalla metà del IV secolo. Fu scolaro di Teofrasto, e amico di altri noti filosofi. Amò l’etèra Glicera, per la quale rifiutò di recarsi alla corte egiziana; ebbe fama di effeminato. Esordì nel 321 con molti successi ma spesso vinto dal rivale Filemone. Gli furono attribuiti 105 lavori, l’unico giuntoci intero è il “Selvatico”, scoperto in un papiro e pubblicato nel 1958. Sempre dai papiri sono emersi altri lavori, fra i quali si ricordano “La donna di Samo”, ”La fanciulla dalla chioma recisa” e, “L’arbitrato”. Molti i frammenti noti per trasmissione diretta o indiretta; fra questi ultimi, è da ricordare un "Florilegio" di sentenze d’un solo verso. Le commedie, in cinque atti, separati da interludi, sono in lingua attica; il metro prevalente è il trimetro giambico. Nel “Selvatico” il vecchio misantropo Cnemone, si oppone alle richieste del giovane Sostrato che vuole sposarne la figlia, e vi si rassegna solo quando è salvato dallo stesso Sostrato e dal figliastro Gorgia, che lo estraggono malconcio da un pozzo in cui era caduto. Trascinato a forza alle noz e, tra i dileggi dei servi, si ostina alla chiusa e triste misantropia pur intravedendo la validità di quel messaggio di comprensione e di solidarietà umana di cui si fanno convinti banditori i giovani. “L’arbitrato” prende titolo da una scena secondaria; una controversia tra due servi per la proprietà dei contrassegni d’un bimbo, trovato esposto dal primo e affidato al secondo. L’arbitro, il vecchio Smìcrine sentenzia che gli oggetti sono del bimbo. Fra essi, un anello, già appartenuto a Carisio. Questi, appreso che la propria moglie Panfila aveva concepito prima delle mozze un figlio e l’aveva poi abbandonato, cerca di consolarsi con un’etèra, la flautista Abrotano. L’etèra sa che l’anello è stato strappato a Carisio, in un’orgia notturna, da una faciulla sedotta, ma, anzichè sfruttare la situazione identificandosi con la madre del bimbo, cerca la madre vera. Ma questa non è altri che Panfila, la quale ha serbato amore e devozione a Carisio Il lieto fine coronerà la fedeltà di Panfila e la generosità di Abròtono, la più suggestiva eroina del lavoro. Menandro cerca di erigere, sulla visione pessimistica di un mondo pieno di disuguaglianze ed ingiustizie, e in preda al caotico gioco del Caso, la tolleranza, la pietà, la solidarietà; mentre l’innocenza, la rettitudine, il sacrificio disinterssato, appaiono come uno scampo al cieco determinismo e alla pena di vivere. Il fascino del suo teatro è affidato ad un’acuta articolazione psicologica, e a un gioco di mezzitoni, e di chiaroscuri che si vale dell’umorismo, ma, non esclude il patetico. La fortuna di Menandro mostra le universali risonanze del suo mondo e del suo linguaggio. “O Menandro o vita” diceva un’antico epigramma; chi dei due ha imitato l’altro?

    MENECEO

    Padre di Giocasta
    Nella mitologia greca, Meneceo (in greco antico: Μενοικεύς, Menoikeús) è il figlio di Creonte (sovrano di Tebe). È anche chiamato Megareo.[1]
    Durante l'assedio dei Sette contro Tebe, l'indovino Tiresia affermò che i tebani avrebbero vinto soltanto se avessero sacrificato Meneceo, figlio del re Creonte. Il sovrano, stretto tra le parole dell'oracolo e l'amore paterno, consigliò al figlio di fuggire, senza spiegargli il motivo. Tuttavia Meneceo venne a sapere dell'oracolo e decise quindi di sacrificarsi volontariamente sulle mura di Tebe. I tebani furono alla fine i vincitori.[2]
    (da Wikipedia
    (Vedi GIOCASTA)

    MENELAO

    Eroe greco, re di Sparta, marito di Elena, figlio di Atreo. Secondo la leggenda post - Omerica, sarebbe figlio di Plistene e quindi nipote di Atreo. Fratello di Agamennone, sposò una figlia di Tindaro re di Sparta, Elena, che una fonte attendibile la vuole invece nata dall’unione di Zeus con Leda, regina di Sparta. Di passaggio a Sparta, di Elena, (complice Afrodite), si invaghì Paride, figlio di Priamo re di Troia, che la rapì. Di qui la decennale guerra tra Greci e Troiani, culminata con la distruzione di Troia; dovette però errare otto anni prima di tornare in patria dalla moglie.

    Menelao Ettore
  • -“Menelao ed Ettore che combattono”
    Il combattimento di Ettore e Menelao sul cadavere di Euforbo
    nell'elaborata composizione decorativa di un piatto rodio
    (600 a.C. ca.), Londra, British Museum GR 1860.4-4.1 (A 749).
  • Menelao Patroclo
  • -“Menelao che sostiene Patroclo morente” - Scultura greca restaurata – Loggia dei Lanzi – Firenze.
  • MENTORE

    (Odissea)

    Amico di Ulisse, la dèa Atena ne assume le sembianze per accompagnare Telemaco nel viaggio ch’egli compie alla ricerca del padre

  • Note - Méntore ha larga parte di precettore assennato nel libro di Fènelon, ”Les aventures de Télémacos”
    Figurato: fare il Mentore; dare consigli non richiesti.
  • MERCURIO

    ERMETE

    Dio del commercio, dell’eloquenza, dei ladri, e messaggero degli dei. Proteggeva la salute, la pace e i viaggiatori; viene rappresentato con il caduceo e le ali ai piedi. Dio latino corrispondente al greco Hermes - Ermes, figlio di Maia e di Giove; accompagnatore delle anime dei morti nell’oltretomba; divinità romana la cui origine è ignota, in quanto identificato con il dio greco Ermete, assunse ben presto tutti i caratteri di quest’ultimo. A Roma era venerato soprattutto dai mercanti che lo avevano assunto a loro protezione, per cui si suppone che il suo nome derivi dal verbo “mercari”. Alle idi di maggio ricorreva una sua festa, detta Natale di Mercurio.

    Mercurio
  • -“Mercurio” – Affresco di Raffaello - (1483-1520) - Villa Farnesina – Roma.
    ( da: FCP-S-FAR000-0046 Alinari)
  • Mercurio Statuetta
  • -“Mercurio” - Giambologna – Scultura bronzea – opera eseguita in Firenze dopo l’attività fiamminga - Museo del Bargello - Firenze.
  • GianBologna
  • Hendrick Goltzius, Ritratto di Giambologna, pseudonimo di Jean de Boulogne
    (Douai, 1529 – Firenze, 13 agosto 1608), è stato uno scultore fiammingo attivo in particolare a Firenze.
  • MESSALINA

    Valeria Messalina (Roma, 25 – Roma, 48) fu imperatrice consorte dell'imperatore Claudio, che aveva sposato quattordicenne per volere dell'imperatore Caligola.
    Figlia di Domizia Lepida e di Marco Valerio Messalla Barbato (nipote di Ottavia Minore, sorella di Augusto), nacque in una famiglia patrizia imparentata con la casa Giulio-Claudia.
    Quando Caligola salì al trono, era già una delle donne più desiderate di Roma per la sua bellezza. Costretta dall'imperatore a sposare Claudio, un uomo più anziano di lei di trent'anni, balbuziente, zoppo e al terzo matrimonio, ebbe da lui due figli, Claudia Ottavia e Cesare, detto poi Britannico. Dopo che il 24 gennaio del 41 i pretoriani uccisero Caligola, lei e suo marito Claudio furono eletti imperatori di Roma. Insieme al marito fece uccidere gli assassini di Caligola, esiliò Seneca in Corsica, esiliò Giulia Livilla (sorella minore di Caligola e supposta amante di Seneca) a Ventotene dove fu uccisa, e richiamò dall'esilio Agrippina minore, sua zia.
    Giovane e inquieta, Messalina non amava molto la vita di corte; conduceva invece un'esistenza trasgressiva e sregolata. Di lei si raccontarono (e si raccontano tuttora) le storie più squallide: che avesse imposto al marito di ordinare a tutti i giovani e bei sudditi di cederle, che avesse avuto relazioni incestuose con i fratelli, che si prostituisse nottetempo nei bordelli (postriboli) sotto il falso nome di Licisca dove, completamente depilata, i capezzoli dorati, gli occhi segnati da una mistura di antimonio e nerofumo, si offriva a marinai e gladiatori per qualche ora al giorno.
    Secondo il racconto di Plinio il Vecchio (10,172), una volta sfidò in gara la più celebre prostituta dell'epoca e la vinse nell'avere 25 concubitus (rapporti) in 24 ore. Fu proclamata invicta e, a detta di Giovenale (6,130), “lassata viris, nondum satiata, recessit” ("stanca, ma non sazia di uomini, smise").
    Se sapeva essere molto generosa con gli uomini che accondiscendevano ai suoi capricci, era anche pronta a far eliminare con facilità quanti non vi si prestavano. Dopo le accertate relazioni adulterine con il governatore Appio Giunio Silano (che fu costretto a sposare Domizia Lepida) e con l'attore Mnestere, Valeria Messalina si innamorò di Gaio Silio, marito di Giulia Silana. Gaio Silio ripudiò la moglie e divenne l'amante di Messalina e, mentre l'imperatore Claudio si trovava a Ostia, durante una festa dionisiaca a palazzo i due amanti mimarono il loro matrimonio nel 48 d.C. Informato dal liberto Narciso, Claudio (forse timoroso che il rivale volesse succedergli sul trono) decretò la morte dei due amanti. Mentre Gaio Silio non oppose resistenza e chiese una morte rapida, Messalina si rifugiò negli "Horti Lucullani" (giardini di Lucullo) dove fu uccisa dallo stesso Claudio per strangolamento. Messalina nella storiografia è stata descritta dagli storici dell'epoca come una donna dissoluta e senza scrupoli, una donna dagli insaziabili appetiti sessuali, pronta a sbarazzarsi dei suoi avversari. Le fonti storiche a cui si fa riferimento, Le vite dei dodici Cesari di Svetonio, soprattutto il libro XI° degli Annales di Tacito e in particolare

  • la VI° delle Satire di Giovenale
    
    « Perché ti preoccupi di una casa privata,
     di cosa abbia fatto Eppia?.
    Guarda i rivali degli dei; 
    ascolta Claudio che cosa ha sopportato.
    Quando la moglie si accorgeva che il marito dormiva,
    osando l’Augusta meretrice mettersi dei cappucci da notte
    e preferire al talamo del Palatino una stuoia,
    lo abbandonava, con non più di una ancella come compagna.
    Così, mentre una parrucca bionda nasconde i capelli neri,
    entra nel caldo lupanare dalle tende vecchi
    e nella stanzetta vuota, tutta per lei; 
    allora nuda con i capezzoli dorati 
    si prostituisce inventando il nome di Licisca
    e offre, o nobile Britannico, il tuo  ventre.
    Accoglie generosa chi entra e chiede il prezzo
    e di continuo, sdraiata, assorbe i colpi di tutti.
    Poi, quando il lenone manda via le sue ragazze,
    triste se ne va e, l’unica cosa che può fare,
     per ultima chiude la stanza, 
    ardendo ancora per l’eccitazione della sua vulva turgida,
    e, spossata dagli uomini ma non sazia, se ne va,
    con le guance scure e sporca per il fumo della lucerna
    porta l’ignobile odore del lupanare nel talamo nuziale.»
  • Messalina
  • L'imperatrice Messalina e il figlio Britannico, Museo del Louvre
    Imperatrice consorte dell'Impero romano
    In carica 	24 gennaio 41 – 48
    Predecessore 	Milonia Cesonia
    Successore 	Agrippina minore
  • MESSENE

    Capitale della Messenia nel Peloponneso. Fondata da Epaminonda nel 369 a.C. dopo la battaglia di Leuttra, scampò a due assedi nel 214 e nel 202, ed entrò nella lega Achea nel 191: fu conquistata dai romani nel 146. La sua cinta muraria, intervallata da torri, costitiisce uno degli esempi più completi dell'architettura militare del secolo. Le rovine della città comprendono gli interessanti resti di un tempio posto su una terrazza dell'agorà, di uno stadio e di un piccolo teatro che, pur essendo stato costruito prima dell'età romana, non poggia sul fianco di alcuna collina.

    MESSENIA

    (Vedi Peleponeso)

    MESSINA

    Citta della Sicilia Nord orientale, capoluogo di provincia situata sulla costa occidentale dello stretto omonimo, che separa la Sicilia dalla Calabria,collegando il Mar Tirreno con il Mare Ionio. Fondata secondo la tradizione, nell’VIII° s.a.C., col nome di Zancle (termine dorico siculo significante, si ritiene, falce, per la falcata insenatura su cui era stata edificata). Nome che mutò poi in quello di Messana, dopo essere stata ripopolata nel V° s.a.C., da coloni greci provenienti dalla Messenia. Distrutta dai Cartaginesi nel 396 a.C., all’epoca delle guerre puniche divenne una città federata con Roma, iniziando così un periodo di grande prosperità. Decadde dopo la caduta dell’impero romano.

    METANIRA

    Mitica regina di Eleusi, moglie di Celeo. Nota - Eleusi, antico demo; circoscrizione amministrativa dell’ Attica, a 20 km.a Ovest di Atene, sulla costa del golfo Sardonico sede di un culto misterico (misteri eleusini) in onore di Demetra che ivi avrebbe insegnato a Triptolemo,l’arte dell’agricoltura (culto soppresso nel 396 d.C.), Vi si celebravano ogni cinque anni le grandi Eleusine e ogni tre anni o forse annualmente le piccole eleusine in onore di Demetra, non in relazione con i misteri. Patria di Eschilo. Rimangono in essere dei resti dell’antico santuario e un museo di sculture.
    (Ritorna a Celeo)

    Metanira
  • Demetra e Metanira,
    dettaglio di un'idria apula a figure rosse
    Antikensammlung Berlin
  • METAPONTO

    Uno dei principali centri archeologici della Magna Grecia sul golfo di Taranto. anche se gli scavi sono poco estesi, la pianta della città è riconoscibile, specie per mezzo di fotografie aeree. L’edificio meglio conservato ed interessante è il tempio dorico detto delle “tavole palatine”, della fine del VI° s.a.C., ma sono stati trovati resti anche di un altro tempio dedicato ad Apollo Lycaios; gli scavi comunque risalgono al 1939.

    METIS

    Meti (in greco antico: Μῆτις, Metis) o Metide era nella mitologia greca una delle Oceanine, figlia del titano Oceano e della titanide Teti. Era la madre della potente dea Atena

    Metis
  • La nascita di Atena, tripode a figure nere (Museo del Louvre)
  • METONE

    METON - METONIS

    1. Metone di Atene, astronomo greco scopritore del Ciclo metonico.
    2. Celebre astronomo ateniese del secolo V a.C. Noto per aver attuato nel 433 la più celebre riforma del calendario greco, basata su un ciclo lunisolare di 19 anni (enneade caeteride). Dalla constatazione che 19 anni solari sono formati da 6940 giorni e che 235 lunazioni comprendono anch’esse 6940 giorni, Metone determinò un ciclo diciannovennale, trascorso il quale gli eventi celesti si ripetevano con la stessa successione. Il calcolo però non era preciso perché col passare del tempo infatti l’inizio degli equinozi venivano progressivamente a cambiare di data perche il calcolo di Metone era in eccesso di sei ore rispetto all’anno tropico, e in difetto di sette ore ai 19 anni lunari. Successive modifiche furono tentate nel 330 a.C., da Caloppi di Cizico e nel II s.a.C., da Ipparco di Nicea.

    3. Metone (ninfa)
    4. Metone era, secondo la mitologia greca, una delle sette ninfe sorelle figlie del gigante Alcioneo , dette "alcionidi" (le altre sei sono Fostonia, Ante, Alcippe, Pallene, Drimo e Asteria).
      Quando il padre Alcioneo fu ucciso da Eracle, Metone si gettò in mare assieme alle sorelle, venendo trasformata da Anfitrite in un uccello alcionide

    5. Metone è anche un satellite naturale minore del pianeta Saturno.
    6. Metone, località della Grecia
    Alcione
  • Halcyon Swainson, 1821 è un genere di uccelli della famiglia Alcedinidae.
  • METRODORO

    1. Metrodoro
    2. grammatico e matematico

    3. Metrodoro di Atene
    4. filosofo e pittore

    5. Metrodoro di Chio
    6. Metrodoro di Chio (... – ...) è stato un filosofo greco antico vissuto tra la seconda metà del V° secolo a.C. e la prima metà del IV° secolo a.C.. Scarsissime sono le notizie su di lui. Ne fa menzione Diogene Laerzio[1]. È attivo intorno al 400 a.C.: fu allievo di Democrito[2] e ne seguì le teorie atomistiche.[3] La tradizione lo identifica come l'autore delle Storie ioniche, delle Storie troiane e dell'opera, La Natura, della quale restano solo due frammenti. Interessato alla meteorologia e all'astronomia, Metrodoro ne La Natura avrebbe ampliato le tesi di Democrito concependo l'universo eterno ed infinito abitato da infiniti mondi. Quanto scrive Metrodoro nella introduzione alla sua opera: «Io affermo che noi non sappiamo se sappiamo o ignoriamo qualche cosa; e che non sappiamo neppure se sappiamo o non sappiamo questa cosa stessa né assolutamente se esista qualche cosa o no.» [4] lo ha fatto ritenere dalla tradizione appartenente alla corrente dello scetticismo. Gli odierni studi di storia della filosofia invece hanno interpretato il frammento come l'affermazione di una conoscenza basata esclusivamente sulla ragione che respinge la semplice ricezione della realtà attraverso le ingannevoli sensazioni e che rifiuta una conoscenza come corrispondenza del pensiero alla realtà. Questa interpretazione moderna viene sostenuta anche dal secondo frammento dell'opera di Metrodoro dove si dice: «Tutto è quel che si pensa» o secondo una diversa traduzione: «Esiste tutto ciò che si può pensare» [5]

    7. Metrodoro di Cos
    8. scrittore pitagorico

    9. Metrodoro di Lampsaco
    10. filosofo del V° secolo a.C.
      Metrodoro di Lampsaco (in greco: Μητρόδωρος Λαμψακηνός, Mētrodōros Lampsakēnos) (... – ...) è stato un filosofo presocratico greco antico. Vissuto nel V° secolo a.C., omonimo dell'epicureo Metrodoro (331 a.C.-278 a.C.) anch'esso di Lampsaco, fu contemporaneo e amico di Anassagora[1]. Interpretò allegoricamente le opere di Omero attribuendo componenti del cosmo e degli dèi con parti dell'organismo umano («Achille, il Sole; Elena, la Terra; Apollo, la cistifellea; Dioniso, la milza; ecc.») [2]. Metrodoro è menzionato da Platone nel dialogo Ione dove viene indicato come esperto di esegesi omerica. Afferma Ione nel dialogo platonico:

    11. Metrodoro di Scepsi
    12. scrittore, oratore e politico

    13. Metrodoro di Stratonicea
    14. – filosofo dapprima epicureo e poi seguace di Carneade

    15. Metrodoro
    16. – filosofo cristiano che soggiornò in India all'inizio del IV° secolo.

    17. Metrodoro di Lampsaco
    18. – uno dei quattro maggiori esponenti della scuola di Epicuro
      Metrodoro di Lampsaco
      (in greco: Μητρόδωρος Λαμψακηνός, Mētrodōros Lampsakēnos) (331/0 a.C. – 278/7 a.C.) è stato un filosofo epicureo greco antico.
      Nonostante sia uno dei quattro maggiori esponenti dell'epicureismo, delle sue opere ci rimangono solo pochi frammenti.
      Metrodoro era nativo di Lampsaco. Il nome di suo padre era Ateneo o Timocrate, mentre sua madre si chiamava Sande. Insieme al fratello Timocrate frequentò la scuola di Epicuro. A causa di un litigio, ruppe ben presto i rapporti col fratello, il quale dedicò il resto della sua vita a diffondere malevoli calunnie nei riguardi di Metrodoro e di Epicuro.
      Metrodoro divenne in breve il più illustre tra i discepoli di Epicuro, con cui rimase in rapporti di intima amicizia, e che seguì ad Atene. Sappiamo che non si separò mai dal maestro, tranne che per sei mesi, durante i quali fece visita a casa sua. Morì nel 278/7 a.C., a cinquantatré anni, sette anni prima di Epicuro, che lo avrebbe nominato suo successore, se fosse rimasto in vita. Ebbe un figlio chiamato Epicuro, in onore del maestro, e una figlia che Epicuro, nel suo testamento, affidò alla tutela di Aminomaco, Timocrate di Potamo e di Ermarco.
      Anche in una lettera, scritta sul letto di morte, Epicuro raccomandò i bambini di Metrodoro alla cura di Idomeneo di Lampsaco, che aveva sposato Batis, la sorella di Metrodoro.
      Sappiamo che, in onore del maestro e di Metrodoro, il 20 di ogni mese è stato considerato dai discepoli di Epicuro come un giorno festivo.
      Si ritiene che Leonzia sia stata la moglie o l'amante di Metrodoro
      (da wikipedia)

    Metrodoro
  • Erma bifronte di Epicuro e Metrodoro di Lampsaco nel Louvre.
    Le tematiche del disimpegno epicureo, sia pure in modo più superficiale,
    sono tipiche della poesia asclepiadea
  • METTIUS

    MEZIO

    Magistrato e capitano degli Albani; legato di Cesare.

    MI-MU

    MICENE

    Antica città del Peloponneso posta in una splendida posizione naturale dominante la pianura di Argo. Raggiunto il massimo splendore dopo la caduta di Cnosso, tra il 1400 e il 1100 a.C., la città attraversò un periodo di lenta decadenza pur conservando la propria indipendenza, finchè, dopo la partecipazione alla guerra contro i Persiani (480), fu distrutta ad opera di Argo nel 468 a.C. Le sue mura ciclopiche rimasero sempre visibili e di esse, unitamente il cosiddetto tesoro d’Attreo ha lasciato una descrizione Pausania. Nel 1876, Schliemann, alla ricerca delle tombe di Agamennone e dei suoi compagni, riportò alla luce, al l’interno della cittadella, cinque tombe, a fossa, circondate da mura con ricche suppellettili aurei, di maschere e gioielli. Lo scavo effettuato non fu certo esemplare, e le tombe risultarono in seguito più antiche di quantro si fosse creduto, cioè del XVII° - XVI° s.a. C. Gli scavi ripresi alla fine del secolo XIX°, hanno portato alla scoperta di nove tombe a cupola (tholos) sparse attorno alla cittadella, di cui fa parte anche il “Tesoro di Atreo”. Tali monumenti funebri che risalgono al XV° -XIV° s.a.C., ed ospitavano le sal me dei principi, sono costituiti di un corridoio scavato nella roccia (dromòs), e da una stanza circolare coperta da una cupola ogivale a falsa volta. Dal 1950 in poi furono rinvenute tavolette in lineare B che attestano la grecità della sua popolazione alla fine della media età del bronzo (2000 -1600 a.C.). I monumenti più famosi sono: le mura della cittadella con la porta dei leoni, all’interno della città: il circolo A delle tombe, un grande palazzo con megaron ed altri edifici di abitazione privata con numerosi e vasti magazzini. Fuori della cittadella: nove rombe a tholòs, il circolo B delle tombe, la fonte Perseia, numerose abitazioni private, resti di edifici ellenistici, e tracce archeologiche dell’occupazione romana.

  • Note - Micene città di Agamennone, nell'Eneide di Virgilio indica tutta la Grecia.
  • MIDA

    Re di Frigia, protagonista di due singolari episodi: avendo ottenuto da Bacco (Dioniso) di convertire in oro tutto ciò che toccava, fu a rischio di morire d’inedia, perché gli stessi cibi e le bevande gli si mutavano in oro. Un’altra leggenda narra che Apollo gli regalò delle grandi orecchie d’asino per punirlo d’avergli anteposto Pan in una gara musicale, o per aver egli mal giudicato nella gara musicale tra il dio e il sileno Marsia.

    Il Giudizio di Mida
  • Il Giudizio di Mida
    Autore 	Cima da Conegliano
    Data 	1505 - 1510
    Tecnica 	Olio su tavola
    Dimensioni 	24,8×25,4 cm
    Ubicazione 	Galleria nazionale di Parma, Parma
  • MILETO

    Antica città dell’Asia Minore, situata alla foce del fiume Meandro. Di origini assai remote, sono stati rinvenuti tra le sue rovine resti neolitici ed è stata accertata la presenza di abitato miceneo. La città nacque come colonia ionica nell’ XI° s.a.C., e fondò a sua volta Olbia e Naucrati, tra l’VIII° e il VII° secolo, nel periodo in cui fu fiorentissimo centro commerciale. Alla fine del VII° secolo, raggiunse il massimo splendore; fu la prima città assieme al regno di Lidia a battere moneta, ed inoltre ospitò la prima scuola filosofica greca. Distrutta ed incendiata all’inizio delle guerre persiane, fu ricostruita, ma dovette sottomettersi prima alla lega delio - attica e poi alla Persia. Alessandro Magno la sollevò dal giogo persiano, rendendola di nuovo libera. Riacquistata, dopo alterne vicende, sotto i sovrani ellenistici, una grande floridezza durante l’impero,e decadendo definitivamente in epoca bizantina. La sua ricostruzione dopo il 479 avvenne secondo un grande piano attribuito a Ippodamo, nativo della città. La penisola di Mileto, circondata da mura, fu divisa per la differenza di livello del suolo in tre quartieri ciascuno con un proprio sistema di vie ottogonali. Al centro v’era una grande fascia libera con due bracci ad « L»  riservati ai monumenti pubblici, dei quali gli edifici sacri risalgono al V° secolo, e il primo teatro in muratura. La città assurse ad un rinnovato splendore architettonico nel II° s.a.C. sotto Eumene II° che fece edificare lo stadio, l’Agorà Ovest, il Ginnasio, mentre al secondo secolo d.C., datano la sistemazione della pianta del Boulenterion, il ninfeo, le terme e la ricostruzione del teatro. In prossimità di Mileto, collegato ad una via sacra, affiancata da numerosissime statue votive, sorgeva il santuario di Didyma, dedicato nel VII° s.a.C,. ad Apollo, i resti del quale vanno dal IV° s.a.C., al II° s.d.C. Rimangono imponenti rovine del tempio ellenistico circondato da un duplice filare di colonne.
    SCUOLA DI MILETO
    La più antica scuola filosofica greca, secondo la tradizione dossografica, fiorì nel VII - VI s.a.C., soprattutto ad opera di Talete Anassimandro e Anassimene, tutti e tre nativi di Mileto. Forse più che di una scuola, in senso stretto, è opportuno parlare di un comune indirizzo di pensiero, volto a determinare quale fosse il “principio” di tutte le cose. Dove principio è da intendere tanto nel senso cronologico (la realtà prima, da cui tutte le cose derivano), quanto nel senso sostanziale (la realtà che stà a fondamento di tutte le cose). Dottrine di questa scuola rivissero più tardi nel V° s.a.C., ad opera di alcuni epigoni, tra cui possono essere ricordati; Ippone, che si rifaceva a Talete, e Ideo, che si rifaceva ad Anassimandro, e da Anassimene riprende motivi anche Diogene di Apollonia, il più importante di tutti

    MILO

    Isola dell'Egeo.

    MILONE


    1.) MILONE di CROTONE


    (in greco antico: Μίλων, Mílōn; Crotone, seconda metà del VI secolo a.C. – Hera Lacinia, ...) è stato un lottatore greco antico. Unitamente agli allori olimpici, a detta dello storico Diodoro Siculo, Milone fu il condottiero che permise a Crotone di sconfiggere il potente esercito della città rivale di Sibari nel 510 a.C. Si ritiene anche che Milone fosse un adepto o, quanto meno, un simpatizzante del filosofo Pitagora. Secondo una leggenda, Milone avrebbe salvato Pitagora dal crollo di un tetto. Un'altra storia asserisce che Milone sposò la figlia del filosofo, Myia. Morì pare divorato da un branco di lupi che lo sorpresero mentre era incastrato al tronco di un vecchio albero. È vincitore per 7 volte alle Olimpiadi. Come la maggior parte degli antichi atleti greci, Milone divenne rapidamente oggetto di leggende che ne glorificavano la forza ed il valore. A partire dal Rinascimento, ed ancor più durante il Neoclassicismo, il mito di Milone tornò in Europa ed alimentò la fantasia di diversi artisti: scultori come Alessandro Vittoria o Pierre Puget, pittori come Étienne-Maurice Falconet e James Barry, fino ai letterati come Shakespeare.

    Milone
  • -"Scultura barocca "- del francese Pierre Pouget.
    Parigi, Museo del Louvre
  • 2.) MILONE Tito Annio

    Fu tribuno della plebe nel 57 a.C. e pretore nel 55 a.C.
    Durante la crisi scaturita dallo scontro tra Gaio Giulio Cesare e Pompeo, si formarono a Roma due fazioni contrapposte, una popolare in favore di Cesare guidata dal tribuno della plebe Publio Clodio Pulcro, avversario di Cicerone, e l'altra costituita da ottimati, capeggiata da Milone.
    Nel 56 a.C. sposò Fausta, figlia del dittatore Silla e moglie ripudiata di Gaio Memmio.
    Nel 53 a.C. Milone fu designato per il consolato dell'anno successivo e Clodio fu candidato come pretore.
    Il 18 gennaio 52 a.C. in uno scontro tra bande rivali, avvenuto a Bovillae sulla Via Appia, Clodio venne ucciso e Milone fu accusato dell'omicidio.
    Fu Cicerone a prendere le difese dell'imputato, ma, intimorito dalla folla dei clodiani, non riuscì a pronunciare un'orazione coerente e articolata: il testo della Pro Milone che ci è stato tramandato, infatti, fu scritto e pubblicato da Cicerone in un momento successivo a quello del processo. Il tribunale lo giudicò colpevole 38 voti contro 13[1] e lo condannò all'esilio.
    Milone si rifugiò a Marsiglia. Secondo Cassio Dione, Cicerone gli fece pervenire l'orazione. Milone gli inviò un commento scherzoso:
    « Per me è stata una fortuna che queste parole non siano state pronunciate in questa forma in tribunale. Altrimenti non starei a gustare triglie qui a Marsiglia, se fosse stata pronunciata una tale arringa »
    Tornò più tardi a Roma per continuare la sua politica. Alleatosi con Marco Celio Rufo organizzò una sollevazione anti cesariana, ma nel 48 a.C. durante l'attacco alla città di Compsa, fu ucciso da un sasso lanciato dalle mura.

    Milone Annio
  • Tribuno della plebe e pretore della Repubblica romana
    Nome originale 	Titus Annius Milo
    Morte 	48 a.C.
    Consorte 	Fausta, figlia del dittatore Silla, dal 56 a.C.
    Gens 	Annia
    Tribunato della plebe 	57 a.C.
    Pretura 	55 a.C.
    Consolato 	designato per il 52 a.C.
  • MILZIADE

    Uomo politico e generale ateniese.(540-489 a.C., circa). Giovanissimo ereditò il governo di Chersoneso tracio (518). Nel 515 domò con un corpo di mercenari una sollevazione in Tracia e due anni più tardi seguì Dario I°, re dei Persiani in una spedizione contro gli Sciti. Dopo la sconfitta degli Ioni, nella battaglia di Lade (494), riparò in Atene. Qui, nonostante l’ostitlità dei partigiani degli Alcmeonidi, che lo accusavano di aver esercitato la tirannia nel Chersonneso, ottenne la nomina di stratega per il 490 - 489 e vinse i Persiani a Maratona, tornando subito ad Atene per difendere la città dal temuto attacco del generale persiano Dati. Inviato nel 489 a liberare le Cicladi dai Persiani, fu respinto e ferito nell’attacco all’isola di Paro. Ritornato in Atene fu accusato di aver agito contro Paro per ragioni personali e Santippo, padre di Pericle, ne chiese la condanna a morte, ma, in ricordo di Maratona fu limitata al pagamento di un’ammenda di cinquanta talenti.

    MINERVA

    Dèa della sapienza, della guerra e delle arti. Nata dalla testa di Giove, da cui uscì armata da capo a piedi. Le era dedicato il “Partenone”, tempio dell’Acropoli di Atene. Suoi attributi, la civetta. e l’egida (scudo di cuoio e al centro il capo della Medusa); propriamente lo scudo di Giove. Dèa romana che, forse in seguito alla dominazione etrusca, assurse ad un importante rango nel ruolo pubblico, affiancando Giove e Giunone in una triade che parve sostituire quella più antica della religione statale, composta dalla triade Giove, Marte e Quirino. Con Marte divideva le feste di marzo: le cinque giornate comprese tra il 19 (Quinquyatria) e il 23 (Tubilustrium). La più importante sede del suo culto era una cella del tempio di Giove Ottimo e Massimo in Campidoglio. Per la sua identificazione con la dèa greca Atena, molte attribuzioni di questa passarono a Minerva, ed è oggi impossibile distinguere i caratteri originari della dèa romana. Come Atena, proteggeva gli artigiani, gli artisti, e gli uomini di lettere. In occasione dei “Quinquyatris”, gli alunni facevano un dono ai maestri, detto minervale dal nome della dèa.
    (ritorna a Atena )
    MITO E LEGGENDA
    Minerva è dèa della sapienza; non della semplice erudizione, ma della scienza attiva, operante e armata, creatrice e virile che combatte l’errore, difende e cerca la verità, debella gl’inganni. Ella nacque, come già ben sapete, balzando fuori dal gran capo di Giove, spaccato alla fronte con un colpo secco d’accetta infertigli da Vulcano, e già cinta da una poderosa e brillante armatura d’oro; uscì con un grido e subito si mise a danzare davanti agli dèi stupefatti, una danza guerriera; dèa dunque insieme della Sapienza e della Guerra. La sua venuta al mondo è simbolo della luce dei lampi che squarciano le nubi e nel fragore e foschia delle tempeste, illuminano il creato. Prese parte alla lotta del padre Giove contro i Titani, e, per aver atterrato di sua mano il più forte dei loro, Palla, i Greci la chianarono anche Pallade Athena. Disputò a Venere il premio della bellezza. poi vinto da questa su aggiudicazione dell’arbitro mortale Paride; detta Atena, da essa ebbe il nome la capitale dei Greci, Atene. Perciocchè dopo che Cecrope ebbe gettato le fondamenta della celebre città, sorse una gara tra gli dèi dell’Olimpo, volendo ognuno che si chiamasse con il proprio nome. Allora il sommo Giove consacrò tutta la regione dell’Attica dove la nuova città sorgeva, e stabilì che questa si denominasse dal dio che più degli altri sapesse dare un nuovo dono all’umanità e chi lo desse più prezioso, quegli vincesse. E scesero in lizza Nettuno e Minerva. Nettuno percosse primo il suo formidabile tridente presso le rive del mare, e ne scaturì impetuoso un cavallo di cui dovevano inorgoglirsi i celesti e gli uomini. Minerva invece battè con l’asta in terra e ne germoglio un umile olivo, dal tronco contorto e dalle foglie grigie, dal frutto piccolo e amaro, e da cui si spreme un succo che nutrisce: l’olio, con cui di notte si alimenta la lampada e si rischiara la capanna; che conserva la fiamma davanti all’immagine del dio e sulla lastra del sepolcro.
    (ritorna a Atena )
    - Minerva ! – esclamarono unanimi Giove e tutti gli dèi
    – Dà tu il nome alla nuova città di Cecrope, e dei Greci, e prosperi essa in pace nella sapienza e nella bellezza, all’ombra degli olivi e sotto la tua tutela. E la città si chiamò Atena e rifulse di grandi artisti e sapienti all’ombra degli olivi, e tutelata da Pallade Atena. La saggia e benefica dèa era raffigurata con un elmo in capo, con due grifoni e una sfinge, forato con un’occhio davanti. Sul petto un mantelletto di pelle di capra, l’invulnerabile ègida con la terribile testa della Medusa, che faceva diventar di sasso chi la guardasse; in una mano la lancia, ma anche un ramoscello d’olivo, e nell’altra la vittoria. Ai suoi piedi v’erano la civetta, simbolo di assidua vigilanza, una serpe, simbolo di cauta circospezione e quale provvidenza e protezione, un gallo. Costruì il primo forno per i vasai, la prima nave per gli argonauti, il primo aratro per gli agricoltori, e i primi arnesi per i capomastri. Era patrona degli oratori e degli artigiani, dei governanti, dei medici e dei maestri. Si dilettava anche di musica e inventò il flauto, ma sappiamo come fu derisa da Venere e da Giunone quando la prima volta la videro suonare. Non sapendo il perché di quelle risate, Minerva andò a specchiarsi in una fontana, e s’accorse, che soffiando nello strumento. le si gonfiavano goffamente le gote. Allora lo buttò via e non volle più saperne. Insegnò invece a cucire, a tessere e a ricamare, e fu ella stessa manipolatrice insigne di stoffe. Non permetteva anzi che alcuno si vantasse di eguagliarla in quest’arte. e una volta che una fanciulla di Lidia, Aracne, se ne vantò, la punì atrocemente. Andò da lei travestita da vecchia.
    (ritorna a Atena )
    - E’ vero le chiese,quel che si dice?
    – Che cosa si dice?
    - Che i tuoi lavori superano in bellezza quant’altri al mondo che finora sieno stati fatti. La fanciulla orgogliosamente glieli sciorinò davanti.
    - Guarda le disse.
    - Belli!..Proprio belli! …esclamò la dèa.
    – Davvero si direbbe che tu sia stata a scuola da Minerva.
    – Ma che Minerva! E Minerva! Protestò come offesa e indispettita Aracne.
    – Che cosa centra Minerva! Non sono stata a scuola da nessuno io!
    - Vorrei vedere se Minerva sarebbe capace di combinar qualcosa di simile!
    - Tu credi?
    - Ne sono certa!
    - Cosicché se Minerva venisse qui…
    - Io,la sfiderei!
    - Ebbene si rivelò la dea, ripigliando ad un tratto le sue forme!
    – Orsù, le intimò la dèa, tu m’hai sfidato; scegli dunque la tua più bella stoffa e ricamavi sopra i più bei motivi che tu sai ideare!
    Io proverò a fare altrettanto.
    – Ma…io …
    - Te l’ordino!
    E bisognò incominciare.
    E Minerva ricamò con i più bei colori in rilievo, con le più belle lane tutta la scena dell’Olimpo, con i bei poggi verdi ondeggiati, il cielo azzurro, e le acque chiare, i marmi, i bronzi, gli argenti scintillanti e l’oro, i boschi, i fiumi i fiori, le fontane e tutti gli dèi, qua e là e la gran reggia di Giove. Uno splendore, una magnificenza, una meraviglia, da sbigottire al solo guardare. Ma Aracne rappresentò Giove stesso in tutti gli episodi della sua vita, da quando era nato a quando la madre Rea lo aveva nascosto nell’isola dei Coribanti. e si vedevan questi sacerdoti saltare e danzare; si sentivano quasi i loro urli e i loro colpi sugli scudi di rame. Mettevan orrore i tremendi Titani; abbagliavano i fulmini; spaventavano le montagne percosse e crollanti; erano raffigurate le fantastiche nozze con Giunone e lei stessa Minerva si vedeva quando balzava grande, radiosa, divina e armata, dal cervello del padre!
    La dea era rimasta stupefatta e incantata e in un mpeto di follia afferrò la tela, il telaio, li lacerò e li schiantò.
    - Aracne,..disse tremante: a nessuno per quanto grande sia e valente e sublime, può essere lecito di considerarsi simile a un dio. Và!
    E la povera fanciulla si ritrasse sgomenta fino a ridosso di un muro; salì su, su, sempre più su, e sempre più lesta, fra pietra e pietra, andò a nascondersi in un buco! Quando la dèa fu partita ed ella tornò a riaffacciarsi non era più come prima; aveva otto gambe lunghe e sottili, zampe sotto il corpaccio, testa piccolissima con lividi occhi, e due robuste mandibole di veleno. Ricominciò lassù fra trave e trave a ritessere la sua tela e così fece per sempre e fà anch’oggi in tutti gli angoli e fra ogni trave dei luoghi abbandonati, nelle cucine, nelle cantine incustodite, nei solai, terrore delle mosche e disperazione delle massaie, negli orti, nei boschi, attraverso i sentieri e nei campi, tra l’erbe dei prati e tra rami dell’alberi. Belle qualche volta quando il sole vi bat te, suscitandovi riflessi iridescenti, bellissime in certe mattine dopo una notte serena se la rugiada la imperla di minutissime goccioline, come vaghe collane; ma son, tele di ragno. Minerva, come abbiamo già detto, era chiamata dai Greci anche Pallade, per aver aiutato suo padre Giove nella lotta contro i Titani e per averne abbattuto uno, il formidabile Palla. Aiutò poi nelle loro antiche imprese gli Eroi, fu compagna di Ercole in tutte le sue fatiche. Nella guerra di Troia parteggiò per i greci, contro lo stesso Marte che s’era schierato dall’altra banda con i Troiani. Una volta, per mano di Diomede, di cui diresse la lancia, riuscì perfino a ferirlo, così narra Omero nell’Iliade, ed espugnata ed incendiata Troia ella accompagnò e protesse nelle sue lunghe peregrinazioni Ulisse. Era uscita con un grido dal cervello di Giove e a quel grido, avevano vibrato il cielo e la terra. Giove si servì spesso dello scudo suo, l’ègida di Minerva, anzi, fregiata della spaventevole testa della Medusa, apparteneva anche di diritto al sommo Olimpio. I Greci le erano particolarmente devoti come dèa dell’intelligenza, della sapienza, della saggezza, delle arti e dell’industria. La identificavano talvolta con la vittoria, chiamandola Atena Nike e le aggiungevano i titoli di Igea, o dèa della salute, Glaucopide o dèa degli occhi .A lei avevano eretto un celeberrimo tempio; Parthenos (vergine), Fu appunto ad Atena Parthenos che gli ateniesi alzarono sul colle della loro Acropoli il famoso Partenone, opera degli architetti Letinio e Calierate, fatto costruire da Pericle sotto la guida di Fidia. e di cui esistono ancora le grandiose rovine. Ivi era collocata la statua della dèa, alta 13 metri e scolpita da Fidia stesso in oro e avorio (crisoelefantina); e il tempio era tutto bianco di marmo pentelico lungo 72 metri e largo quasi 30, adorno esternamente da 46 grandi statue. Conservatosi per tutto il tempo della mirabile fioritura greca e sotto i Romani il Partenone ebbe a soffrire delle devastazioni barbariche. Fu rovinato dai Turchi conquistatori i quali lo adibirono a deposito di munizioni e polveri da sparo. Durante una loro campagna contro i Veneziani, questi lo colpirono accidentalmente con una bomba, e il Partenone ne patì le catastrofi conseguenti! Oggi di nuovo rialzato sulle sue rovine, troneggia sull’Acropoli di Atene, ma Pallade Atena non v’è più e i migliori ornamenti del tempio arricchiscono il Museo Britannico di Londra. (Vedi Atena)

    Minerva
  • Minerva, dettaglio del Trionfo della Virtù di Andrea Mantegna
    (1499-1502) olio su tavola - Museo del Louvre
  • Minerva tra Geometria e Aritmetica Veronese
  • Minerva fra la Geometria e l’Aritmetica, 1551,;br-: P. Veronese, affresco, Palazzo Balbi, Venezia
    (ritorna a Atena )
  • MINOSSE

    Mitico re, legislatore e sacerdote di Creta, figlio, secondo la tradizione di Giove ed Europa. Avrebbe regnato sull’isola mediterranea intorno al 1400 a.C. Avea promesso, secondo leggenda a Posidone, che gli avrebbe sacrificato un toro magnifico, ma, mancando per errore l’impegno preso, il dio adirato fece uscire dal mare un toro che, unitosi a Pàsifae, la moglie sua, generò il Minotauro, un mostro con corpo umano e testa taurina. Minosse allora fece costruire a Dedalo il famoso labirinto di Cnosso in cui rinchiuse la belva, alla quale, ogni anno, venivano dati in pasto sette giovani e sette fanciulle, inviati da Atene al re cretese, come tributo (ciò che forse sottintende una soggezione politica dell’Attica a Creta). A ciò mise fine l’eroe ateniese Teseo che penetrato nel labirinto, uccise il Minotauro, e ne sortì con l’aiuto di Arianna, figlia di Minosse. La leggenda vuole inoltre che morisse in Sicilia per mano del re Cocalo mentre inseguiva Dedalo, fuggito dal labirinto. Secondo altra versione si vuole che per vendicare la morte del figlio Androgeo, ucciso dai greci, mosse guerra agli ateniesi e imponesse all’Attica un tributo annuo di sette giovani e sette fanciulle, dei quali si pasceva il Minotauro nel labirinto.

  • Note - Minosse divenne dopo morte, uno dei tre giudici infernali ed il suo mito risale al fiorire della civiltà cretese (o minoica) e adombra l’estendersi di quella civiltà dalle isole alla penisola greca.- Fig: giudice inesorabile.
  • Minosse
  • Minosse, nell'interpretazione di Michelangelo Buonarroti,
    dal particolare del Giudizio Universale nella Cappella Sistina, rappresentato come giudice infernale.
  • Il Trono di Minosse
  • “Trono di Minosse”(II millennio a.C.) in pietra, conservato in una sala del palazzo reale di Cnosso a Creta.
    (ritorna a MINOTAURO
  • MINOTAURO

    Mostro dal corpo umano e dalla testa taurina nato da Pàsifae moglie di Minosse, e di un toro divino. o dallo stesso Zeus trasformatosi in toro. Rinchiuso nel labirinto, si pasceva di carne umana; ucciso da Teseo, che pose così fine al tributo imposto agli Ateniesi.
    (Vedi MINOSSE)

    Minotauro
  • Thésée et le Minotaure, Étienne-Jules Ramey, 1826.
    Giardino delle Tuileries (Parigi)
    (ritorna a PASIFAE)
  • MIRONE

    Scultore greco di Eleutere in Attica (ma probabilmente cittadino ateniese). Attivo tra il 480 e il 440 a.C., fu uno dei massimi esponenti della prima arte classica, acquistando fin dall’antichità una vasta notorietà assieme a Lisippo e a Policleto, soprattutto come scultore di atleti. Delle sue opere ricordate dalle fonti antiche, ne conosciano quasi sicuramente tre, attraverso copie di età romana: ”Il Discobolo”, ”l’Atena e Marsia” e “l’Atleta anadòumenos” (che si lega la benda). IL ”Discobolo”, in bronzo, rappresenta l’opera più famosa dell’artista che, mediante una dettagliata composizione plastica riesce a fissare la tensione dinamica del corpo nudo dell’atleta un’istante prima che il lancio avvenga. Il gruppo “Atena e Marsia” è una composizione più articolata. Di carattere drammatico narrativo, raffigura il guizzo del Satiro nell’atto di impadronirsi del flauto gettato lontano da Atena. Anche nella terza delle opere la cui paternità è quasi sicura, e nelle altre attribuitegli, manifesta pur nel trattamento arcaico del nudo, un interesse veramente originale nel cogliere l’attimo del movimento e l’instabilità dell’azione violenta.

    Discobolo
  • “Il discobolo” – Copia da Mirone - Museo delle Terme – Roma
  • athena_e_marsia
  • “Atena e Marsia” – Copia da Mirone – Museo Laterano –Roma
  • MIRRA

    Figlia di Cinira, re di Cipro. Afrodite le ispirò per il padre, irresistibile amore, che ella soddisfece con un inganno; generò Adone e, fuggita in Arabia, fu traformata nell’albero della mirra. (Vedi Adone)

    MIRTILO

    (Vedi Pelope)
    Mirtilo è un personaggio della mitologia greca. Era figlio di Ermes, amico di Pelope, l'eroe eponimo del Peloponneso, e scelto da Enomao come suo auriga.(Vedi Pelope) Secondo altre versioni, Mirtilo era un figlio di Zeus e di Climene.
    Il mito
    Pelope si era innamorato di Ippodamia, figlia di Enomao. Enomao avrebbe concesso la figlia a chi lo avesse superato in una gara con i carri. La gara fu favorevole a Pelope, tuttavia pare che alla base di questa vittoria ci fosse stato il sabotaggio di Mirtilo a scapito di Enomao. Come tutti i traditori Mirtilo venne ucciso da Pelope per timore che raccontasse la verità. Secondo un'altra versione fu ucciso da Pelope avendo questi appurato che Mirtilo insidiava Ippodamia. In punto di morte Mirtilo maledisse Pelope e tutta la sua discendenza. Il suo cadavere fu trasformato da Ermes nella Costellazione dell'Auriga.

    MIRTO

    Pianta sacra a Venere, dèa dell' Amore è rappresentata da Dante in "Vita Nuova"; operetta sua amorosa ove si narrano gli amori del poeta per Beatrice e così il Foscolo nelle

    "Grazie" Inno Secondo: vv. 239-245...
    Un mirto che suo dall'alto Beatrice ammira,
    Venerando splendeva; e dalla cima:
    Battea le penne un Genio disdegnoso
    Che il passato esplorando e l'avvenire
    Cieli e abissi cercava, e popolato
    D'anime in mezzo a tutte l'acque un monte;
    Poi, tornando, spargea folgori e lieti
    Raggi, e speme e terrore e pentimento
    Ne' mortali; e verissime sciagure
    *All'Italia cantava.

    Si riferisce ai pezzi più nobili della "Commedia" ove Dante rampogna all'Italia le sciagure politiche originate dalla divisione d'Italia in tante repubbliche e signorie.

    MISTERI

    Tipica espressione culturale greca che raggiunse il suo apice in età ellenistico - romana. Incerta è l’etimologia del termine, derivante da una radice che ha prodotto alcune parole religiosamente significative, tra cui “misticismo”, indicante un particolare atteggiamento devozionale, tipico degli iniziati ai misteri. Il culto misterico era essenzialmente un modo per accostarsi agli dèi, diverso da quello previsto dal culto privato o pubblico. Esso si fondava su una specie di consacrazione a certe particolari divinità, le quali, per questo motivo, avrebbero dovuto assicurare ai ”consacrati” determinati vantaggi su questa terra ed anche una felicità ultraterrena. La “consacrazione” è detta con termine tecnico “iniziazione” essendo essenzialmente un rito di passaggio, superato il quale, si iniziava una nuova vita; il che era spesso rilevato da una simbolica morte del l’adepto, seguita da una simbolica rinascita. Carattere comune a tutti i misteri, è la segretezza circa le azioni rituali eseguite (donde la moderna accezione della parola mistero), e le verità religiose conosciute a cui erano tenuti gli iniziati, sotto pena di tremende punizioni divine. Il modello formale a cui si attennero i vari misteri ellenistici nel loro costituirsi, fu il culto misterico di Eleusi, una borgata del territorio ateniese. I misteri eleusini, che risalgono, come complesso culturale soteriologico almeno al VII s.a.C., si diffusero in tutto il mondo greco grazie alla fortuna politico - culturale di Atene, e promuovendo in diversi luoghi lo sviluppo di complessi analoghi, da locali culti affini. In epoca ellenistico - romana poi, la supremazia culturale greca impose l’istituzione al punto che dovunque si trovassero le condizioni adatte (elementi religiosi affini, e circostanze storiche favorevoli, quali il crollo delle religioni nazionali), si formarono misteri; si ebbero così i misteri frigi, egiziani, semitici e persiani. Tutto lascia supporre che i misteri Eleusini si siano sviluppati da un arcaico istituto religioso, tipico delle civiltà primitive, le iniziazioni tribali; quei riti che consacrano nei giovani il passaggio alla società degli adulti. Da ciò si può dedurre che gli elementi reliosi affini, greci e non, dai quali, per incentivo di Eleusi, si formarono i diversi misteri, siano stati dovunque i residui di antiche iniziazioni tribali, già volti ad altri scopi con la disgregazione dell’istituzione originaria. I misteri Eleusini erano dedicati a Demetra ed a sua figlia Persefone. Famiglie locali quali gli Eumolpidi, e i Kerykes si tramandavano i principali sacerdoti. Il sommo sacerdote era detto“gerofante” (colui che mostra le cose sacre). L’iniziazione in effetti culminava nella visione di certi sacri simboli che venivano mostrati ritualmente. A questo momento si arrivava solo dopo una lunga preparazione di circa sei mesi, che terminava con vari riti. Esistevano due gradi iniziatici: al superiore si accedeva facoltativamente a distanza di almeno un anno dalla prima iniziazione Il secondo grado era detto ”epopteia” (contemplazione), con allusione sembra, al momento culminante del rito che s’immetteva agli iniziandi. mostrando loro una spiga di grano, che veniva silenziosamente sottoposta alla meditazione dei presenti, già preparati a coglierne i più profondi significati religiosi. Quasi altrettanto celebri in epoca ellenistica, i misteri cabratici di Samotracia, un’isola prospiciente alla costa ionica dell’Asia Minore. Erano dedicati ai Cabiri, ufficialmente chiamati “Grandi Dèi”. Le divinità cabiriche erano quattro, di origine pregreca: Axìeros, Axiokérsa, Axyokérsos, e Casmìlos (Cadmilos); esse poi furono identificate, sotto l’influsso di Eleusi, rispettivamente con; Demetra, Persefone, Ade ed Ermete. Ci si faceva iniziare ai misteri cabirici soprattutto per scampare ai pericoli di naufragio, ma era anche diffusa una più elevata ideologia, secondo la quale gli iniziati diventavano “più pii, più giusti, e, sotto ogni aspetto, migliori. Altra funzione dell’iniziazione cabirica era di carattere purificatorio, gli omicidi, che erano esclusi dai misteri eleusini, eramo qui ammessi ad una specie di espiazione - assoluzione, forse preliminare alla vera e propria iniziazione. Noti erano anche i misteri di Andania, un piccolo centro della Messenia ove la loro costituzione, pur riallacciandosi il culto ad una antica tradizione, non va oltre il I s.a.C. Le divinità erano: Demetra, Hagne (Santa), appellativo locale di Persefone, Apollo Karneios e i grandi Dei (Cabiri). Ad opera di immigrati Traco - frigi, si costituirono in Atene i misteri del dio Sabazio, identificato col greco Dioniso. La loro sede era il porto di Atene, il Pireo, dove sono documentati già nel IV s.a.C. Gli iniziati, detti “sabaziostai”, erano riuniti in corporazione. In Asia Minore, Sabazio venne identificato col Dio unico degli ebrei (Jahvè Sabaoth,”Dio degli Eserciti”), che presentava analogie fonetiche. Si formarono così comunità religiose giudeo - pagane legate alla iniziazione ai misteri di Sabazio, ed è da queste comunità che anche i primi cristiani guardavano con rispetto. Per la loro elevata religiosità il cristianesimo trasse il simbolo della benedizione con le prime tre dita della mano (benedictio latina). D’epoca ellenistico–romana sono i misteri frigi del dio Attis e della dèa Cibele; i misteri egiziani del dio Osiride e della dèa Iside. Gli uni e gli altri si incetravano sul mito della ”passione“ delle rispettive divinità maschili, la cui morte violenta era narrata in tradizioni molto più antiche della relativa recente formazione misterica. Gli uni e gli altri si costituirono su arcaici elementi religiosi nazionali affini alle componenti elementari dei misteri greci.Tale affinità ci è documen tata da Erodoto, che descrivendo l’Egitto del V° s.a.C., parla di misteri di Osiri “De antelite ram”, evidentemente fondandosi su certe analogie culturali con i misteri greci, dato che gli influssi religiosi greci che portarono alla costituzione di veri e propri misteri egizi cominciarono a farsi sentire in quella regione, soltanto dopo la conquista di Alessandro Magno (IV° s a.C.), La politica religiosa dei Tolomei. portò in Egitto alla costituzione di un originale culto misterico dedicato ad una nuova divinità di nome Serapide. Tanto i misteri frigi quanto quelli egiziani. si diffusero ben presto in Italia, dove diedero origine a molte religioni sincretistiche locali. A Ro ma guardati con sospetto in epoca repubblicana, acquistarono autorità e prestigio con l’impero e testimonianza di misteri egiziani arrivano al V° s.d.C. Un caso a parte è costituito dai misteri di Mitra, divinità persiana sottratta dalla sua religione e dal suo ambiente d’origine e divenuta un “dio salvatore” per eccellenza. In questo caso il complesso misterico non si svolgeva in elementi religiosi affini alle componenti dell’istituto misterico greco, ma solo formalmente si adeguò a questo, e solo per il prestigio che esso godeva, essendo nella sostanza tutt’altra cosa. I misteri di Mitra, non sono come gli altri, improntati ad un reale misticismo che portava invariabilmente all’identificazione dell’iniziato con la divinità, ma rimase sempre trascendente rispetto alla natura umana. L’iniziazione mitriaca comprendeva sette gradi; certi riti che servivano all’ammissione ed erano vere e proprie prove di coraggio che ricordano quelle che in molte società primitive debbono subire i giovani nelle iniziazioni tribali. Sia per il carattere guerriero del dio, sia perché la sua protezione si esercitava soprattutto in battaglia. Il culto di Mitra trovò grande diffusione nell’esercito romano e ben si adattava alla formazione etico - religiosa di un buon soldato, e per questo venne favorita dagli imperatori.

  • Note - Nell’ambito del cristianesimo il significato esatto di “mistero”, è stato definito soltanto nel XIX° secolo dalla teologia cattolica e si intende come una verità divina che resta inconoscibile alla ragione umana; tali, per esempio i misteri della “Trinità" della “Incarnazione” eccetera. Del mistero si percepisce l’esistenza causa la rivelazione, ma ciò che giammai si potrà comprendere è la sua essenza, secondo la definizione teologica che dice: “I misteri divini, per la loro stessa natura, trascendono talmente l’intelletto creato, che anche rivelati e creduti, restano purtuttavia velati e oscuri durante la vita mortale”.
  • MISTICISMO

    Atteggiamento filosofico - religioso che rivendica, contro ogni mediazione razionale o istituzionale, l’apprensione diretta di Dio. Questo concetto moderno trae nome da un termine greco che designa il comportamento di quanti superando le tradizionali forme del culto pubblico o gentilizio, seguivano nuove vie, cercando la salvezza nei misteri. Guardando oltre i fatti contingenti della civiltà antica, politeistica e di quella moderna cristiana, il mistero appare come una rivolta irrazionalistica ad un sistema religioso ordinato secondo ragione. I modi della rivolta si contengono nelle possibilità offerte dalle diverse religioni di rendere positivi gli elementi caotici (e conseguentemente negativi gli elementi cosmici) che qualificano dialetticamente le singole formazioni. Nella Grecia antica una invalicabile linea di demarcazione separava gli dèi immortali dagli uomini mortali. “Sta nei tuoi liniti”, raccontava l’oracolo delfico, per indicare la retta via da un punto di vista etico - religioso. L’uomo che cercava di superare tali limiti, peccava di hybris (superbia, soverchieria, tracotanza) e l’hybris era la causa della perdizione, che si manifestava come una follia (ate – offuscamento). Hybris ed ate, espressioni di caoticità nel sistema religioso tradizionale divennero altrettante forme positive del pensiero misterico greco. Così si giunse a proclamare in forme rituali; ”Io sono simile a un dio” (orfismo – da Orfeo), o addirittura a identificarsi col dio venerato, valicando tutti i limiti della condizione di mortale. E così i modi della follia (dell’ate), vennero ugualmente ritualizzati in pratiche orgia stiche, i cui partecipanti potevano anche chiamarsi “folli”, così come per esempio le Menadi, seguaci del dio Dioniso.

    MITILENE

    Città greca, capoluogo della provincia di Lesbo, formata dall’isola omonima e da quelle di Lemno, e di Agiòstrati, situate nel Mar Egeo a breve distanza dalla costa turca. Abitata fin dall’antichità presenta avanzi dell’età del bronzo che mostrano una cultura simile a quella coeva di Troia. Al VII° -VI° secolo risale la massima fioritura dell’isola che diede i natali a Saffo, Alceo e Pittaco; elaborò originali forme architettoniche (quali la colonna eolica), divenendo importante centro di attività colonizzatrici e di traffici commerciali. Sotto la successiva dominazione persiana declinò, così come al tempo del predominio di Atene, e in età ellenistica dipese dall’Egitto tolemaico.

    MITO

    Il mistico numero di tre, evvi conservate sempre scrupolosamente; tre Grazie; tre Ore (il giorno era diviso dagli antichi Greci e dai Romani solamente in tre parti: e così la notte). Tre Parche sono a parte del lavoro; tre dèe, Pallade, Psiche ed Ebe concorrono nella principal parte dell'opera e in tutti i processi che debbono rendere immortale il peplo, mentre altre tre, Iride, Flora ed Aurora si adoperano a farne gli adornamenti; ed invece di nove vi sono mentovate solo tre Muse, Tersicore, Talia, Erato. - Le Parche sono le incomprensibili deità di Platone, coronate di quercia e avvolte di lunghi manti di porpora (purpurei-violacei); e nell'antico Inno alle Parche attribuito ad Orfeo esse vennero rappresentate come coperte di veli tessuti della più risplendente e lucida porpora. E Catullo nel carme Delle Nozze di Peleo e di Teti, le descrive avvolte intorno di foglie di quercia, emblemi si gli uni che le altre della loro suprema e irresistibile autorità e forza.

    MITRE

    o Mithra

    Antica divinità degli Atridi. La religione indiana (vedica), ne fece uno degli dèi più importanti del suo ”pantheon”, mentre in Persia, lo “zoroartrismo” lo relegò, come le altre divinità, al rango di un dèmone. Col tempo però riemerse e lo stesso“zoroartrismo” lo assunse come “Yazata”(santo) supremo, messo da “Ahura Mazdah” a sorvegliare il mondo. Ben presto, anche per alcuni caratteri uranici originari, fu assimilato al Sole che ”sorveglia” il mondo dall’alto del cielo. Acquistò, d’altro canto, il carattere di un “salvatore”, protettore dell’umanita, a cui si ricorreva nelle necessità quotidiane e, dopo la morte, per farsi accompagnare nell’estremo viaggio Questa nuova visione del dio superò la stessa religione “mazdaica” e con la diaspora persiana, si diffuse nel mondo ellenico-romano come divinità autonoma, attorno alla quale si accentrò una nuova formazione religiosa: i misteri”mitriaci”. Qui ebbe l’epiteto di ”Sole invitto” e fu venerato come creatore o ordinatore del mondo, in seguito all’uccisione di un toro cosmico da cui si sarebbe prodotta la parte buona della realtà naturale e umana. L’uccisione del toro, "la tauroctomia“, spesso figurata nei monumenti mitriaci costituiva un solenne sacrificio al culto del dio.

    Mitra
  • Bassorilievo del II-III secolo raffigurante una tauroctonia,
    Mitra che sacrifica il toro sacro. 
    Sono presenti nella raffigurazione il serpente,
    lo scorpione, il cane e la cornacchia, 
    caratteristici dell'iconografia mitraica.
    Louvre, Department of Greek, Etruscan and Roman Antiquities
  • MOIRE

    o Mithra

    (Vedi Parche)
    Le tre Moire, assimilate anche alle Parche romane e alle Norne norrene, sono figure appartenenti alla mitologia greca. Nella Teogonia di Esiodo compaiono due volte: come figlie della Notte e come figlie di Zeus e Temi, erano la personificazione del destino ineluttabile. Il loro compito era tessere il filo del fato di ogni uomo, svolgerlo ed infine reciderlo segnandone la morte.

    Moire
  • Le Moire Cloto e Lachesi intente a tessere il filo del fato.
    La Moira Atropo siede nell'attesa inesorabile di reciderlo
    John Strudwick, A Golden Thread (Un filo prezioso), 1885 (olio su tela)
    Tate Gallery London
  • MOMO

    Dio della maldicenza, della malignità e del riso; figlio della Notte.

    Dalle "Grazie"del Foscolo -Inno secondo VESTA: v.v.27-34;
    ...Date principio, o giovinetti, al rito
    E da' festoni della sacra soglia
    Dilungate i profani. Ite, insolenti
    Genti d'Amore, e voi livido coro
    Di Momo, e voi che a prezzo Ascra attingete.
    Qui nè oscena malia, nè plauso infido
    può, nè dardo attoscato: oltre quest'ara
    Cari a volgo e a' tiranni, ite, profani.

    MNEMOSINE

    Titanessa, dèa della memoria, figlia di Urano e di Gea; moglie di Zeus e madre delle Muse.
    (Vedi Titani)
    Mnemòsine fu amata da Zeus, il quale le si presentò sotto forma di pastore. Giacquero insieme per nove notti sui monti della Pieria e dopo un anno, Mnemosine partorì nove figlie: le Muse. Pausania riferisce che, originariamente, le figlie fossero tre, ossia Melete, la Pratica, Mneme, il Ricordo, e Aoide, il Canto.
    Diodoro Siculo racconta poi che Mnemosine aveva scoperto il potere della memoria e che aveva assegnato i nomi a molti oggetti e cose astratte che servivano a intendersi durante la conversazione[1]. Inoltre, a questa dea era attribuito il potere di far ricordare (da cui deriva il suo nome).
    Secondo Pausania, in Beozia si trovava l'antro di Trofonio, uno degli accessi agli Inferi, dove, per entrare era necessario prima bere da due fontane. La prima, intitolata a Lete (la dimenticanza), faceva scordare le cose passate. L'altra, intitolata a Mnemòsine, consentiva di ricordare ciò che si sarebbe visto nell'aldilà

    Mnemosyne
  • Mnemosine, Dante Gabriel Rossetti, olio su tela (1875–1881)
    (Collezione)Delaware Art Museum, Wilmington
  • MORFEO

    Dio dei sogni, figlio del Sonno e della Notte. Addormentava quanti toccasse con un gambo di papavero, immergendoli nel mondo dei sogni (essere in braccio a Morfeo). Dèmone della religione greca, gli si attribuiva la facoltà di apparire in sogno in varie forme; il suo nome deriva da “morphe - forme”; veniva raffigurato con le ali, e con il suo volo silenzioso e velocissimo, poteva raggiungere in un attimo le estremità della terra.

    Morfeo
  •  
    Morfeo nelle sembianze di Ceice appare ad Alcione
    dalle Metamorfosi di Ovidio
    Artist:Antonio Tempesta
    Publisher:Wilhelmus Jansonnius
    Date:17th century
    Dimensions:10.4 x 11.8 cm (image)
    Department:Achenbach Foundation
    Provenienza:Ganymede Graphics, Berkeley, 1971;
    Marcus Sopher;
    Accession Number:1989.1.237
    Acquisition Date:1989-12-07
    Credit Line:Mr. and Mrs. Marcus Sopher Collection
    FINE ARTS MUSEUMS OF SAN FRANCISCO 
    http://www.famsf.org/
  • MUSE

    Figlie di Giove e di Mnèmosine (Memoria). Secondo altra versione, figlie di Gaia (Terra) e di Urano (Cielo). Dette anche Pieridi da un mitico Pieros che avrebbe introdotto il loro culto (o messo in rapporto con loro). Divine ispiratrici dei poeti; la loro importanza in tale funzione va commisurata con l’eccezionale posizione del poeta arcaico greco, al quale era rimessa ogni forma di saggezza in campo religioso e profano. L’affermarsi di Apollo in questa funzione portò le Muse sotto l’egida del dio, che assunse l’epiteto di Musagete o “duce delle Muse”. Divinità del canto e della danza; in genere ispiratrici e protettrici di ogni sapere. Con la specializzazione della cultura, sono state fissate in numero canonico di nove, e messe a presiedere le arti e le scienze e ognuna aveva il suo attributo:

    1 – Calliope,
    (bella voce) Musa della poesia epica e dell’ eloquenza
    2 - Clio,
    Musa della Storia.
    3 - Erato,
    Musa della Poesia Amorosa, talvolta presa quale Musa del canto.
    4 - Euterpe,
    Musa della Musica, della Lirica e della Poesia Elegiaca
    5 - Melpòmene,
    Musa della Tragedia.
    6 – Polìmnia,
    Musa della Poesia Religiosa e della Pantomima
    7 – Talia,
    Musa della Commedia, della Lirica Corale, talvolta presa quale Musa del suono.
    8 – Tersicore,
    Musa della Danza.
    9 - Urania,
    Musa dell’Astronomia e delle Scienze Geometriche.

    Abitavano sul Parnaso, sull’Elicona (monte della Beozia); di origine Tracia e identificate poi con le italiche Camenie. Non dappertutto erano nove; si conoscevano anche gruppi di tre; Melete, Mneme e Aoide. Altra versione ancora le dice figlie dell’Armonia.

  • -Note - Aonie – Epiteto delle Muse in quanto abitatrici dei monti Aoni in Beozia.-
    - I poeti sono detti sacerdoti delle Muse: così Orazio si dice "Musarum sacerdos"; e così pure Virgilio (ecloga VI v,2); Sacerdote di Talia il Parini; il Foscolo (Epist.1 63 avverte " La mia Talia è la Talia di Virgilio); e la Melpomene di Orazio (carme. IV 3), che nè scrisse, nè pensò di scrivere tragedie. Si crede che Talia debba prendersi per Musa in generale, per Poesia; non avendo coltivata il Parini la poesia comica della quale Talia era musa; del resto fu tenuta musa anche della satira, al qual genere appartiene "Il Giorno". Il Parini perseverò costante nello stidio della poesia, alla quale faceva dono de 'suoi carmi Educò; nel senso etimologico di fece crescere; coltivò.
  • Catullo carme LXII;
    "...numquam mitem educat uvam".
    Muse
  • - Andrea Msntegna 1431 – 1506. Marte e Venere (detto Parnaso) 1497, fa parte di una serie di cinque dipinti, tutti al Louvre, che la marchesa di Mantova, Isabella d’Este (1474-1539), richiese per decorare il suo primo Studiolo ospitato nel Castello di San Giorgio del Palazzo Ducale di Mantova . L’interpretazione tradizionale si basa su un poemetto di Battista Fiera della fine del XV secolo, dove si identificava il quadro come una rappresentazione del Parnaso, culminante nell’allegoria di Isabella come Venere e suo marito Francesco Gonzaga come Marte, sotto il cui regno fioriscono le arti simboleggiate da Apollo e le Muse. – Louvre – Parigi.
  • Virgilio e Clio
  • - “Virgilio con in mano l'Eneide, tra le Muse Clio e Melpomene, raffigurato in un mosaico romano II-III secolo, rinvenuto a Susa, l’antica Hadrumetum - Museo del Bardo – Tunisi.
  • Polimnia
  • - Polimnia, Musa dell'Eloquenza, dipinto di Charles Meynier, 1789-1800 Cleveland Museum of Art, Ohio, Stati Uniti d'America
  • Statua di Polimnia
  • - Polinnia musa della favola e della mimica Musei Vaticani Roma - Sala delle Muse - ©Schiavo-Febbrari - https://www.gri.it/index.php
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    (ritorna a MELPOMENE)
    (ritorna a POLINNIA)
    (ritorna a Talia)
    (ritorna a Erato)
  • MUSEO

    Museo è un personaggio leggendario associato ad Orfeo.
    Il personaggio tra mito e realtà storica
    Le notizie su Museo sono diverse e spesso contrastanti. La Suida e Clemente Alessandrino lo ricordano come un poeta molto antico, che visse ai tempi di Cecrope II o di Acrisio; secondo Sesto Empirico visse prima di Omero, mentre secondo due Vitae omeriche Museo fu un suo predecessore. A seconda delle fonti è figlio di Orfeo oppure discepolo di questo e figlio di Selene oppure maestro di Orfeo oppure ancora figlio di Antiofemo; la mitologia narra sia stato cresciuto dalle Ninfe. Non vi è una tradizione coerente neppure sulla provenienza: sarebbe di Atene o trace o nato ad Eleusi. L'associazione ad Eleusi è attestata anche in altri modi: secondo alcuni autori avrebbe presieduto ai misteri eleusini, mentre secondo altri sarebbe stato suo figlio Eumolpo (presentato più spesso come figlio di Poseidone) ad istituirli.
    A Museo, poeta e divinatore, la tradizione attribuisce oracoli, inni, una Titanomachia, un Inno a Demetra, una Eumolpia, un libro Sui Trespoti e l'introduzione dell'Attica dei misteri d'Eleusi. Delle opere attribuitegli si sono conservati pochi frammenti poetici di argomento teogonico e mitologico.
    Secondo Giorgio Colli la figura di Museo potrebbe essersi originata isolando gli elementi apollinei della figura dominante di Orfeo, che si sarebbe così caratterizzata più compiutamente in senso dionisiaco.
    Nell'Eneide di Virgilio Enea e la Sibilla incontrano Museo nei Campi Elisi, tra gli spiriti beati più degni, "che svetta con ampie spalle" (VI, 660-678). E sarà lui, su richiesta della Sibilla, a guidarli verso il sentiero che li condurrà ad Anchise. Museo spiega loro anche la non stabile sede delle anime del luogo (nulli certa domus), e la loro collocazione sparsa tra ameni e confortevoli luoghi naturali (...lucis habitamus opacis / riparumque toros et prata recentia rivis / incolimus).

    NOTE

    1. Alcioneo

    2. Deioce

    3. Diecimila

    4. Marmore